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Gian Marco Porcellini
La strada percorsa da Giacomo Bonaventura
06 giu 2023
06 giu 2023
L'evoluzione tecnica del centrocampista della Fiorentina, dalle origini con l'Atalanta a oggi.
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Gian Marco Porcellini
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IMAGO / AFLOSPORT
(foto) IMAGO / AFLOSPORT
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Il 15 settembre del 2012 Giacomo Bonaventura si trova a San Siro per affrontare il Milan - che nel giro di due anni diventerà la sua futura squadra - con la maglia dell’Atalanta. Ha da poco compiuto 23 anni ed è al suo secondo campionato in Serie A. A Bergamo si era conquistato un posto da titolare nel corso della stagione 2010/11, l’anno in cui era rientrato dal prestito al Padova e con 9 gol aveva contribuito alla promozione della "Dea" nella massima serie. Bonaventura è un jolly offensivo che viene impiegato soprattutto sull’esterno sinistro (più raramente a destra) anche se a Milano il tecnico Stefano Colantuono lo schiera dietro a Denis nel 442.

Già nella stagione precedente indossava il numero 10, anche se il ruolo del centrocampista marchigiano è più vicino quello dell’ala classica, che riceve sull’esterno ed eventualmente entra dentro al campo una volta che riceve palla. In quella gara contro il Milan Bonaventura non si comporta da trequartista, si muove semmai in funzione di Maxi Moralez, quarto di centrocampo che si accentra per raccordare il gioco tra le linee. All’ottavo minuto riceve un passaggio proprio dall’argentino nello spazio tra Bonera e Abate, staccandosi dalla linea difensiva. Dopo essersi girato è qualche metro fuori dall’area, si sposta la palla sul destro per tenere a distanza Ambrosini e vede Raimondi sul lato corto dell’area. Il primo Bonaventura è come si muovesse a scatti: ha uno stile elettrico, quasi compulsivo nel toccare il pallone, che sente l’urgenza di comprimere una giocata in pochi secondi, forte probabilmente di una rapidità (di gambe ma anche di esecuzione) con cui ha già iniziato a lasciare il segno in Serie A.

Ma non è ancora un giocatore particolarmente associativo e continuo nella gestione palla: in questa azione ad esempio non si accorge che Raimondi, il laterale di destra in quel 442, gli aveva chiamato il filtrante alle spalle del terzino avversario. Bonaventura invece lo vorrebbe servire sulla figura e il passaggio si perde così in fallo laterale.

Passano 9 anni e Bonaventura veste la maglia della Fiorentina, dove gioca da mezzala destra nel 433 di Vincenzo Italiano, di cui era stato compagno di squadra proprio l’anno del prestito al Padova.

Il 31 ottobre del 2021 "la Viola" sta battendo in casa lo Spezia 2-0, quando alla mezzora della ripresa Vlahovic tiene impegnati i due centrali difensivi e la tocca per Bonaventura, che arriva in corsa e la controlla un metro prima della lunetta dell’area. È una posizione simile a quella dell’azione descritta sopra, anche se qui l’avversario è aperto. Bonaventura ha superato i 32 anni e non ha più la brillantezza atletica della prima parte di carriera, per quanto abbia conservato una buona velocità in allungo. Porta avanti la sfera con l’interno destro e una consapevolezza maturata negli anni, Erlic gli si fa sotto mentre da sinistra arriva Gyasi a dargli il raddoppio. Il centrocampista della Fiorentina però lo vede e sposta la palla sul sinistro per coprirla. A quel punto esegue quella che è diventata nel tempo una delle sue giocate più riconoscibili, la torsione su se stesso, con cui manda vuoto Gyasi e di fatto libera lo spazio per l’inserimento sulla destra di Callejon, che serve a Vlahovic l’assist del 3-0. In altre parole, con una piroetta sul posto (e una raffinata scansione dello spazio) ha convertito un possibile uno contro due in un cosiddetto hockey pass (cioè il passaggio precedente all'assist).

