Esclusive per gli abbonati
Newsletters
About
UU è una rivista di sport fondata a luglio del 2013, da ottobre 2022 è indipendente e si sostiene grazie agli abbonamenti dei suoi lettori
Segui UltimoUomo
Cookie policy
Preferenze
→ UU Srls - Via Parigi 11 00185 Roma - P. IVA 14451341003 - ISSN 2974-5217.
Menu
Articolo
(di)
Moris Gasparri
Guida agli ottavi del Mondiale femminile
04 ago 2023
04 ago 2023
Tutto quello che c'è da sapere sulle 16 squadre rimaste in corsa.
(di)
Moris Gasparri
(foto)
IMAGO / Xinhua
(foto) IMAGO / Xinhua
Dark mode
(ON)

Scrivere un’appassionata guida alla seconda fase dei Mondiali dopo l’eliminazione dell’Italia e lo strazio delle ultime due partite contro Svezia e Sudafrica è un esercizio di resistenza minoritaria, da valdesi della fede sportiva, esploratori di mondi lontani e di sogni, talenti, investimenti, idee, progettualità altrui. Come gli uomini imprigionati sul fondo della caverna platonica, che vedono solo ombre scambiandole per l’unica realtà, in Italia la percezione media del calcio femminile, che si basa in maniera prevalente sulla visione delle partite della nazionale nelle grandi competizioni, è fatta da due anni a questa parte di obbrobri vari (Italia-Sudafrica è stata una partita di rara bruttezza tecnica, da ambo le parti), che originano purtroppo una forte denigrazione generale di questo sport, mentre fuori dalla caverna, nei principali paesi europei, il pubblico spettatore è da tempo assiso di fronte al cielo splendente della verità e delle idee, che ha le sembianze di una Lauren James o di una Esmee Brugts, giusto per fare due nomi.

Che questa guida, divisa in cinque macro-categorie, tra certezze, incertezze sorprese e rivelazioni, possa servire da piccolo faro nella notte. Le certezze Inghilterra Come pronosticato nella guida della vigilia, Lauren James si sta prendendo la scena più di ogni altra giocatrice in questo mondiale. Ogni sua giocata, dai tre gol segnati agli assist a infinite altre situazioni e soluzioni, esprime il marchio di una qualità tecnica e fisica superiore, e dicono di una predestinazione dell’attaccante del Chelsea a diventare regina assoluta di questo sport. È così forte l’impressione lasciata da James da far per un attimo dimenticare che l’Inghilterra nel primo tempo della partita contro la Danimarca ha perso per infortunio (non sappiamo ancora se in maniera irrimediabile) Keira Walsh, l’architrave del gioco, momentaneamente rimpiazzata da Zelem.

La mano di Wiegman si è però vista anche in questa situazione: contro la Cina ha optato per un inedito 3-5-2, con Daly e Bronze a spingere altissime sugli esterni, uno schieramento che potremmo rivedere anche nelle prossime partite. La squadra inglese è quella che riesce meglio e più velocemente di tutte le altre a variare il gioco sui due lati del campo, e quella che applica la maggiore intensità nei recuperi della palla nella metà campo avversaria. In attacco nella goleada alla Cina si sono sbloccate Russo, Hemp e Kelly, Earps e Bright in porta e al centro della difesa danno sensazioni di sicurezza, Bronze e Daly con la loro spinta sono il complemento della ricerca dell’ampiezza di gioco sopra accennata, caratteristica che la maggior parte delle squadre nel calcio femminile ancora non riesce ad attingere. Insomma, l’Inghilterra c’è. Se riusciranno a vincere il Mondiale, pur prive per infortuni di quattro campionesse e procedendo dalla parte di tabellone più difficile, potremo salutare la nuova dinastia egemone del calcio femminile mondiale, in successione al dominio americano e quindi in pieno rovesciamento ironico della storia. Francia Raccontano i poemi omerici che Ulisse, ingiuriato dai giovani Feaci perché restio a prendere parte a una gara sportiva, reagì sfoderando una prestazione atletica strabiliante, mosso da un feroce spirito di rivalsa. Sono passati circa tre millenni, ma scomodiamo questo antefatto classico perché descrizione più esatta della situazione attuale della nazionale francese non c’è. Conosciamo l’ingiuriatrice, l’ex commissaria tecnica Corinne Diacre, che tra le prime decisioni del suo mandato tolse la fascia di capitana a Wendie Renard e vi litigò pubblicamente a più riprese, mentre a Eugenie Le Sommer, rea di aver disapplicato contro gli Stati Uniti le consegne tattiche ricevute, attribuì le colpe dell’eliminazione al mondiale casalingo del 2019. Chi ha segnato nella cruciale sfida vinta contro il Brasile? Le Sommer e Renard, le due veterane dei successi targati Lione, animate da uno spirito di rivalsa almeno pari a quello dell’eroe greco da cui siamo partiti.

