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Granatazzurri
11 giu 2014
11 giu 2014
Il Torino è arrivato in Europa per un soffio, dopo esserne uscito per un soffio, principalmente grazie a due scommesse vinte. La storia dei destini incrociati di Alessio Cerci e Ciro Immobile.
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INIZI DIFFICILI

Al 45esimo del secondo tempo, Marco Borriello esce dal campo. È il 12 maggio del 2013, ed è in corso Genoa-Inter, la penultima partita di quella stagione. I tifosi del Genoa festeggiano: sta per finire l'ultima gara casalinga della stagione, e si celebra una salvezza matematica (il Palermo stava perdendo 1-0 con la Fiorentina, fuori casa, e per sperare di restare in Seria A avrebbe dovuto vincere). Davide Ballardini, l'allenatore del Genoa, arrivato a gennaio dopo aver sostituito Luigi Delneri—che a sua volta aveva sostituito Luigi De Canio, il tecnico di inizio stagione—chiama fuori Borriello per fargli ottenere una stading ovation: ha segnato 12 gol in 28 partite, coi tre segnati nel mese precedente contro Chievo e Pescara ha praticamente fatto salvare la squadra. Non si sa se tornerà; è in prestito dalla Roma, ha uno stipendio enorme, magari il prossimo allenatore della Roma se lo tiene. Borriello saluta, i tifosi sventolano bandiere. Al suo posto entra un ragazzo che ha 23 anni, che ha il numero 17 sulla maglia e non segna da un girone esatto: cioè 19 giornate, cioè 28 ore e mezzo di gioco complessive. Si chiama Ciro Immobile, è in prestito dalla Juventus—dove ha fatto due anni di giovanili—e l'anno prima era stato il capocannoniere di Serie B col Pescara allenato da Zdeněk Zeman (28 gol in 37 partite). Oggi gli tocca il ruolo del ragazzino della Primavera che entra negli ultimi minuti dell'ultima partita per far scattare l'applauso alla Vecchia e Gloriosa Bandiera (l'Inter, quel giorno, fa giocare titolare al centro della difesa Simone Pasa, 19 anni e maglia numero 28). Immobile tocca due palloni, la partita finisce, il Genoa è salvo e i giocatori vanno a fare la ola sotto la curva. L'anno dopo sarà al Torino.

Il 18 ottobre 2011 il quotidiano fiorentino La Nazione pubblica un articolo che racconta che Alessio Cerci, allora 23enne ala della Fiorentina, è stato visto camminare per Firenze con un gatto al guinzaglio. La Nazione ha anche riportato che alcuni automobilisti si sono fermati per assistere alla scena e che Cerci è poi entrato in un ristorante in zona San Frediano, nel centro della città. Lo stesso giorno, alle 11.20 di mattina, l'utente Axel del forum di PassioneViola.it—un forum di tifosi della Fiorentina molto poco frequentato, ultimamente—apre una discussione su Alessio Cerci: riporta la notizia del gatto e del guinzaglio apparsa sulla Nazione e nel farlo si scusa ma spiega che «[una cosa del genere] non si può non riportare... :D:D:D». Nel giro di alcune ore, diversi utenti intervengono nella discussione, che ruota attorno al gatto, al guinzaglio e alle riflessioni etiche che pone la vicenda: l'utente bangle spiega che «i gatti non si possono portare a guinzaglio... va contro la loro natura» e che Cerci «è un cazzone proprio... ma finché gioca bene può fare quello che vuole...». L'utente NIZZAVIOLA racconta di averlo «già visto più volte passeggiare col gatto al guinzaglio». Bungle ribatte che Cerci «è un cazzone per tante cose che ha detto e fatto prima... quest'ultima ne è solo una riconferma...». Lentamente, dopo due giorni di discussioni, il dibattito si sposta dal "cazzonismo" di Cerci fuori dal campo a quello mostrato durante le partite: l'utente Karl heinz schneider spiega che Cerci gestisce male «la fase mediatica e dell'atteggiamento inizialmente strafottente e saccente». L'utente Violaceo, il 22 ottobre, dice che nella partita contro il Catania, giocata quel giorno e pareggiata in casa per 2-2, «si vedeva lontano un miglio che giocava scazzato». Nel corso della discussione, un altro utente lo paragona ad Adrian Mutu e dice di sperare che vada via. Un altro accusa Cerci di non avere cervello, altri affermano timidamente che è uno dei pochi che combina qualcosa dell'intera squadra. Cerci è stato preso dalla Roma poco più di anno prima—dove era considerato una specie di fenomeno, nelle giovanili: quella dell'«Henry di Vamontone» la sapete, dai—ed è arrivato in uno dei peggiori momenti nella storia recente della Fiorentina: è quella dei pugni di Delio Rossi a Adem Ljajić, delle sconfitte in casa contro Chievo e Lecce, del tredicesimo posto finale. Cerci gioca poco e quando lo fa sembra voler giocare da solo contro i difensori della squadra avversaria. Fa girare un sacco di leggende sul suo conto: come quella in cui dice che si divertiva a «sgasare» con la sua Maserati, in centro. Segna otto gol e a fine anno si trasferisce al Torino.

