Esclusive per gli abbonati
Newsletters
About
UU è una rivista di sport fondata a luglio del 2013, da ottobre 2022 è indipendente e si sostiene grazie agli abbonamenti dei suoi lettori
Segui UltimoUomo
Cookie policy
Preferenze
→ UU Srls - Via Parigi 11 00185 Roma - P. IVA 14451341003 - ISSN 2974-5217.
Menu
Articolo
(di)
Guardare oggi Dejan Savicevic
14 apr 2020
14 apr 2020
Come giocava il genio del Milan.
(di)
(foto)
Foto di Michael Cooper /Allsport
(foto) Foto di Michael Cooper /Allsport
Dark mode
(ON)

Alla fine del 1993 Dejan Savicevic aveva promesso che non avrebbe più giocato al Milan con Fabio Capello. Fosse andata davvero così, non ci sarebbe stato qualche mese più tardi nella sera in cui ha segnato il suo gol più famoso, un pallonetto in controbalzo dal vertice destro dell’area contro il Barcellona di Johan Cruijff. Per alcuni è il gol più bello mai segnato in una finale di Champions League, per Savicevic è il momento in cui si è meritato il soprannome con cui era conosciuto in Italia, “il Genio”: «All’inizio lo prendevano in giro, dopo il 4-0 nella finale col Barcellona è cambiato tutto», ha rivelato qualche anno fa. Nel dicembre del 1993 però il suo rapporto con Capello sembrava ormai compromesso. Savicevic non aveva giocato la finale di Coppa Intercontinentale a Tokyo contro il San Paolo, persa per 3-2, e ci era rimasto così male da considerare finita la sua esperienza al Milan, che lo aveva acquistato dalla Stella Rossa un anno e mezzo prima. A farlo tornare sui suoi passi era stata la mediazione di Adriano Galliani e la protezione che gli aveva sempre offerto il suo principale sostenitore, Silvio Berlusconi. La squadra, però, sembrava dalla parte di Capello. Per Baresi la presenza di Savicevic creava problemi alla difesa, a Costacurta non era piaciuto il rifiuto di andare in panchina a Tokyo, per Tassotti il Milan, senza Savicevic, era stato brillante «come non si vedeva nemmeno nei migliori periodi della gestione Sacchi». Savicevic non sfuggiva ai classici difetti associati ai talenti offensivi: l’indolenza, la discontinuità, le difficoltà a inserirsi in un sistema. Arrivando al Milan agli inizi degli anni Novanta, si è scontrato con la rigidità tattica del calcio italiano: «Ai miei tempi noi trequartisti facevamo fatica perché comandava il 4-4-2 e gli allenatori non volevano cambiare. Io e Baggio soffrivamo, ma mi adattavo. Oggi almeno, con il 4-2-3-1, c’è quel posto dietro la punta: io facevo l’esterno destro, mi sacrificavo». Da trequartista non era però un maestro dell’ultimo passaggio o uno di quei numeri dieci lenti e tecnici che danno ordine alla manovra abbassandosi a centrocampo. Quando ha incrociato un trequartista in senso più classico come Stojkovic, nella Stella Rossa o nella nazionale jugoslava, era Savicevic ad adattarsi. Nelle squadre in cui hanno giocato insieme, Stojkovic era il capitano e la mente che gestiva lo sviluppo delle azioni muovendosi in ogni zona del campo, Savicevic interveniva solo in un secondo momento, giocando in diverse posizioni a seconda delle circostanze. Ad esempio da centravanti, come nelle partite in Coppa dei Campioni del 1988 contro il Milan, giocate mentre svolgeva il servizio militare. Nominalmente Savicevic era al centro dell’attacco, ma svuotava di continuo quello spazio abbassandosi soprattutto a destra per ricevere la palla davanti a Maldini, che aveva vent’anni e giocava da terzino sinistro. Anni dopo Savicevic ha ricordato di aver giocato maluccio la gara d’andata a Milano, ma ricevendo quasi solo spalle alla porta aveva comunque mandato in crisi Maldini, che in pratica non era mai riuscito a togliergli la palla e lo fermava solo facendogli fallo. Al ritorno Savicevic aveva segnato il gol dell’1-0 nella famosa partita interrotta per la nebbia, e nella ripetizione del giorno dopo aveva dato l’assist a Stojkovic, a memoria senza guardare il suo movimento in profondità, con un lancio poco oltre il centrocampo girato spalle alla porta, dopo aver controllato la palla con il petto e aver palleggiato con il sinistro. Dopo due pareggi per 1-1, il Milan aveva poi passato il turno ai calci di rigore. https://youtu.be/y4jYD4xqyUA?t=208