L’altro Renard, Hervé, di professione allenatore, oltre a partorire speech motivazionali virali come quello nel pre-partita contro il Brasile, ha ideato un 4-4-2 inusuale e di assoluta necessità, vista l’assenza di Katoto, con Diani e Le Sommer accentrate rispetto alle posizioni esterne in cui le abbiamo sempre viste in azione nella loro carriera, per ora con buoni risultati, come dimostrato dal gol al Brasile, con la prima a fare la sponda su cross di Bacha, e la seconda a rifinire in gol di testa. Avevamo già scritto alla vigilia della forza della Francia sulle catene esterne, come dinamismo, tecnica e ampiezza delle rotazioni, finora confermata, a cui si unisce l’ottimo stato di forma di Grace Geyoro, probabilmente la tuttocampista più forte in circolazione al momento nel panorama mondiale. Nessuna squadra manifesta più della selezione transalpina l’urgenza del desiderio di raggiungere la finale. Le big pericolanti Stati Uniti È ancora troppo presto per evocare anche nel femminile le grandi dinastie del calcio maschile delle origini poi tramontate e divenute materiale d’archivio, dal Genoa di fine Ottocento all’Ungheria degli anni ’50 del secolo scorso. Tuttavia le sensazioni che hanno avvolto la nazionale guidata da Ratko Andonovsky nelle tre partite del girone ci consegnano un’atmosfera da fine impero. Poca qualità, soprattutto in cabina di regia, con Sullivan sempre in grande difficoltà, scelte tecniche discutibili (Ertz tolta dalla mediana e inventata all’ultimo centrale difensiva per sostituire l’assente Sauerbrunn, senza mai concedere minuti nel ruolo a Cook), veterane a fine corsa (Alex Morgan, sei gol e tre assist nella scorsa edizione, è ancora a secco in entrambe le voci statistiche) e nuove stelle mediaticamente molto inflazionate ma per il momento impalpabili (Trinity Rodman). L’imbattibilità è resistita, ma il gol subito dall’Olanda in seguito a una serie di errori difensivi molto vistosi, la difficoltà nel creare occasioni da gol, soprattutto attraverso il marchio di fabbrica americano delle transizioni offensive, o la pressione del Portogallo culminata nel palo di Capeta al 90’, sono segnali di un movimento che, vistosi ormai pareggiare da tutte le principali nazionali europee nelle dimensioni atletiche, non ha per il momento molto da dire su quelle dell’organizzazione di gioco, storicamente mai vero punto di forza dei ripetuti successi americani. La possibile salvezza, oltre che in una difesa che ha comunque fin qui subito solamente un gol, è nel calendario: quattro anni fa l’avvicinamento alla finale fu il più duro che si potesse immaginare, con Spagna, Francia e Inghilterra incontrate sul cammino, stavolta invece la parte più morbida del tabellone, dove far pesare nei confronti delle avversarie il fattore dell’abitudine ad arrivare in fondo a questa competizione potrà dare i suoi possibili dividendi mentali. Tuttavia contro la Svezia mancherà per squalifica l’unica certezza del centrocampo, Rose Lavelle, assenza potenzialmente ferale per il reparto fin qui più sofferente. Spagna C’è una regola aurea delle competizioni fra squadre nazionali: la loro brevità temporale non permette deroghe allo stabilirsi di un clima armonioso all’interno del gruppo, e alla fiducia totale nei confronti della guida tecnica. La Spagna di Jorge Vilda manca per ragioni strutturali di questi presupposti, da anni le cronache sulla nazionale femminile spagnola sono piene di dissidi, conflitti, ammutinamenti, liste di proscrizione. Dove non sono arrivati gli infortuni, sono arrivate le rinunce, per i motivi di cui sopra, di tre giocatrici fondamentali, e alla