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Emanuele Atturo
Da dove nasce l'eliminazione dell'Italia femminile
02 ago 2023
02 ago 2023
La sconfitta col Sudafrica è il frutto di difficoltà che esistono da tempo.
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Emanuele Atturo
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Foto IMAGO / Xinhua
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C’è stato un momento in cui l’Italia non sapeva davvero più cosa fare. Al sesto minuto di recupero Lisa Boattin ha la palla sulla trequarti e un disperato bisogno di fare qualcosa di utile. L’arbitro ha assegnato un recupero esteso quanto un tempo supplementare e chissà se l'Italia ne era davvero contenta: era sollevata all’idea di avere 11 minuti per segnare il gol del 3-3 al Sudafrica e qualificarsi agli ottavi di finale del Mondiale, oppure una parte recondita delle nostre giocatrici era preoccupata all’idea di prolungare l’agonia?Boattin ha la palla e non sa cosa farci. Le italiane si sono ammassate in area di rigore, cercando di superare con la somma dei corpi l’assenza di idee, ma vicino a Boattin non c’è nessuno; nessuna giocatrice larga in grado di raccogliere palla sull’esterno per mandare un cross in area più pericoloso. Allora Boattin perde palla e ci espone a un’altra transizione pericolosa.Avremmo dovuto battere il Sudafrica per superare un girone tutto sommato molto alla nostra portata. Anzi, dall’ora di gioco ci sarebbe bastato anche il pareggio, visto che la Svezia è passata in vantaggio contro l’Argentina. Il gol della Svezia, però, invece di darci fiducia ha finito per affossarci ancora di più.Dall’ora di gioco, ma forse anche prima, l’Italia è stata sempre più in difficoltà a capire cosa fare con il pallone e, come sappiamo, ad attaccar male ci si difende male. Eravamo con la palla tra i piedi con poche idee e la speranza che il Sudafrica commettesse qualche errore, ma alla fine eravamo noi a sbagliare, e a concedere occasioni pericolose.Tutti e tre i gol del Sudafrica nascono da un errore o da una palla persa dell’Italia. Il primo è ancora doloroso da raccontare. Alla mezz’ora una verticalizzazione innocua viene recuperata da Linari, che scarica per Orsi. Il capitano del Sassuolo ha una traccia in avanti per Caruso, ma non si fida; è forse per insicurezza che decide di tornare indietro dal portiere Durante, ma lo fa col piede debole e dosa male la forza. Viene fuori un autogol che sarebbe comico, se non facesse così male a riguardarlo. Orsi era all’esordio al Mondiale in una partita decisiva, entrata nell’undici a causa dei problemi fisici di Salvai, e scelta a sorpresa al posto di Lenzini o Bartoli, più esperte. Lenzini era stata titolare in 8 partite su 10 prima del Mondiale. È stata una delle scelte controituitive contestate alla ct Milena Bertolini, e le si è ritorta contro in modo persino crudele.

Quel gol non arriva però per caso. Per tutta la partita nell’Italia chi porta palla non ha compagne vicine ed è costretta a pensieri e giocate faticose, e soprattutto rischiose. Il terzo gol, quello decisivo, nasce da una situazione incomprensibile. Un lancio lungo, un colpo di testa di Orsi e la palla finisce a Magaia con l’Italia messa malissimo. È lunga e sfilacciata nonostante il punteggio la stia premiando. Nonostante manchino pochi minuti e la qualificazione sia nelle nostre mani. Invece stiamo in campo stanche e disperate come chi ha bisogno di trovare assolutamente un altro gol. Il centrocampo è sparito e la linea difensiva è costretta a correre all’indietro. Il Sudafrica, che è stato sempre lucido e rapido a sfruttare queste situazioni, non si è fatto pregare. Magaia lancia Mothlalo con l’esterno; la 10 prende tempo, attende l’inserimento di Magaia e chiude l’uno due. Hildah Magaia è stata la miglior giocatrice in campo. Ha segnato il secondo gol e fatto l’assist per quello decisivo. Un assist bellissimo. Magaia ha una corsa fluida e leggera. Arriva in anticipo sulle nostre giocatrice con un lieve tocco d’esterno che ci mette fuori gioco, anche perché la difesa si era