Savicevic da finto centravanti serve un assist meraviglioso a Stojkovic.

In un’altra grande partita europea, in Coppa UEFA contro il Colonia nel 1989, Savicevic aveva giocato in prevalenza da ala, largo a destra, ma con una libertà di movimento che lo portava anche sulla fascia sinistra e a ricevere al centro sulla trequarti. Gli era stato annullato un gol ma poi ne aveva segnati altri due, il secondo dei quali con una giocata resa celebre da Robben diversi anni dopo, cioè accentrandosi da destra e calciando sul palo più lontano con il sinistro. Anche quella volta la Stella Rossa non aveva comunque passato il turno, avendo perso 3-0 la gara di ritorno. https://youtu.be/yesHNmNPHGQ?t=298

La protezione della palla sul lancio è tipica di Savicevic, la conclusione anticipa di vent’anni i gol alla Robben.

Ceduto Stojkovic, è stato Savicevic a ereditare la maglia numero 10 e a riempire il vuoto lasciato al centro della manovra della Stella Rossa. Anche se aveva la stessa libertà di orientare lo sviluppo dell’azione spostandosi dal centro in ogni zona del campo, il suo modo di contribuire al possesso era molto diverso da quello di Stojkovic (se volete approfondire il loro rapporto e le differenze tra i loro stili c’è questo pezzo su Dude Mag). Savicevic poteva anche abbassarsi nella sua trequarti ma non utilizzava gli scambi corti per ordinare la squadra come un vero regista offensivo. E non era nemmeno abbastanza preciso quando cercava linee di passaggio complesse per imporsi come riferimento arretrato che gestiva tempi e direzione della manovra. Riusciva però in un altro modo a sbilanciare i sistemi avversari e a portare la palla negli ultimi metri: dribblando. I suoi dribbling erano delle coreografie. Savicevic oscillava, sbilanciava l’avversario e poi cambiava direzione, si girava, tenendo sempre la palla attaccata al piede. Non dribblava con doppi passi o altre finte elaborate ma toccando di continuo il pallone, spostandolo a ogni passo, anche col destro, il suo piede debole, e utilizzando ogni parte del piede. Come ogni fenomeno del gioco in spazi stretti usava con disinvoltura la suola, in particolare quando riceveva spalle alla porta, ed era un maestro nella protezione della palla. Era molto difficile spostarlo o fargli perdere l'equilibrio, e anche per questo era uno specialista dei rimpalli. Se sembrava sbilanciato e sul punto di perdere la palla, riusciva comunque a coordinarsi in un attimo e a controllarla di nuovo. Non stupisce quindi che nel 4-4-2 del Milan di Capello sia finito nella zona del campo tradizionalmente dedicata ai dribblatori: sulla fascia. Anche se ancora non si parlava di esterni a piede invertito e la manovra del Milan non era così elaborata da farlo ricevere nel corridoio interno, quando giocava a destra Savicevic cercava naturalmente di accentrarsi. Lo aveva fatto vedere in modo chiaro contro la Fiorentina, in una delle poche apparizioni in Serie A della sua prima stagione, in cui giocò in tutto appena dieci partite. Dopo aver segnato il primo gol con un colpo di testa su un cross da sinistra, poco prima del novantesimo Savicevic ha ricevuto la palla libero a destra sulla trequarti. Ha danzato con Luppi fintando più volte di rientrare verso il centro del campo e poi in effetti si è accentrato, non sterzando con l’esterno del piede sinistro ma toccando la palla con l’interno del piede destro e poi subito con l’interno del sinistro, per anticipare il raddoppio di un avversario alle sue spalle. Arrivato in area, ha quindi calciato forte col sinistro sul primo palo. https://youtu.be/yft7D7cufGc?t=172 Savicevic leggeva e intuiva i movimenti degli avversari forse anche meglio di quelli dei compagni. Era un mago dei tunnel, ricorreva spesso al “drible de vaca”, il dribbling con cui si aggira l’avversario da un lato dopo aver fatto passare la palla su quello opposto, e amava anche spostarsi la palla da un piede all’altro, la mossa che oggi chiamiamo “croqueta” ed è associata innanzitutto a Iniesta. Ma non aveva schemi predefiniti quando dribblava, a guidarlo era la sua ispirazione. Il mio preferito, e il più incredibile che abbia mai visto dal vivo, è un dribbling del 1996 in una partita contro il Parma. Dalla fascia sinistra Savicevic incastra a una velocità irreale, di pensiero prima ancora che di gambe, due tra i suoi dribbling preferiti, la “croqueta” e