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Michele Mastandrea
La grande sfida che attende Cesc Fabregas
28 nov 2023
28 nov 2023
L'ex campione catalano è diventato a sorpresa allenatore del Como, che ha grandi progetti per il futuro.
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Michele Mastandrea
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IMAGO / IPA Sport
(foto) IMAGO / IPA Sport
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Nel corso della stagione 2001-02, poi terminata con la promozione in Serie A, insieme ad alcuni amici tifosi presenza fissa nella curva del Como si era creata una scaramanzia. Ogni volta che vedevamo, dall'alto dei gradoni, un'idrovolante toccare il pelo dell'acqua del lago incastonato affianco allo stadio Sinigaglia, si diceva tra noi che sarebbe arrivato presto il gol della squadra biancoblu. «Dai che l'ven», detto in dialetto, come si augura uno dei cori più local della curva lariana, cantato di solito in momenti di forcing nella metà campo avversaria o di risultato da recuperare. E in quella fortunata stagione, spesso grazie a un "Lulù" Oliveira al crepuscolo della carriera ad alti livelli, ma decisamente fuori categoria in Serie B, quel gol arrivava veramente.

La stagione 2001-2002 fu indimenticabile per i tifosi azzurri, con il Como capace di completare un incredibile doppio salto, tornando in Serie A dopo anni passati nelle serie minori. Periodo grigio che aveva fatto dimenticare le ottime performance della squadra negli anni '80, dove si misero in mostra talenti come Pietro Vierchowod, Dirceu, Marco Simone, Dan Corneliusson e lo scomparso Stefano Borgonovo. La promozione del 2002 fu purtroppo il canto del cigno di quella fase: la rapida retrocessione dell'anno successivo aprì a sua volta le porte ad altri quasi 20 anni di grandi difficoltà. Oggi, però, a quasi cinque anni di distanza dall'acquisto della società da parte della famiglia indonesiana Hartono, e con la squadra ormai stabilizzata in Serie B, l'idea diffusa in città è che il nuovo grande salto sia alle porte. Che la promozione nella massima serie sia solo una questione di tempo.

Si è già scritto sull'Ultimo Uomo di cosa ci sia all'origine di questo "rinascimento lariano" e di questo intrigante futuro, vale a dire l'acquisto della società da parte dei ricchissimi imprenditori indonesiani. Dopo anni devastanti - a partire dalla vera e propria distruzione dolosa della società da parte dell'ex presidente Preziosi (sì, proprio quel Preziosi), con inframezzi grotteschi come l'invasione del terreno di gioco da parte dei grillotalpa o il periodo del "Como dei sardi" di Ninni Corda e Roberto Felleca, fino al nadir della fugace presidenza della compagna dell'ex giocatore di Chelsea e Milan Essien - l'arrivo degli Hartono ha avuto l'effetto di un big bang. Si tratta della prima famiglia per ricchezza dell'arcipelago asiatico: non è dunque difficile capire la potenza di fuoco economica, praticamente illimitata, e che di conseguenza, un po' sullo stile di Abramovich al Chelsea, per gli Hartono la priorità non sia tanto di guadagnare dal calcio, quanto impreziosire il proprio status attraverso la gestione di un club simbolo di uno dei luoghi più iconici d'Italia.

Quel Lago di Como noto a livello mondiale per bellezza, tra i luoghi turistici più amati a livello internazionale, dove in settori come quello immobiliare e del turismo di lusso gli investimenti possibili sono enormi. Gli Hartono sono tutt'altro che filantropi disinteressati, ma l'interesse dell'attuale proprietà a uno sviluppo positivo del club è forte e reale, e legato a tutto il resto delle attività immaginate affianco al calcio.

The Fabregas effect

Come scrive lo scrittore cinese Yu Hua a proposito di fatti completamente diversi da quelli di cui stiamo parlando (in questo caso l'importanza storica per la Cina delle rivolte di piazza Tiananmen), le svolte storiche sono sempre contrassegnate da eventi simbolici. Senza dubbio, l'operazione Fabregas è stata quella che ha disvelato i piani degli imprenditori indonesiani per il Como. Lo sbarco nell'estate 2022 del fuoriclasse catalano in riva al Lario è sembrato del resto più un acquisto da Football Manager che da calcio reale. E l'incredulità per quanto avvenuto resta a diversi mesi di distanza, nonostante una stagione sul campo di Fabregas abbastanza deludente dal punto di vista sportivo, con pochi sprazzi del campione che fu e nemmeno una rete siglata in una stagione sostanzialmente anonima della squadra, mai veramente in lotta per i playoff.