prima partita davvero impegnativa del girone se ne sono visti gli effetti: Misa in porta non vale Paños, e lo si è visto contro il Giappone, con incertezze su almeno due gol. Ivana Andres non vale Mapi Leon, ma il problema è che nemmeno Rocio Galvez, autrice di una prestazione disastrosa contro il Giappone, con errori marchiani, vale Ivana Andres, assente dalla partita per infortunio e che non dovrebbe recuperare. Infine Alexia Putellas, questa Alexia Putellas alle prese con il ristabilimento post-infortunio, non vale Patri, la giocatrice più sottovalutata del mondo in rapporto alla sua forza tecnica, e con Putellas il problema è duplice, il suo cattivo stato di forma lo pagano anche le colleghe di reparto, vista la sua tendenza ad accentrare gioco e palloni. Le speranze di arrivare in fondo restano nella qualità diffusa dell’organico, nella voglia di riscatto e nell’atterraggio nella parte più morbida del torneo, a partire da un ottavo di finale più semplice di quello capitato al Giappone. Quelle che non abbiamo visto arrivare Olanda Non era tra le nazionali attese alla vigilia, nemmeno tra le outsider, vuoi per l’assenza di Miedema, vuoi per un difficile ricambio generazionale rispetto al gruppo che nel 2017 vinse a sorpresa l’Europeo casalingo, certificato dal non esaltante Europeo inglese. Alla vigilia degli ottavi di finale, l’Olanda è invece la nazionale che ha entusiasmato maggiormente nella fase a gironi. Come si è arrivati a questo repentino cambio di scenario? Due parole possono aiutarci a rispondere: Andries Jonker. Nel calcio femminile allenatori e allenatrici non hanno ancora il ruolo e lo spazio mediatico delle protagoniste in campo, si discute troppo poco delle loro idee di gioco e del loro contributo generale. In questo caso invece è doveroso rendere omaggio al tecnico olandese. L’Olanda è l’unica squadra delle sedici approdate agli ottavi di finale ad aver sin qui sempre giocato con il 3-5-2, una scelta controcorrente, soprattutto nel calcio femminile, dove questo modulo non è per nulla usuale, nemmeno in Italia. Un cambiamento radicale che ne contiene al suo interno molti altri, come in una matrioska, perché Jonker per adempiere ai criteri del nuovo modulo ha cambiato posizione a ben cinque giocatrici: l’eterna Spitse trasformata da play/diga davanti alla difesa a braccetto destro, per formare con il braccetto sinistro Janssen una coppia formidabile per precisione e potenza nei lanci lunghi; Groenen da interna a play basso, in un centrocampo molto aggressivo nella riconquista della palla, in cui da interne agiscono le indemoniate Roord e Van de Donk; Pelova a destra e Brugts a sinistra ad agire da esterne, due calciatrici non certo abituate ai compiti difensivi richiesti da questo ruolo, soprattutto la seconda, che ne stanno dando un’interpretazione atipica, perché vengono molto dentro il campo (en passant, Brugts, classe 2003 e talento pronto al decollo, contro il Vietnam ha segnato anche due gol bellissimi entrambi con tiri da fuori). Infine la novità più sorprendente: Martens non più esterna sinistra nel tridente, ruolo che la vide splendere qualche anno fa prima di entrare in un lungo stallo prestativo, ma seconda punta, a muoversi per vie centrali e ad abbassarsi sfruttando l’imprevedibilità del suo bagaglio di tecnica e fantasia, come accaduto in occasione dell’avvio dell’azione che ha portato al gol di Roord contro gli Stati Uniti. Non le abbiamo viste arrivare, e non le hanno viste arrivare nemmeno i dirigenti Fifa che un anno fa, nel compilare gli slot orari degli ottavi di finale, posizionarono quello tra la vincente del gruppo E