il “drible de vaca”. Prima salta Couto con quattro tocchi spostando ogni volta la palla sul piede opposto, poi manda il pallone a destra di Apolloni con un tocco in diagonale con l’interno del piede destro e lo aggira passando alla sua sinistra. Una danza più che un dribbling, conclusa con l’intuizione geniale di aggirare Apolloni facendo passare la palla sul lato più lontano. Molte volte le giocate sublimi di Savicevic finivano per essere inconcludenti, in questo caso il suo dribbling crea dal nulla il gol di Roberto Baggio. https://www.youtube.com/watch?v=260WYmWzn9E Durante le partite Savicevic appariva per brevi momenti, cercava giocate risolutive oppure si limitava a tenere la palla portando a spasso chi provava a fermarlo. Non aveva continuità, non solo nel rendimento ma anche nella partecipazione al gioco, e non ambiva a essere un riferimento costante per la manovra. Col Milan ha vinto molto ma spesso è rimasto ai margini. Su 204 partite di campionato possibili, ne ha giocate appena 97 in sei anni, anche a causa del regolamento che limitava la presenza al massimo di tre stranieri nella formazione. Però ha lasciato tracce indelebili, con alcune prestazioni sontuose e singole giocate geniali. La partita più memorabile è ovviamente quella contro il Barcellona nella finale di Champions League del 1994. Non solo per l’importanza e il risultato (4-0), ma in particolare per il valore simbolico. L’artista incostante e istintivo, abituato a improvvisare, che distrugge la squadra plasmata da Johan Cruijff, allenatore-filosofo che ha ispirato un gioco ragionato e dai meccanismi precisi. Come in altre grandi partite Savicevic gioca da attaccante, di fianco a Massaro. Si sposta soprattutto a destra e ogni tanto si abbassa per conservare la palla o trovare il movimento in verticale di un compagno. Ricevendo spalle alla porta fa impazzire i giocatori del Barcellona e prende molti calci, specie nel secondo tempo dopo il gol in pallonetto, con il Milan ormai in controllo della partita. In realtà non ha nemmeno bisogno di scendere troppo verso la metà campo per pulire i palloni in uscita dalla difesa. Anche restando sulla trequarti riesce a rendere giocabile la palla dopo i lanci da dietro, con appoggi al volo, controlli al velcro col sinistro o usando il petto. Savicevic trattava la palla con naturalezza anche col petto, un aspetto poco sottolineato della sua sensibilità tecnica. Si ricordano spesso le dichiarazioni spavalde di Cruijff prima della partita, ma forse l’errore che più di ogni altro rivela quanto avesse sottovalutato il Milan è l’assenza di meccanismi che evitino al difensore centrale sinistro (Nadal) di trovarsi isolato con Savicevic. Come al solito Sergi, schierato da terzino sinistro, avanza e spesso è distante da Nadal, l’altro centrale (Koeman) è impegnato da Massaro e anche Guardiola, che da mediano non ha avversari nella sua zona, è in pratica sempre in ritardo nei raddoppi e nelle coperture. Vincendo i duelli con Nadal, Savicevic distrugge l’intero sistema difensivo del Barcellona. La sua prestazione è fondamentale per il trionfo del Milan. A Massaro serve l’assist per il primo gol, un passaggio sporco in caduta vicino a Zubizarreta. Prima però aveva saltato Nadal con una magia, uno scavetto col sinistro dopo il solito controllo di velluto su una palla alzata di testa da Boban. Sul secondo gol di Massaro non interviene in modo diretto ma innesca l’azione, la più bella della partita, con un passaggio al volo di sinistro sul lancio lungo di Filippo Galli. Subito dopo, fintando un colpo di tacco sulla fascia verso Tassotti, disorienta Sergi e porta la palla verso il centro vicino all’area del Barcellona. L’azione quindi si sviluppa con un cambio di gioco da destra a sinistra e viene rifinita da Donadoni dalla linea di fondo con un passaggio all’indietro per Massaro. Il 3-0 lo segna personalmente in pallonetto dalla fascia destra dopo aver tolto la palla a Nadal. Qualche minuto più tardi supera ancora Zubizarreta con un altro pallonetto, stavolta a pochi metri dalla porta, dopo aver incollato la palla al piede su un lancio di Albertini, ma la sua conclusione finisce sul palo. Passano comunque pochi secondi prima che Desailly recuperi la palla, attraversi la difesa del Barcellona e vada a segnare il 4-0. [embed]https://www.youtube.com/watch?v=k73QXJlLR90[/embed]