I GRANATA

Il Torino riappare in Serie A nel 2012-2013, con una squadra che—almeno sulla carta—urla "retrocessione" da tutti i reparti, escluse alcune notevoli eccezioni come Angelo Ogbonna e Alessio Cerci. Alessio Cerci. Un giocatore per cui ho una specie di cotta da anni: da quando cioè lo presi a Scudetto 2003/2004, e mi segnò 20 gol in una stagione. Cotta che, però—e la cosa potrebbe interessare Arnaldo Greco, da quanto è meta tutto questo—si è addirittura rafforzata da quando cominciai a vedere le partite di Cerci alla televisione, quando era alla Fiorentina. Con le dovute, enormi proporzioni, Cerci giocava come me. Meglio, io giocavo come Alessio Cerci. Sin da ragazzino, ho sempre giocato sulla fascia e molto, molto raramente in altre zone del campo. Questo, sia nella squadra di calcio a 7 nella quale giocavo da una vita sia nelle occasioni in cui si mettevano due magliette per terra e si giocava fra amici. Sempre sulla fascia, a fare le cose che fa Cerci, con la dovuta, enorme distanza: saltare l'uomo in velocità, crossare, accentrarsi e tirare a giro o a incrociare. Tutto questo, senza passare (o quasi) mai la palla prima di essere arrivato sulla linea di fondo. Mi faceva male il fatto che Cerci non riuscisse mai davvero a esplodere, e che oltre a quelle riguardo le proprie difficoltà caratteriali ricevesse le stesse critiche che ricevevo io dall'allenatore—«passala», «scarta un uomo di meno», «non fare sempre la stessa cosa». Erano critiche che mi toccavano personalmente, e su più piani: il fatto è che io, che avevo sempre giocato sempre e solo sulla fascia, avevo spesso avuto la netta percezione che avrei potuto giocare meglio e diventare più forte se solo non fossi stato messo sempre e solo sulla fascia, attitudine che alla fine avevo assorbito e praticato anche quando non ero costretto a farlo, persino con gusto. Non avevo (ho?) la visione di gioco del regista, né il fisico e l'intelligenza tattica del difensore. Ma sapevo fare altre cose, oltre a dribblare-crossare-passare poco; o almeno ci credevo. Ma capivo, al contempo, i miei allenatori e compagni che insistevano nel farmi giocare solo e sempre sulla fascia: in che altro posto avrebbero dovuto mettermi? Capirete, quindi, quanto soffrivo nell'osservare che Cerci—che a questo punto definirei "il mio io-calciatore molto molto più forte"—sarebbe andato a giocare per una squadra che consideravo sfigata, per di più da esterno puro—e basta. E, ovviamente, mi interessavano poco gli episodi come quelli del gatto, o la sua presunta sbruffonaggine: per me era quello che avevo a Scudetto e che giocava quasi come me. Ma lasciamo Cerci da parte, per il momento.

