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L'incredibile, assurdo miracolo Leicester
03 mag 2016
03 mag 2016
Il Leicester di Ranieri ha compiuto una delle più grandi imprese sportive della storia.
(articolo)
33 min
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Un’inquadratura scura e di bassa qualità su una folla di tifosi che esultano in un pub di Leicester; le immagini sfocate e mosse, rubate dalla bruttissima Casa Vardy, dove qualche giocatore irriconoscibile esplode al fischio finale di Chelsea – Tottenham. Titoli di giornali stampati sopra foto di repertorio di Ranieri con le braccia al cielo. Immagini non all'altezza di uno dei più grandi e incredibili successi sportivi della storia. Per questo, probabilmente, molti si auguravano un finale diverso, magari all'Old Trafford, nella cornice di uno stadio soprannominato “il teatro dei sogni”, magari sigillato da un gol finale di uno degli eroi più improbabili e sgangherati della storia.

Invece questo finale poco scenografico, leggermente imperfetto, ha se non altro avuto il merito di aumentare l’effetto di realtà di una vicenda che altrimenti corrisponderebbe più a una sceneggiatura scritta che a qualcosa che abbiamo davvero vissuto davanti ai nostri occhi.

La storia del Leicester ricalca in modo così esatto il plot del “miracolo sportivo”, il suo arco narrativo, il suo sistema di personaggi, da esprimere una potenza stereotipica persino superiore a una narrazione finzionale. Per definirla è stato praticamente impossibile utilizzare termini diversi da ‘Fiaba’, ‘Miracolo’, ‘Favola’, e in effetti la storia del Leicester contiene al suo interno buona parte dei caratteri che Vladimir Propp aveva individuato come quelli fissi di una fiaba di magia. Esiste una somiglianza strutturale tra le fiabe di magia e le storie dei miracoli sportivi, data soprattutto dalla similitudine e la fissità del loro arco narrativo: entrambe partono da una situazione iniziale di difficoltà, spesso di estrema difficoltà, e mettono in scena una risalita inesorabile e incredibile, intervallata da prove di forza. Entrambe prevedono un sistema di personaggi abbastanza fisso, fatto di caratteri stereotipici. Questo le rende estremamente semplici, riconoscibili e chiare nelle loro intenzioni morali.

In qualche modo le fiabe rappresentano la proiezione di alcune strutture elementari del nostro pensiero. Rispondono a istinti e desideri profondi, racchiudono il mondo attraverso schemi rigidi e per questo comprensibili. La complessità è sempre ridotta all’interno di un micro-cosmo morale rassicurante.

Lo sport rappresenta un terreno elettivo per narrazioni di questo tipo, tanto che i racconti dei miracoli sportivi hanno praticamente saturato il mercato più grande dei racconti sportivi negli ultimi trent’anni. Quando una storia avviene nella realtà allora non si può non rendergli tributo, e infatti un film sul Leicester è stato annunciato ancora prima che la squadra riuscisse a vincere il titolo. Le storie dei miracoli sportivi ci rassicurano sul fatto che nella vita il successo non è negato a nessuno, a patto che non si smetta mai di lavorare duro, essere umili, crederci sempre.

Le prime parole di Claudio Ranieri dopo la vittoria hanno abbracciato un respiro morale ampio: «L'unica dedica che posso fare è dire a tutti di crederci. Provateci, non solo nel calcio, ma in tutti i campi della vita».

Ho provato a ripercorrere la storia del Leicester cercando di evidenziare quanto il suo arco narrativo, i suoi motivi, i suoi personaggi, ricalchino quelli della fiaba. Per farlo mi sono appoggiato alla Morfologia della Fiaba di Propp, ma anche a TV Tropes, un sito che raccoglie e cataloga i motivi ricorrenti all’interno della narrazioni.

12 maggio 2013, in credito col karma

Ogni fiaba di magia, scrive Propp, nasce soprattutto da una mancanza. E quindi ogni fiaba è un racconto di “riparazione”. Se non ci fosse una situazione di svantaggio iniziale probabilmente non riusciremmo a empatizzare con l’eroe, per quel meccanismo psico-narrativo per cui tendiamo a immedesimarci con un debole dai forti valori morali e con un discreto curriculum di ingiustizie subite alle spalle.

Sarebbe normale far risalire la “mancanza” del Leicester al momento in cui, più o meno un anno fa, annaspava in zona retrocessione. Ma forse bisogna andare ancora più indietro, a quando il Leicester è stato vittima di uno dei finali di partita più incredibili e perversi della storia del calcio.

Tre anni fa il Leicester di Nigel Pearson era in corsa per i playoff di Championship (la seconda divisione inglese). Nelle semifinali affronta il Watford di Gianfranco Zola e all’andata vince in casa per 1 a 0. In casa del Watford, al 95esimo e con 6 minuti di recupero, sta perdendo 2 a 1: per evitare i supplementari (non c’è la regola dei gol in trasferta) può sfruttare un calcio di rigore a suo favore. Anthony Knockaert incrocia il tiro, Almunia para, Knockaert cerca di ribadire d’esterno sulla respinta, ma Almunia para ancora. La palla viene rilanciata a campanile, un centrocampista del Watford riesce a stopparla con una morbidezza assurda rispetto al caos che lo circonda, e fa ripartire il contropiede. Va sulla fascia, verticalizza per il taglio di un compagno, che mette la palla in mezzo: sponda di testa, tiro fortissimo in mezzo alla porta vuota. Watford in finale playoff.