Certo, speculare su queste due singole giocate può essere fuorviante, così come sarebbe semplicistico affermare che in questi 12 anni di Serie A Jack Bonaventura si sia trasformato da aletta esplosiva e un po’ disordinata in un regista di centrocampo più accorto e brillante. Però sono due azioni che aiutano a definire le tappe di un percorso compiuto da un giocatore che ha saputo adattarsi ed evolversi ai contesti, anche problematici, in cui si è ritrovato. Che ha saputo assorbire i due gravi infortuni subiti tra il 2017 e il 2018, modificando ed evolvendo nel suo gioco in funzione di un fisico inevitabilmente diverso e di un ruolo che nella seconda metà di carriera è cambiato (da esterno alto a mezzala), rimanendo costantemente un punto di riferimento nelle formazioni in cui ha giocato, grazie alla sua duttilità, ma soprattutto alla sua capacità di occupare gli spazi e vedere la porta.

Il primo Bonaventura

Il Bonaventura degli esordi ha uno stile più diretto e sfrontato, che si accende a sprazzi. L’Atalanta di quel triennio è imperniata sulle qualità (con e senza palla) del "frasquito" Moralez e cerca di assecondare pure la bulimia di palloni del "tanque" Denis, che vuole riceverne quanti più possibili. Bonaventura rappresenta una variazione sul tema, una leva con cui "la Dea" prova a sbilanciare l’avversario sul lato sinistro: si muove come una scheggia impazzita con un incedere quasi schizofrenico e senza particolare lucidità nella lettura del gioco, non è un caso che in nerazzurro non superi mai i 37 passaggi tentati ogni 90 minuti, con una percentuale di riuscita inferiore all’80%. L’ala marchigiana tendenzialmente rimane aperta, stringe la sua posizione per attaccare il secondo palo o per compensare un movimento di Moralez.

La sua idea è quella di puntare il fondo, portandosi quindi la palla sul sinistro, per quanto risulti davvero un fattore quando si lancia in conduzione e accelera la frequenza della sua corsa. Non è particolarmente pulito nel primo controllo e non ha ancora sviluppato quella capacità nel proteggere la sfera (anche perché il suo fisico sembra piuttosto esile), motivo per cui talvolta la gioca di prima pure quando avrebbe il tempo per gestirla. Si esalta però quando vince un duello individuale e riesce a creare il disordine attorno a sé, magari accentrandosi per arrivare alla conclusione, sempre toccando tante volte il pallone. Il numero di dribbling completati e falliti grosso modo si equivalgono (l’ultima stagione a Bergamo ad esempio ne completa 1,8 su 3,7, poco meno della metà), questo perché è la stessa Atalanta a metterlo nelle condizioni di forzare le giocate.

Più che in rifinitura (un passaggio chiave per 90 minuti), fa la differenza come finalizzatore, confermandosi un eccellente incursore anche nella massima serie. Dopo i 2 gol nel 2011/12, ne segna 13 nelle due stagioni successive, calciando da fuori ma soprattutto attaccando l’area come un vero cannoniere.

Il primo gol in Serie A è questa girata di sinistro con la palla che gli arriva da dietro. Un primo assaggio delle sue doti realizzative.

Sopravvivenza ed evoluzione a Milano

Il passaggio al Milan si concretizza nel settembre del 2014 in maniera un po’ casuale, poche ore dopo che il trasferimento all’Inter era saltato. Il biennio 2014-16 rappresenta per il Milan l’apice della banter era: una squadra inorganica e povera di talento, da cui Bonaventura poteva essere risucchiato. Così, almeno in parte, però non è stato. Bonaventura dimostra subito la personalità di chi vuole prendersi le sue responsabilità, pur di provare a dare una sterzata in un quadro avvilente.

In uno squallido derby dell’aprile 2015 terminato 0-0, i rossoneri di Pippo Inzaghi giocano una mezzora abbondante veramente passiva, in cui schiacciano la prima e la seconda linea del 433 nel proprio terzo di campo. Bonaventura, schierato ala sinistra in appoggio a Menez, in fase di non possesso si abbassa diligentemente e, in assenza di un riferimento sulla trequarti, quando il Milan ha palla si posiziona nel mezzo spazio di sinistra.

Sulla salita di Antonelli, Bonaventura si alza vicino a Menez per dare una linea di passaggio a Van Ginkel.

