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Il futuro del calcio è nelle carte di Football Leaks?
06 nov 2018
06 nov 2018
Di come Infantino ha aiutato City e PSG e dei progetti dei top club europei di creare la Superlega, soprattutto.
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A poco meno di un anno

, Football Leaks è tornato a sollevare il tappeto e a mostrare la polvere del calcio internazionale attraverso l’ondata di articoli apparsi nel weekend scorso sulle testate della European Investigative Collaborations: l’organizzazione che riunisce i media europei deputati ad analizzare l’incredibile mole di email e documenti ottenuti (circa 3.4 terabyte di dati). Parliamo, per essere più precisi, soprattutto di scambi di email interni ai principali club europei, alle massime istituzioni calcistiche europee e mondiali (cioè, soprattutto, UEFA e FIFA) e ad alcune grandi aziende e istituzioni finanziarie globali, che riguardano il passato prossimo e il futuro possibile del calcio europeo.

 

Abbiamo provato a fare ordine tra le varie inchieste pubblicate in giro per l’Europa per avere uno sguardo complessivo più chiaro di cosa si tratti nello specifico.

 



Il quotidiano tedesco

soprattutto del rapporto ambiguo di PSG e Manchester City con l’allora segretario generale della UEFA, Gianni Infantino (oggi presidente della FIFA), riguardo alle sanzioni previste dal Financial Fair Play nella prima metà del 2014.

 

La stagione 2013-14 era la prima in cui i club qualificati nelle competizioni UEFA avrebbero dovuto sottoporre i propri bilanci ad un comitato indipendente (il Club Financial Control Body), con il divieto di accumulare un deficit superiore ai 45 milioni di euro nelle due stagioni dal 2011 al 2013. Nel luglio del 2013 la Investigatory Chamber della CFCB iniziò ad analizzare il bilancio del PSG, che solo due anni prima era stato acquistato dal fondo sovrano del Qatar, scoprendo un “contratto di sponsorizzazione” con l’autorità per il turismo del Qatar dal valore di circa 215 milioni di euro l’anno.

 

Per giustificare la cifra, e il fatto che il PSG in cambio di tutti quei soldi non dovesse fare praticamente niente a parte partecipare su richiesta del Qatar ad alcune “attività di promozione”, i dirigenti del club parigino lo definirono un accordo di

e «il

ha una portata diversa dai normali contratti di sponsorizzazione».

 

La CFCB, con l’aiuto di alcuni esperti indipendenti, arrivò presto alla conclusione che quello non potesse essere considerato un vero contratto di sponsorizzazione ma un’iniezione di liquidità da parte della stessa proprietà qatariota, in contrasto quindi con le norme del FFP. Da una parte perché l’autorità del turismo del Qatar era troppo strettamente collegata con la dirigenza del PSG per poter essere considerato un soggetto contrattuale indipendente. Dall’altra perché la cifra pattuita era del tutto fuori mercato: secondo l’agenzia di marketing sportivo Octagon, il valore di mercato di quel contratto sarebbe potuto essere al massimo di 3 milioni di euro, una cifra circa 72 volte inferiore a quella effettivamente pattuita.

 

Il club parigino, dal canto suo, decise di adottare una linea molto dura nei confronti della UEFA: nelle carte del Football Leaks è venuto fuori che Al Khelaifi, presidente del PSG, durante un incontro con Infantino e Platini del 27 febbraio del 2014, disse in maniera esplicita e minacciosa che il presidente della UEFA non aveva nessun interesse a lanciare un attacco contro il Qatar; mentre il club parigino non ammise mai ufficialmente di aver violato le norme del FFP.

 





 

E questa è una delle informazioni principali emerse dalla recente indagine dello 

: per sbloccare l’impasse intervenne lo stesso Infantino, che durante diversi incontri tra marzo e aprile del 2014 propose alla dirigenza del PSG di bypassare le criticità sollevate dalla CFCB direttamente diminuendo il contratto con l’autorità per il turismo del Qatar a 100 milioni l’anno, colmando i restanti 115 con altre sponsorizzazioni (che il club parigino finirà per ricavare da altre agenzie e enti legati al governo di Doha). In altre parole, la CFCB, che dovrebbe essere un organismo del tutto indipendente, venne scavalcato da un compromesso cercato e raggiunto dal segretario generale della UEFA, l’organizzazione che teoricamente dovrebbe far rispettare il FFP.

