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(di)
Giacomo Detomaso
Good morning Leicester
04 mag 2016
04 mag 2016
Siamo stati a Leicester a vedere come si sono svegliati i campioni.
(di)
Giacomo Detomaso
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I

non li sopporto. Mi ha sempre messo tristezza la tempestività con cui certe persone riescono a salire sul carro del vincitore appropriandosi delle gioie altrui.

 

E allora cosa ci faccio qui, a bordo di un treno diretto a Leicester, proprio nella mattinata in cui la città si sta svegliando per la prima volta da campione d’Inghilterra?

 

Il fatto che si tratti di una

 mi autorizza a sentirla un po’ mia?

 

Ci sto andando per via dell’empatia nei confronti di Claudio Ranieri?

 

O magari lo spirito del cronista si è improvvisamente impossessato di me, facendomi sentire irrimediabilmente attratto dall’evento?

 

 



 

Da un paio di settimane sono a Cambridge, ma lo scorso weekend l’ho passato a Londra da mio cugino. Sabato mattina, mentre raggiungevo la stazione sono passato davanti all’Earl Derby, un pub in cui trasmettono partite di calcio e rugby. Decido di entrare e chiedere al proprietario:

 

«Fate vedere il Leicester City domani?»

«Uh, onestamente non lo so ancora»

«Gioca contro il Manchester United…»

«Ah, allora la trasmettiamo, certo che la trasmettiamo».

 

Alla fine abbiamo seguito la partita in un pub che, curiosamente, si trova vicino alla stazione Leicester Square. La zuccata di Wes Morgan mi ha smosso qualcosa nelle viscere. Mi aveva riportato in mente Valeny, il difensore fittizio che faceva parte della squadra con cui si iniziavano le Master League dei vecchi PES, alla Playstation.

 

Solo allora ho realizzato come l’intero Leicester fosse accomunabile a quel gruppo di semi-sconosciuti che fa parte dei miei migliori ricordi di infanzia. Ho deciso in quel momento che se avessero vinto la Premier League, sarei andato in pellegrinaggio nelle East Midlands.

 



 

 



 

Già nella stazione ferroviaria di Leicester, appena arrivato al desk del servizio clienti, noto un poster che avrei ritrovato ovunque: il logo della squadra con la scritta “We are #backingtheblues”. Buona parte dei locali commerciali di Leicester, e alcune case, si sono vestite di royal blue (persino un negozio di abiti da cerimonia propone tinte azzurrine per le future spose).

 

Sebbene si stia approssimando mezzogiorno la città è ancora sonnacchiosa. Molti devono essere in ufficio; chi non ha obblighi, invece, dovrebbe essere alle prese con i postumi di una sbronza colossale o si sta semplicemente dedicando ad un sonno ristoratore dopo la gran baldoria. I pochi che sono in giro, però, hanno avuto cura di indossare quantomeno un accessorio blu.

 

Lungo Granby Street mi imbatto in una

che ha seguito la tendenza cittadina di ribattezzare i piatti del menu con i nomi dei più amati giocatori del Leicester: dal Mighty Mahrez al The Vardy Burger, dall’Okazaki Grill alla Huth Steak, dal Kicking Kanté al Sizzling Schmeichel (in altri locali è possibile sorseggiare un 

o addentare le ormai celebri

).

 

Dentro ci lavora Sakib, nato in Afghanistan ma tifoso vero delle Foxes. Mi mostra con orgoglio sul suo cellulare una foto in cui è insieme a Kanté, sebbene il suo giocatore preferito sia Morgan. Poi mi racconta come il giorno prima il ristorante fosse pieno di tifosi venuti da ogni parte del mondo per seguire Chelsea-Tottenham.

Qualche ora dopo, ad esempio, avrei incontrato Dika, un venticinquenne indonesiano, che un paio di settimane fa ha deciso di sobbarcarsi un volo di 16 ore e parecchie rupie, al solo scopo di unirsi ai festeggiamenti.

 

Aldilà di chi ci è arrivato appositamente in questi giorni, Leicester è una città fortemente multietnica: grossomodo, la popolazione è per metà bianca, per il 30% asiatica (è la percentuale più alta nel Regno Unito) per il resto nera o di etnie miste.