L’anno successivo Mihajlovic lo prova trequartista in un rovinoso 0-4 a San Siro contro il Napoli, ma è un esperimento che ha vita breve e Bonaventura torna ala sinistra nel 442. È un Milan che vive sugli isolamenti degli esterni alti, chiamati a creare superiorità numerica per sviluppare una fase offensiva poco armonica. A Milano il volume di gioco di Bonaventura subisce un’impennata significativa (nel 2016 arriva a 46 passaggi tentati per 90 minuti e 3,3 conclusioni, uno in più rispetto alla migliore stagione all’Atalanta), anche se rimane un giocatore che ricava la qualità dalla quantità del suo gioco. Il numero 28 viene portato a prendersi dei rischi un po’ per caratteristiche, un po’ per il contesto scheletrico, dove i giocatori hanno difficoltà ad associarsi: riceve vicino alla linea laterale spalle alla porta, dove prova a ripulire il pallone, tenendolo per attirare uomini su di sé ed eventualmente prendere un fallo. Tra il 2015 e il 2017 arriva a 2,6 falli subiti per 90 minuti, suo record in carriera, un dato che aiuta a capire il Bonaventura di quel periodo.

È una fase in cui la sua gestione palla nello stretto migliora sensibilmente, considerato che quando la porta spesso entra dentro al campo per aprirsi un varco nelle tasche del centrocampo avversario. La corsa si fa meno frenetica, quasi pattina quando va in conduzione (anche se la sfera è sempre molto vicino al piede). Il suo fisico si irrobustisce e difficilmente viene spostato dal marcatore, anzi inizia a usare il corpo per proteggersi. Diventa uno dei migliori del nostro campionato nel ricevere con l’uomo alle spalle e mandare a vuoto la pressione.

In questo video di un anno fa, ci fornisce un tutorial su come proteggere palla e girarsi con l’uomo alle spalle.

L’ex atalantino è bravo a scansionare lo spazio dietro di sé e a nascondere la palla, anche perché può spostarsela pure sul sinistro. Come quando esegue il doppio passo, altro pezzo forte del repertorio: pure da fermo è in grado di dribblare l’uomo con una certa facilità, pure in porzioni di campo ridotte. Nei primi due anni da ala pura è un animale da uno contro uno, quasi un panda nel panorama italiano, incapace di produrre dribblatori: nel 2015/16 è sul podio della Serie A tra i giocatori con la maggior percentuale di dribbling completati (65% con 2,4 dribbling su 3,7 tentativi per 90 minuti) dietro a Perotti e Zielinski, l’anno successivo è addirittura sesto come media dribbling, con 3,4 dribbling sui 5,2 tentati per 90 minuti.

Bonaventura si segnala come una delle poche note liete in un Milan mediocre, molto lontano dalle posizioni di vertice: non sarà sempre lucido nelle scelte offensive, eppure mette assieme 14 gol e 12 assist tra il 2014 e il 2016.

Uno dei suoi strappi con cui ha innescato un contropiede da solo.

Con Montella nell’estate del 2016 arriva il primo snodo sulla strada verso la polivalenza. L’ex tecnico della Fiorentina lo vede come mezzala sinistra nel suo 433 e già nel precampionato lo prova a centrocampo. Bonaventura è più trequartista o esterno di un centrocampista come Borja Valero, sono giocatori completamente diversi. Jack ha le caratteristiche per poter fare l’interno, ma deve prima assimilare i concetti. Comunque posso farlo giocare anche da esterno d’attacco” spiegava a inizio stagione l’allenatore, che effettivamente lo schiererà sia in mediana sia sulla linea degli attaccanti.

Forse Montella decide di arretrarlo perché Bonaventura, partendo da più lontano, può diventare ancora più pericoloso negli inserimenti, o magari perché, in un centrocampo abbastanza piatto a livello di dinamismo e agilità, è l’unico in grado di rompere le linee di pressione centralmente. Il gol al Sassuolo il 2 ottobre 2016, in cui si muove come terzo uomo nella combinazione tra De Sciglio e Bacca, supera Mazzitelli e arriva a calciare in corsa dal limite, effettivamente mostra le potenzialità di questo cambio di posizione.

Quella di Bonaventura comunque rimane comunque un’interpretazione “ibrida” del ruolo, considerato che finisce spesso in fascia, specie se il terzino di parte non si alza. In fase di non possesso invece ci mette un po’ ad assimilare i tempi delle uscite, non è sempre preciso nelle spaziature e tende a farsi attirare fuori posizione dalla palla. Però ha l’energia giusta per andare a contrasto e la gamba per raccogliere le seconde palle.

