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Marco D'Ottavi
Il West Ham ha vinto facendo il meno possibile
08 giu 2023
08 giu 2023
La Fiorentina è stata se stessa fino alla fine.
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Marco D'Ottavi
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IMAGO / PA Images
(foto) IMAGO / PA Images
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Dopo il fischio finale, Vincenzo Italiano parla coi suoi giocatori. Sembra non riuscire a staccarsi dalla partita, gli spiega qualcosa - indicazioni tattiche su qualche azione, probabilmente - come se dovessero continuare a giocare. Loro, invece, come dirà Biraghi qualche minuto più tardi sono «morti dentro». Si portano addosso la beffa finale, atroce, il gol di Bowen arrivato quando mancavano 16 secondi allo scoccare del novantesimo, un gol che sembra uscito dal niente in una partita indirizzata verso i supplementari. L’azione decisivaDi quell’azione si parlerà per giorni, a Firenze e non solo. Saranno i 13 secondi con cui giudicheremo la stagione dei viola e, soprattutto, l’ortodossia di Italiano. Allora vale la pena andare a vederli subito: su una rimessa dal fondo Terracciano calcia lungo, la difesa sale, Aguerd allontana il pericolo di testa, il pallone arriva dalle parti di Soucek, che - anche lui con l’unico scopo di allontanare ogni possibile minaccia - prova ad allungarlo con un colpo di tacco al volo. Alle sue spalle però c’è Amrabat che, per caso, intercetta il pallone col petto, innescando un rimpallo che fa sputare il pallone dalle parti di Paquetá. Il brasiliano è girato di tre quarti, con la suola del piede sinistro l’accarezza e un istante dopo ha già mandato nello spazio Bowen, a cui basta schiacciare un po’ il tiro per farlo passare sopra la gamba allungata di Terraciano in uscita.

Dalle immagini si vede bene come la Fiorentina avesse più uomini in zona palla, ma non è bastato per arrivare prima sul rimpallo, e come Bowen fosse più pronto dei difensori viola all'eventualità che Paquetá potesse far passare quel pallone.

Come spesso accade in uno sport a basso punteggio e pieno di variabili, quando succedono queste cose ognuno può scegliere di guardare la luna, il dito, l’altezza della difesa della Fiorentina oppure Igor. Sicuramente si può guardare alla sfortuna, che però non dà mai risposte. Se il rimpallo tra Soucek e Amrabat fosse finito un metro più indietro le due squadre starebbero forse ancora giocando, come accaduto per Roma e Siviglia. In molti hanno guardato alla linea difesa dei viola, dicendo che era troppo alta per essere il novantesimo di una finale: è una delle caratteristiche del gioco di Italiano ma in questa specifica circostanza è anche il modo in cui tutte le squadre si muovono sui rilanci del portiere, tenendo le linee strette, quella di difesa vicina a quella di centrocampo. Potevano scappare subito indietro dopo il colpo di testa di Aguerd? Sì, ma sarebbe stata una scelta innaturale. Vincenzo Italiano, invece, ha guardato a Igor: lo ha rimproverato durante e dopo la partita. «Era appena entrato, doveva correre di più» ha detto ai microfoni, lasciando a intendere che in quella situazione, da che il calcio esiste, i difensori devono leggere il pericolo e correre all'indietro prima che l’attaccante gli scappi alle spalle. Ed è vero: Igor, ma forse anche Biraghi, potevano avere la reattività di Bowen, capire prima quello che sarebbe successo ma non è facile, non è mai facile: è stata questione di attimi. Per Igor, poi, si può affermare anche il contrario: era entrato da quattro minuti, in una partita in cui non stava succedendo niente, forse era troppo fresco, o meglio “freddo”, come si dice in questi casi. Se Ranieri non avesse chiesto il cambio perché proprio non ce la faceva più, lui forse avrebbe avuto la prontezza di scappare indietro? Ancora la sfortuna.In pochi hanno guardato all’altra parte, al West Ham, ma soprattutto a Paquetá. Considerare la giocata del brasiliano facile o scontata è tutt’altro che una lettura corretta. Il suo è un passaggio decisivo nel momento decisivo della partita, non è un caso che a farla sia stato il giocatore più tecnico in campo, uno che in Italia non abbiamo proprio apprezzato ma che è il trequartista titolare del Brasile. Bastava un controllo meno pulito, una traccia meno puntuale per forza e precisione: all'ultimo minuto di una finale non è facile fare tutto giusto anche quando sembra facile. E, allargando lo sguardo, possiamo tornare a quest’estate, quando il West Ham ne ha fatto un suo giocatore spendendo 43 milioni di euro: è stato l’acquisto più costoso della storia del club, in un’estate in cui ha speso oltre 160 milioni di euro sul mercato. E forse non è totalmente un caso che questo trofeo sia arrivato dopo quel mercato, anche in una stagione in cui la squadra di Moyes ha balbettato, rischiato addirittura la retrocessione, mostrando poco e niente di quella squadra che negli scorsi anni aveva fatto bene in Europa League e anche in Premier. La Fiorentina contro il conservatorismo del West HamMagra consolazione per la Fiorentina, che comunque era stata la squadra migliore in campo, nonostante il gap economico e nel talento dei singoli. Se il West Ham è sceso in campo - più o meno - con l’undici iniziale che ci si poteva aspettare, Italiano all’inizio aveva fatto delle scelte non del tutto convenzionali: Ranieri in difesa, Kouame largo a sinistra, Jovic preferito a Cabral che in Conference League è una sentenza. Non è una novità, l'allenatore viola ha alternato molto i suoi uomini nel corso di questa lunghissima stagione. «Ho messo in campo gli 11 che ci avrebbero dato il giusto equilibrio per una partita simile» ha detto, e sicuramente è stata una Fiorentina meno squilibrata del solito.A garantire stabilità era soprattutto la posizione di Amrabat che, dopo essere arrivato in ritardo in una pressione in avanti nella prima azione della partita, facendo ricevere Paquetá alle sue spalle con metri e metri di campo davanti, ha interpretato il suo ruolo più come guardiano dello spazio intorno a lui che non come primo aggressore in caso di palla persa. La presenza del marocchino con la sua mobilità ha spento sul nascere quello che era considerato il maggior pericolo per i viola, ovvero le ricezioni dei trequartisti del West Ham sulle seconde palle create da Michael Antonio.