 

L’accordo venne ufficialmente stipulato il 2 maggio del 2014, quando il PSG firmò un settlement agreement che prevedeva una multa di 20 milioni di euro, la lista per le competizioni europee ridotta a 21 giocatori e altre restrizioni minori sul budget per il mercato e il monte ingaggi. Alla luce di questo compromesso, l’allora inquirente capo dell’Investigatory Chamber della CFCB, Brian Quinn, si dimise e il suo posto venne preso dall’italiano Umberto Lago.

 

Quinn era a sua volta il successore del belga Jean-Luc Dehaene, che si ammalò gravemente nei primi mesi del 2014 e fu costretto a lasciare il posto. Dehaene morì un giorno prima della firma del settlement agreement con il Manchester City. Lo

ha rivelato che alla notizia della sua morte, Simon Cliff, consigliere legale del club inglese, scrisse in un’email indirizzata ad un altro funzionario: «Uno è andato, ne rimangono sei».

 



Le trattative con la UEFA per le violazioni del FFP non andarono molto diversamente con il Manchester City, che proprio in quegli anni stava completando la sua scalata al calcio inglese dopo la vittoria del secondo titolo di Premier League. Gli esperti della UEFA, infatti, scoprirono che l’84% degli sponsor del club inglese provenivano da società degli Emirati Arabi Uniti vicine alla proprietà dei “

” e che erano stipulati per un prezzo superiore dell’80% al loro reale valore di mercato. Se ciò non bastasse, il Manchester City aveva anche nascosto costi per 35 milioni euro dai bilanci presentati alla UEFA.

 

Degli sponsor del Manchester City

anche la testata francese Mediapart, che ha riportato l’artificio con cui il City è riuscito a pagare la liquidazione da circa 10 milioni di sterline a Roberto Mancini, che fu esonerato nel maggio del 2013, senza violare il FFP. «Ho un’idea: anche se abbiamo perso la Coppa di Lega, potremmo chiedere un bonus ai nostri sponsor lo stesso», scrive in un’email l’amministratore delegato Ferran Soriano.

 

«Potremmo fare un contratto retrodatato per i prossimi due anni, che potrebbe essere pagato immediatamente», propone un altro dirigente della squadra inglese, Simon Pearce, in un’altra mail. Il motivo per cui la stessa dirigenza del Manchester City sembra poter usare gli sponsor a proprio piacimento è spiegato dal direttore delle finanze Jorge Chumillas: «L’unica soluzione che abbiamo è di ricevere un contributo addizionale da Abu Dhabi in termini di profitto per colmare il gap».

 

Secondo i documenti rivelati da Football Leaks, lo sceicco Mansur, presidente del Manchester City e fratellastro dell’emiro di Abu Dhabi, ha iniettato nel suo club attraverso gli sponsor controllati dall’Autorità per il turismo di Abu Dhabi una cifra intorno ai 127 milioni di sterline nel maggio del 2012.

 

Il Manchester City, comunque, adottò la stessa strategia del PSG nei confronti del FFP: l’amministratore delegato, Ferran Soriano, arrivò addirittura a minacciare la UEFA di intraprendere un’azione legale nei suoi confronti nelle corti europee (sostenendo che avrebbe preferito pagare per dieci anni i migliori avvocati al mondo piuttosto che le sanzioni del FFP). Anche in questo caso la strategia funzionò: il Manchester City, con l’intercessione di Platini e Infantino, alla fine se la cavò con una multa da 20 milioni di euro; una cifra che, secondo Soriano, “non tocca materialmente” il club inglese.

 





 

Il giorno successivo alla pubblicazione di questa ricostruzione, il Manchester City ha rilasciato un comunicato all’emittente britannica Sky Sports

di aver realizzato l’inchiesta hackerando i sistemi del City Football Group e del Manchester City (accusa che il quotidiano tedesco ha respinto). Secondo il City: «Il tentativo di danneggiare la reputazione del club è organizzato e chiaro».