Dovremmo immaginare le azioni di questa partita su un sottofondo musicale cupo e consolatorio, tipo Mad World di Gary Jules. Poi la musica che si abbassa e lascia il posto alla voce abbacchiata di Nigel Pearson: «Non esiste un modo peggiore di perdere».

Il Leicester in quel momento accumula il più grosso credito con il karma della storia del calcio (esclusa forse la parabola del Benfica, ma chi lotta contro una maledizione dovrebbe essere fuori concorso). E da lì inizia la risalita: lo scioglimento della mancanza. Anche se, come scrive Greimas, altro studioso di narratologia: «non possiamo pensare che in una fiaba ci sia un racconto sempre lineare, dove le funzioni si succedono ordinatamente, in fila indiana, senza deviazioni, sovrapposizioni, rallentamenti».

Luglio 2014

Ad aprile dell’anno successivo il Leicester è promosso in Premier League con sei giornate d’anticipo. Pearson definisce la promozione come «il frutto del lavoro degli ultimi due anni e mezzo»: viene nominato manager dell’anno in Championship, a giugno firma un rinnovo di tre anni, Vardy estende il suo per altri 4, Mahrez è al Leicester da gennaio e ha segnato 3 gol in 19 partite. È stato acquistato dal Le Havre, seconda divisione francese, per 400mila sterline, notato da Steve Walsh mentre era andato a osservare un altro giocatore.

Il crollo di Nigel Pearson, il falso eroe

Quello messo in scena da Pearson è il grande motivo narrativo del crollo umano e morale, per cui quello che credevamo essere l’eroe si rivela non all’altezza della missione a cui era destinato. I risultati negativi in Premier sembrano la diretta conseguenza di un’atmosfera progressivamente sempre più fuori controllo. È lo stesso effetto di una serie TV in cui un padre di famiglia inizia ad alcolizzarsi. Il primo episodio di crollo è a dicembre. Subito dopo una sconfitta in casa contro il Liverpool, arrivata a chiudere un ciclo di 11 partite senza vittorie, un tifoso dice a Pearson di chiedere scusa per la prestazione, e il tecnico lo insulta. Verrà multato per 10mila sterline e squalificato per una giornata.

Poco più di un mese dopo, in una sconfitta in casa del Crystal Palace, Pearson si ritrova sotto i suoi piedi James McArthur e tenta di strozzarlo. L’episodio contiene la stranezza tipica di una persona fuori controllo, la dirigenza lo licenzia la sera stessa, per poi richiamarlo il giorno dopo come si fa di fronte a un familiare che sta diventando pericoloso ma a cui si vuole bene.

Ad aprile il Leicester è ultimo in classifica, ma poi, improvvisamente, inizia una risalita senza motivo apparente: vince quattro partite di seguito che lo rimettono in corsa per la salvezza. Eppure Pearson non riesce a smettere di mettersi in imbarazzo. La squadra, i suoi giocatori, l’umore generale, migliorano, lui rimane lo stesso. Dopo una sconfitta per 3 a 1 con il Chelsea rimane invischiato in una bizzarra conversazione-litigio sugli struzzi– ribattezzata “Ostrichgate” – difficile anche da commentare.

La squadra continua a volare. Vince 7 delle ultime 9 partite, Pearson dichiara: «non è stato semplice, ma l’importante è che ne siamo usciti tutti assieme». Il classico momento tranquillo che si fa precedere al dramma vero e proprio.

Il 30 giugno tre riserve del Leicester, compreso il figlio del tecnico, James, partecipa a un filmino girato in Thailandia a sfondo sessuale e razzista (sfortunatamente la Thailandia è anche la Patria del proprietario del club). I tre verranno espulsi dalla squadra con effetto immediato, e stessa sorte toccherà a Pearson due settimane dopo. La dirigenza motiverà la decisione con una “differenza di prospettive”.

Claudio Ranieri salva la squadra

Il 13 luglio viene ingaggiato Claudio Ranieri, un scelta che suona così conservatrice da sembrare persino triste. Gary Lineker, uno dei pochi grandi giocatori ad aver vestito la maglia del Leicester, la definisce una scelta “poco ispirata”.

Ranieri viene da un’esperienza fallimentare come ct della Grecia, dove il presidente della federazione lo aveva definito “la scelta più infelice della storia”, e in Inghilterra ha una reputazione poco brillante, da allenatore antiquato e debole, ben riassunta dal soprannome “Tinkerman”. Redknapp si chiede «come possa un allenatore che ha perso il proprio posto nell’ignominia rientrare così facilmente in Premier League». Ranieri si difende con il profilo basso che gli appartiene: «Capisco ma il mio problema non sono né Lineker né Redknapp, devo concentrarmi sul Leicester».

Quando viene presentato, seduto su una sedia accanto al giovane proprietario in piedi, appare però ancora più anziano di quello che è. Sotto un’altra foto i commenti degli italiani sono impietosi.

Dal calciomercato arrivano Fuchs, Okazaki e Kanté: che in sostanza lasciano immutata la qualità di una squadra per cui Ranieri appare il traghettatore perfetto per la retrocessione, e che sul Guardiandanno per certa 9 esperti su 11.

