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L'Albania non si è accorta del Giro d'Italia
13 mag 2025
Reportage dalle prime tre tappe della corsa rosa.
(articolo)
21 min
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IMAGO / SW Pix
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Le biciclette, a Tirana, non sono molte ma le vedi un po’ ovunque. Sono parcheggiate al fianco dei tavoli del parco Çajupi, non distanti da anziani signori che giocano a dadi tutta la mattina. Muri di abitazioni lontane dal centro più turistico sostengono il peso di tubi d’acciaio di biciclette ultra-centenarie, o forse accade il contrario. All’interno dell’Oda, uno dei locali più chic della zona est della città, c’è una fotografia notevole di un uomo, coricato in spiaggia, che dorme con accanto la propria bicicletta. Dietro di sé ha un bunker, uno degli oltre 200.000 fatti costruire il tutto il paese da Enver Hoxha, e per coricarsi meglio si è tolto scarpe e maglietta. Gli si contano le costole.

La sera prima dell’inizio del Giro d’Italia dall’Albania, a Tirana è prevista l’inaugurazione di una mostra fotografica. Si trova in quella che tutti chiamano “la nuvola”, uno spazio semi-aperto ideato da un artista giapponese. “Esposizione della storia dell’uso della bicicletta nell’Albania del Novecento”, s’intitola. Chi l’ha curata, la bike activist Iden Petraj, rivela che uno degli obiettivi della mostra è «fare luce sulla storia ciclistica dell’Albania, perché esiste, ed è pure molto lunga». Quest’anno, per dire, il Giro d’Albania compie un secolo.

Certamente del Giro d’Albania Filippo Fiorelli – uomo veloce della Bardiani – ricorda l’edizione 2019, perché la vinse. Soprannominato “Freccia Rossa di Ficarazzi” a causa del colore dei capelli e dell’origine palermitana, sei anni dopo Fiorelli torna in Albania per una corsa ben più importante. Al termine di una lunga trattativa tra RCS Sport (la società organizzatrice, di Urbano Cairo) e governo albanese, infatti, il Giro d’Italia 2025 è partito dall’Albania. Questo è il racconto di com’è andata.

Tirana, due giorni prima dell’inizio del Giro d’Italia (foto dell'autore).

LA PARTENZA DA DURAZZO

(È bene inserire già qui una breve parentesi linguistica. L’albanese non è una lingua semplice e, tra le altre cose, presenta due modi per scrivere i toponimi. Per esempio “Tirana” è la forma definita, “Tiranë” quella indefinita. Abbiamo scelto la forma italiana di diverse città – Durazzo e non Durrës – per facilitarne la comprensione ad un pubblico perlopiù italiano).

Nonostante la dislocazione al di fuori della città di parte delle squadre, le operazioni preliminari del Giro 2025 – presentazione squadre, conferenze stampa, eccetera – si sono svolte a Tirana. Per tutti i giorni antecedenti alla partenza della gara, prevista per venerdì 9 maggio, l’hype percepito in città è bassissimo. Si vede a malapena un chiosco rosa con countdown, minuto e in disparte, nell’immensa piazza Scanderbeg (il "Garibaldi albanese", che gli italiani chiamato Giorgio Castriota). Man mano che i giorni di gara si avvicinano, e transenne e pubblicità vengono affisse sullo stradone principale della città, gli abitanti di Tirana sono incappati in questo strano evento di saltimbanco in bicicletta denominato Giro d’Italia. Per la maggior parte, lo hanno evitato.

Il contesto in cui il Giro ha deciso di calarsi è del tutto particolare. Nello stesso weekend, infatti, in Albania si sono tenute elezioni politiche nelle quali si sono palesate malcontento e sfiducia. Gli scrutini non sono ancora terminati, ma Edi Rama, primo ministro ininterrottamente dal 2013, verrà eletto per il quarto mandato consecutivo. Hanno votato molto meno della metà degli aventi diritto e pare che nessuno ne possa più delle stesse facce. Il principale oppositore di Edi Rama, l’ottantunenne Sali Berisha, è anche il predecessore di Rama, nonché una figura politica dalla credibilità ampiamente compromessa da decenni di scandali e controversie.