 

Sugli scaffali dell'ufficio di informazioni turistiche, i libri su Riccardo III si alternano a quelli sulla storia del Leicester City Football Club. L’uomo dietro al bancone mi confessa che questa è la prima stagione in cui hanno iniziato a esporre oggetti relativi alla squadra. Negli ultimi giorni hanno venduto circa 600 bandierine a scacchi bianchi e blu. Nell’ufficio c’è anche un libro dalle pagine bianche, che vengono di volta in volta riempite con le firme e i pensieri di chi ci tiene a lasciare ai posteri un segno della propria presenza. In quest’opera parecchio intimista, Ranieri è semplicemente “Claudio”, Vardy solo “Jamie”, si espone l’orgoglio cittadino e si salutano i propri padri, compagni di tifo venuti a mancare prima di questi giorni impronosticabili.

 

Mentre sto per uscire, incontro una signorina bionda con indosso la maglia del Leicester e un cappello da cowboy blu. Ho la sensazione di averla già vista da qualche parte, ma non ricordo dove. Poi ricordo: l'ho vista a pagina 5 del

di sabato, in un articolo manco a dirlo sul Leicester. Si chiama Elena, viene dalla Polonia e lavora al mercato.

 



 

 



 

Al mercato c’è tanta gente. Anche le televisioni sono qui a fare interviste, mentre in sottofondo i commercianti strillano i nomi degli ortaggi intervallandoli a quelli dei giocatori del Leicester. Da una radio parte il più classico dei “We Are the Champions” dei Queen. Il fruttivendolo più intervistato è quello della bancarella “Lineker’s”, un tempo proprietà di famiglia della leggenda locale, che vi ha anche dato una mano.

 

Attualmente Lineker è il conduttore di Match of the Day e dovrebbe presentare in mutande la prima puntata della prossima stagione, a causa di una

 risalente allo scorso dicembre, quando aveva ritenuto impossibile l’affermazione finale del club della sua città.

 

Il dirimpettaio di “Lineker’s” è “Garcea”, che, a dispetto del nome, è gestito da un italiano, Nazareno. Calabrese, da 21 anni («metà della mia vita») lavora a Leicester.

 

«Alcune cose sono cambiate nel corso di questa stagione. In passato quando tornavo in Italia le persone mi chiedevano “Da dove vieni? Leicester? E dov'è?”. Ora tutti sanno dov'è Leicester». Quando gli chiedo se il successo di Ranieri abbia cambiato il modo in cui le persone si rapportano a lui, mi risponde: «Mi sono sempre trovato bene qui, ma ora capita spesso che la gente, quando mi vede, esclami “Italia! Ranieri!”».

 

Vicki, della bancarella numero 91, è ben nota perché l’allenatore di Testaccio meno di due mesi fa ha comprato la frutta da lei: «Gli ho chiesto di farsi un selfie con me ed è stato disponibilissimo. È un uomo gentile, simpatico, sempre ben vestito».

 

Con lui sarebbe possibile vincere la Champions League il prossimo anno? «Sicuramente».

 



 

 



 

Uscendo dal mercato incontro una giovane coppia, entrambi con la maglia del club. Lei, Rachel, ammira Drinkwater, lui, Robin, vorrebbe essere Vardy. I due giocano rispettivamente a centrocampo e in attacco nell’

del Leicester, che disputa un campionato creato appositamente per atleti diversamente abili.

 

Mi raccontano con gioia il momento in cui il palazzo in cui vivono «ha eruttato» al momento della rete di Hazard contro il Tottenham e credono che in Europa l’anno prossimo «potrebbe succedere qualsiasi cosa, perché noi siamo gli

, le altre squadre ci sottovaluteranno e noi potremo sorprendere tutti di nuovo».

 

Perdersi a Leicester non è semplice, ma per sicurezza, dopo aver superato il municipio da cui sventolano quattro bandiere blu con le volpi, chiedo indicazioni ad un signore sulla quarantina. Mi dà subito l’impressione di ribollire dalla voglia di parlare delle Foxes. Si chiama Guy e spende parole dense di stima per Ranieri: «L’uomo perfetto per il ruolo. Un fine psicologo, che ha permesso ai calciatori di andare oltre i loro limiti». Calciatori come Jamie Vardy: «È stato lui il giocatore più importante: dopo qualche partita ha iniziato ad incutere timore negli avversari».

 

Nel cammino verso il King Power (dove mi dicono siano ricominciati i festeggiamenti) inizio a sentire qualche clacson suonare ripetutamente. Costeggio il Welford Road Stadium, casa dei Tigers di rugby (ossia la squadra più famosa di Leicester fino a qualche mese fa) e lo strombazzare si fa più insistente.

 

Poco dopo mi sfrecciano di fianco cinque ragazzi in bicicletta con dei capienti borsoni in spalla: stanno portando delle pizze allo stadio, per sfamare quei tifosi che non hanno intenzione di tornare a casa per il pranzo.