L’aria inoffensiva di Ranieri (anziano non ancora saggio a questo punto della storia), la sua cattiva reputazione, la sfiga che lo ha accompagnato anche nei capitoli più felici della sua carriera, lo rendono l’allenatore ideale di una squadra underdog. Per citare TV Tropes, il gruppo di giocatori del Leicester appare come il classico “Ragtag bunch of misfits”, ovvero il gruppo di eroi sgangherati: con poche qualità apparenti ma con un grande cuore. E in ogni caso il meglio che si potesse assemblare con tutte le difficili condizioni economiche di partenza (altro motivo). Alla loro guida non può che esserci un Supercoach: «un allenatore che non si limita a portare la sua squadra alla vittoria, ma salva anche la scuola».

In poche parole, si sono costruite le premesse ideali per il plot narrativo che TV Tropes definisce “Miracle Rally”, ovvero la stagione miracolosa.

Il sistema degli eroi

Riyad Mahrez

Il trickster, colui che vince grazie all’astuzia e a una destrezza che non hanno a che fare con la forza pura. Il suo talento è rimasto nascosto fino ai 24 anni, per poi rivelarsi in modo clamoroso e inaspettato. Quella underdog è in fondo una storia di Davide contro Golia, e Mahrez è il Davide “fragile ma pieno di skills”. È tecnico e geniale, i suoi dribbling trasformano istantaneamente le sue azioni in un film slapstick in cui gli avversari cadono per terra goffamente.

Equivalente narrativo: Legolas, Ulisse, Syrio Forell, MacGyver.

Jamie Vardy

Con un passato da operaio e con un breve periodo trascorso agli arresti domiciliari, Vardy è il duro dal cuore d’oro. Virile ma pazzo, come per Mahrez il suo talento è rimasto nascosto al grande palcoscenico fino alla tarda età. È veloce, forte e il suo fisico somiglia a un unico e incontrollabile fascio di muscoli. Risponde anche all’archetipo del bomber che tira bombe di fuoco che spaccano le porte.

Equivalente narrativo: Mark Lenders, Rambo, la maggior parte dei personaggi interpretati di Robert Carlyle.

N’Golo Kanté

Basso ed esile, Kanté ha sopperito all’assenza di particolari qualità tecniche attraverso un’applicazione e uno spirito del lavoro che lo rendono il buono, il giusto, il generoso della compagnia. La sua devozione alla causa è senza fondo, Ranieri dice di lui: “un giorno ti vedrò crossare e andare a concludere di testa il tuo stesso cross”.

Equivalente narrativo: Bilbo Baggins, Krillin.

Danny Drinkwater

Proveniente dalle giovanili del Manchester UTD, è un esiliato dell’aristocrazia calcistica a causa della sua tremenda “uncoolness”. Il suo nobile lignaggio tecnico lo rende però superiore e meno raffazzonato dei suoi compagni di squadra. Per questo gioca in cabina di regia, dove dirige il gioco e guida i compagni più ingenui attraverso una sapienza di ascendenza nobile.

Equivalente narrativo: Sam Tarly.

Christian Fuchs

Lento, poco fisico ma dalla buona tecnica, gioca prevalentemente per le sue doti umane e comunicative. Tutti lo considerano una figura chiave dello spogliatoio: parla e scherza con tutti, è un leader ombra. Segni particolari: Ranieri è stato alla sua festa di compleanno.

Equivalente narrativo: Tyrion Lannister, Matt Dellavedova.

Wesley Morgan

Gigante buono della difesa, saggio di una saggezza esotica, Wesley Morgan è il capitano, e per questo forse dimostra più anni di quelli che ha (32). Ricalca per molti versi il carattere del “Big Guy”. La sua estrema lentezza non dovrebbe permettergli di giocare a calcio a questi livelli ma il suo cuore, grande come il suo torace, gli permette di superare i suoi limiti fisici. È con il suo cuore grande che sbroglia partite complicate attraverso estemporanee zingarate in area di rigore.

Equivalente narrativo: Pumbaa, Chewbacca.

Più improbabile che Bono diventi Papa

Ecco una lista parziale di eventi che i bookmakers hanno ritenuto in qualche modo più probabili della vittoria in campionato del Leicester, quotato 1-5000:

- Upset di Buster Douglas su Mike Tyson 1-42

- Miracle Mets del 1969: 1-100

- Bono diventa Papa dopo Benedetto XVI: 1-1000

- Stati Uniti che battono la Russia a Hockey nelle Olimpiadi del 1980 (storia che ha ispirato il film “Miracle on ice”): 1-1000

8 agosto: showdown

Nella fiaba c’è sempre un momento in cui l’eroe deve dare prova delle sue qualità. L’esordio contro il Sunderland si trasforma quindi nel momento dimostrativo del talento di Mahrez e Vardy, fino a quel momento chiuso nello sgabuzzino del calcio mondiale.

Il repertorio mostrato nella prima partita è il lo spin-off di quello che sarà lungo tutta la stagione. Su un calcio di punizione, Vardy spizza la palla in elevazione generando una traiettoria impossibile che ricade sul secondo palo.

Mahrez, dopo aver segnato il 2 a 0, sempre dopo un calcio di punizione, si guadagna e realizza il rigore del tre a zero. Poi continua a lanciarsi in dribbling estenuanti pattinando verso la porta avversaria a una velocità senza senso.

Vardy da parte sua va vicino al gol prima con un mattone da fuori, e poi con una rovesciata in area.

I due confezionano una serie infinita di azioni di coppia. Nessuno li conosce così forti, tutti li sottovalutano: è il momento in cui guardiamo le loro azioni attraverso gli occhi stupiti di comparse che si chiedono “e questi chi diavolo sono?!”.