Giampiero Ventura, che allena la squadra dal 2011, nella prima stagione in Serie A riesce a lanciare ex promesse come Danilo D'Ambrosio e Matteo Darmian e a valorizzare gente sulla via della pensione (Rolando Bianchi, Matteo Brighi, Alessandro Gazzi). Ne viene fuori una stagione tutto sommato dignitosa: costruisce gran parte della sua salvezza fra dicembre e febbraio, quando batte Chievo, Siena, Pescara e Atalanta e nel mezzo pareggia fuori casa con Inter e Catania. La squadra gioca con un 4-2-4 a cui Ventura tiene molto: è lo stesso modulo che ha usato per lunghi tratti nelle due squadre che ha allenato in precedenza, Pisa e Bari. Cerci, che Ventura aveva già avuto al Pisa e aveva chiesto da tempo alla società, gioca la maggior parte delle partite della stagione da esterno destro dei quattro attaccanti. Gioca appena dietro alle due punte centrali e fa quello che apparentemente gli riesce meglio, come scrivevo prima: salta l'uomo, allunga e allarga la squadra e mette buoni palloni in mezzo per Bianchi, un discreto colpitore di testa. Gli stessi compiti, dall'altro lato del campo, li ha l'altro esterno d'attacco, Mario Santana o Valter Birsa. Comprensibilmente, un modulo del genere—con due attaccanti fissi là davanti—funziona in presenza di un grande sacrificio degli esterni, che hanno il compito di occupare gran parte della propria fascia di campo, e di un pressing costante sia da parte degli attaccanti sia da parte dei centrocampisti (due cose che erano riuscite, per esempio, al Siena del 2010-2011 di Antonio Conte), che mira a creare situazioni di pericolosità il più vicino possibile all'area avversaria (dove cioè dovrebbero gravitare i quattro attaccanti). Uno dei problemi del Torino di quell'anno, invece, è proprio l'eccessiva libertà concessa agli esterni avversari, i quali spesso si ritrovano in situazioni di uno contro uno coi terzini granata.

Il Torino prende 55 gol in 38 partite, segnandone 46. Arriva 16esimo, a 39 punti (sette in più del Palermo, terzultimo e retrocesso). Cerci gioca bene, sembra essere diventato un ottimo esterno. A memoria, credo di non aver mai guardato o seguito una partita del Torino di quell'anno dall'inizio alla fine.

LA NUOVA STAGIONE

Il ritiro del Torino della stagione 2013-2014 inizia il 14 luglio 2013 a Bormio, in provincia di Sondrio. Nel corso delle settimane, arriva qualche faccia nuova: il difensore serbo Nikola Maksimović (dalla Stella Rossa), il trequartista marocchino Omar El Kaddouri (dal Napoli) e l'esperto difensore italiano Emiliano Moretti (dal Genoa). Nel frattempo, sono "esplosi" sia Darmian che D'Ambrosio—che a gennaio sarà acquistato dall'Inter. Se ne sono anche andati anche Mario Santana (al Genoa) e Valter Birsa (al Genoa e poi al Milan): cioè i due esterni sinistri che Ventura utilizzava nel 4-2-4 della stagione scorsa. A posteriori, Ventura dirà di aver cambiato modulo proprio per questo motivo: l'assenza di esterni offensivi all'altezza. Sin dalle prime partite della nuova stagione, infatti, Ventura dispone la squadra con un 3-5-2 con davanti Ciro Immobile e Alessio Cerci, salvo poi variare spesso a partita in corso, inserendo Riccardo Meggiorini o Marcelo Larrondo. Il Torino vince con Sassuolo e Bologna, rimedia quattro buoni pareggi contro Inter, Milan, Sampdoria e Verona e perde contro Atalanta e Juventus.

A inizio stagione a tirare la carretta, come si dice quassù, è proprio Cerci: nel nuovo modulo, dove fa la seconda punta, ha molta più libertà tattica di quanta probabilmente ne abbia avuta nel resto della sua carriera—non ha compagni vicini che gli "pestano i piedi" e non è obbligato a tornare indietro, bruciando energie preziose, per difendere—riesce a fare sei gol nelle prime sette giornate. Ok, tre li ha fatti su rigore: ma già dal modo in cui sono stati realizzati i primi tre gol su azione si intuisce che qualcosa è cambiato. Il primo, contro l'Atalanta, è un classico gol-alla-Cerci, o se preferite il classico gol dell'ala mancina: partendo dalla destra, si punta il centro del campo e si tira a giro, cercando di anticipare il movimento del portiere avversario. Il secondo, contro il Milan, è un bel gol in contropiede, su un gran passaggio di Immobile, dalla destra del campo. Il terzo, quello nel 2-2 contro il Verona, è un gran gol di rapina, quelli che ti aspetteresti da gente come Inzaghi, Toni, Palacio.