Fabregas però, sembra essere stato convinto ad accettare il progetto comasco soprattutto per la fase successiva alla sua carriera da calciatore. Dopo essere rimasto in società con il ruolo di allenatore della Primavera anche dopo aver annunciato il ritiro, pochi giorni fa, con un colpo di scena completamente inatteso vista anche le performance di Moreno Longo (in piena zona playoff e con una partita da recuperare), Fabregas è stato nominato tecnico della prima squadra. Non è possibile nel momento in cui scriviamo essere totalmente certi di ciò che succederà nel prossimo futuro, ma le intenzioni della società fanno prefigurare il varo di un'operazione in stile Gilardino al Genoa (testare sul campo le sue qualità nell'ottica di una conferma definitiva). Affiancandogli un allenatore “fittizio” (l'ex Roma Marco Cassetti), dato che Fabregas è sprovvisto di patentino, ma lasciandogli la guida effettiva della squadra. La mancata nomina immediata di un nuovo tecnico al momento del licenziamento di Longo aveva del resto già fatto propendere per quest'ultima ipotesi. Poi è arrivato l'annuncio della società, per cui Fabregas “sarà in panchina almeno per i prossimi 30 giorni”.

Detto questo, sembra però chiaro il progetto, a breve o lungo termine, della proprietà per l'ex centrocampista di Arsenal e Barcellona: quello di trasformarlo in un elemento di lustro internazionale per la società, che punta evidentemente non solo a crescersi in casa un allenatore di primo livello (di centrocampisti del Barcellona divenuti grandi allenatori esiste qualche esempio...) ma anche ad avere un forte potere di attrazione sul mercato. Difficile dire no alla prospettiva di essere allenato da Fabregas in una società che punta a stabilizzarsi nella massima serie del calcio italiano. Uno sviluppo sulla falsariga di quello del Monza, che a sua volta, finché Berlusconi è rimasto in vita, aveva la potenza di fuoco per acquistare molti giovani talenti da lanciare in prima squadra ed eventualmente cedere alle big, togliendosi nel frattempo qualche soddisfazione.

Un progetto intrigante, a cui non è rimasto immune neanche Thierry Henry, che ha deciso di investire anche lui nella società: «È con grande piacere che annuncio che mi unirò al Como 1907 come azionista. Era da tempo che aspettavo di essere coinvolto in un progetto come quello del Como. Un club ambizioso, ma soprattutto un club che vive i miei stessi valori: non solo una squadra di calcio ma una realtà che aiuti la comunità locale». Parole impensabili in riferimento a una squadra come il Como anche solo un paio d'anni fa. Ma che ora sono alla base di un progetto che unisce calcio, sviluppo economico del territorio e costruzione di brand a livello internazionale, anche attraverso uno stile comunicativo peculiare.

“Faremo del Como il Manchester United italiano”

Lo stadio Sinigaglia è uno dei tanti capolavori lasciati dal razionalismo alla città lariana, a partire dalla "Casa del Fascio", ora sede del Museo dedicato alla corrente artistica che tra i suoi edifici più noti presenta anche il grattacielo Pirelli a Milano e la stazione di Santa Maria Novella a Firenze. Lo stadio, il simbolo della passione dei tifosi locali, parla dunque la stessa storia della città.

Anche la nuova proprietà indonesiana sembra alla continua ricerca di un punto di contatto con la comunità locale, di un legame tra il management e i tifosi, in particolare nell'ambito della comunicazione. L'idea, ricalcata dal legame che i club inglesi hanno con le loro tifoserie (e non è un caso che ai vertici del club lariano sia stato nominato uno dei personaggi più iconici del Chelsea anni '90, ovvero Dennis Wise), è di affiancare il racconto sui social dei fatti legati alla squadra a quello del rapporto della squadra con il territorio. Nelle parole di Mirwan Suwarso, tra i più importanti manager al servizio della famiglia Hartono: «A Como abbiamo visto l'opportunità non solo di fare business, ma anche di entrare a far parte di una comunità». Un caso emblematico è quello delle storiche attività economiche cittadine (bar, negozi di alimentari, e così via) nel loro rapporto con la storia, i successi e gli insuccessi del Calcio Como.

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Non solo: una delle prime iniziative della società è stata quella di regalare un giro gratis di bevute per chi si trova nei bar della città nel momento in cui la squadra ottiene i tre punti. "Quando il Como vince, tutti devono essere felici". Quest'anno invece gli abbonati hanno ricevuto in regalo una maglia originale da gioco. Sebbene sembri un dettaglio per una società che ambisce ai piani nobili del calcio italiano, la comunicazione social ha spesso enfatizzato i momenti della storia della società, fondamentali per l'autonarrazione del tifoso di una squadra che ha vissuto maggiore parte dei suoi anni tra B e C. Ne è un esempio il post dedicato a Daniele Molino, calciatore poco noto ma autore del gol vincente di un derby con gli acerrimi rivali del Varese che sarebbe rimasto sconosciuto ai più.

