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Damiano Primativo
L'ambizione europea della Fiorentina
20 mag 2023
20 mag 2023
Contro il Basilea è arrivata l'ennesima prestazione dominante in trasferta e di conseguenza la finale.
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Damiano Primativo
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IMAGO / Sports Press Photo
(foto) IMAGO / Sports Press Photo
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C’è un dato che più di tutti racconta la Conference League della Fiorentina. A eccezione della prima trasferta contro il Basaksehir, in tutte le altre partite trasferte ha sempre segnato almeno tre gol. Una statistica curiosa, per una squadra che per lunghi tratti di questa stagione è apparsa poco prolifica, incapace di trasformare in gol l’enorme mole di gioco prodotto. Una squadra che spesso è sembrata l’allegoria della sterilità, creatura condannata da una divinità maligna a un logorante lavoro di possesso palla per non arrivare mai al dunque. Giovedì a Basilea un’altra grande prestazione in trasferta. La Fiorentina aveva bisogno di tre gol per ribaltare l’1-2 subìto a Firenze, e li ha segnati premendo il Basilea nella propria area per tutti i 120 minuti (130, a dire il vero) e imprimendo sulla partita un dominio territoriale raro per una squadra italiana in una partita europea. Una vittoria che vale la qualificazione alla finale di Praga del prossimo 7 giugno contro il West Ham. La prima finale europea per la Fiorentina da 33 anni.

«Potevamo farci harakiri con le partite in casa», ha detto Vincenzo Italiano al fischio finale, sottolineando come questa cavalcata sia stata costruita soprattutto in trasferta, aggirando i tentativi di autosabotaggio che la Viola ha messo in pratica nelle partite casalinghe della fase a eliminazione diretta. A febbraio nei sedicesimi di finale aveva vinto 4-0 a Braga la partita di andata, per poi farsi rimontare al Franchi due gol nella prima mezzora, e vincere infine la partita 3-2. Con il Lech Poznan ai quarti un’agonia addirittura maggiore: la Fiorentina vince l’andata per 4-1 in trasferta; al ritorno va sotto 0-3 al 69’, prima di spuntarla grazie ai gol di Sottil e Castrovilli negli ultimi dodici minuti. E allora contiene una punta diabolica di masochismo, il fatto che pure in semifinale la Fiorentina si sia complicato il più possibile la vita in casa, nella partita di andata. In vantaggio per 1-0 nel primo tempo, aveva subìto prima il pareggio a venti minuti dalla fine, e poi perso la partita al 92’. Al ritorno a Basilea, dicevamo, la Fiorentina ha dominato. Certo, pur sempre nel modo isterico e caotico con cui la Fiorentina domina le sue partite. Con un dominio, cioè, che in alcuni momenti si assottiglia e diventa labile al punto che basta una disattenzione, un controllo sbagliato durante l’impostazione, un passaggio svagato e tutta la squadra si ritrova a pregare che la transizione avversaria non faccia troppi danni. Una situazione del genere si verifica già al 9’, ad esempio. Con la Fiorentina distesa tutta nella metà campo offensiva, Amrabat controlla male un semplice passaggio orizzontale di Igor. Sul rimpallo piomba Ndoye, la prima riaggressione di Biraghi salta e così la Fiorentina deve rinculare di cinquanta metri per riassorbire la transizione del Basilea. In questa stagione la Fiorentina ci ha abituati a queste situazioni: quando imposta da dietro porta anche 8 giocatori sopra la linea della palla, e in più i movimenti in profondità delle mezzali svuotano ulteriormente il centro del campo lasciando la difesa priva di una adeguata rete di protezione alle transizioni avversarie. Nella prima mezz’ora la Fiorentina è sembrata ansiosa, terrorizzata dai propri stessi errori che innescavano le ripartenze del Basilea e generavano altro terrore e altri errori. Poi la Fiorentina ha cominciato in effetti a imprimere il suo controllo e la partita è diventata quella che ci si aspettava, la stessa che era stata anche all’andata. Da una parte la Fiorentina che spinge, propone il suo gioco ambizioso, usa il possesso del pallone per costruire; dall’altra il Basilea, distruttivo, che sta bene senza il pallone e si chiude con un 5-3-2 basso e stretto a protezione del proprio portiere, aspettando solo l’innesco giusto per ripartire velocemente in transizione. Anche a questo la Fiorentina è abituata: poche squadre hanno il suo dominio territoriale (in Serie A è seconda solo al Napoli nell’indice Field Tilt, dato Soccerment) e le avversarie sanno che il modo migliore per