Nel post-partita Ranieri dice la prima di quella che sarà una serie infinita di frasi simpatiche, che in quel momento erano però ancora più ridicole che simpatiche: «ho detto ai giocatori “quando andate in campo e sentite la canzone Fire dei Kasabian, vuol dire che dovete essere dei guerrieri”. Voglio che i tifosi vedano i miei giocatori come dei guerrieri». Di questa partita si segnala anche la copertina estremamente deprimente del match programme del Leicester.

La prova morale

Qualche giorno dopo la partita esce fuori un nuovo scandalo, sulla falsa riga di quelli che causarono il licenziamento di Pearson. Esce fuori un video estivo di Jamie Vardy che si lascia andare a insulti razzisti in un casinò. Aleggia lo spettro del licenziamento ma la situazione si ricompone sotto il vessillo del bene superiore: «ho commesso un errore tremendo che non commetterò mai più» dice Vardy, «La situazione è ok, Jamie si è scusato con tutti, è stato un errore». Ranieri spezza la catena dell’odio usando l’arma del perdono. Dopo la prova di forza tecnica, gli eroi si dimostrano all’altezza anche dal punto di vista morale.

Vardy sarà regolarmente in campo nella vittoria 2 a 1 contro il West Ham alla seconda giornata, fornendo anche due assist magnifici, per Okazaki e Mahrez, entrambi su ripartenze. Alla fine del video di highlights sentiamo il telecronista dire: «Il West Ham cade con quella che a questo punto è la vera sorpresa della Premier League: il Leicester».

Seconda frase strana di Ranieri: «Ho coperto di ghiaccio la testa dei miei giocatori. Dobbiamo mantenere un profilo basso ».

22 agosto

Nei primi due mesi il Leicester è in sostanza una squadra folle, diametralmente opposta a quella che ha chiuso la Premier League vincendo sempre per uno a zero. Tra agosto e ottobre segna e subisce una quantità assurda di gol. Per esempio il 13 settembre finisce addirittura sotto di due reti, in casa, contro quello che sarà ricordato come uno dei peggiori Aston Villa della storia. I tre gol di rimonta arrivano tutti nei venti minuti finali. Dopo la rete del 2 a 2 fa impressione, oggi, guardare Vardy esultare perdendo tempo, senza andare a riprendere palla, come per un risultato che può essere soddisfacente, in casa contro quella che sarà l’ultima in classifica.

Il gol che completa la rimonta lo segna addirittura Nathan Dyer, 1,65, di testa: il primo segno dell’allineamento cosmico che si sarebbe apparecchiato. L’assist è ancora di Mahrez che il telecronista definisce “The architect”, o ancora: “Always Mahrez, he’s the one”. Ranieri a fine partita dice che alla squadra mancano 29 punti per salvarsi.

Quel periodo folle ha il suo apice nella sconfitta casalinga per 5 a 2 contro l’Arsenal, la prima stagionale. Una sconfitta che si rivelerà fondamentale per la stagione del Leicester.

Il Leicester stava traendo vantaggio dalla condizione di forma monstre di Vardy e Mahrez, ma non aveva ancora trovato la solidità difensiva che avrebbe poi massimizzato i vantaggi dell’avere dalla propria parte due fenomeni, in grado di inventare un gol anche nei contesti più compromessi. Contro l’Arsenal il Leicester ha subito 27 tiri e sul Guardian il suo stile di gioco viene definito “Whoosh”, ovvero: offensivamente veloce, improvviso, efficiente. Bisognerebbe però aggiungere anche: non ranieresco, e infatti il tecnico, già nella partita dopo contro il Norwich, opera i piccoli aggiustamenti che incastreranno tutti i tasselli al loro posto fino a fine stagione, e che renderanno il Leicester una squadra “coriacea”.

A sinistra la formazione contro l’Arsenal, a destra quella contro il Norwich.

Simpson gioca esterno basso a destra al posto di De Laet; Schlupp viene avanzato sulla linea dei centrocampisti, in questo modo fa posto all’inserimento di Fuchs e al contempo fornisce un’alternativa offensiva in più a Ranieri. È l’assetto definitivo. «Dopo la sconfitta con l’Arsenal Ranieri mi ha detto che mi avrebbe messo a centrocampo. Sono a mio agio in qualunque zona a sinistra, quindi ho iniziato a imparare seguendo le sue indicazioni» ha dichiarato Schlupp.

Pizza Time

«Siete secondi in Premier League ma non siete mai riusciti a mantenere la porta inviolata», «ho detto ai miei giocatori che gli pago la pizza se non subiscono gol, ma evidentemente non vogliono la pizza». È un altro passaggio classico da fiaba: qualcuno (un Destinante) mette gli eroi di fronte a una prova e gli promette una sanzione positiva in caso di superamento. È l’equivalente del patto: se hai il cuore abbastanza puro riuscirai a estrarre la spada dalla roccia, se avrai la spada nella roccia potrai regnare sull’Inghilterra. Più o meno.

In un’epoca di grandi comunicatori, di figure forti, di strategie comunicative molto elaborate, la promessa di Ranieri ha dei contorni “casarecci”. Somiglia alla promessa di un nonno ai nipotini: «se avrete bei voti vi pagherò un gelato».