Una delle prime partite da mezzala, un 4-3 al Sassuolo di inizio 2016/17: qui si allarga fuori dall’area per compensare l’accentramento di Luiz Adriano, sulla carta esterno sinistro nel 433.

“Nel 4-3-3 mi schiererei anch’io mezzala sinistra", ha ammesso il diretto interessato nell’ottobre del 2016 "la posizione che effettivamente ricopro adesso. È forse meno appariscente rispetto al giocare più avanzato, ma mi consente di toccare tanti palloni, di partecipare alla costruzione della manovra”. A gennaio del 2017 il primo grave infortunio, che lo costringe all’intervento all’adduttore lungo della coscia sinistra, e gli farà saltare il resto del campionato. Torna l’anno successivo, ma ritrova la migliore condizione dopo qualche mese, con Gattuso in panchina. È l’anno del mercato sfarzoso di Fassone e Mirabelli, delle “cose formali” e dell’arrivo di Bonucci dalla Juve, ma la stagione deraglia rapidamente e il club decide di esonerare Montella.

Gattuso accantona il 352 delle prime settimane e riparte dal 433, confermando Bonaventura interno sinistro. Il centrocampista marchigiano trova la sua dimensione connettendosi con Calhanoglu, che parte dalla posizione di ala sinistra per entrare dentro al campo e legare il gioco nel mezzo spazio di sinistra.

Lo scambio di posizioni con il trequartista turco.

L’ex Atalanta si apre per occupare l’ampiezza o comunque dare una linea di passaggio al mediano. Sale sulla trequarti specialmente quando l’azione si sviluppa sul lato destro, quello di Suso che tende ad accentrare abbastanza il gioco. Gattuso lo sfrutta come incursore, anche perché come passatore ha un gioco abbastanza basico: magari se ha spazio verticalizza, ma è più facile che si appoggi al compagno più vicino per poi buttarsi in area. Il gol alla Lazio nel 2-1 di inizio 2018 è una summa del suo calcio da mezzala: riceve in posizione avanzata, si accentra e quando si rende conto di non avere spazio per sfondare scarica su Biglia, poi attacca il dischetto del rigore e incorna il cross di Calabria.

“Il ruolo di mezzala che mi è stato assegnato adesso mi va a genio perché le idee tattiche adesso sono ben precise (...) Gattuso esorta noi centrocampisti a cercare il gol, quindi siamo sempre portati a verticalizzare e a cercare le conclusioni” dichiarava il diretto interessato nel gennaio 2018.

Bonaventura è un ottimo colpitore di testa, che ha segnato ben 11 dei suoi 73 gol in questo modo. Uno dei più belli in questo fondamentale è quello nella finale di Supercoppa italiana del 2016 contro la Juve vinta ai rigori, con cui ha siglato l’1-1 girando di testa sul secondo palo un cross di Suso pur correndo nella direzione opposta (ha attaccato l’area in diagonale partendo dal vertice fino al dischetto). Un gol da vero centravanti, per un giocatore che del resto è sempre stato un eccelso finalizzatore, capace di segnare reti stupende in tanti modi diversi.

Non solo gol a un tocco (negli anni rossoneri l’asse con Suso che rifinisce da destra e Jack che si inserisce dal lato opposto è una costante), ma anche azioni personali, frutto della sua qualità nell’uno contro uno e in conduzione: contro la Fiorentina nel 2018 si è fatto metà campo palla al piede prima di concludere la sua corsa con un rasoterra da distanza ravvicinata. Dei 35 centri al Milan, più di un terzo (12) li ha fatti però calciando da fuori area, anche col sinistro, teoricamente il suo piede debole, di fatto quasi allo stesso livello del destro.

A Bologna, nel 2019, apre il sinistro come un mancino naturale.

In quelle 12 reti rientrano anche le 3 punizioni realizzate tra il 2015 e il 2016, a riprova di un giocatore costantemente proiettato al miglioramento di sé stesso. L’ultima è questa conclusione che passa sotto la barriera del Pescara, una rete oggi impossibile da replicare con il coccodrillo che si sdraia dietro gli uomini e che forse già profuma di nostalgia.