Dopo il gol di Cerci, il telecronista dice «stai a vedere ha ragione Ventura quando dice che Cerci in questo nuovo ruolo in questo nuovo modulo può segnare 15 gol».

Un fatto notevole: nel nuovo ruolo, senza compiti difensivi e con libertà di svariare su tutto il campo, Cerci risulta anche più efficace e di supporto per i compagni: nella stagione 2012-2013, produce otto assist e 52 passaggi chiave, il 56,7 per cento dei quali provengono da un pezzetto del campo nei pressi del lato destro dell'area avversaria. Nella stagione successiva, distribuisce in modo migliore la propria presenza sul campo: produce 10 assist e 47 passaggi chiave, il 40,4 per cento dei quali nella stessa zona dove l'anno prima aveva realizzato il 56,7 per cento di essi, mentre il 28,1 per cento sulla trequarti (l'anno prima si era fermato al 16,7 per cento) e per il 14 per cento addirittura sul lato sinistro (5 per cento del totale, l'anno prima). È un dato affascinante, se per lungo tempo si è ritenuto che un giovane calciatore dovesse sviluppare date caratteristiche per un dato ruolo (e quindi velocità-dribbling-tagli dietro l'uomo se sono centrocampisti esterni, protezione della palla-sponda-senso della posizione per un centravanti, e così via). Lo stesso Cerci ha saputo essere molto più della semplice "ala vecchia scuola", come lo hanno definito più volte: cambiando ruolo, sono emerse molte caratteristiche "latenti" che in altri contesti non era stato possibile sviluppare—l'abilità di giocare al centro e in coppia con un attaccante di riferimento, il gol di rapina—i quali gettano una nuova luce su Cerci stesso e il suo futuro utilizzo (e che però per il momento Prandelli non vuole sfruttare: nel momento in cui scrivo, la Nazionale ha buone possibilità di disputare i Mondiali con un 4-3-3 in cui Cerci è la seconda scelta come attaccante esterno). Provai una grandissima sensazione di riscatto nel vedere Cerci giocare in quel modo: aveva rotto la mia e la sua "prigionia dell'esterno", e ne ero contento.

Ma Cerci, da solo, non è sufficiente: né per il Torino, né per me—la cui opinione che un giocatore fortissimo sia finito in una squadra di scarponi è sostanzialmente confermata. Mi consolava solo parzialmente il fatto che lo avessi comprato—come tutti gli anni—al fantacalcio. Alla fine delle prime sei partite, il Torino ha otto punti: una media lievemente superiore a quella dell'anno prima. Nelle successive tre partite fa due punti e subisce sette gol: il 27 ottobre, dopo la sconfitta per 2-0 contro il Napoli, Ventura spiega che «non abbiamo giocato bene o male: non siamo proprio scesi in campo» e che ha visto Cerci «sulle gambe». Ciro Immobile—un altro che avevo al fantacalcio: lo presi quasi per sbaglio—ha appena cominciato a segnare: due settimane prima, aveva segnato contro la Sampdoria forse il più brutto gol di tutto il suo campionato (il primo in Serie A, comunque, dal dicembre del 2012). La settimana dopo, segna ancora con un destro a giro dal centro destra dell'area: una soluzione complicata, ma ne viene fuori un bel gol. Non si fermerà più. Scorrendo i tabellini delle partite del Torino, a partire dalla partita di Genova il nome di Immobile ricorrerà spessissimo (assieme a Cerci, a fine stagione, avranno assommato 35 dei 58 gol totali segnati dal Torino). Si è sbloccato qualcosa.