In maniera quasi paradossale si è venuto a creare un contesto di gioco che non era quello abituale per nessuna delle due squadre. Da una parte il West Ham ha rinunciato a lanciare in avanti, forse per rallentare il ritmo della partita e non rischiare di scoprirsi troppo alle contro-transizioni della Fiorentina (alla fine saranno i viola la squadra con più lanci lunghi) dall’altra la Fiorentina non è riuscita a far sfogare il suo dominio sul pallone neanche nei cross, quella che è un po’ la loro coperta di Linus (saranno 18 in totale, la maggior parte nei minuti finali. Di solito il solo Biraghi ne ha provati 11 ogni 90 minuti, in questa stagione). La squadra di Italiano ha problemi atavici nel creare occasioni da gol pulite e contro la fase difensiva del West Ham le difficoltà sono raddoppiate, soprattutto nel primo tempo. Con tanti giocatori sopra la palla c’erano poche linee di passaggio e l’unico modo per far avanzare il gioco era cercare qualche giocata di Nico Gonzalez sulla catena di destra, dove poteva puntare l’avversario diretto oppure servire le sovrapposizioni interne di Dodò e Bonaventura. A quel punto, però, attaccare una squadra che copre il centro con Zouma, Aguerd, Soucek e Rice (l’unico sotto il metro e novanta, ma con un atletismo fuori scala) diventa come scalare un’ottomila.