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Proprio il tema dello stadio e del rapporto con i tifosi sembrano essere però quelli su cui si misurerà la tenuta del progetto nei prossimi anni. Sul versante del tifo, l'attenzione cittadina sulla crescita sportiva della squadra sembra avere in sé anche elementi destabilizzanti: soprattutto per una tifoseria abituata ad esprimere e a costruire la propria idea di sè su una forte componente identitaria e locale, rinforzata anche dalla presenza di numerosi derby che per importanza non sono secondi a niente da queste parti. Basti pensare alle partite con il Varese, o a quella – attesissima – in programma quest'anno contro il Lecco, tornato quest'anno in Serie B.

La società sembra essere infatti interessata a rappresentare, insieme a storie locali, anche quelle che raccontano - o provano a raccontare – la crescente attenzione di un'audience globale verso il progetto. Sono diversi i post Instagram che raccontano le storie di supporter occasionali arrivati da parti diverse del mondo per sostenere la squadra, scritti in due lingue, prima in inglese e poi in italiano.

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Tutto questo è piuttosto distante dalla mentalità ultras fatta di radicamento e assiduità nel supporto a prescindere da risultati e categorie, e infatti, in uno dei volantini distribuiti sugli spalti a inizio stagione, la curva lariana si è esposta fortemente nei confronti degli "occasionali" attirati in curva dai venti di promozione. Sono già visibili all'orizzonte i rischi in potenza di una trasformazione po' della squadra e di conseguenza dei suoi tifosi. Aumento dei prezzi dei biglietti e conseguente esclusione di fasce di tifosi assidui ma meno benestanti, rispetto a un pubblico globale attirato dall'accoppiata Lago-Serie A, per esempio. Lo stesso Suwarso qualche tempo fa parlò del resto di voler rendere il Como “il Manchester United di Italia, un brand vero e proprio”. Ma sono altre le dichiarazioni che potrebbero sul lungo periodo essere particolarmente indigeribili per i tifosi storici: «Piaccia o no, il calcio, così come tutti gli sport è cambiato. Le persone che un tempo andavano allo stadio e guardavano la partita per 90 minuti ormai stanno invecchiando, le nuove generazioni seguono al massimo una mezzora e poi iniziano a guardare il telefono: la nostra sfida è intercettare queste persone».

Finché il Como non arriverà in Serie A difficilmente questo problema esploderà, ma vista l'ambizione della nuova società ha senso iniziare a rifletterci già da ora.

Un altro tema importante riguarda le intenzioni della proprietà rispetto al nuovo stadio. Il boom abbonamenti di questa estate ha fondamentalmente esaurito la possibilità di trovare posti in curva, e anche se la proprietà ha annunciato l'aggiunta di ulteriori mille posti nei prossimi tempi, la capienza è decisamente inadeguata se paragonata ai futuri piani societari. Sono numerose le ipotesi al vaglio nel dialogo in corso tra la proprietà indonesiana e il Comune, dalla ristrutturazione dello stadio attuale, che potrebbe continuare così ad essere un unicum nel suo genere e un biglietto da vista importante nell'ottica della valorizzazione turistica del brand a livello internazionale, fino all'ipotesi di spostare l'impianto in periferia per avere più spazio per una struttura all'avanguardia. Soluzione, quest'ultima, che potrebbe assestare un altro colpo, durissimo, alla storia e all'identità dei tifosi lariani.

In campo

In modo strano e inaspettato questa vivacità della proprietà e della tifoseria si stava conciliando con i risultati in campo, ancora prima dello shock Fabregas. La partenza di stagione è stata decisamente positiva, con la squadra stabilmente in zona playoff. L'impressione è che molto potrebbe dipendere dalla crescita delle prestazioni da parte del rinforzo più importante arrivato in estate, testimone delle ambizioni della società: Simone Verdi.

Già conosciuto dall'ormai ex tecnico Longo ai tempi del Torino, e probabilmente arrivato anche grazie alla sua intercessione, Verdi – che ha anche vestito la maglia del Napoli all'apice della sua carriera - è potenzialmente un crack per la Serie B, e alcune sue giocate nelle fasi iniziali di questa stagione sembrano confermare questa analisi. Un altro punto di forza è quello di un altro elemento di legame tra società e territorio: quel Patrick Cutrone, comasco di Parè, che sembra aver trovato nella sua città d'origine nuove motivazioni.