e la seconda classificata del gruppo G nel prime time televisivo americano, eccessivamente fiduciosi nelle sorti della nazionale americana e ignari della mano di Jonker, per cui... attenzione all’Olanda. Giappone Una delle grandi intelligenze femminili del Novecento, Maria Zambrano, scrisse che la metamorfosi è la legge ispirativa di coloro che anelano a lasciare un segno distintivo nelle vicende umane. Il Giappone di coach Ikeda Futoshi corrisponde in pieno a questa regola: nelle prime due partite contro Zambia e Costa Rica, vinte agevolmente, abbiamo visto una squadra che ha espresso i tratti distintivi codificati dal vate Sasaki Norio, l’artefice della storica vittoria ai Mondiali del 2011, che impose a una nazionale e a un movimento geneticamente privi di grandi altezze e fisicità di puntare tutto sulla tecnica e sul possesso palla, sulla rapidità di circolazione, sulla qualità dei passaggi e delle ricezioni, con un rispetto devozionale di questi dettami. Sono le caratteristiche che hanno permesso a un movimento numericamente poco ricco alla base di raggiungere risultati eccellenti, e non a caso la nazionale che stiamo ammirando a questi Mondiali è figlia della selezione giovanile che nel 2018 vinse i Mondiali under 20, sotto la guida dello stesso Ikeda. L’incarnazione maggiore di queste idee è Hasegawa Yui, regista che abbiamo visto in Italia con la maglia del Milan, metronomo del gioco giapponese. Contro la Spagna, squadra dalla filosofia di gioco simile, ecco però la radicale metamorfosi (Zambrano era spagnola, ma sarà sicuramente un caso): un 5-4-1 molto basso e compatto, Hasegawa lasciata in panchina, la piena e quasi totale concessione del possesso palla alle avversarie, con sapiente schermatura delle linee di passaggio a sterilizzare la manovra spagnola, per poi sfruttare in maniera micidiale l’arma del contropiede, in cui hanno brillato la creatività nei filtranti di Endo e la velocità supersonica di Miyazawa, quattro gol per lei finora. Con l’inatteso 4 a 0 le Nadeshiko hanno fatto saltare il banco spagnolo, conquistando una vittoria che fa rumore e che riporta all’attenzione pubblica una nazionale reduce da anni non semplici, tra l’eliminazione nella fase ai gironi agli scorsi Mondiali e il doloroso fallimento ai Giochi Olimpici casalinghi. Possono essere la mina vagante della parte alta del tabellone.

Colombia Se Hervé Renard è il filo visibile che lega il Mondiale maschile in Qatar a quello femminile in Australia e Nuova Zelanda, quello invisibile unisce invece altre due squadre. Chi cercava il Marocco di questi Mondiali è stato accontentato, ha fattezze caraibico-sudamericane e risponde al nome di Colombia. La Germania non perdeva nella fase a gruppi di un Mondiale da ben 25 partite, e questo dato da solo restituisce il senso dell’impresa della nazionale allenata da Nelson Abadia. C’è di più: non si scade nella retorica nel riconoscere che quella della Colombia contro le tedesche è stata una delle più belle partite di sempre nella storia dei Mondiali femminili in termini di intensità, applicazione difensiva, chiusura degli spazi. Il resto è spazio per la storia più bella di questo Mondiale, quella di Linda Caicedo: a 12 anni il debutto nelle nazionali giovanili, a 14 quello in nazionale maggiore, a 15 un tumore alle ovaie poi sconfitto, e la chemioterapia, a 18 lo sbarco al Real Madrid, lo scorso febbraio, e ora il gol alla Germania, la rete più bella vista finora al Mondiale, spot delle sue qualità tecniche e della sua rapidità, con un doppio tocco nello stretto a eludere la marcatura di due avversarie, e un destro a giro all’incrocio.