Le finali, però, ce lo ripetiamo fino alla nausea, possono essere decise dagli episodi e dai dettagli. La scelta di far giocare Kouame, ad esempio, ora possiamo dire che si è ritorta contro il suo allenatore, visto che rinunciando alla tecnica di Saponara e all’imprevedibilità di Ikonè la Fiorentina ha limitato le sue già non infinite possibilità offensive; eppure, proprio all’ultima azione del primo tempo, questa scelta poteva pagare: a destra Nico Gonzalez si è liberato dalla marcatura di Benrahma e col sinistro ha fatto spiovere un cross sul secondo palo, Kouame era in campo per aumentare la pericolosità sui cross e ha fatto il suo, ma il suo colpo di testa è finito sul palo (e il successivo tap-in di Jovic - che gli è costato un calcio in testa - era in fuorigioco). Chi fa sbagliaNel secondo tempo la Fiorentina è entrata in campo con più energia, più aggressiva. La partita è sembrata girare verso di lei, ma poi è arrivato il rigore per il West Ham. Se non è questo il posto in cui discutere del cervellotico rapporto tra Var e tocchi di mano, possiamo dire, questo sì, che l'azione si è sviluppata a partire da un errore concettuale della squadra di Italiano. Biraghi deve correre all’indietro perché la difesa della Fiorentina non legge né la rimessa lunghissima di Coufal - che però le fa spesso - né che Bowen poteva stargli alle spalle, visto che in questi casi non c’è il fuorigioco (una giocata che si perde anche la regia, tanto che non ci sono immagini chiare della rimessa). Gli errori fanno parte del gioco e da questo la Fiorentina è stata in grado di riscattarsi. Se Paquetá era il giocatore più forte in campo, Bonaventura lo era tra quelli in maglia viola. È lui a capitalizzare un lancio lungo di Amrabat su cui Nico Gonzalez (non nuovo a queste giocate) fa una grande sponda, con una sequenza controllo e tiro a incrociare in controtempo che ha colto di sorpresa Areola e si è infilato nell’angolo destro, con la delicatezza di una pagina di un bel libro che gira. Di Bonaventura e di come è diventato un giocatore importante per i viola abbiamo scritto, e ieri era sembrato poter essere la partita della consacrazione del suo talento, la scivolata con cui è andato a festeggiare sotto i suoi tifosi sarebbe stata l’immagine di una carriera. Due minuti dopo la Fiorentina ha avuto l’occasione per vincere. Succede sempre così con le finali tirate. Un lampo di Gonzalez, una sponda intelligente di Cabral, spesso basta pochissimo per creare un’occasione. Il pallone arriva a Mandragora come telecomandato, sul mancino di un mancino. Il centrocampista però apre troppo il piatto e manda fuori. È un errore anche questo a ben vedere, come quello sulla rimessa laterale di Coufal e quello sul filtrante di Paquetá.

Da qui è ancora più doloroso.

Nel mondo reale si dice che sbaglia solo chi fa, un modo di dire che premia chi è propositivo, perché gli errori fanno parte del pacchetto. Lo stesso si può dire della Fiorentina di ieri, ma in generale della Fiorentina come squadra. Il calcio - e soprattutto le finali - non sono però una riproduzione fedele del mondo reale. Il West Ham ha vinto perché ha fatto meno, ha ridotto la partita a una serie minima di episodi convinto di poter avere la meglio e avendo la meglio. È una tendenza che stiamo vedendo nel calcio europeo di questa stagione: anche il cammino di squadre come Milan, Inter e Roma si è basato su questo assunto e non c’è niente di male, addirittura il Manchester City ha sposato, in parte, questa idea. A Italiano verrà recriminato il contrario e ci sta: chi perde vede le proprie idee smontate pezzo per pezzo. C’è da dire che, nei suoi pregi e difetti, sarebbe stato assurdo cambiare totalmente pelle alla Fiorentina alla sessantesima partita della stagione. Alla fine la squadra di Italiano ha avuto il 67% di possesso palla, una percentuale di passaggi riusciti del 20% migliore, ha tirato verso la porta avversaria 10 volte in più del West Ham, ha creato più xG, ha avuto l’occasione per vincerla e l'ha sciupata. Sappiamo benissimo che nel calcio le partite non si vincono ai punti e questo non vuol dire nulla oggi. Dall’altra parte, la gioia del West Ham, il primo trofeo per David Moyes alla 1097esima panchina della sua carriera, dopo essere stato a un passo dall’esonero per mesi, confermano il valore della Conference League: un trofeo pensato proprio per premiare squadre, giocatori e allenatori che non possono sperare di arrivare ogni anno in fondo a competizioni più prestigiose. Declan Rice finisce la sua brillante carriera al West Ham (in teoria, ammesso che le voci di mercato siano fondate) alzando un trofeo da capitano; Bowen avrà un momento emozionante da raccontare ai nipoti; Paquetá ha trovato un po’ di quel riconoscimento che non è riuscito ad avere finora, seppur in un contesto che non sembra calzargli a pennello.

A specchio, la delusione della Fiorentina e dei suoi tifosi è lì per rimanere. Quanto è atroce uno sport dove una stagione piena zeppa di partite viene decisa da un attimo di indecisione? La squadra di Italiano ha giocato due buone finali ma non è bastato ad alzare un trofeo e, purtroppo, sono i trofei a fare i trionfi, costruire le storie. Quella dei viola rimane una storia fatta più da sconfitte. Certo, resta il cammino, la parata di Terraciano contro l'AZ, il gol di Barak contro il Basilea. Nelle notti di coppa è stata una bella Fiorentina. È abbastanza? Forse è una domanda che nel calcio è meglio non farsi mai. Prendere tutto quello che c'è di buono e provare a portarselo dietro, questa è l'unica possibilità per società e tifosi, calciatori e allenatori. Alla prossima stagione manca ancora qualche mese, una settimana di mare, forse la montagna per un weekend. Chissà, al calcio poi ci si pensa più avanti.

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