Secondo alcuni, non è affatto una coincidenza che uno degli eventi sportivi più importanti nella storia d’Albania ed elezioni politiche siano capitate nello stesso weekend. I più critici con Rama lo accusano di due cose: da una parte ha voluto ingraziarsi gli indecisi con la più classica strategia panem et circenses, dall’altra non ha voluto mostrarsi troppo in pubblico o spingere in maniera concreta l’evento, per paura di critiche di sportwashing. Sebbene sia poi apparso al via della cronometro del giorno dopo, si è fatta notare l’assenza di Rama a Durazzo, per il via della prima tappa.

Pochi istanti prima del via ufficiale, a Durazzo (foto dell'autore).

Antichissimo centro fondato dagli Illiri e legato alla regina Teuta, le cui tracce rimangono per esempio nel nome della squadra di calcio locale, il Teuta Durrës, Durazzo accoglie il Giro d’Italia in maniera modesta e pacata. Alcuni disegni a tema ciclistico fatti da bambini delle scuole locali sono esposti a poca distanza dalla zona mista: gran parte degli addetti ai lavori non li nota nemmeno.

Per andare dal parcheggio designato per i media alla zona della partenza, si passa davanti a un monumento grigio difficile da interpretare. Una data campeggia nella parte superiore: 8 agosto 1991. Si riferisce al giorno in cui circa ventimila albanesi salparono da Durazzo in direzione di Bari sulla nave Vlora, uno dei momenti più significativi dell’immigrazione albanese in Italia negli anni Novanta.

Poco prima della partenza dei corridori, un più piccolo plotone di atleti prende il via sulle strade della prima tappa del Giro d’Italia. Si tratta della squadra di Mejdin Malhani, detto Nini, ex bodybuilder e ora principale – se non unico – allevatore di talenti di Tirana. Gli atleti sono tutti vestiti con la maglia della nazionale albanese, anche se alcuni sono kosovari, danesi o colombiani. Nel baule dell’ammiraglia, assieme all’acqua e alle scarpe da passeggio dei corridori, spunta una confezione di Kinder Brioss. Nessuna istituzione sembra vagamente interessata a loro.

Le grandi domande che ci siamo posti per settimane prima dell’inizio della corsa stanno finalmente per trovare risposta. Non è un avvio agevole per chi segue la gara e, dalla partenza, vuole filare dritto all’arrivo. L’autostrada tra Durazzo e Tirana è intasata e ci vogliono quasi un’ora e mezza per coprire circa 30 chilometri. Non certo una rarità, dicono i locali. Se fino agli anni Novanta il mezzo di trasporto preferito dal regime di Enver Hoxha era il treno, oggi la rete ferroviaria e i servizi destinati al trasporto di persone sono sostanzialmente inesistenti. Chi li prenderebbe? Avere la macchina è un tratto fondamentale della società albanese contemporanea: la macchina non dev’essere solo bella e costosa, ma anche sempre pulita – le scritte LAVAZH compaiono ovunque – e in grado di pompare musica a volume stratosferico. Fa tutto parte, sostiene chi vive qui, della cultura “dell’essere visti”, che porta le persone, per esempio, a passare le serate facendo il giro dell’isolato in macchina, tanto per mostrarla. Senza mai scendere.

La tappa si svolge come da copione, fin dalla fuga di Manuele Tarozzi della Bardiani. La Lidl-Trek fa il ritmo per il favorito numero uno, Mads Pedersen. I velocisti più puri, i gregari, chi ha dimenticato a casa le gambe e Thymen Arensman, che non imbrocca mai le prime tappe di un Giro d’Italia e non si sa perché, si staccano. Giulio Ciccone detta il ritmo sulla seconda ascesa verso Surrel – la località in collina sopra Tirana, una specie di Bergamo Alta per Bergamo – e la sua andatura screma ulteriormente il gruppo, tanto che perfino Wout Van Aert perde posizioni.