Anche senza il gol la sua prestazione sarebbe stata indimenticabile. Peccato che non ci sia un video con tutti i suoi tocchi in quella partita.

La finale col Barcellona è il punto più alto della carriera di Savicevic. Un anno dopo, sempre in Champions League, segna una doppietta al Paris Saint-Germain in semifinale, ma è costretto a saltare per infortunio la finale con l’Ajax. Il Milan perde 1-0 e il pensiero di tutti i suoi tifosi è lo stesso di Berlusconi: «Con lui sarebbe stata un'altra cosa». La sua ultima serata magica è un derby in Coppa Italia del 1998 vinto 5-0 dal Milan, in cui segna un gol (l'ultimo con la maglia rossonera) e propizia quello di Ganz dopo aver saltato Bergomi con un pallonetto e aver disorientato Sartor spostandosi la palla dal piede destro al sinistro. Era la stagione del ritorno di Capello al Milan dopo un anno al Real Madrid. Se ci penso è strano che il suo carattere e quello di Savicevic, così distanti e inconciliabili, abbiano finito per convivere per ben cinque stagioni. Forse davvero senza Berlusconi, e la sua passione per i giocatori talentuosi come Savicevic, i successi che hanno raccolto insieme semplicemente non sarebbero stati possibili. Oggi comunque le idee di Capello su Savicevic sono decisamente migliori rispetto a quando lo allenava: «L'unica discussione più accesa che ho avuto con Berlusconi è stata su Savicevic. Lui voleva che giocasse, io gli dicevo che lo lasciavo in campo finché correva. Abbiamo avuto anche dei contrasti con Savicevic, poi siamo diventati grandi amici, è stato uno dei giocatori in assoluto migliori che io abbia mai allenato».

Attiva modalità lettura
Attiva modalità lettura