Alla fine di ottobre il Torino pareggia a Livorno fuori casa, 3-3: Cerci fa due assist e un gol, Immobile un gol. Quattro giorni dopo, il Torino gioca una bella partita in casa contro la Roma prima in classifica, che fino a quel momento le aveva vinte tutte. Segna Cerci, che esulta come se fosse in una finale di Champions League (Ventura, dopo il gol del Torino, tira pure un goffo pugno al tettuccio della panchina del Torino, e si fa male: quest'uomo è adorabile). Poi, la squadra perde una strana partita a Cagliari, a due minuti dalla fine. Comincia un buon periodo. Nelle successive cinque partite, la squadra fa 13 punti, pareggiando una sola partita contro il Genoa, fuori casa, e vincendo le altre quattro. Si comincia a parlare bene del Torino, e comincio anche io ad appassionarmene (ho sempre avuto un debole, come tutti credo, per le squadre sfigate che fanno una stagione da underdog): Cerci era Cerci, e Immobile lo avevo pur sempre al fantacalcio. E poi, Ventura è l'underdog degli underdog. Oltre ai frequenti episodi come quelli del pugno al tettuccio, è l'allenatore più anziano della Serie A (ha 66 anni), non ha mai allenato squadre fortissime ed è uno dei pochi che non dice banalità nelle interviste dopo le partite.

Il Torino vince 4-1 col Catania, 1-0 con la Lazio e 4-1 col Chievo. Dietro le 5-6 squadre che lottano per i primi tre posti, adesso c'è il Torino. La vittoria più significativa, però, è quella fuori casa contro l'Udinese 2-0, in un campo tradizionalmente complicato. Durante la partita, si vede una specie di bigino del gioco del Torino di questa stagione: gran gioco a due fra Cerci e Immobile, ricerca del contropiede, tentativo di allargare il gioco con gli esterni per sfruttare gli inserimenti dei centrocampisti (e il gran senso della posizione di Immobile). Rispetto all'anno prima, la squadra sembra avere maggiore solidità difensiva e un maggior numero di soluzioni in avanti.

Le quattro situazioni elencate qui sopra le potete trovare rispettivamente ai minuti 0:39, 0:54, 2:00 e 2:28.

Il migliore in campo, contro l'Udinese, è Nikola Maksimović: vince tutte e quattro i contrasti di testa, libera quindici volte l'area di rigore dal pallone e ha una percentuale di precisione nei passaggi del 91 per cento. Come ricorderà Ventura a fine stagione, da questa partita Maksimović non uscirà più dal campo: sostituirà D'Ambrosio quando si trasferirà all'Inter, sulla fascia destra, continuando a giocare buone partite. Nel 4-1 contro il Catania, due gol li segna Omar El Kaddouri, uno che la stagione scorsa al Napoli aveva fatto poca roba: Ventura gli dà grande libertà a centrocampo, permettendogli sia di costruire l'azione sia di giocare fra le linee e inserirsi, con buoni risultati. A fine stagione avrà segnato 5 gol. Un altro che rende più del previsto è Matteo Darmian: una vita nelle giovanili del Milan (era nella rosa della prima squadra quando vinse la Champions nel 2006-2007), una stagione mediocre col Palermo in Serie A, da allora con il Torino. Mai avuto un fisico da terzino, e infatti giocava come centrale: in stagione, però, viene utilizzato sia a destra sia a sinistra, dove mostra buone doti difensive e una gran corsa (ha fatto in tutto tre assist). Fra la sorpresa di molti, Prandelli lo convoca per i Mondiali: di lui, il 7 giugno ha detto che «sta meravigliando tutti».

Fra gennaio e febbraio, il Torino—di cui nel frattempo sono diventato grande appassionato, comprensibilmente—perde contro Parma e Bologna, pareggia contro Fiorentina e Milan e vince contro Sassuolo (battuto anche all'andata) e Atalanta e Verona. Dei nove gol segnati in queste sei partite, cinque li segna Immobile, alcuni decisivi: ad esempio contro il Milan, da solo in contropiede, e contro il Verona, su bell'assist di El Kaddouri. Poi, perde quattro partite senza segnare—non succedeva dal maggio del 1981—contro Juventus, Sampdoria, Inter e Napoli. Contro il Napoli in particolare, in casa, il Torino perde 1-0 per un gol di Gonzalo Higuaín al 90esimo, dopo che all'inizio dell'azione aveva spinto via il difensore che lo marcava, Kamil Glik. Ventura si arruffa moltissimo: a fine gara, dice che spera che il campionato «prima o poi finisca» e dice che almeno dieci punti sono stati persi a causa di cattive decisioni arbitrali. Il Torino è a metà classifica, in una posizione che probabilmente sarebbe apparsa dignitosa, all'inizio della stagione: ma fino a poche giornate fa era una delle "sorprese" del campionato, e ne parlavano tutti benissimo, e pure io stavo un po' credendo alla storia che sarebbero finiti in Europa League.