Alcuni dei protagonisti di questo Giro d’Italia alla conferenza stampa pre-gara. Da sinistra: Carapaz, Bernal, Ayuso, Roglic, Van Aert, Ciccone, Pidcock (foto dell'autore).

Non importa quale Giro d’Italia degli ultimi anni stai guardando, c’è sempre un treno della Lidl-Trek pronto a fare il bello e il cattivo tempo in volata. L’anno scorso era Simone Consonni il pesce pilota di Jonathan Milan, quest’anno c’è Mathias Vacek per Mads Pedersen. Il campione del mondo di Harrogate 2019 diventa la prima maglia rosa nella storia della Danimarca senza che nessuno provi più di tanto a rompere i piani della Lidl-Trek: non ci prova Pidcock in discesa, tantomeno gli uomini di classifica in salita.

La sorpresa è Francesco Busatto. «Sono molto emozionato», aveva confidato il ventiduenne di Bassano del Grappa alla partenza di Durazzo «Sarà il mio primo Giro e, insomma, non so neanch’io cosa aspettarmi. Penso di stare bene, sarebbe già tanta roba se oggi fossi già là davanti, col primo gruppo all’arrivo». Non solo il vincitore della Liegi Under 23 è arrivato col gruppo dei migliori, ha pure fatto quarto in volata e veste la maglia bianca di miglior giovane. Chi segue il ciclismo giovanile lo conosce da anni, per tutti gli altri: ne sentiremo parlare ancora a lungo.

LA CRONOMETRO A TIRANA

Sull’ultima discesa verso il traguardo di Tirana, una caduta ha coinvolto diversi corridori tra cui Geoffrey Bouchard e Mikel Landa. Entrambi costretti al ritiro, saranno due assenze significative: se il primo vinse la maglia azzurra di miglior scalatore al Giro 2021, Landa era forse all’ultima possibilità di tornare sul podio di un Grand Tour. La Soudal Quick-Step ha fatto sapere che per il basco si tratta di frattura ad una vertebra: se non è la fine della carriera di uno dei ciclisti più tragici, incompiuti e sfortunati dell’epoca contemporanea, poco ci manca.

Il possibile fine-carriera di "Landani" è uno dei temi più discussi sabato mattina, in una piazza Scanderbeg temporaneamente trasformata in parcheggio. La zona di partenza della cronometro cittadina, infatti, è nel cuore di Tirana. Avvicinandosi a essa, si sente distintamente il muezzin della moschea di Et’hem Bej richiamare i fedeli alla preghiera. Nonostante fosse parecchio ostacolata dal regime di Enver Hoxha, la religione è uno degli aspetti più interessanti dell’Albania contemporanea: in una società fondamentalmente laica, convivono musulmani (circa il 70% di tutti i credenti), cristiani ortodossi e cattolici. È notevole anche la presenza di un ordine islamico mistico chiamato Bektashi, per il quale Edi Rama vorrebbe creare un micro-stato all’interno di Tirana, una sorta di Città del Vaticano sciita sufi.

Un’altra religiosa piuttosto venerata in tutta questa zona dei Balcani è Madre Teresa di Calcutta. Una statua di Nënë Tereza si trova fin subito fuori l’aeroporto, a lei intitolato. Nata a Skopje, attuale capitale della Macedonia del Nord e allora parte dell’Impero ottomano da genitori albanesi del Kosovo, l’appropriazione della figura di Madre Teresa è contesa tra tutti questi Paesi. Secondo il poeta albanese Gjergj Fishta, in ogni caso, la vera religione albanese è semplicemente l’identità albanese, descritta per esempio nel poema epico Il liuto della montagna.