 

Infantino, dal canto suo,

la notizia ancora prima che le rivelazioni venissero pubblicate, dato che la FIFA aveva dichiarato di aver subito un attacco informatico in cui le erano stati rubati dei dati sensibili. «Il mio lavoro implica discussioni, conversazioni, scambi di documenti, bozze, idee e altro su molti, molti, molti, molti argomenti», ha detto Infantino «Altrimenti non vai da nessuna parte».

 

«Insomma, se devo rimanere nella mia stanza e non posso parlare con nessuno e fare niente, come posso fare il mio lavoro per bene?»

 



La rivista svizzera

principalmente dei documenti di Football Leaks riguardanti l’operato di Gianni Infantino da presidente della FIFA.

 

In particolare, viene messa sotto la lente d’ingrandimento la sua grande operazione di redistribuzione dei proventi della FIFA,

, che nel caso delle federazioni africane avrebbe significato un aumento dei trasferimenti da 27 a 94 milioni di dollari. Secondo i documenti pubblicati da

, però, questa operazione fu rallentata dalla burocrazia e dai controlli della FIFA, portando lo stesso Infantino a definirla “un assoluto fallimento”.

 

Per superare queste difficoltà, Infantino iniziò a forzare le procedure interne alla FIFA, per esempio anticipando i pagamenti alle federazioni, che prima andavano giustificati da progetti e spese. Secondo una fonte ascoltata da

questo caso è esemplificativo del conflitto tra il presidente e la sua organizzazione: «Gianni si circonda di

. Il clima è diventato di paura e silenzio».

 





 

Un'analisi simile può essere fatta riguardo al rapporto tra Infantino e il comitato etico della FIFA, l’organo che di fatto ha permesso all’avvocato svizzero di arrivare ad essere presidente dando il via alle indagini su Blatter e Platini: i documenti portati alla luce da Football Leaks si concentrano soprattutto su due ex membri del comitato etico, lo svizzero Cornel Borbély e il tedesco Hans-Joachim Eckert, entrambi nominati da Blatter per fare pulizia all’interno dell’organizzazione, tanto che il primo finì per indagare lo stesso Infantino, per via dei suoi frequenti voli con jet privati.

 

Entrambi furono rimossi dal nuovo presidente della FIFA e sostituiti dalla colombiana Maria Claudia Rojas, ufficialmente per non avere un comitato eccessivamente eurocentrico. Secondo Eckert, invece, la ragione risiedeva proprio nelle loro indagini: Rojas, secondo i documenti ottenuti da

, non avrebbe le giuste qualifiche per fare quel lavoro e non parlerebbe nemmeno inglese (la lingua utilizzata per la maggior parte dei documenti). Insieme ad un altro membro del comitato etico (il greco Vassilios Skouris), la colombiana si occupò anche della riscrittura del codice etico interno della FIFA, la cui bozza fu inviata prima della sua approvazione allo stesso Infantino: una procedura inusuale e ambigua, che travalica quella separazione dei poteri che un’organizzazione trasparente dovrebbe avere, e che portò all’indebolimento di molte delle norme proposte.

 

Infantino, ad esempio, rifiutò l’introduzione della norma che avrebbe previsto il divieto, per chi avesse cariche politiche, di avere anche cariche all’interno della FIFA, bollandolo come “eccessivo”.

 

Dell’inchiesta di

sono interessanti anche le differenze umane nel passaggio da Blatter a Infantino. Secondo una fonte sentita dalla rivista svizzera, mentre l’ex presidente della FIFA faceva sentire anche le donne delle pulizie vitali per il futuro del calcio, Infantino sembra mancare di empatia, facendo fatica a riconoscere qualcuno di familiare nei corridoi: «Gianni sta spesso fuori, nell’area per fumatori, con una sigaretta in mano e gli occhi fissi sullo smartphone».

 



Il blog di giornalismo investigativo

dei progetti segreti di alcuni dei principali club europei di creare la cosiddetta Superlega, cioè un campionato sovranazionale chiuso tra le migliori squadre del continente.