Uno dei miei preferiti però, oltre a questa sforbiciata in casa del Napoli, è un altro gol ai partonopei, questo tracciante di collo nella prima parte del 2019/20, sia per come libera lo spazio al limite dell’area a Krunic, sia per la rapidità d’esecuzione. È l’anno del rientro dopo il secondo grave infortunio della carriera, stavolta al ginocchio, che gli ha fatto saltare 8 mesi nel campionato precedente. Nel Milan post lockdown che prende il volo (9 vittorie e 3 pareggi in 12 giornate) si ritaglia un posto nelle rotazioni di Pioli sotto la punta nel 4231 con compiti da incursore, che si muove lontano dalla palla e dà profondità alla squadra quando Ibrahimovic si abbassa.

Lazio-Milan dell’estate 2020, Calhanoglu da esterno sinistro si abbassa e Jack attacca la linea difensiva della Lazio. A posteriori è strano vedere un Milan che può fare a meno di Leao.

Nella fase finale del campionato firma un gol e 5 assist, ma la società aveva già deciso di non rinnovargli il contratto in scadenza in luglio. A dispetto dell’immagine distorta del leader timido che i media hanno provato a cucirgli – ne aveva già parlato Tommaso Giagni in questo pezzo del 2016 – Bonaventura anche in quella circostanza si era espresso con la solita franchezza. “Ci sono state mezze parole, niente di più. Forse è cambiato lo stile Milan, ma ho avuto la sensazione che nei miei confronti non ci fosse la considerazione di cui godevo prima dell’infortunio”. Anche durante la prima stagione a Milano, non si era fatto problemi a criticare pubblicamente il club. “A gennaio (del 2015, nda) abbiamo giocato tante partite e abbiamo avuto poco tempo per allenarci. Nella sosta invernale siamo andati a Dubai per l’amichevole col Real Madrid, una cosa più di marketing che di preparazione”.

Bonaventura chiude una storia lunga 6 anni con 35 gol e come terzo miglior marcatore del decennio milanista 2010-2020, il che ci racconta della sua longevità e della sua capacità di imporsi nonostante il periodo travagliato del club rossonero, in cui erano stati acquistati a centrocampo tanti altri profili dalla classe media, come Bertolacci, Cerci, Biglia e Kucka, che si sono persi o hanno impiegato più di una stagione prima di riuscire a esprimere il loro valore (Kessié e Bennacer).

Crepuscolo viola

Nel settembre del 2020 viene ingaggiato dall’ambiziosa Fiorentina del presidente Commisso. Anche qui però le cose si mettono subito male e la squadra deve rivedere al ribasso i suoi obiettivi, lottando fino a marzo inoltrato per la salvezza. Nel 352 di Iachini prima e Prandelli poi, Bonaventura viene schierato da mezzala destra e deve sopportare lunghe fasi di difesa posizionale. È in Toscana che migliora il suo gioco in fase difensiva, nel tagliare le linee di passaggio come nell’affondare il tackle. “Il gioco sporco in mezzo al campo mi dà la carica, i contrasti mi piacciono” ha spiegato un anno fa durante la prima stagione con Vincenzo Italiano alla Fiorentina, un allenatore che chiede molto ai suoi giocatori senza palla. Il numero 5 compie un ulteriore passo in avanti in termini di aggressività sul portatoree intensità in non possesso, tanto che alle soglie dei 34 anni (che compirà il 22 agosto) può essere considerato davvero una mezzala completa per il contributo che fornisce in entrambe le fasi. Non si risparmia mai in termini di applicazione difensiva (e i 19 gialli presi in questo triennio in Toscana sui 55 complessivi danno la misura del suo agonismo), ma è diventato sempre più preciso nei tempi delle uscite.

Recupero palla, doppio passo e passaggio. Questa giocata con la Roma sembra un punto d’arrivo.

D’altro canto il suo fisico, appesantito dagli anni e in particolare dai due gravi infortuni tra il 2017 e il 2018, ha perso parte di quell’esplosività nei primi metri, per quanto abbia mantenuto una buonissima velocità in progressione. Ma rispetto agli inizi con l’Atalanta, quando voleva accelerare per disordinare l’avversario, ha capito che si può creare superiorità numerica anche rallentando l’azione. Una capacità di controllo degli spazi e dei tempi ancora più preziosa in una formazione diretta e caotica come quella di Italiano.