Il 22 marzo 2014, il Torino gioca in casa contro il Livorno. Cinque giorni prima, contro il Napoli, Ventura aveva fatto riposare Immobile e Cerci, facendoli entrare a partita in corso (avevano giocato titolari Meggiorini e Barreto). Se la partita contro l'Udinese era stata un bigino del Torino di questa stagione, questa lo è di cosa è diventato Immobile negli ultimi mesi: un attaccante completo, duttile, con un gran senso della posizione e del gol (vi assicuro che lo scriverei anche se non lo avessi al fantacalcio). Il primo gol è da centravanti puro, quasi antico: una cosa che avrebbero potuto fare Toni, Gilardino, e persino Andy Carroll: punizione dalla destra, movimento in diagonale, in area, per anticipare il difensore avversario; spizzata in torsione, palla che non perde velocità e finisce troppo lontana dal portiere, che pure era sul palo giusto. 1-0. All'inizio del secondo tempo, arriva un pallone per Immobile dalla fascia sinistra verso la trequarti: sa che quattro passi indietro c'è Cerci, e apre le gambe per fare "velo" sul pallone, per poi spostarsi subito sul lato. Cerci riceve il passaggio e di prima dà il pallone in profondità a Immobile, che a sua volta lo ridà a Cerci, che nel frattempo si è spostato al centro dell'area di rigore senza che nessuno riuscisse a marcarlo. Cerci impiega troppo tempo a controllare, e tira maluccio. Al 60esimo, arriva un pallone dalla destra verso la trequarti, dove in poco spazio stanno sia El Kaddouri sia Immobile. Immobile non tenta nemmeno di controllare in pallone ma scatta in profondità: El Kaddouri alza un pallone, di prima, di quelli che quando giochi a calcio a 5 alla fine dell'azione urli al tuo compagno di "tenerla bassa". A 11, invece, questi palloni servono: Immobile supera in velocità i due difensori e si ritrova il pallone a mezza altezza. Colpisce goffamente, ma la palla entra lo stesso. 2-0. Sette minuti dopo, segna un gol "strano". Riceve palla sulla trequarti, al centro, dove il Livorno è piazzato male: due dei tre centrali di centrocampo sono stati "risucchiati" verso il lato destro del campo dal prolungato possesso palla del Torino, mentre il terzo è lontanissimo, dall'altra parte del campo, fuori posizione. Uno dei due centrocampisti livornesi tenta l'anticipo, e sbaglia. La velocità di pensiero di Immobile è notevole: ricevuto il pallone, punta per dritto l'area di rigore—dove la difesa a 5 del Livorno è bassa ma compatta—e all'improvviso calcia in modo molto scaltro, di collo, colpendo il pallone leggermente da sotto perché si alzi e s'abbassi nel giro di poche frazioni di secondo, come quando si fa un pallonetto. Gran gol, soprattutto per come è stato preparato e immaginato. La partita finisce 3-1. Siamo alla 29esima giornata, e Immobile è capocannoniere con 17 gol. È la sua prima tripletta in carriera. Nelle interviste dopo la partita, dice che se gli avessero detto che in questa stagione sarebbe diventato capocannoniere non ci avrebbe creduto. Ascoltai la partita in treno, per radio, come ogni tanto mi capita di fare (la mia ragazza studia a Trento): tripletta di Immobile e gran partita di Cerci. Ero felice.

