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Le incertezze della Roma
05 nov 2018
Nell'uno a uno del Franchi si sono evidenziati i diversi momenti delle due squadre.
(articolo)
10 min
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Alla fine Fiorentina e Roma si sono divise la posta pareggiando per 1-1 nel big match dell'undicesima giornata. Si sono affrontate due squadre agli antipodi, il cui unico punto in comune in questo momento è la posizione in classifica: sono state messe a confronto le incertezze della squadra di Di Francesco e l’identità fin troppo delineata di quella di Pioli; gli impacci dei viola col pallone tra i piedi e la qualità tecnica dei giocatori giallorossi. Ne è scaturita una partita interessante sul piano tattico oltre che gradevole e divertente.

La Roma veniva dalla partita di Napoli, in cui aveva giocato in modo molto passivo, e a Firenze ha cambiato registro, vuoi per indole e per l’orgoglio, vuoi perché glielo ha concesso la Fiorentina. Per una volta, entrambe le squadre sembravano concordi nel creare un contesto tattico equilibrato, senza che l’una cercasse di imporre il proprio all’altra. La Roma ha provato a far partire l’azione dal basso, per attirare in avanti i giocatori viola e creare spazi alle loro spalle, e lo ha fatto anche appoggiandosi alle qualità nel gioco dei piedi del suo estremo difensore: Robin Olsen è il secondo portiere più coinvolto del campionato (dopo lo spallino Alfred Gomis), con una media di 30,5 passaggi giocati ogni 90 minuti. Sabato sera lo svedese ne ha giocati 38: più di Zaniolo, El Shaarawy o Dzeko, per dire.

La strategia di pressing pensata da Pioli funzionava così: Benassi seguiva Pellegrini, schierato più o meno accanto a Nzonzi in mediana; sul francese si alzava Gerson; a destra Mirallas prendeva Kolarov mentre a sinistra Chiesa si accentrava a disturbo di Fazio; Simeone prendeva l’ultimo uomo rimasto, l’altro centrale Juan Jesus. Lo scopo dei viola era chiaro: chiudere tutti gli appoggi ravvicinati, lasciando libero lo scarico verso Florenzi, l’uomo più difficile da raggiungere per il portiere che, destro di piede, avrebbe dovuto aprirsi completamente col corpo, lasciar scorrere il pallone per portarlo sul piede buono, rischiando così di dare a Chiesa il tempo di arrivargli addosso.

La tattica della Fiorentina inizialmente ha funzionato: dei 10 lanci lunghi giocati da Olsen in partita, la metà sono stati spesi nel primo quarto d’ora. Di Francesco però ha mosso le sue pedine: se all’inizio i due centrali erano larghissimi per creare lo spazio per la ricezione di Pellegrini e Nzonzi, già molto bassi e sulla stessa linea ad inizio azione, dopo qualche minuto il centrocampista romano si è piazzato su una linea più alta, e i centrali hanno trovato qualche buona combinazione con Nzonzi che non era già basso, statico, facile da marcare, ma arrivava nella zona di ricezione davanti alla difesa in movimento.

La Roma ha eluso il pressing viola risalendo il campo più spesso a sinistra, con Pellegrini che riceveva come terzo uomo dopo una combinazione tra Nzonzi e Kolarov. Quando si trovano le soluzioni in campo, è sempre un buon segnale.

Ünder attira Biraghi fuori dalla linea, lo spazio che ne deriva è subito preso da Florenzi, sul quale Chiesa è in forte ritardo. Hugo, in marcatura su Dzeko è costretto a dare uno sguardo anche a quello che accade alla sua sinistra.

In questo modo, la Fiorentina è stata costretta dalla Roma ad abbassarsi e a organizzare la propria fase di difesa statica. La Roma ha preso il campo nella sua interezza, trovando nella metà campo avversaria buone combinazioni tra Florenzi e Ünder, con il primo che ha la forza di assecondare i movimenti del secondo, mettendo in apprensione Biraghi in prima battuta e Vitor Hugo alle sue spalle.

