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Vladimir Crescenzo

Il giro del mondo in 80 stadi

Un estratto dal nuovo libro di Vladimir Crescenzo su alcuni degli stadi più caratteristici al…

Pubblichiamo un estratto de “Il giro del mondo in 80 stadi. I campi di calcio più incredibili del pianeta”, il nuovo libro di Vladimir Crescenzo edito da Meltemi e tradotto da Andrea Fornetti. Se volete acquistare il libro potete farlo cliccando qui.

 

 

Estadio Hernando Siles

La Paz, Bolivia – America del Sud

 

All’ultimo respiro

Costruito nel 1937 e rinnovato nel 1977, l’Estadio Hernando Siles si trova a più di 3.600 metri sul livello del mare. Questa carat- teristica scatenò una polemica nel 2007, allorché la FIFA annunciò che nessuna partita di qualificazione alla Coppa del mondo avrebbe potuto svolgersi al di sopra dei 2.500 metri. Il motivo è semplice: a una simile altezza la quantità di ossigeno nell’aria diminuisce e gli organismi che non vi sono abituati si stancano più in fretta. La Fede- razione brasiliana, all’origine della protesta, denunciava un vantag- gio indebito accordato alla Bolivia, e non solo a lei. In realtà diverse nazionali sudamericane – come quelle di Ecuador e Colombia – non potrebbero più giocare nelle loro capitali. Potrebbe sembrare un dettaglio, al pari del calore estremo che regna in certe regioni, o del vento che soffia in certi stadi, ma la verità è che la Bolivia ha tratto vantaggio dall’altitudine in proporzioni più o meno clamorose.

 

Foto di Marica van der Meer

 

La Bolivia, parente povero del calcio sudamericano, occupa il 78° posto nel ranking FIFA e l’ultimo nel CONMEBOL, la Confedera- zione che opera in America del Sud. Eppure, la sua nazionale vanta nel palmares una Coppa America vita nel 1963, nonché una finale disputata col Brasile nell’edizione 1997. Qual è l’elemento comu- ne tra i due eventi? Le due edizioni in questione si sono svolte in Bolivia, e buona parte delle partite all’Hernando Siles di La Paz; oltre a tutte quelle giocate dalla Bolivia nel 1997. Nell’edizione del 1963, la Bolivia si concede anche il lusso di terminare imbattuta la competizione, avendo sconfitto 3-2 l’Argentina all’Hernando Siles e poi il Brasile (5-4), doppio campione del mondo in carica. Nel 1994, i boliviani infliggono addirittura al Brasile la sua prima sconfitta nel- le qualificazioni al Mondiale dopo quarant’anni.

 

Dal 2003 al 2017, su quattro tornate di qualificazione, la Bolivia ha ottenuto 14 vittorie e 10 pareggi in casa, a fronte di due soli pa- reggini strappati in trasferta. Ci vorrà la pressione del presidente boliviano Evo Morales perché la FIFA ritorni sulla decisione (vedi sopra) nel 2008. Diego Maradona, a sostegno della posizione boli- viana, si è spinto fino a partecipare a una partita di gala a 5.000 metri di altezza per dimostrare che il calcio si può praticare ovunque. Ma la storia gioca a volte tiri burloni: gli uomini di Maradona – al tem- po allenatore dell’Argentina – un anno dopo verranno a inchinarsi (6-1), sempre all’Estadio Hernando Siles, benché la Bolivia termini al penultimo posto nel girone di qualificazione al Mondiale 2010. Fedele al proprio impegno, il Pibe de Oro rifiuterà di nasconder- si dietro la scusa dell’altitudine per giustificare la batosta ricevuta dall’Albiceleste. Bel colpo, Diego.