Al di sopra della tendina del bus della Jayco-AlUla, una sorta di mosaico gigante intitolato Albania rappresenta albanesi vittoriosi di tutte le epoche, dagli illiri fino alla Seconda guerra mondiale. Abbellisce la facciata del Museo nazionale di storia e non sovrasta più una statua dorata di Enver Hoxha: quest’ultima è stata rimossa poco dopo la fine del regime, durato circa sette anni dopo la sua morte, nel 1985. Al di sotto della tendina del bus della Jayco-AlUla (peraltro una delle squadre più chiacchierate degli ultimi giorni), invece, Davide De Pretto e la sua ragazza Elisa stanno chiacchierando prima della cronometro. Entrambi hanno 23 anni e vivono assieme a San Marino: «A casa ci piace cucinare insieme, a dire il vero passiamo ai fornelli gran parte della giornata» raccontano divertiti.

Piazza Scanderbeg durante il Giro d’Italia (foto dell'autore).

Come Busatto e De Pretto, anche Alessio Martinelli è al debutto al Giro d’Italia. «Ho portato il doppio della roba che dovevo portare perché non sapevo bene come gestire la valigia, ho tipo sei magliette e quattro body, troppa roba», dice con un sorriso il valtellinese classe 2001. Alessandro Pinarello, anch’egli giovanissimo della (ogni tanto val la pena citare il nome completo perché è incredibile) VF Group-Bardiani CSF-Faizanè, ha qualcosa di diverso dal solito nel bagaglio a mano per questa corsa: «Il Garibaldi! Per la prima volta me l’hanno dato in quanto corridore, non è un regalo che mi fanno come quando ero ragazzino. Lo sfoglio un po’, sì, ma le tappe le guardo più che altro sull’iPad con VeloViewer».

Oltre al trambusto di Giro d’Italia ed elezioni, piazza Scanderbeg e Tirana si stanno preparando per un grosso evento politico. Il prossimo weekend sono previsti nella capitale albanese 40 tra leader di stati e capi delle principali istituzioni europee e internazionali per il primo vertice della Comunità Politica Europea (CPE) ospitato dai Balcani Occidentali. Per l’Italia andrà anche la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni. Il suo ministro degli Esteri, Antonio Tajani, di recente ha detto di volere l’Albania e altri stati limitrofi «al più presto nella Comunità Europea», ripetendo la promessa elettorale di Rama ai suoi cittadini.

Da molti osservatori, invece, l’impegno preso da Rama di far entrare l’Albania nell’Unione entro il 2030 è considerato «delirante». Sul largo stradone che ha ospitato gli arrivi delle prime due tappe, bulevardi Dëshmorët e Kombit, rapidamente ribattezzato “gli Champs-Élysées d’Albania”, oltre a bandierine rosa-Giro sono state piazzate insegne piuttosto esplicite: I <3 EU.

Intanto, sul percorso di gara, Wout Van Aert è ancora in cerca della gamba migliore. Incredibilmente per uno che ha vinto due tappe al Tour de France a crono ed è medaglia olimpica nella specialità, arriva dietro addirittura a due tutt’altro che specialisti come Giulio Pellizzari e Jefferson Cepeda. Corta e su un tracciato «lustrato e splendente» fino a risultare scivoloso (parola di Tom Pidcock), la cronometro non ha causato grossi smottamenti in classifica generale e si è decisa per inezie. Per una frazione di secondo Joshua Tarling la spunta su Primoz Roglic, che si accontenta della maglia rosa. Dopo la prima maglia rosa danese, la prima vittoria gallese al Giro d’Italia è accolta con incredulità da chi si interessa a queste statistiche inutili: effettivamente Geraint Thomas, Stevie Williams, Luke Rowe o Simon Carr una tappa al Giro non l’hanno mai vinta.

L’italiano più atteso dai media al traguardo, nonché quello messo meglio in classifica generale, è Antonio Tiberi. Il ciociaro classe 2001 è al quinto Grand Tour (sembra passata una vita dal suo primo, la Vuelta 2022) e l’anno scorso ha chiuso al quinto posto in classifica generale. Sul podio finale anche alla Tirreno-Adriatico, Tiberi ha terminato anzitempo il Tour of the Alps per problemi di stomaco. Stare in salute per tre settimane è una delle caratteristiche quasi ultraterrene che devono avere gli uomini da classifica generale, il cui fisico non di rado si aggira attorno al 3% di massa grassa. Alla Vuelta 2024 un colpo di calore costrinse Tiberi al ritiro, per questo Giro non si nasconde. Punta a salire sul podio a Roma.

