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Il gol dell'anno: Radja Nainggolan vs SPAL
18 ago 2020
18 ago 2020
Un tiro perfetto che ci dice molto anche sul calciatore.
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Sono cresciuto giocando davanti alla difesa e ancora oggi su calcio d’angolo mi metto qualche metro fuori dall’area di rigore in attesa di una respinta. Quando la difesa respinge un pallone nella mia direzione il tempo rallenta mentre carico il tiro. In poche frazioni di secondo, mentre la palla rimbalza e si congela sospesa a qualche metro da me, penso a come vorrei colpirla, anticipo non solo la sensazione che dovrei provare se colpissi la palla di collo pieno. Riesco anche a visualizzare dove vorrei che finisse, sotto quale incrocio, cioè, e nelle mie orecchie risuona già il rumore che fa una palla quando colpisce violentemente la rete. Perché in tutti questi anni, diciamo più di trenta, qualche volta mi è capitato di colpirla bene. Poche cose nella vita mi hanno dato la soddisfazione, la pienezza, la sazietà, di colpire un pallone al volo da lontano e vederlo viaggiare verso la porta avversaria. Se Marcel Proust fosse nato un secolo dopo, e fosse cresciuto come me, la

si svolgerebbe nei pochi secondi che dura un tiro da fuori.

 

Ma il tiro perfetto da fuori è raro e la pienezza che l’accompagna è una sensazione effimera. La maggior parte delle volte prendo la palla male. La sbuccio, la sparo al campo vicino, a volte mi faccio persino male alla caviglia prendendola troppo in punta. E ogni volta mi pare che quel tiro stia dicendo qualcosa su di me, sulla mia vita. Un giudizio e al tempo stesso una premonizione. Mi dice quanto valgo e quanto sono amato dal destino, dalla fortuna.

 


Il gol dell’anno, ebbene sì.


 

Il fatto che il tiro di Nainggolan contro la SPAL sia stato votato prima dalla redazione (nei quattro finalisti) poi dai lettori dell’Ultimo Uomo (come vincitore assoluto) come gol dell’anno, invece, ci dice di quanto è amato dal pubblico italiano. Ci dice anche quanto vale? Che importa ormai, Radja ha 32 anni e per sua stessa ammissione non ha mai pensato di avere una carriera longeva (anche se pare che durante il lockdown abbia cambiato idea e adesso voglia giocare

). Il che, in ogni caso, non significa che la prossima stagione non possa essere una grande stagione per lui, al Cagliari, all’Inter, o dove porterà il suo talento e il suo stile.

 

Quello contro la SPAL è stato il suo primo gol lo scorso anno, ne ha segnati altri 5 e sono tutti tiri da fuori, tra cui un altro stupendo contro la Fiorentina (partita pazza, finita 5-2, in cui prima del gol Nainggolan

). Un’arte sempre più in disuso perché difficile, statisticamente sconveniente, di cui Nainggolan è un maestro dal 2010.

 

Questo qui sotto, ad esempio, è il suo primo gol con la maglia – sempre la numero 4 – del Cagliari:

 



 

Ma probabilmente Nainggolan tira mine da fuori area dal 2008, quando ha fatto i primi gol col Piacenza, perché questa è un’arte dei campi minori, di quei campi in cui il pubblico grida “Tiraaaaaaa” ogni volta che un centrocampista ha la palla tra i piedi e ha superato la linea di metà campo, così forte e in uno stadio così vuoto che ti entra nelle orecchie e anche quando sei in Serie A e ti viene incontro una palla rimbalzando sulla trequarti tu pensi: “Tiraaaaaaa”.

 

Quando lo abbiamo descritto

abbiamo paragonato la traiettoria del tiro di Nainggolan contro la SPAL a «una riga di Mondrian» che viaggia dritta all’incrocio dei pali. Riguardandolo oggi la cosa che trovo più interessante in questo gol è il controllo di petto. Radja non si limita a mettere giù la palla ma le dà una piccola spinta, staccando i piedi da terra, per farla cadere proprio davanti al piede destro.

 

Tutto quello che succede dopo non sembra appartenergli. Nainggolan lo guarda come fosse noi, reagendo con stupore, agitando la mano come se avesse toccato qualcosa di troppo caldo, che nel linguaggio dei gesti italiani significa “mamma mia”. La palla in realtà non segue una linea totalmente dritta, curva verso l’esterno e poi rientra, leggermente, e quando tocca il palo sembra accelerare, e scorre nella rete come una biglia su una curva di sabbia. Il portiere avversario, Berisha, cade come se lo spostamento d’aria della palla gli avesse fatto perdere l’equilibrio, poi ruota su se stesso come se da dentro la rete la palla potesse finire da qualche altra parte. Come se il suo compito fosse semplicemente quello di raccogliere la palla da dentro la porta e non impedire che ci entrasse.

 

Cosa gli sarà passato per la testa in quel momento? Nessuno si chiede mai cosa passa per la testa di Nainggolan, danno tutti per scontato che non succeda niente di interessante tra le pareti del suo cranio, eppure Radja pensa. Quando ha visto la palla, ha detto

, «ci ho pensato… ed è andata meglio di quanto pensavo». Chissà come pensava sarebbe andata. Se ho capito come funziona, se Radja funziona come funziono io, dentro quel tiro ci era finito tutto quello che pensava di se stesso, sul proprio passato e sul proprio futuro.

 

Era un momento difficile per Nainggolan, questo lo sappiamo. La moglie, la madre dei suoi due figli, a neanche quarant’anni, ha dovuto affrontare un tumore. Qualche mese dopo lei dirà di aver passato dei mesi di merda. Qualcosa di quei mesi, di quella merda, faceva parte dei suoi pensieri mentre preparava il tiro come un giocatore al casinò che muove i dadi nella propria mano cercando di far uscire una coppia di 7?

 

Probabilmente sì. Però a fine partita, quando dallo studio televisivo un po’ imbarazzati gli hanno chiesto come si sentisse, lui ha risposto:

 

«Io sono abbastanza felice sempre». E avremmo tutti qualcosa da imparare da Radja Nainggolan, che abbiamo ignorato in tutti questi anni.

 

 

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