Il Como in campo finora poteva essere definita una squadra molto pragmatica. Longo aveva inizialmente utilizzato un 3-5-2 di ispirazione contiano-mazzarriana per rafforzare la fase difensiva che, dopo la partenza shock dello scorso anno, si è gradualmente evoluto in un 3-4-2-1 volto valorizzare le qualità dei tanti trequartisti a disposizione. Verdi appunto, ma anche quel Chajia che prima dell'infortunio dell'anno scorso si stava imponendo tra i giocatori offensivi più interessanti della serie cadetta e un giocatore che sembra non aver ancora espresso tutto il suo potenziale come il francese Da Cunha. Il successo della squadra sembra passare per il centrocampo. In questo senso, sarà decisivo in futuro il rendimento della coppia formata di volta in volta da uno tra l'amatissimo capitano Bellemo e il danese Abildgaard, reduce da una stagione in cui ha giocato la Champions League nelle fila del Rubin Kazan, che dovranno alternarsi all'inamovibile Ben Kone, che l'anno scorso è stato tra i segreti del Frosinone promosso in A e che è stato finora uno dei giocatori più positivi.

I riferimenti contiano-mazzarriani di Longo si sono visti anche nello sfruttamento intensivo dei quinti: non a caso in avvio di stagione il laterale sinistro cipriota Ioannou è stato il migliore marcatore della squadra (poi superato da Cutrone) sfruttando i cross a ripetizione offerto dal suo omologo destro Iovine. Inoltre, potendo sfruttare anche le doti in palleggio di un centrocampista di grande esperienza come Daniele Baselli nelle fasi in cui sarà necessaria la gestione, se il centrocampo girerà, anche la solidità difensiva del pacchetto arretrato - composto da difensori esperti come Barba e da giovani interessanti come l'olandese Odenthal e l'ex Sudtirol Curto - potrà beneficiarne.

I limiti del Como sono stati finora soprattutto di natura offensiva, con una certa difficoltà a creare occasioni da gol pulite soprattutto contro squadre solide e già rodate. Se la squadra si è quasi sempre trovata a suo agio una volta in vantaggio, a eccezione del pareggio di Bari e della rocambolesca vittoria sulla Ternana, ogni volta che il Como è andato sotto non è più riuscito a recuperare. Un dato che deve aver preoccupato anche in chiave playoff, dove il livello delle contendenti si alza.

Il terreno minato di Cesc

L'impressione, come emerso dalle nette sconfitte contro Venezia, Cremonese e Parma, è che – nonostante le parole ambiziose di Mirwan Suwarso, per cui «l’ambizione è finire tra le prime due nella regular season» - la rosa non sia al livello per raggiungere un obiettivo simile e sia lontana dalle squadre che lotteranno davvero per la promozione diretta. Il Como dovrà cercare quindi di rientrare nei playoff dove non è retorica dire che può succedere di tutto. E se la squadra si ritroverà in posizioni di classifica interessanti a gennaio è possibile che la potenza economica degli Hartono potrebbe portare a investimenti di peso, capaci di dare una spinta in più alla squadra per farla arrivare a fine stagione decisamente rinforzata.

Gli interrogativi sono ora tutti sulla nomina di Fabregas, chiamato a confrontarsi su un terreno minato. Il catalano dovrà decidere se provare a mantenere la formula redditizia adottata da Longo, quantomeno rispetto agli obiettivi stagionali, o se provare a imprimere un cambiamento nel senso di un gioco più offensivo e divertente, con il rischio di aprire delle crepe nel solido assetto difensivo pensato da Longo, che in Serie B stava funzionando. La società non sembra però dargli molta scelta. In un comunicato seguito all'esonero di Longo, il rappresentante degli Hartono, Mirwan Suwarso, ha motivato così la sua decisione: “Vogliamo intraprendere un nuovo percorso che speriamo possa regalare maggiori emozioni e divertimento ai tifosi del Como e non solo”. È stato anche più letterale di così: "Non ci basta vincere, ma vogliamo anche il bel gioco”. Parole grazie alle quali sembra che la scelta sia stata fatta, più che sulla base dei risultati ottenuti finora, sullo stile di gioco, quindi sull'immagine della squadra. Una decisione più commerciale, di marketing dunque, i cui rischi sono però evidenti.

Di fatto, Fabregas alla sua prima esperienza da allenatore di una prima squadra in assoluto dovrà continuare a garantire continuità di risultati ricostruendo nel frattempo il gioco della squadra, in un campionato che è il regno dell'incertezza. Non è forse un po' troppo, persino per chi è stato un grandissimo calciatore come lui? L'esordio contro la FeralpiSalò ultima in classifica è stato superato non senza qualche patema, con una vittoria ottenuta nei minuti di recupero della ripresa. Ora però c'è l'attesissimo derby contro il Lecco, che si giocherà stasera, a prefigurarsi allo stesso tempo come la prima grande occasione e la prima grande trappola sull'avvio del percorso da allenatore del catalano.

Vincere il derby certo significherebbe davvero cominciare con il piede giusto, ma il percorso per Fabregas rimarrebbe comunque arduo. Solo il tempo ci farà capire se questa scelta sarà stata visionaria o folle. E se gli idrovolanti torneranno a essere messaggeri di buone notizie.

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