I giallorossi hanno dominato nel possesso palla, che già a fine primo tempo era nelle proporzioni che poi ha assunto a fine partita (63% a 37%). Hanno giocato nella trequarti avversaria il 40,4% dei loro passaggi, più della media degli stessi giallorossi in campionato (30%) e più del doppio dei passaggi della Fiorentina nell’altra trequarti. Già a fine primo tempo avevano cumulato 1,5 Expected Goals (sui 2 messi insieme a fine partita), con Dzeko che si è divorato l’occasione più grande, quando Pellegrini con un lob filtrante lo ha messo davanti a Lafont: nel 50% dei casi da lì si fa gol.

I compiti della Roma

Nel 4-2-3-1 della Roma si riconoscono i dettami di Di Francesco (gli stessi del suo canonico 4-3-3): gli esterni d’attacco si portano all’interno del campo pronti a ricevere nei mezzi spazi, e l’ampiezza è deputata ai terzini (nel 4-3-3 ci devono pensare le mezzali invece). Centralmente, le rotazioni continue del trequartista e dei due mediani provano a rompere il blocco difensivo degli avversari.

Pellegrini porta molto palla su una linea più avanzata di quella di Nzonzi, ma le connessioni più frequenti della partita le trova Kolarov, che scambia il pallone con El Shaarawy e Zaniolo.

Forse il punto nodale della prestazione di ieri, che è simbolica dell’inizio di stagione dei giallorossi, è che la Roma fa bene il compitino, per così dire, ma non va oltre. I giocatori sono tutti sulla stessa barca e insieme cercano soluzioni ai problemi che il campo pone, a volte le trovano, ma altre volte no.

Allora ecco che i difensori lanciano il pallone lì dove non c’è un movimento, o non c’è ancora; ecco che nascono incomprensioni tra Kolarov e il freshman Zaniolo, dopo che i due si erano trovati per tutta la partita; ecco che le ali si portano troppo presto nei mezzi spazi e ricevono palla da fermi, marcati, e devono restituirla all’indietro.

La Roma è alla ricerca di certezze, si sta impegnando nella ricerca di nuove intese, ma si concede anche delle pause nelle quali mostra quanto profonde siano le sue attuali incertezze. Un calciatore, nel sistema-squadra, non è scisso dalle dinamiche del sistema e i dubbi e le ansie che tormentano la Roma hanno teso oltremodo i muscoli di Ünder nel momento in cui ha pensato di giocare un retropassaggio verso Olsen, tensione che ha fatto sì che il pallone fosse troppo corto, giocato con meno forza di quanto servisse.

La Roma è passata in svantaggio per il rigore trasformato da Veretout: come sempre, ai fini delle nostre analisi non è interessante ragionare se ci fosse o meno, piuttosto va sottolineato come il rigore abbia spezzato l’equilibrio proprio quando sembrava che la Roma avesse dimostrato una propria superiorità tecnica sull’avversario. Una superiorità che però, se basta così poco a negarla, non è evidentemente sufficiente.

Organizzare il caos viola

Non è un’eresia paragonare il calcio della Fiorentina a quello “heavy metal” giocato dalle squadre di Jurgen Klopp: ovviamente le qualità degli interpreti è molto diversa, e sono diverse anche le cose che vengono realizzate in campo e la loro efficacia in termini di risultati, ma si può quanto meno dire che alcuni principi di gioco cari all’allenatore tedesco sono condivisi anche da Stefano Pioli.

La pressione della Fiorentina all’inizio dei due tempi è sempre feroce e orientata alla conquista alta del pallone: nei primi 15 minuti di partita i viola hanno riconquistato palla 4 volte nella metà campo avversaria, solo altre 5 nel resto della partita. L’altezza media dei recuperi in quel periodo era di 38 metri, e si è abbassata di 4 metri nel resto della partita. Anche il gegenpressing è sempre orientato alla riconquista della palla, piuttosto che portato nel tentativo di guadagnare tempo per risistemare le fila difensive.

Quando la Fiorentina è costretta ad abbassarsi, poi, organizza la propria fase difensiva in maniera fluida. Le posizioni sono occupate a partire da come si è conclusa la fase precedente: nel 4-4-2 di base che i viola organizzano davanti alla propria area di rigore talvolta è Benassi ad affiancare Simeone, se l’ex torinista era alto alla fine dell’attacco, altre volte invece è Chiesa a rimanere sulla stessa linea del “Cholito”, con Benassi che scala tra Mirallas e Veretout, e Gerson che si allarga in fascia a sinistra.