 

 



 

Quasi a voler alimentare la retorica del miracolo, appena arrivo ai piedi di quello che una volta era conosciuto come Walkers Stadium, le profonde voci del coro gospel della locale De Monfort University fanno vibrare l’aria: «

».

 

Incontro un ragazzo italiano, Matteo, che è nato a Formia ma vive a Windsor, dove fa l’infermiere da un anno e mezzo dopo aver concluso gli studi in Italia. Giura di essersi «appassionato sin da subito a questa favola, a questo sogno». Secondo lui, «i sogni non devono mai mancare nella vita». È arrivato a Leicester in mattinata, ma c’era già stato la domenica precedente nella vana speranza di una vittoria contro il Manchester United ed ha già deciso che ci tornerà il 15 maggio per i festeggiamenti finali.

 

Dopo aver parlato con un discreto numero di tifosi mi sono stupito di quanto raramente venga menzionato Mahrez. I più citati sono Vardy, Kanté e Drinkwater, forse più adatti allo spirito operaio della città.

 

Parlo con una coppia, Gary e Sharon, sposati dal 2013, che però non mostrano imbarazzo nel considerare questi giorni di festa i più belli ed eccitanti della loro vita, più della celebrazione del loro matrimonio. Gary ci anticipa che sarebbe disposto a puntare 10 sterline sulla vittoria della prossima Champions League se il Leicester venisse quotato ancora 5000-1, ma facendosi serio aggiunge: «Abbiamo bisogno di un altro attaccante per fare coppia con Vardy. Servirebbe uno come Lukaku».

 

Quando il coro gospel termina la sua esibizione, si esibisce un gruppo rap locale, i “The Squad”, con un brano inedito (“Fearless”) che metteranno online solo nel pomeriggio di venerdì. Nel testo c’è qualche verso brillante, come “

”.

 

Mi accontento di intervistare il loro

, il quale mi spiega che la storia del Leicester è tematicamente perfetta per una canzone rap: «Stavamo per retrocedere, ma ci siamo salvati e ora siamo campioni. L’esempio del Leicester insegna che anche chi parte con scarse risorse può raggiungere il livello più alto». Anche se il principale motivo per cui hanno deciso di scrivere questa canzone è «’cause this is home. ’cause this is home».

 



 

Dopo aver affermato che Morgan è il giocatore con più

della rosa, in un paio di minuti si lancia in una tripletta di sentenze che trasuda una confidenza esagerata:

 

- la canzone sarà presto numero uno in classifica «e non può essere diversamente perché il Leicester è numero uno»

 

- il Leicester vincerà il campionato anche l’anno prossimo

 

- il Leicester vincerà anche la Champions League l’anno prossimo.

 

 

Vedremo. Per tutte e tre le previsioni.

 

 

Di gente disposta a scommettere su un successo più continuo, però, ne trovo parecchia. Un diciassettenne, Max, ad esempio dice: «Il Manchester City, che è in semifinale col Real Madrid, noi l’abbiamo battuto 3-1». Suo padre Garrett non guarda così lontano, ma pretende subito la costruzione di una statua di Ranieri di fronte allo stadio.

 

Nello store ufficiale, in cui è ormai impossibile trovare una maglia da gioco, incontro Eamonn che porta sulle spalle il piccolo Osian, di tre anni. «Da quando è nato ha assistito ad una promozione, ad una retrocessione scampata per miracolo e alla prima Premier League vinta. È una specie di amuleto» sorride il padre, guardandolo innamorato.

 

Invece Alan (vive a Londra ma è nato a Leicester 63 anni fa, è cresciuto vicino allo stadio) confessa: «Lo stereotipo degli inglesi dice che non facciano trasparire molte emozioni, ma questo traguardo mi ha commosso fino alle lacrime».

 

Proprio mentre sto per tornare a casa, vedo arrivare, e mi sembra un'allucinazione, il sosia di Jamie Vardy. Quello che il Leicester ha fatto salire sul bus della squadra qualche ora prima. È assurdamente vestito da Jamie Vardy, in pantaloncini, maglia e calzettoni da gara. Ha persino il tutore azzurro al braccio. E uno zainetto con dentro, probabilmente, i suoi abiti normali.

 



 

La gente lo accerchia e lui concede qualche scatto, sopratutto con bambini. Non può perdere troppo tempo, però, la BBC è lì che lo aspetta per un’intervista, cui si sottopone con naturalezza.

 

A furia di smentire i pronostici, sembra quasi che a Leicester si siano abituati alla straordinarietà del sogno che stanno vivendo.

 

Vi prego non svegliateli.

 

 

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