D’altronde la figura del nonno buono e permissivo è quella che Ranieri si cucirà addosso lungo tutta la stagione. Le sue conferenze stampa diventano dei piccoli momenti familiari: Ranieri seduto di fronte ai giornalisti come un nonno in poltrona davanti a tanti nipoti curiosi. Ranieri che ride, che fa auto-ironia, che si sforza di mostrarsi felice ma sobrio di fronte al successo, troppo anziano e saggio per lasciarsi coinvolgere dalle euforie materiali, troppo vicino alla morte, troppo esperto di infelicità, per non giudicare piacevoli ma temporanei i successi della vita terrena.

Ranieri a ogni conferenza concede ai giornalisti sempre qualche aneddoto o battuta curiose e simpatiche. Mai qualcosa di davvero divertente, piuttosto qualcosa che fa sorridere, piacevole perché detto da un nonno carino e affabile, a cui si vuole bene.

Come sappiamo “i buoni vincono sempre”, e una promessa messa in termini moralmente così giusti e pacati non può che avverarsi: il Leicester vince uno a zero contro il Crystal Palace e tiene la porta inviolata. Ranieri mantiene la promessa e porta i suoi giocatori in una pizzeria italiana di Leicester. L’episodio diventa uno dei più citati e rappresentativi della “favola Leicester”. Ranieri trasforma il momento di celebrazione in un’occasione per cementare lo spirito di gruppo: così costringe i giocatori a farsi la pizza da soli. Ranieri però è buono, non severo, quindi lascia fare quando i giocatori iniziano a tirarsi l’impasto della pizza contro.

Dopo il discorso di Ranieri il Leicester ingrana fino a infilare quattro vittorie consecutive in campionato. È quella parte delle storie underdog in cui vediamo una sequenza con montaggio accelerato, con la musica punk-rock in sottofondo, e gli eroi che iniziano a segnare, darsi il cinque e a funzionare come una macchina inarrestabile. Tv Tropes definisce questo passaggio “Misftit Mobilization Moment”, quello in cui un gruppo di atleti mediocri si trasforma in un meccanismo diabolico senza apparenti punti deboli.

Iniziare a credere al miracolo

Il 27 novembre il Leicester pareggia contro il Manchester United in casa, Vardy eguaglia il record di van Nistelrooy di 11 gol segnati consecutivamente in 11 giornate. A dicembre però deve giocare contro Chelsea, Liverpool e Manchester City e in molti mettono la scadenza della favola a fine anno. Il Leicester deve dimostrare che il suo non è stato solo un avvio di stagione al di là delle aspettative, ma il prologo di una stagione miracolosa.

La prima prova arriva contro il Chelsea di Mourinho, storicamente considerabile come il nemico giurato di Ranieri, non solo per le ruggini accumulate nelle stagioni italiane, ma anche per l’approccio comunicativo del tutto opposto. Diretto, duro, provocatorio quello di Mourinho; mellifluo, moderato, accomodante quello di Ranieri. Il Chelsea è peraltro la squadra che, con l’arrivo di Abramovich, ha inaugurato la nuova era di ricchezza della Premier League e sembra davvero il cattivo perfetto per la squadra che invece vuole dimostrare di poter vincere anche senza investimenti così massicci.

Il Leicester va in vantaggio con un gol di Vardy, che taglia sul primo palo sul solito cross a rientrare di Mahrez. I due sono riusciti a segnare attaccando in due la difesa del Chelsea schierata, una capacità di creare pericoli in inferiorità numerica che sarà una costante della stagione del Leicester. All’inizio del secondo tempo Mahrez raddoppia: Albrighton lancia una palla in area che si alza molto in alto, è stupendo il modo in cui Mahrez accorcia il passo calcolando il rimbalzo del pallone, come se stesse caricando il tiro in porta. L’algerino la controlla col destro, fa qualche finta su Azpilicueta, e tira sul secondo palo.

Dopo la partita Ranieri organizza un altro “pizza-party”, Lineker twitta che se il Leicester vincesse lui potrebbe condurre la sua trasmissione in mutande; esce un remake di Bittersweet Simphony con Ranieri al posto di Richard Aschcroft. Il Daily Mailpubblica un articolo intitolato “Quanto ci eravamo sbagliati sul Leicester!”. Mourinho, il nemico, viene esonerato.

Con la vittoria 3 a 2 in casa dell’Everton si inizia parlare di fuga, Ranieri viene eletto “allenatore del mese” e definisce il Leicester “la mia scultura più bella”. Poi arrivano una sconfitta contro il Liverpool di Klopp e un pareggio in casa contro il Manchester City, ma la squadra rimane in testa. È il momento in cui tutti hanno preso il metro in mano e stanno misurando le ambizioni del Leicester, chiedendosi se vogliono vincere davvero.

Leicester Mania

Il primo pezzo strappa lacrime esce sul Telegraph, un reportage con all’interno l’intervista alla storica lavandaia del club: «Claudio entra e mi dice ‘Ciao!’ e mi riporta sempre la cioccolata dall’Italia». Mentre il cuoco dice: «Quando Claudio è arrivato avevo paura che proibisse i dessert, e invece ha lasciato tutto come prima!». In Italia ovviamente la vicenda inizia a essere seguita con un patriottismo che ha pochi precedenti.