schiacciata troppo all’indietro, lasciando spazio al limite dell’area. Poi, al 93’, ha la lucidità per mettere in mezzo la palla per il gol storico della leggenda Thembi Kgatlana.Un brutto gol da subire nei minuti di recupero. Un gol in transizione, con la squadra lunga e mal messa, proprio quando il risultato in realtà è dalla nostra parte. Il gol del 2-2 segnato da Caruso sulla deviazione di testa di Girelli sembrava un dono piovuto dal cielo. Una rete arrivata per miracolo, considerando le nostre croniche incapacità realizzative, e vanificata quasi con auto-lesionismo.Sul 2-2 l’Italia ha poi accumulato un numero sufficiente di rimpianti; di quelli da mettere nel libro delle rocambolesche eliminazioni della Nazionale nei grandi tornei. Il momento che ricorderemo con amarezza, forse, è quel gol sbagliato da Girelli appena prima del 3-2 del Sudafrica. Una palla in fondo semplice da spingere in porta, soprattutto per una giocatrice come lei, su cui invece la portiera Swart si è esaltata con un parata in controtempo, grazie alla punta del piede sinistro. Sarebbe stato un finale troppo fiabesco forse, con la nostra veterana che vive un altro momento decisivo dopo il bellissimo gol all’esordio contro l’Argentina.Un altro rimpianto è forse quel tiro di Valentina Giacinti che ci avrebbe potuto dare il paradossale 3-3, ma che è uscito di una virgola. Riguardiamo quel replay da dietro, con la palla che tristemente si allarga fuori dalla porta, e ci ricordiamo quanto il calcio sia fatto di dettagli. Ma questi dettagli poi non si mettono mai insieme nella realtà a caso ma seguono le loro regole.Il dramma di questa eliminazione è che è andata esattamente come potevamo aspettarci con un po’ di pessimismo. In queste tre partite la Nazionale ha confermato tutte le cattive sensazioni con cui era arrivata al Mondiale. Cattive sensazioni legate soprattutto a Milena Bertolini: le convocazioni dubbie, l’incapacità di costruire un gioco offensivo credibile e di dare solidità mentale alla squadra; i nostri limiti fisici e atletici. Due cose, come sempre nello sport, legate tra loro. L’Italia arrivava al Mondiale con la tragica media di 0,7 gol segnati a partita (esclusa la goleada alla Moldavia). Le nostre difficoltà a segnare hanno messo in apprensione le giocatrici, costrette a un gioco difficile dentro una struttura offensiva carente. I sistemi tattici servono anche a costruire attorno a chi gioca una rete di salvezza; a scaricare il peso cognitivo delle scelte, a rendere il gioco del calcio un tantino più semplice. Il calcio è invece sembrato dannatamente difficile per l’Italia femminile, e senza una rete di salvataggio le nostre giocatrice sono affogate. Costrette a fare di uno sport di squadra uno individuale.I limiti dell’Italia sono stati tutti tragicamente esposti dal lavoro della ct; nelle convocazioni, nelle undici giocatrici scelte di volta in volta, ma soprattutto nell’incapacità di costruire dei principi di gioco chiari. La partita contro la Svezia è stata tragicamente indicativa. Senza il peso di dover vincere, e più concentrata sul controllo del pallone che sul tentativo di far gol, l’Italia è riuscita a offrire la migliore versione di sé stessa nella prima mezz'ora. Alla prima difficoltà, però, si è sciolta. Non è riuscita a opporre alcuna resistenza alle avversità del match, e al primo gol subito da calcio d’angolo ne sono seguiti altri due quasi identici. Segno della nostra arrendevolezza mentale, ma anche dell’assenza di contromisure strategiche.Probabilmente il calcio italiano ha commesso un’altra volta uno dei suoi peccati storici, quello della riconoscenza. Dopo lo storico Mondiale del 2019 forse era sufficiente il fallimento dell’Europeo, clamoroso soprattutto nei modi, per decidere contro Bertolini. Il 5-0 contro la Francia, che poi è sembrata fermarsi per non infierire, il pareggio con l’Islanda con un gol subito incredibilmente al terzo minuto e la sconfitta con il Belgio. Da dopo il Covid l’Italia è stata quasi sempre irriconoscibile e le basi di questa partecipazione ai Mondiali erano comunque fragili.