 

Stadio Omar-Hamadi

Bologhine, Algerie – Africa

 

Il simbolo della resistenza

Un brutale cambiamento di regime nell’ambito d’un territorio impatta necessariamente sulle diverse sfere della società. Dalla colonizzazione francese nel 1830, passando per la guerra di liberazione nazionale iniziata nel 1954, fino all’indipendenza ottenuta nel 1962, l’Algeria e il suo calcio non si sono sottratti a questa costante. E la storia dello stadio Omar-Hamadi – stadio comunale di Saint-Eugène fino al 1962 – ne è prova.

 

Costruito nel 1935 sulla riva del mar Me- diterraneo, con la recinzione situata nella periferia Nord di Algeri a Bologhine (Saint-Eugène sotto l’occupazione francese) ospita in epoca coloniale le partite dell’AS Saint-Eugène (ASSE), squadra di giocatori pied-noirs (francesi residenti in Algeria). Un campo che l’ASSE condivide con il Mouloudia Club di Algeri (MCA), creato nel 1921 dopo che alcuni soldati francesi avevano irriso i bambini che giocavano per strada con palloni fatti con la carta con queste pa- role: “Ecco il Parco dei Principi degli Arabi!”. Questa battuta spinge Aouf Abderrahmane a fondare quello che diventerà il Mouloudia. Il calcio come mezzo di contestazione del sistema coloniale. L’ammini- strazione francese apprezza assai poco ciò che percepisce come una velleità di autodeterminazione.

 

“Perché volete avere un club? Potete giocare nelle squadre francesi”, si sente replicare Aouf al momento di convincere le autorità. Per condurre in porto la sua impresa, sostiene che il club consentirà di preparare i giovani al servizio militare, e garantisce che le sue sedi serviranno a fini meramente sportivi. Una volta approvato il progetto, l’MCA si rende però conto che l’amministrazione favorisce l’ASSE, in particolare in tema di concessione degli spazi. Ma poco importa, la volontà dei giovani algerini di affermare la propria esistenza grazie al calcio fa proseliti. Negli anni Trenta, altre associazioni sportive esclusivamente musulmane vedono la luce, sotto la spinta del “movimento nazionale”, un movimento anticolonialista. Tra queste l’Unione sportiva musulmana di Algeri (USMA), creata nel 1937 e ribattezzata Unione sportiva della medina di Algeri nel 1989. Ed è in omaggio a un vecchio dirigente dell’USMA, rivoluzionario condannato a morte durante la guerra d’indipendenza, che lo stadio assumerà il nome attuale.

 

Foto di Hinda Mekzine

 

In questo contesto, su spinta del Fronte di liberazione nazionale (FLN), movimento rivoluzionario per l’indipendenza algerina, l’USMA, il Mouloudia e altre squadre musulmane decidono di ritirarsi dalle competizioni organizzate dall’occupante nel 1956. Da causa scatenante fungono gli incidenti che hanno accompagnato una partita tra l’AS Saint-Eugène e il Mouloudia disputata allo stadio Saint-Eugène. Le tensioni tra i due club, vicini incompatibili, hanno provocato molti morti fra i tifosi dello MCA. Impossibile per le squadre musulmane esibirsi ancora assieme ai club coloniali.

 

Le premesse di questo punto di non ritorno si trovano inoltre nei massacri di Sétif, Guelma e Kherrata dell’8 maggio 1945 – sanguinose repressioni con- tro le manifestazioni indipendentiste e anticolonialiste –, che spingono i giocatori algerini ancora inseriti in club francesi a trasferirsi in quelli riservati ai musulmani. Una prima tappa che culmina nove anni dopo, in piena guerra di liberazione, con una dichiarazione d’indipendenza del calcio algerino, sei anni prima che il Paese riesca finalmente a realizzare l’obiettivo. I club musulmani torneranno a operare solo con l’indipendenza, nel 1962, mentre quelli francesi, come l’AS Saint-Eugène, saranno ovviame sciolti.