Mondo iperboreo: Norvegia, Svezia, Danimarca La partenza norvegese è stata uno choc, con tutti gli ingredienti dei fragorosi fallimenti già visti nelle ultime due edizioni dell’Europeo: squadra lunga e slabbrata, sproporzione estrema tra qualità individuale eccelsa di molte titolari (Graham Hansen su tutte), loro resa superba nelle squadre di club opposta a prestazioni scadenti con la maglia della nazionale, star affermate che non riescono a performare secondo il loro blasone che si lamentano con i giornalisti della propria allenatrice, provocando inasprimento di conflitti interni (sempre Graham Hansen). Dal possibile collasso dopo la sconfitta all’esordio contro la Nuova Zelanda la Norvegia si è però ripresa mandando segnali incoraggianti, grazie anche a tre aggiustamenti rivelatisi molto fruttuosi: fuori Engen in cabina di regia, in grande difficoltà e mai lucida nelle scelte, e dentro Boe Risa, che nelle due partite restanti del girone ha dato un piglio diverso alla manovra, e geometrie più sicure. Poi l’iniezione giallorossa: dentro Haavi sulla fascia sinistra al posto di Blakstad, ma soprattutto dentro Haug per Hegerberg al centro dell’attacco, in questo caso per pura serendipità data da un risentimento muscolare avvertito dalla seconda all’ultimissimo istante del pre-partita, addirittura nell’allineamento. Haug ha ripagato con una buona prestazione contro la Svizzera, dove Thalmann le ha negato due gol con due grandi interventi, e una straordinaria contro le Filippine, dove ha realizzato una tripletta (bellissimo il primo gol, sia per la capacità di coordinazione con cui ha incrociato con un sinistro al volo il cross proveniente dalla destra, ma anche per il contro-movimento con cui ha rubato il tempo alla marcatrice), facendo guadagnare alla Norvegia una qualificazione che sembrava ben più che compromessa. Nei cross e nei colpi di testa risiede la maggiore speranza norvegese di passare il turno, magari sfruttando l’enorme differenziale di altezza media tra le due rose, di ben 7 cm. Tuttavia la Norvegia è una squadra che tende ad allungarsi e ad andare in sofferenza sulle ripartenze, e che potrebbe quindi andare in grande difficoltà contro le micidiali e velocissime attaccanti giapponesi. Per quanto riguarda la Svezia, il fatto che la principale marcatrice della squadra sia al momento una centrale difensiva, Ilestedt, con tre reti (la Svezia è la seconda squadra più alta del torneo, un fattore importante) non è un bel segnale. Parliamo di una nazionale che ha faticato contro il Sudafrica, e che nella prima mezz’ora di gioco ha nicchiato contro l’Italia, prima di riuscire a imporre i propri ritmi. La menzione finale è per la Danimarca, che superando la fase a gruppi dopo quasi trent’anni dall’ultima volta può fregiarsi dello status di storicità. Le imprese epiche: Giamaica, Sudafrica, Nigeria, Marocco Queste quattro squadre vanno messe assieme, perché unite dal medesimo destino: un grandioso ottenimento come la qualificazione agli ottavi di finale, ma poche, pochissime possibilità di superare il turno (la Jamaica per la verità qualcosa in più). Celebriamo però quanto accaduto con tutti gli onori e le fanfare del caso, quattro imprese da esibire in faccia agli scettici dell’allargamento a 32 squadre - per onestà intellettuale, compreso chi scrive - presagito come foriero di larghi divari, scadimento dello spettacolo, squadre-materasso. Queste nazionali vanno elogiate anche e soprattutto perché