Pioli organizza la fase di impostazione del gioco secondo due-tre canovacci differenti, che alterna a seconda dell’avversario. Stavolta ad inizio azione era Gerson ad abbassarsi vicino a Veretout, e i due terzini Milenkovic e Biraghi restavano più bassi sul campo che in altre occasioni, alla portata dei due centrali Pezzella e Vitor Hugo. I due dovevano fungere da catapulta per lanciare il pallone sulle ali Chiesa e Mirallas, per cercare di isolarli uno contro uno contro i terzini avversari o addirittura contro i centrali, quando alla Fiorentina riusciva di ribaltare il fronte velocemente e coglieva Kolarov e Florenzi alti e fuori dalla linea.

La Fiorentina è spezzata in due blocchi, i tre davanti si aprono a ventaglio e corrono verso la porta partendo dal centro di centrocampo. Si creano gli spazi per la ricezione comoda di Edimilson che punterà la difesa palla al piede.

I tre davanti nella Fiorentina - un po’ come i tre attaccanti del Liverpool, per continuare con il parallelo - sono sempre pronti a scattare verso la porta, anche partendo da posizioni di campo molto profonde. Come avveniva per la fase difensiva, iniziano l’attacco dalle posizioni in cui sono alla fine della fase precedente, e tagliano il campo con corse senza palla in verticale.

La Fiorentina ha bisogno di allungarsi sul campo, di disordinarsi per disordinare, è l’unico modo che ha per rendersi pericolosa. È come se conoscesse a menadito i propri pregi, e accettasse i propri difetti. La Fiorentina non ha in tutti gli elementi qualità di palleggio di primissima fascia, e allora semplicemente non palleggia. Sabato i viola hanno registrato il 67% dei passaggi riusciti, contro l’81% della Roma, peggiorando contro un avversario riconosciuto come più forte una statistica che li vedeva già molto indietro. In campionato la Fiorentina è quartultima per la precisione media dei propri passaggi (78,5%), davanti solo a Frosinone, Bologna e Parma.

L’unica alternativa al lancio lungolinea per saltare la prima linea di pressione avversaria, è Gerson. Il brasiliano protegge palla col corpo e dribbla al centro del campo, crea di per sé superiorità numerica. La sua influenza sulla partita è scemata quando Pioli lo ha spostato esterno destro del 4-3-3 dopo la sostituzione di Mirallas con Edimilson.

Il tecnico nel dopo-partita ha detto di aver voluto così contrastare la fisicità dei romanisti inserendo un uomo con maggiore forza fisica. E ha avuto ragione: con Edimilson in campo la Fiorentina ha pareggiato la Roma nei duelli e ha alzato di molto il suo baricentro (salito da 34 metri nei primi 10 minuti del secondo tempo a 45 metri nei successivi 35). Però così la partita ha perso uno dei suoi protagonisti positivi.

Quello incassato sabato è stato il nono gol subito dalla Fiorentina in campionato, il terzo al Franchi. Un paradosso se si pensa che i difensori viola aggrediscono sempre il proprio uomo in avanti, una tattica persino più pericolosa di quella dell’Atalanta di Gasperini, dove è eseguita all’interno di un contesto di squadra che prevede coperture e scalate sistematiche. I difensori viola escono dalle proprie posizioni con una convinzione quasi fideistica di poter vincere il duello col proprio avversario.

Sull’asse Florenzi-Ünder la Fiorentina ha rischiato di perdere l’intera posta, per permettere a Chiesa di mantenersi fresco, Pioli lo ha sollevato da gran parte degli incarichi difensivi: così però è finita che Biraghi era preso in mezzo dal gioco a due degli avversari, e che Vitor Hugo era costretto a interessarsi più di quello che avveniva davanti a sé in fascia, rispetto a quello che accadeva alle sue spalle in area di rigore. Comunque convinto che lui avrebbe risolto la situazione, o che Pezzella e Milenkovic non avrebbero perso i rispettivi duelli con Dzeko ed El Shaarawy.

Nella straordinaria varietà tattica della Serie A, la Fiorentina rappresenta un unicum e per questo dobbiamo tenerla d’occhio e non essere troppo severi, al di là delle simpatie o dei risultati che otterrà, dei difetti e delle molte imperfezioni che la accompagnano (ad esempio, dovranno trovare il modo di creare più occasioni da gol), la squadra di Pioli mostra un coraggio che si trasforma in maniera molto naturale in divertimento.

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