 

Il Mouloudia torna allora a condividere lo Stadio Omar-Hamadi, ma questa volta con un altro club musulmano, l’Unione sportiva musulmana d’Algeri, suo migliore avversario. I due club – tra i più titolati del Paese – vengono dagli stessi quartieri del centro di Algeri: Bab-el-Oued e la Casbah. Nel 1963 si affrontano nella finale del primo campionato di Algeria, vinta dall’USMA 3-0. La squadra era allora guidata dal suo leggendario allenatore Ben Tifour, capitano e poi allenatore della squadra del Fronte nazionale di liberazione del calcio, una squadra formata principalmente da giocatori impegnati nella Francia metropolitana, che si erano uniti all’FLN. Questo “undici dell’indipendenza” realizzerà una tournée di 80 partite in giro per il mondo, per far conoscere le rivendicazioni anticolonialiste degli Algerini.

 

Se l’USMA resta per sempre il pri- mo campione dell’Algeria indipendente, il Mouloudia – che lascia lo stadio Omar-Hamadi nel 1972 – diverrà il primo club algerino a vincere una competizione continentale, aggiudicandosi la Coppa dei campioni africana – l’equivalente della Champions League – nel 1976. Una coppa che il vero Parco dei Principi non ha ancora avuto occasione di portare a casa… ironia del destino.

 

Ottmar Hitzfeld Arena

Gespon, Svizzera – Europa

 

Una montagna può nasconderne un’altra 

Accessibile solo mediante teleferica, l’Ottmar Hitzfeld Arena – lo stadio più alto d’Europa (1.890 metri sul mare) – ospita l’FC Gspon, squadra amatoriale di questo piccolo villaggio svizzero di montagna. È qui che è nato uno dei tornei più insoliti del continente. Per attirare l’attenzione sulla protezione dell’ambiente alpino, l’associazione Bergdorf-EM ha infatti creato il Campionato d’Europa dei villaggi di montagna. La prima edizione si è svolta all’Ottmar Hitzfeld Arena nel 2008, anno del “vero” Campionato d’Europa organizzato in Svizzera e Austria. Oltretutto nelle due prime edizioni la Spagna si è imposta anche qui, come nei campionati d’Europa ufficiali.

 

Foto di Reuters Svizzera ©

 

Da allora, squadre venute da tutta l’Europa si sfidano ogni quattro anni, con le stesse regole del torneo ufficiale: con la maglia della squadra nazionale e l’inno del proprio Paese. Nel 2016, è stato l’SC Morzine a indossare la divisa dei Bleus, come nell’ultima edizione, in cui ha affrontato la Germania (FC Steinbach- Hallenberg), la Svizzera (FC Zermatt) e i Paesi Bassi (FKVV Vijlen). Il villaggio olandese di Vijlen, che si trova a soli 200 metri sopra il livello del mare (il punto più elevato del Paese), è ovviamente la squadra che ha sofferto di più della carenza di ossigeno, inevitabile quando si disputa un incontro a tale altezza.

 

Ma queste non sono le sole difficoltà incontrate dai giocatori che si esibiscono all’Ottmar Hitzfeld Arena. Infatti, malgrado le reti che circondano il campo, vengono smarriti in media cinque palloni a partita. In quarant’anni l’FC Gspon stima in 1.000 il numero di palloni andati a finire qualche centinaio di metri più in basso. Inoltre, il campo non è chiaramente praticabile che con il bel tempo, e d’inverno questo gioiellino non è altro che una delle piste da sci del villaggio. Tuttavia, non è la neve a impedire all’FC Gspon di dare calci al pallone. Nel 2017 gli svizzeri hanno infatti di nuovo fatto parlare di sé. A 3.500 metri d’altezza, sul ghiacciaio di Saas Fee, la Svizzera (FC Gspon) ha affrontato una squadra italiana che indossava i colori della nazionale per quella che verosimilmente è, a tutt’oggi, la più alta partita europea di calcio disputata in Europa.

 

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Vladimir Crescenzo è un giornalista sportivo francese. Collabora da molti anni con importanti testate – tra cui France Football, Onze Mondial, Le Temps e Slate – per le quali pubblica reportage e inchieste.