In un’intervista al Corriere della Sera, Ranieri confessa che uno dei suoi segreti è parlare poco di tattica: «Quando ho parlato con i giocatori ho capito che avevano paura del tatticismo italiano. Il calcio di un tecnico italiano vuol dire questo, tattica, cercare di impossessarsi della partita seguendo gli schemi e le idee dell’allenatore. Parlare tanto di calcio. Non mi sembravano convinti, nemmeno io lo ero. Ho molta ammirazione per chi costruisce moduli di gioco nuovi, ma ho sempre pensato che prima di tutto un buon tecnico debba impostare la squadra sulle caratteristiche dei suoi giocatori. Dissi che mi fidavo di loro, che avrei parlato pochissimo di tattica. Per me l’importante era corressero tanto come li avevo visti correre nel finale della stagione».

Ranieri non si presenta quindi come un allenatore-filosofo, che fa dipendere i propri successi dalla forza di concetti complessi: il calcio, nelle sue parole, è un gioco semplice, l’allenatore deve creare con una mano morbida una struttura leggera all’interno della quale i giocatori possano sentirsi liberi di esprimersi. È un’idea forte quella che per primeggiare nel campionato più ricco al mondo non servano idee profonde e originali, ma basti in fondo ripetere una ricetta antica e semplice: difendere bene, correre molto, dare tutto alla causa, giocare per i compagni. Jonathan Wilson ha definito lo stile dell’ultimo Ranieri con l’espressione “to do nothing coach”.

Le sue idee sull’aspetto atletico seguono la stessa linea elementare: «La mia idea è che prima di tutto i giocatori abbiano bisogno di recuperare, poi di allenarsi. (…) Ho un giocatore che viene ogni mattina da Manchester, uno arriva da Londra. Non sarebbe pensabile in Italia, ma nemmeno in Inghilterra. A Leicester si fa perché il gruppo se lo può permettere. È il risultato di cui sono più orgoglioso. A volte siamo a tavola e mi spavento per quanto mangiano, mai visto giocatori così affamati. Le prime volte mi sorprendevo, poi ho imparato a sorridere. Se corrono così tanto, mangino quello che vogliono».

Vardy e Mahrez sono allora gli interpreti perfetti di questa idea di calcio. Vardy, che Ranieri definisce “un cavallo”, si esalta correndo a testa bassa in campo aperto. Il suo è un calcio contrasta-scatta-tira; Mahrez è invece lasciato libero di catalizzare quasi completamente il gioco offensivo della squadra, di dribblare il diretto marcatore quante volte vuole. Un modo di pensare che accorcia la distanza tra Leicester e tifosi, che lo percepiscono come una squadra vicina, diversa dai superclub del calcio professionistico che orbitano nell'iperuranio intangibile. Bisogna dire che questo è vero solo in parte, il Leicester ha una struttura organizzativa moderna e articolata: dispone di una squadra di analisti tattici di primo livello, un osservatore di grande fama come Steve Walsh, un analista statistico visionario come Paul Balsom (che lavora anche con la Nazionale svedese) e delle strutture di recupero fisico all’avanguardia. Dave Rennie, il fisioterapista del club, fa largo uso della crioterapia, un metodo usato ormai un po’ ovunque, ma pochi club dispongono di camere ghiacciate per il recupero all’interno del centro tecnico.

Eppure il Leicester sembra una banda di amici, Vardy e Mahrez vanno a ballare ubriachi sotto casa di Ranieri: non sembrano neanche dei professionisti (una notizia poi rivelatasi falsa, ma che dà l'idea dell'immaginario a cui appartengono). È proprio l’idea della semplicità che fa combaciare il Leicester nel plot del miracolo sportivo, di cui richiama diversi motivi indicati da TV Tropes: quello dello “Spirito di gruppo”, del “Salva la nostra squadra” e dell’ “Allenamento improvvisato” (vedi anche alla voce “Ulloa e Okazaki che fanno wrestling”).

Le tre partite chiave

Tottenham – Leicester, 13 gennaio

Il Tottenham, dopo un avvio di stagione lento, è in grande crescita. La partita arriva tra l’andata e il ritorno della sfida di FA Cup tra le due squadre; all’andata il Leicester ha costretto il Tottenham al replay sul suo campo con un 2 a 2, ma al ritorno ha ceduto per 0 a 2 in casa. Il Leicester gioca dopo l’Arsenal primo, con la pressione di dover giocare tre punti sotto, in casa di un avversario complicato.

La partita è quella che aprirà l’ultima fase del Leicester: quella in cui si difende molto basso e non subisce gol a costo di innalzare un campo magnetico davanti alla porta di Schmeichel.

Il Tottenham ha il 57% del possesso e tira 21 volte verso la porta (contro le 10 del Leicester). A otto minuti dalla fine arriva come una sentenza il gol di testa di Robert Huth, altro fattore pesantissimo di questa stagione. Il Leicester riaggancia l’Arsenal in testa, dopo la partita viene fatta la solita domanda a Ranieri, quella se crede nello scudetto; lui dice che nella prima parte della stagione hanno fatto 39 punti e gliene servono 40 per salvarsi. Dopo la vittoria in realtà ne avevano 43 però, il giornalista glielo fa notare e Claudio si impiccia con i numeri. Incalzato sulle possibilità di titolo infine risponde: “rido!”.

Leicester – Liverpool, 2 febbraio

In uscita da un calcio d’angolo Mahrez lancia lungo verso Vardy con quello che a golf sarebbe un colpo d’approccio verso il green. La palla rimbalza sulla trequarti destra, Vardy è solo contro un difensore, il telecronista dice: «una possibilità per Vardy di correre» ma mentre lo dice Vardy lascia scivolare il rimbalzo sul suo destro e tira di collo pieno la più classica delle bombe spacca-porta.