A Firenze è diventato il re delle pause, grazie alla sua finta di tiro con cui si sposta la palla da un piede all’altro. Nell’azione del gol segnato una ventina di giorni fa all’Udinese la difesa friulana ha provato a collassare su di lui, eppure Bonaventura si è infilato tra le maglie bianconere con la grazia e la nonchalance degli slalomisti negli anni ’70, che giravano attorno ai pali in legno seguendo un tracciato predefinito. Come se fosse naturale, quasi ovvio superare Becao e mettere a sedere Bijol e Silvestri prima di calciare.

L’ultimo Bonaventura corre con un passo più lungo e il corpo sbilanciato in avanti. A volte pare che stia per perdere l’equilibrio, in realtà ha mantenuto quel rapporto compulsivo col pallone che gli permette di avere il controllo della situazione. In questa parte della carriera è arrivato al culmine della razionalità, soprattutto come passatore. È migliorato nel ricircolo del pallone come nell’alleggerire la pressione avversaria, è più continuo nella gestione palla ed è cresciuto nel gioco lungo, anche se non potrà mai essere considerato un regista.

Addirittura un lancio di 40 metri col sinistro con cui manda in porta Vlahovic!

Forse gli manca un passaggio filtrante al livello della conduzione palla e del dribbling. Non sarà mai quel centrocampista che ti sblocca una situazione chiusa con un taglialinee di 20-30 metri, semmai è un giocatore che sa aprirsi degli spazi sfidando la pressione. Spesso ha idee brillanti in rifinitura, ma è come se l’ambizione superasse la precisione delle sue giocate. Probabilmente è più efficace quando è lui a ricevere palla, posizionandosi nel cono di luce tra le maglie avversarie.

Anche a Firenze ha dato prova della sua duttilità, dimostrando di essere prezioso a ogni altezza del campo: Italiano nel 2021/22 gli chiedeva soprattutto di abbassarsi di fianco a Torreira sull’uscita del pallone e poi occupare la trequarti a possesso consolidato, quest’anno invece lo ha alzato stabilmente vicino alla punta centrale dopo i primi due mesi in cui alla Fiorentina serviva un riferimento centrale. “Dieci metri più avanti o indietro cambia poco, alla fine c’è sempre da correre soprattutto contro squadre che fanno girare tanto la palla”, le sue parole dopo il 2-1 al Milan a marzo.

Nella semifinale di Conference League ha giocato una partita di ritorno da mezza punta, che rimaneva vicino a Cabral per riempire l’area e raccogliere le seconde palle. Assieme a Nico Gonzalez è stato il più pericoloso, con 7 tiri complessivi, di cui 4 in porta. Nella finale di Coppa Italia invece ha confermato il suo momento di forma giocando un secondo tempo da box to box al fianco dell’altro mediano, Mandragora.

In carriera si è sempre ritagliato una certa centralità nelle squadre in cui è passato, ma mai come quest’anno si è imposto come leader tecnico ed emotivo. Nella prima parte della carriera era un giocatore che si accendeva a fiammate, oggi è molto più regolare e lucido all’interno dei 90 minuti, che riempie con quantità e qualità. Non so quale sia la sua versione migliore, di certo oggi ha raggiunto il picco della sua maturità. La scelta da parte del Milan di non rinnovargli il contratto nel 2020 era in linea con il ringiovanimento della rosa portato avanti da Maldini e Massara, anche se a posteriori avrebbe fatto comodo per colmare il vuoto che si è creato sulla trequarti dopo l’addio di Calhanoglu.

Ma al di là di questo, la retorica del giocatore sottovalutato rischia di essere stucchevole se cucita addosso a un centrocampista da quasi 200 presenze col Milan, tuttora molto amato dai tifosi rossoneri (basta scorrere i commenti sotto un suo video su Youtube, anche in maglia viola, di utenti che lo rivorrebbero a Milano), il quale ha vestito la maglia della Nazionale per 14 volte tra il 2013 e il 2020. I due infortuni lo hanno penalizzato in maniera decisiva, specie nel momento in cui Ventura gli stava dando spazio, però è altrettanto vero che Mancini gli ha preferito centrocampisti con un maggior controllo tecnico nello stretto di lui. Più che un giocatore sottovalutato, lo si può considerare un underclass hero, un eroe della classe media, per parafrasare una canzone dei Sum 41, che si è formato e trasformato lungo il suo percorso, aggiungendo un pezzo dopo l’altro al suo gioco. “La specializzazione è una deriva sbagliata: ti aiuta a esplodere, ma poi devi migliorare, cambiare, adattarti”, r

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