LE MONTAGNE DEL SUD

«Vista la perdita di Mikel ieri, oggi per me è partito totalmente un altro Giro. Ora punteremo tutti alle tappe, abbiamo più libertà. Dobbiamo resettarci un po’ mentalmente, è un po’ tutto da rifare», dice Gianmarco Garofoli della Soudal Quick-Step dopo la crono, citando a sorpresa nientemeno che Gino Bartali. Anconetano di Castelfidardo, classe 2002 alla prima presenza al Giro, Garofoli è convinto delle proprie potenzialità di scalatore. A Roma sarà contento se e solo se riuscirà «a dare spettacolo su una qualche salita», e al primo tentativo utile ci prova subito.

La terza tappa, infatti, si arrampica sulla salita più panoramica d’Albania. Dopo un inizio vallonato nell’entroterra, dopo quasi tre ore di corsa il percorso si butta sulla costa per attaccare il versante sud del passo di Llogara, all’interno dell’omonimo parco nazionale. È una salita dura – 10,5 chilometri al 7,5% medio – ma scollina quando mancano 40 chilometri all’arrivo, per cui c’è tempo per rientrare. Soprattutto, è una salita in un luogo meraviglioso.

La cima più alta di questa catena montuosa, i monti Acrocerauni, si chiama Çika e supera i duemila metri di quota. Il passo di Llogara è alto circa la metà, ma consente una gran vista su tutta l’Albania meridionale, fino all’isola greca di Corfù. A nord del passo, invece, si estende selvaggia la penisola di Karaburun: non ci vive nessuno, non ci sono fonti d’acqua e una base militare all’ingresso ne scoraggia l’accesso. Chi ha fatto trekking qui assicura che i sentieri più belli sono quelli che dalla cresta di Llogara e dalle cime vicine scendono verso il mare: ma non sempre sono ben manutenuti.

Una tifosa attende la corsa sul passo di Llogara (foto dell'autore).

Di fronte alla penisola di Karaburun, distante neanche 75 chilometri in linea d’aria da Otranto, l’isola di Saseno è uno degli esempi di come l’Albania stia svilendo un gran patrimonio naturalistico e paesaggistico. È notizia recente che l’isola, disabitata e facente parte di un parco marino, sia stata sostanzialmente regalata a Jared Kushner, il genero di Donald Trump. Verrà costruito un resort di lusso, definito «strategico» perché porterà – chissà con quali prospettive e certezze a lungo termine – posti di lavoro. Un film già visto, da queste parti: pochi anni fa il governo albanese svendette terre poco più a sud affinché ci fosse costruito un altro resort di lusso. Intanto a Valona, sede di partenza e di arrivo della terza tappa, sta per essere ultimato un aeroporto tra l’estuario del fiume Vjosa (uno dei pochissimi rimasti in Europa il cui corso non è mai stato modificato dall’uomo) e la laguna di Narta, che ospita migliaia di fenicotteri.

Il passo di Llogara si appresta ad accogliere la corsa più importante che abbia mai visto in maniera dimessa. Alberghi e campeggi sembrano appena usciti da Twin Peaks, venditori di squisito miele locale non fanno grandi affari e sparuti cartelli segnalano il passaggio, con le sue truppe, anche di Giulio Cesare, attorno al 48 a.C.

Il cielo va rannuvolandosi e manca la folla delle grandi occasioni. La sensazione che si ha dalla TV, attenuata dalla presenza in loco, è che i ciclisti stiano salendo in un deserto. Il poco pubblico arriva da molte parti del mondo: sventolano bandiere sudafricane, polacche, kosovare, greche, australiane, ceche, macedoni. Un uomo è arrivato da Pisa con molti amici albanesi. La scarna internazionale del ciclismo attende i corridori guardando verso il basso coi cannocchiali, segnalando tornante dopo tornante il vantaggio della fuga, in calo rispetto all’incidere del gruppo.