Dopo il Livorno, è tutto in discesa: persino io mi abituo a considerare il Torino una squadra che—come tutte quelle decenti—ha buone possibilità di vincere in casa e di giocarsela in trasferta. Alla partita successiva, perde contro la Roma per via di quel famoso gol di Florenzi al 91esimo. Se l'è giocata, andando vicina a vincere la partita anche a pochi minuti dal 2-1. È la quinta volta che il Torino prende un gol che cambia il risultato della partita negli ultimi dieci minuti. Non perderà più (e siamo a marzo). Fra marzo e aprile, vince 2-1 contro Cagliari, Catania e Genoa. Le ultime due, in rimonta. L'ultima, se possibile, in mega-rimonta: la partita è equilibrata, il Genoa segna all'85esimo con Gilardino. Finiscono i 90 minuti. Al 91esimo, succede che Immobile riceve palla a centrocampo, la protegge, punta il centro e spara un destro a giro sul secondo palo. 1-1. Corsa sotto la curva a petto nudo, coi raccattapalle che lo abbracciano e gli corrono dietro come se fosse Rocky Balboa. Quaranta secondi buoni di esultanza. Forse ci avrà pensato, prima di giocare, a quel Genoa-Inter nel quale sostituì Borriello, mesi prima. Trenta secondi dopo, Cerci fa praticamente la stessa cosa, prende palla al centro, la sistema, si accentra, fa un tiro pazzesco di esterno-collo che arriva sotto la traversa. 2-1. Corsa sotto la curva a petto nudo, bambini, pugni contro il plexiglas che separa la tribuna dal campo. A vedere questo video, vengono i brividi persino a me.

DENTRO-FUORI-DENTRO

Avanti veloce. 3-3 con la Lazio all'Olimpico, con gol di Candreva al 94esimo. Un altro 2-0 all'Udinese, in casa. 1-o contro il Chievo, in trasferta. Pareggio per 1-1 contro il Parma, fuori casa. Ultima giornata, Fiorentina-Torino: ammasso di squadre per il sesto posto che eccezionalmente dà l'accesso all'Europa League. Il Torino, prima della partita, è sesto con 56 punti, il Parma è settimo con 55 e il Milan è ottavo con 54. Il Torino deve vincere o sperare che non lo facciano le altre due. Cosa improbabile: Parma e Milan giocano contro Livorno e Sassuolo, rispettivamente già retrocessa e già salva. Com'è andata, è noto. Parma e Milan, al 90esimo, vincono. Il Torino, senza Immobile, va in svantaggio due volte, e per due volte recupera. Segnano Larrondo al 67esimo e Kurtic all'84esimo. Cerci fa una partita pazzesca: a un certo punto della partita parte in velocità da poco più avanti della propria area, fa praticamente due tunnel a due centrocampisti della Fiorentina e semina gli altri. In area ci arriva stanco: mette un pallone laterale per El Kaddouri e l'azione si perde. In occasione del gol di Larrondo, salta in velocità tre della Fiorentina, con l'andatura tipica dei ragazzi più grandi e forti e veloci di un oratorio di provincia: Larrondo deve solo "spingerla dentro". A un minuto dalla fine, Facundo Roncaglia fa una scivolata senza senso su Barreto. Rigore, batte Cerci. La partita del Parma è già finita, lassù aspettano tutti di sapere se Cerci segnerà o meno. Cerci batte il rigore che può qualificare il Torino in Europa League, all'ultimo minuto dell'ultima partita, contro la sua ex squadra. Sbaglia. Cerci piange, io mi sento quasi male.

Anche Montella, quando lo inquadrano, sembra essere triste per Cerci.

Alla fine, succede tutto molto in fretta. Il Parma paga in ritardo l'IRPEF sullo stipendio di alcuni suoi giocatori e non ottiene dall'UEFA la licenza di giocare l'Europa League. Quindi, la farà il Torino. Darmian, Cerci e Immobile fanno parte dei 23 convocati definitivi di Prandelli per i Mondiali. Immobile viene venduto al Borussia Dortmund per sostituire Robert Lewandowski. Io vinco la mia lega di fantacalcio. Arriva un giovane attaccante venezuelano che dice che giocare con Cerci «è un sogno». Mi sa che lo prendo, come sesto attaccante, all'asta di settembre.

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