 

Progetti che iniziano alla fine del 2015, quando l’affarista statunitense Charlie Stillitano invia ad alcuni dirigenti del Real Madrid una bozza di proposta per la creazione della Superlega. Questa prima bozza prevedeva un campionato composto dalle 17 squadre con maggiore forza televisiva da Inghilterra, Spagna, Italia, Germania e Francia, con una 18esima squadra che sarebbe uscita da un girone composto dalle migliori squadre di Portogallo, Russia, Olanda e Turchia, per un totale di 34 giornate con l’aggiunta dei playoff alla fine della regular season. Secondo Stillitano, con un campionato simile i top club avrebbero visto i propri profitti aumentare di 500 milioni di euro.

 

Nel corso del 2016, le idee di Stillitano furono abbracciate da quattro top club, cioè Bayern Monaco, Juventus, Real Madrid e Barcellona, che sarebbero stati così i membri fondatori della cosiddetta Superlega (poco dopo si aggiunsero anche Manchester United, Arsenal e Milan).

a questo proposito sottolinea soprattutto la contraddizione portata in seno del Bayern Monaco, che sarebbe dovuto uscire dalla Bundesliga nonostante i suoi giocatori siano legati al campionato tedesco a livello contrattuale.

 

I sette club coinvolti si incontrarono il 14 luglio al Camp Nou per stilare il progetto finale, che prevedeva 16 membri permanenti e 8 squadre su invito, nonché un piano molto dettagliato e preciso su come uscire dalla UEFA e dai campionati nazionali, e su come comunicare all’esterno questo divorzio.

 

Nonostante Manchester United, Arsenal e Milan si tirarono fuori dal progetto in un secondo momento, i quattro membri fondatori continuarono a fare pressioni sulla UEFA con la minaccia della Superlega, ed è probabile che la recente riforma della Champions League derivi principalmente da questo. L’introduzione della clausola della tradizione nella ripartizione dei profitti derivanti dalla Champions League, che tende ad avvantaggiare i club che hanno avuto maggiore successo nella principale competizione europea negli ultimi 10 anni, ad esempio ha portato nelle casse del Bayern Monaco oltre 34 milioni di euro.

 

I documenti portati alla luce da Football Leaks però rivelano che i progetti dei top club europei di creare una Superlega indipendente non si sono fermati con la riforma della Champions League: in un’email inviata lo scorso 22 ottobre a Florentino Perez, da parte della società di consulenza Key Capital Partners,  si legge di un accordo raggiunto per la creazione del nuovo campionato europeo tra 11 squadre fondatrici (Real Madrid, Barcellona, Manchester United, Juventus, Chelsea, Arsenal, PSG, Manchester City, Liverpool, Milan e Bayern Monaco) più 5 invitate (Atletico Madrid, Borussia Dortmund, Marsiglia, Inter e Roma).

 





 

Oltre alla progettazione del campionato, che sarebbe partito nel 2021 e avrebbe previsto una fase a gironi e una fase ad eliminazione diretta, l’email prevede anche la creazione di un’azienda con sede in Spagna per la gestione dei proventi della Superlega, in cui i maggiori azionisti sarebbero stati il Real Madrid, il Barcellona, il Manchester United e il Bayern Monaco.

 

Recentemente la European Leagues, l’organizzazione che riunisce i campionati nazionali europei,

alla creazione di una Superlega reiterando il suo appoggio alla UEFA. «I campionati nazionali sono al centro del gioco del calcio in tutta Europa per tutti gli attori del calcio: giocatori, club, campionati, federazioni nazionali e, soprattutto, tifosi» ha scritto nel comunicato la European Leagues. «Le proposte per una Superlega chiusa avranno implicazioni serie e durature per la sostenibilità a lungo termine del calcio professionistico in Europa.»

 

Ma i club, da quello che emerge da questi documenti, sembrano ormai aver preso definitivamente coscienza del proprio potere contrattuale, e della forza che possono esercitare sulle istituzioni sportive per ottenere il massimo, soprattutto a livello economico. Come è già successo in altri ambiti della nostra società, anche nel calcio le istituzioni tradizionali sembrano in crisi di fronte al potere sempre maggiore delle grandi aziende private, che siano club o grandi società di consulenza.

 

 

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