Riguardo alcune tappe soporifere del Giro d’Italia 1949 nel sud Italia, tra Calabria e Campania, Dino Buzzati scrisse: "Chi avrebbe mai osato supporre che lassù qualcuno si interessasse di ciclismo? Strani isolotti di umanità relegata fuori dal nostro mondo parevano, città inverosimili, puri miraggi". Diceva così, Buzzati, per incitare Coppi e Bartali ad animare la corsa, a dare spettacolo – "voi che lo potete" – per le molte persone accorse da chissà dove per guardarli gareggiare. Una volta che la fuga del mattino andava pericolosamente sgretolandosi, a movimentare la tappa ci ha pensato Lorenzo Fortunato. Evadendo dal gruppo quando mancavano ancora più di sette chilometri di salita, e portando con sé Pello Bilbao e Gianmarco Garofoli, lo scalatore bolognese ravvivava la speranza di una sovversione dell’ordine prestabilito dei fatti.

Garofoli, per rientrare, ha addirittura dovuto sfoderare lo scatto in salita con le mani sulle appendici: chissà che non abbia imparato proprio da Mikel Landa. La composizione del gruppo di testa è mutevole e pezzi vengono continuamente persi, finché non rimangono solo Fortunato e Bilbao. Se il primo è, come tutta la sua squadra, a caccia di punti per evitare la retrocessione della XDS-Astana, il perché Bilbao insista nell’azione «è un mistero», come ci aveva detto lui stesso riferendosi all’Albania alla presentazione delle squadre. Conta di arrivare fino al traguardo? Forse sì, ma tra scollinamento e arrivo ci sono quasi 40 chilometri di discesa e pianura. Come possono farcela lui e Fortunato, soli, che pesano cento chili in due, contro una mandria di bufali inferociti che rinviene alle loro spalle? Non è una metafora del tutto casuale: Pello Bilbao è un grande appassionato di ciclismo d’epoca, legge, va a rivedere corse di decenni fa e un libro letto di recente e che consiglia è Come vincere il Giro bevendo sangue di bue di Ander Izagirre.

Nelle fasi finali della tappa, su una galleria entrando a Valona, si nota una sorta di affissione che celebra i cento anni dell’indipendenza albanese dall’occupazione ottomana, che venne raggiunta proprio a Valona nel 1912.

Come prevedibile, l’attacco di Fortunato e Bilbao viene riassorbito. In vista della volata di Valona, le squadre hanno fatto rientrare più elementi possibili tra coloro che si erano staccati e allestiscono i treni. Il primo a passare sotto la flamme rouge è Giulio Ciccone, encomiabile uomo squadra in questo inizio di Giro. Il treno della Lidl-Trek però è corto: prima dell’ultima tirata, Mathias Vacek deve pazientare qualche secondo per non lasciare troppo al vento Mads Pedersen. Sulla ruota della maglia ciclamino si è piazzato Corbin Strong, e si fa a spallate. La volata è lanciata: Strong sembra, per un istante, poter uscire dalla ruota di Pedersen, invece il danese resiste e vince di nuovo. Secondo successo in tre giorni, con ritorno in maglia rosa.

Dopo la tappa di Valona è affiorata qualche polemica. È stato Mauro Vegni, il direttore della corsa in persona, a chiedersi perché «nessuno ha provato nulla». In una rubrica fissa spesso avvelenata che tiene per il sito specializzato TuttoBiciWeb, il giornalista di ciclismo di lungo corso Cristiano Gatti ha scritto, riguardo i corridori: «La verità è che corrono per dovere d’ufficio, faticano il meno possibile, hanno altro per la testa. E il Giro di certo non lo affrontano con occhi di tigre: lo subiscono e lo sopportano con una gnagnera deprimente».