Poco dopo Okazaki prova un tiro improbabile da venticinque metri, ma scivola e la traiettoria sbilenca che ne esce si trasforma in un laser pass per Vardy, che conclude di sinistro sotto l’incrocio.

Quando un attaccante semi-sconosciuto segna il 17esimo e il 18esimo gol stagionale in quel modo, in una partita decisiva, si può davvero continuare a credere che non esistano delle forze sovrannaturali a muovere questo mondo? Che non siamo solo delle pedine in mano a un’entità superiore che ha progetti e piani che noi umani non conosciamo? Che in questo piani c’entri qualcosa il Leicester in un modo a noi ancora non del tutto comprensibile?

Alcuni danno a questo spirito superiore un nome preciso: Re Riccardo III, i cui resti sono stati ritrovati a Leicester nel 2012 durante la costruzione di un parcheggio e poi sepolti nella cattedrale di Leicester a marzo 2015. Da quel momento la squadra ha iniziato a volare, alzando la propria percentuale di vittorie dal 32% al 62% (?!). Il dato ha giustamente fatto chiedere alla BBC se lo spirito di Riccardo III non si sia direttamente reincarnato nel corpo di Claudio Ranieri.

Manchester City – Leicester, 6 febbraio

Pochi giorni dopo il Leicester va a Manchester per giocare quella che tutti considerano la sfida decisiva per la Premier. Le “Foxes” sono avanti di tre punti, nonostante i valori delle rispettive rose a inizio stagione segnavano questo squilibrio: 234 milioni quella del City, 23 milioni quella del Leicester. È la prova finale e il Leicester la vince imponendo una supremazia così netta e perfetta da togliere qualsiasi dubbio sulle loro possibilità di titolo. Segnano Huth e Morgan di testa (siamo entrati nella fase della stagione in cui su calcio d’angolo sono diventati immarcabili), e Mahrez sugli sviluppi di un contropiede , pattinando al solito verso la porta senza che nessuno riesca a fermarlo, come un giocatore “buggato” di Fifa. Ormai il Leicester appare come una squadra che si allena davvero da sola, che ha trovato un modo semplice ed esatto per vincere le partite.

Il calendario di gare successive è abbordabile. L’unico modo in cui a quel punto il Leicester può perdere il campionato è sciogliersi psicologicamente davanti al traguardo. Cosa che alcuni ritengono probabile, secondo l’idea per cui la capacità di vincere rappresenta una qualità innata, un pezzo del corredo genetico, qualcosa che le grandi squadre hanno imparato attraverso decenni di tradizione: ci sono squadre che sanno vincere e squadre che nonsanno vincere. Il Leicester a due mesi dalla fine del campionato, in testa alla classifica, ha l’aria di un plebeo ritrovatosi su un cavallo con indosso un tweed rosso, costretto a guidare una caccia alla volpe di cui non conosce le regole.

No pasaran

Il Leicester è andato in vantaggio 15 volte nel totale di 22 vittorie stagionali. Questo è causato probabilmente dalla concentrazione con cui le “Foxes” hanno approcciato le partite, gestendo con sapienza scientifica i momenti in cui colpire e quelli in cui soffrire, bilanciando le energie opposte del mondo con saggezza zen. Ma c’entra anche la maledizione che Kasper Schmeichel ha tirato sulla propria porta: ecco una raccolta di palle che non sono volute entrare nella porta del Leicester. La maggior parte fanno riferimento al mese di marzo, quello in cui il Leicester ha vinto quattro partite consecutive per 1 a 0.

“L’uomo dell’ultimo minuto”

Il finale di stagione è trionfale ma intricato e prevede l’ingresso di uno dei personaggi fino a quel momento secondari. Dopo la vittoria con il City, il Leicester perde la trasferta all’Emirates contro l’Arsenal, una partita in cui le “Foxes” erano in vantaggio finché sono restate in parità numerica. Poi, dopo l’espulsione di Simpson, hanno subito la rimonta.

Nella partita successiva, contro il Norwich, il Leicester non riesce a sbloccare la partita, fino a quando, a due minuti dalla fine, Albrighton crossa rasoterra una palla spinta in porta da Leonardo Ulloa.

Ulloa è un attaccante trentenne nato in Patagonia, nella provincia del Rio Negro. Quando era ragazzo era costretto a fare anche centinaia di kilometri in pullman per seguire le trasferte con la sua squadra. È arrivato al Leicester all’inizio della scorsa stagione per 8 milioni e i tifosi gli hanno dedicato un coro che fa così:

“Oh il suo nome è Leonardo,

maglia numero 23 del Leicester.

Sì, è costato una cazzo di fortuna

Ma segna quindi per me va bene così”.

In realtà Ulloa non è così prolifico, ma i suoi gol lo scorso anno sono stati importanti per la salvezza del Leicester, “quindi va bene così”. Ulloa quest’anno ha fatto la riserva di Vardy e si è fatto notare per lo più per il suo contributo difensivo in fase di pressing. Prima della partita con il Norwich aveva segnato appena due gol, ma è un feticcio dei tifosi e il plot del finale di stagione lo vede sempre più protagonista.

Il suo momento arriva a poche giornate dalla fine, in una partita complicata contro il West Ham, uno degli avversari più in forma della Premier League. Dopo aver segnato il gol del vantaggio, Jamie Vardy rimedia la seconda ammonizione per simulazione, in un’azione che include anche un cameo di Angelo Ogbonna.