la sproporzione tra la grandiosità dei risultati ottenuti e i pochi investimenti e il poco supporto federale ricevuto (con la parziale eccezione del Marocco), fino al punto di metterne a rischio la stessa esistenza come squadra (Giamaica), o di ridurre le calciatrici alla minaccia di sciopero e mancata partecipazione ai Mondiali (Sudafrica), ha del clamoroso e del sensazionale, soprattutto alla luce del blasone delle squadre eliminate nei rispettivi gruppi, Germania in testa. In particolare la Giamaica è passata da squadra con difesa improbabile ai Mondiali del 2019 (dodici reti subite) a squadra con difesa imperforabile (zero reti subite, dato reso ancora più strabiliante dalla forza offensiva di avversarie come Francia e Brasile), guidata dalle inossidabili sorelle Swaby, e con un’esperienza maturata nei principali campionati internazionali da parte di molte calciatrici che sta pagando i suoi dividendi. La Nigeria contro l’Australia ha sfruttato alla perfezione l’arte del contropiede, potendo contare anche sulla potenza e la velocità di Oshoala, mentre il Sudafrica, nonostante una taglia fisica molto meno prestante delle altre due nazionali, si è fatta notare per la grande capacità di riconquista della palla nella metà campo offensiva, e per il talento e la verve di Kgatlana e Magaia.

Le altre Australia Era una delle nazionali più attese alla vigilia, forse anche troppo, per via dell’effetto euforizzante regalato dallo status di nazione ospitante. La sconfitta pesante e inattesa contro la Nigeria nella seconda partita del girone, sommata all’indisponibilità della stella Sam Kerr, assente per infortunio, aveva gettato nello sconforto un’intera nazione. Non aiutava nemmeno l’obbligo di vittoria contro le campionesse olimpiche del Canada. Invece l’Australia ha battuto le canadesi per 4 a 0, con l’asse sinistro Foord e Catley a spingere per pescare i tagli dal lato debole di Raso (doppietta per lei contro il Canada), con Fowler grande certezza offensiva del presente e del futuro. Contro la Danimarca parte leggermente favorita per l’accesso ai quarti di finale (nel caso sarebbe la quarta volta nelle ultime cinque edizioni), anche per via del previsto ritorno in campo di Sam Kerr. Svizzera Con la qualificazione agli ottavi di finale, traguardo già raggiunto ai Mondiali canadesi del 2015, dove la nazionale elvetica venne poi eliminata dalle padrone di casa, la squadra allenata da Inka Grings ha eguagliato il suo miglior risultato di sempre. Le incertezze spagnole aprono qualche spazio di speranza, e quella svizzera è una squadra mediamente buona, di grande equilibrio, incarnato in particolare dalla solida esperienza della centrocampista e capitana Lia Wälti, ma priva di grandi picchi di qualità, soprattutto in fase offensiva, dove nelle tre partite del girone sono emerse grandi difficoltà (solo due le reti realizzate, entrambe nella prima partita contro le Filippine). Una delle stelle della squadra, Ana Crnogorcevic, è stata impiegata da punta centrale, non esattamente il suo spazio d’azione preferito. Parliamo di una nazionale che soffre di un evidente mancato ricambio generazionale, anche se Gaëlle Tahlmann, tanti anni trascorsi sui campi italiani e quasi giunta al passo d’addio, è stata decisiva contro la Norvegia, mentre Ramona Bachmann, con le sue eccelse capacità di dribbling, resta ancora la calciatrice più temibile per scardinare la difesa spagnola.

Attiva modalità lettura
Attiva modalità lettura