Più che per il modo con cui i corridori hanno affrontato le prime tappe, invece, le vere mancanze durante la partenza albanese sono state una seria discussione su cosa significhi portare il Giro d’Italia all’estero e una reale messa in pratica di qualsivoglia forma di promozione e marketing locali. L’unico evento sportivo comparabile a questo, nella storia recente d’Albania, fu la finale di Conference League ospitata dall’Arena Kombëtare e vinta dalla Roma. In Albania il calcio è l’unico sport con un seguito reale, ma quello del ciclismo è sembrato troppo piccolo per essere vero. Nessun interesse verso le società ciclistiche locali, scarsissima pubblicizzazione nei mesi antecedenti all’evento e una situazione socio-politica tutt’altro che rosea in Albania hanno fatto sì che le strade fossero sostanzialmente vuote al passaggio della corsa. Non è stato coinvolto, per fare un esempio, né dal governo albanese né dalla federazione ciclistica locale, l’unico atleta albanese che ha partecipato al Giro d’Italia, Eugert Zhupa (che invece ha partecipato all'evento realizzato nella capitale albanese da Ultimo Uomo insieme all'Istituto italiano di cultura a Tirana a pochi giorni dalla partenza del Giro).

È un’occasione persa per tanti. Giovanni Battistuzzi sul Foglio scrive che l’investimento iniziale del governo albanese per ospitare la grande partenza del Giro d’Italia era di sette milioni di euro, «ma è stato rivisto al ribasso dopo l’affaire migranti». Secondo alcuni questo "raffreddamento" è dovuto ai problemi legali a cui sono andati incontro negli ultimi mesi i nuovi centri di permanenza per il rimpatrio (CPR) e in questo contesto non va dimenticato che il Giro d’Italia si sostiene anche grazie a sponsorizzazioni di un’azienda pubblica come Trenitalia o di piattaforme promosse direttamente dal ministero degli Esteri.

Delle questioni politiche che si portava dietro questo Giro d'Italia abbiamo parlato anche in Trame, il nostro podcast di sport e geopolitica.

Sentito dal Foglio, un consigliere della ministra del Turismo e ambiente, Mirela Kumbaro, sostiene che la cifra versata dall’Albania si ripagherà in meno di due anni, grazie all’aumento di turisti e ciclo-viaggiatori che sceglieranno l’Albania per le proprie vacanze. Esempi recenti ci sono: la partenza del Giro da Budapest ha effettivamente contribuito ad aumentare significativamente la presenza di turisti italiani in Ungheria.

Oltre al grande spot televisivo, insomma, il Giro in Albania è stato usato per scopi diversi da quello sportivo. Secondo lo storico dello sport Nicola Sbetti, le ultime tre partenze del Giro d’Italia dall’estero – Israele nel 2018, Ungheria nel 2022 e Albania quest’anno – sono un modo per «usare il grande evento sportivo sia sul fronte interno che per legittimarsi a livello internazionale». Parlando con le persone a Tirana, è apparso evidente come chi non sapeva cosa fosse il Giro d’Italia se n’è tenuto alla larga, mentre chi conosceva le potenzialità per uno sviluppo della bicicletta in un paese densamente inquinato da automobili l’abbia considerata un’occasione persa.

Viste le difficoltà italiane nell’andare verso una mobilità sostenibile, città 30 e affrancamento dalle automobili, è impegnativo sostenere che il Giro d’Italia avrebbe dovuto farsi vettore di alcunché. Eppure, ogni tanto il Giro ci prova. Nel 2023 partì dalla minuscola Fossacesia Marina, in Abruzzo, anche per dar lustro alla stupenda ciclabile sulla costa dei Trabocchi: forse l’ultimo tentativo di non consegnare l’evento ciclistico più importante d’Italia alle follie del tardo capitalismo. Per il 2027, intanto, si parla di una partenza dagli Emirati Arabi Uniti.

Uno dei passaggi più citati del meraviglioso ultimo articolo di Dino Buzzati a seguito del Giro del ‘49 recita: “Il prossimo anno, in maggio, sarà data di nuovo la partenza e l’anno dopo ancora e così via, di primavera in primavera, perpetuandosi la fiaba”. È sempre più difficile trovare qualcosa di fiabesco in Giri d’Italia così implicati in faccendacce politiche: ciò che rimane è solo lei, una bicicletta che sale su per una montagna.

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