La punizione di Cristiana Girelli che ci ha permesso di scavalcare la Svizzera nel girone di qualificazione.

Se si è deciso di andare avanti è stato probabilmente per riconoscenza, e per la fiducia in una ct che in passato ha dimostrato grandi capacità. Del resto non possiamo dimenticare che il Mondiale di 4 anni fa ha avuto un impatto folgorante in Italia, per la nostra percezione del calcio femminile. Lo ha avuto anche grazie a Milena Bertolini, che con le sue idee permise a quel gruppo di andare oltre i propri limiti. Sembra passato un secolo, ma l’Italia fu eliminata solo dall’Olanda finalista, con due gol arrivati negli ultimi venti minuti, dopo una partita difficile ma comunque combattuta. Da quel momento l’hype attorno alla Nazionale è cresciuto, e l’Italia si è ritrovata forse a dover rispettare delle attese che non era in grado di rispettare. È cresciuta l’attenzione, i grandi broadcaster hanno preso i diritti della Serie A; e sono cresciuti gli investimenti, con alcuni grandi club che hanno costruito la loro squadra femminile. Gli stadi si sono riempiti, la Juventus e la Roma hanno giocato ottime campagne europee, e forse la Nazionale non è cresciuta proporzionalmente a questo contesto, nel frattempo.Non si può però nascondere che il gruppo di giocatrici della Nazionale ha limiti evidenti. L’Italia non era al livello atletico delle altre nazionali, il centrocampo soprattutto non poteva reggere l’impatto atletico delle migliori nazionali, come abbiamo visto con la Svezia di Rolfo, Rubensson, Blackstenius. Manuela Giugliano, senza un sistema di gioco funzionale e con distanze più ravvicinate, è sembrata annegare nelle distanze del campo. Le migliori giocatrici italiane oggi sono probabilmente distanti dalle migliori giocatrici del resto del mondo, rispetto al Mondiale di quattro anni fa. È in questa situazione che tifosi hanno cominciato a essere molto severi nel giudicare le poche partite che vedevano, quelle della Nazionale nei grandi eventi. L’asprezza dei commenti dopo la sconfitta contro la Francia agli Europei, o contro la Svezia ai Mondiali, è comprensibile. Chi non segue il calcio femminile non può che rimanere sconvolto dal vedere l’Italia subire 5 gol da una Nazionale scandinava. A volte però dietro quei commenti si nasconde anche il desiderio di veder fallire qualcosa verso cui una parte del pubblico italiano ha sempre nutrito dei pregiudizi. Di certo la crescita delle aspettative sembra aver messo le giocatrici italiane nella scomoda posizione di non essere più delle underdog con niente da perdere. Si sono ritrovate con molta pressione addosso, con idee poco chiare e un talento inferiore alle aspettative di parte del pubblico. L’assenza di una leader come Sara Gama forse ha tolto ulteriori riferimenti - un’esclusione davvero sorprendente, dopo che aveva rappresentato sempre un elemento imprescindibile per Bertolini. Il risultato è stata un’eliminazione imprevista e un po’ malinconica contro due movimenti calcistici femminili molto minori. L’Argentina, che è tra le nazioni che ha investito meno nel calcio femminile, e soprattutto il Sudafrica, che non era nemmeno sicura di presentarsi al Mondiale visto che le giocatrici avevano messo in piedi un boicottaggio a un mese dall’evento, per la questione dei bonus e dei contratti. Una squadra di dilettanti, per la maggior parte.Il tentativo della ct di dare affidare grandi responsabilità a giovanissime come Beccari e soprattutto Dragoni è un ammissione che il ricambio generazionale non è avvenuto; che abbiamo avuto un breve passaggio a vuoto tra la generazione di Bonansea, Girelli, Gama - in generale del gruppo Brescia, la squadra che prima del professionismo dominava il calcio femminile - a quella di Dragoni e Beccari. Questo deve ridimensionare le colpe di Bertolini per invitarci a fare un discorso più generale sul lavoro della Federazione, che ha lasciato la ct nella situazione scomoda di affrontare il Mondiale da già esonerata, e che non ha portato nessun suo esponente in rappresentanza in Australia e Nuova Zelanda. Ora chi si prenderà questa panchina che sembra non voglia nessuno? L’Italia, come movimento sportivo, crede davvero nel calcio femminile?

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