Da quel momento il West Ham raddrizza la partita: segna prima il gol del pareggio e a pochi minuti dalla fine fa il 2 a 1. È l’onnipresente situazione “le cose si fanno pericolose”: gli eroi sono in un angolo, stretti nella morsa di un nemico che sta per sferrare il colpo finale. «La situazione richiede eroismo, e sfortunatamente per i nostri eroi, nei dintorni ci sono solo personaggi comici, secondari o buffi», o Ulloa - ribattezzato da quel momento con il soprannome fatale: “l’uomo dell’ultimo minuto” - che entra nel finale e segna il rigore del definitivo 2 a 2, facendo esplodere infiniti stereotipi narrativi: “mettimi dentro, coach”, “gli underdog non perdono mai”, “fino all’ultima giocata”.

Ulloa segnerà ancora, nel 4 a 0 rifilato allo Swansea che trasforma le ultime giornate nell’attesa dell’epilogo scontato, l’ultimo dettaglio che si aggiusta nel mosaico cosmico: il primo gol casalingo di Hazard in Premier League, trattenuto per 36 giornate con sapienza scenica, fino al momento in cui quel gol è riuscito a contare qualcosa.

Produci, consuma, crepa

E ora? Che fine faranno i nostri eroi? Saranno costretti a vivere nel riflesso di quest’avventura fino alla loro morte come il cast di ogni saga di culto? Resteranno uniti o siamo in quel punto in cui le loro strade si dividono, e li vediamo incamminarsi ad abbracciare il loro destino accompagnati da una musica solenne e riconciliante?

Riyad Mahrez verrà ceduto al Real Madrid per 50 milioni di euro. Durante il primo anno la sua incompatibilità umana con Cristiano Ronaldo gli causerà diversi problemi, fino al punto in cui ad andarsene sarà il fenomeno portoghese. Ryiad rimarrà alla “Casa Blanca” a vincere trofei. Nel 2017 vincerà la Coppa d’Africa con l’Algeria.

Jamie Vardy salterà l’Europeo a causa di un “infinito, orrendo, hangover”. Resterà al Leicester per i primi mesi della prossima stagione ma giocherà poco e male. Molti inizieranno a dire che “il ragazzo si sta perdendo”, altri sospettano problemi di alcolismo, i più concorderanno nel dire che tutto questo ha a che fare con le sue origini umili, con la sua infanzia povera (i comunisti ci aggiungeranno la variante della fabbrica).

Wesley Morgan farà un’ultima stagione da assoluto, incontrastato leader mondiale dei “big guy”. Si ritirerà a 33 anni e nella sua partita d’addio saranno presenti Denzel Washington, Spike Lee e Alborosie. Aprirà un chiosco di Mojito nei pressi di Kingston.

Robert Huth resterà al Leicester fino a fine carriera. Nei prossimi anni farà qualche comparsa nelle serie poliziesche tedesche, interpretando la parte del duro silenzioso.

N’golo Kanté vincerà gli Europei con la Francia e andrà al PSG per 40 milioni di euro. Sarà l’unico a non rilasciare mai più un’intervista.

Christian Fuchs aprirà una catena di ristoranti in Austria.

Quando la stampa li intervisterà, mesi, anni, decenni dopo, tutti proveranno a raccontare davvero cosa è stata la favola del Leicester, cos’era lo spirito e la forza invisibile che li teneva uniti, più forti di ogni ostacolo. Nessuno però riuscirà a spiegare completamente che cosa è stato davvero il miracolo Leicester, nessuno riuscirà a restituire all’esterno una gioia custodita nel punto più nascosto del loro cuore.

Sarebbe un discreto finale per lo sceneggiatore del prossimo film sul Leicester. La realtà è che la pellicola riuscirà a intercettare solo una minima percentuale dell’interesse che il Leicester ha suscitato quest’anno. La copertura mediatica intensiva che ne è stata fatta negli ultimi mesi ha finito per spolpare il racconto della maggior parte della sua aura magica originaria. Abbiamo divorato la favola Leicester finché non è rimasto solo lo scheletro di motivi e stereotipi che ho provato a elencare. Finché non ha finito tutto per suonare stanco e retorico.

E probabilmente uno dei motivi più profondi di questo interesse morboso ha a che fare con l’assoluta irripetibilità della favola Leicester. L’incastro della serie di fattori che l’ha generata è davvero unico, magico e irripetibile. Un’unicità e un’irripetibilità propria dei più riusciti beni del capitalismo e di una società fondata sul concetto dell’obsolescenza programmata. Allora è bene scrivere e leggere del Leicester fino a cavarne l’ultima goccia di potenzialità narrativa, fino a che non ne saremo stanchi e la getteremo via.

Il calcio professionistico, da parte sua, non dovrà imparare nulla dal Leicester, che rimarrà l’eccezione su cui si fonda la regola: investimenti, programmazione, potenza economica, complessità tattica, competenze specializzate. Poche squadre continueranno a imporre la propria incontrastata oligarchia, almeno fino al prossimo miracolo, tra un centinaio di anni. In questo senso, la “favola” del Leicester non fa che confermare e assecondare le nostre esigenze di consumo, non richiede una vera riflessione, non mette in pericolo nessun potere, reale o simbolico. Il Leicester ci consola del fatto che viviamo in un mondo in cui gli underdog, in realtà, non vincono i campionati.

Del resto le storie dei miracoli sportivi servono a questo: ci riconciliano col mondo, a patto che la loro rarità ne conservi la magia.

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