rendere improduttivo quel dominio è chiudere gli spazi nell’ultimo terzo di campo. Privare i giocatori della Fiorentina delle ricezioni tra le linee, togliere loro la profondità, obbligarli a un possesso palla perimetrale che li faccia cuocere nella loro stessa inconcludenza. Quasi tutti gli sforzi tattici di Vincenzo Italiano in questa stagione si sono concentrati a rendere più affilato il possesso palla della squadra sulla trequarti. Invertire la tendenza per cui la Fiorentina è bravissima ad arrivare nella metà campo offensiva, ma incapace a creare occasioni pericolose (in Serie A è seconda per tocchi in area avversaria, ma penultima per rapporto xG/tiro, dati Fbref). Un problema che esisteva, sebbene più leggero, anche nella passata stagione, ma che è esploso quest’anno dopo la partenza di Torreira. Il sostituto dell’uruguaiano, Amrabat, non ha le stesse doti tecniche nella distribuzione del pallone, e così per la Fiorentina far avanzare il pallone centralmente, innescando le mezzali dietro il centrocampo avversario, è complicato come risolvere un cubo di Rubik. Per aumentare le linee di passaggio al centro Italiano le ha provate tutte: far accentrare gli esterni offensivi, alzare una mezzala sulla trequarti, affiancare ad Amrabat un secondo play, abbassando una mezzala o accentrando un terzino. I risultati sono stati buoni a momenti alterni. La Fiorentina non ha mai risolto del tutto i suoi problemi a penetrare per vie centrali, e così per tutta la stagione il principale impulso alla rifinitura è arrivato dalle fasce. In Serie A solo l’Inter usa più cross della Fiorentina. Uno strumento notoriamente poco efficace, ma su cui la Viola ha costruito un piccolo culto. Le partite della Fiorentina hanno un sapore anni ’90 per la quantità di cross buttati in area che contengono, e in un contesto di questo tipo è emerso il talento per i cross di Cristiano Biraghi. Nessuno in Serie A serve più passaggi chiave del capitano della Fiorentina. Che sia su azione viva o da calcio da fermo, che sia con un cross morbido o un fendente basso, i traversoni di Biraghi sono la principale fonte creativa della Fiorentina. Contro il Basilea è proprio un cross di Biraghi a generare il gol del vantaggio, al 34’. Un calcio d’angolo a rientrare che incontra la testa di Nico Gonzalez, tutto solo sulla linea dell’area piccola. Nico Gonzalez che è uno dei giocatori della Fiorentina che in Conference League alzano il loro rendimento, autore di 6 gol in 12 partite se si considerano pure i preliminari di agosto contro il Twente, in cui ha segnato il gol che ha sbloccato la contesa nella partita di andata. Nico Gonzalez che incarna lo spirito di questa Fiorentina, nel bene e nel male: un giocatore intenso e volitivo, che ha un modo tarantolato di stare in campo e contribuisce con la sua creatività caotica all’immagine disperata che ha la squadra quando attacca. Nico Gonzalez che si è fatto male due volte a inizio stagione, e la cui assenza ha coinciso con il periodo più buio della Fiorentina di Italiano, quando tra ottobre e metà febbraio era scivolata nei bassifondi della classifica; Nico Gonzalez che poi è tornato e ha alzato l’asticella in primavera, quando la Fiorentina ha infilato una serie di 14 risultati utili consecutivi in tutte le competizioni tra metà febbraio e metà aprile. Dopo il gol la Fiorentina scioglie i propri nervi e comincia ad attaccare con maggiore fluidità, ritrovando fiducia nel suo gioco ambizioso e propositivo. Le rotazioni della struttura posizionale funzionano meglio, le combinazioni tra esterno e terzino sulle fasce avvengono più puntuali. Prima della fine del primo tempo la Fiorentina ha una grossa occasione per raddoppiare, ancora con un cross ma stavolta di Dodò dalla destra. Arthur Cabral lavora bene un pallone spalle alla porta e apre a destra verso Nico Gonzalez. Dodò si sovrappone sull’esterno, riceve il suggerimento di Gonzalez e mette un traversone in mezzo che Bonaventura colpisce di testa a colpo sicuro, dalla stessa posizione da cui Gonzalez aveva segnato. La parata del portiere del Basilea è goffa ma efficace. Il secondo tempo comincia come era finito il primo, con la Fiorentina che controlla il gioco e lo spazio schiacciando indietro l’avversario e recuperando palla il più in alto possibile. Fino a quando al 54’ il Basilea, improvvisamente, non trova il pareggio: c’è una punizione apparentemente innocua da centrocampo, Milenkovic si fa scappare Amdouni alle spalle, quello entra in area, elude bene Igor e segna con un tiro sul secondo palo. Un episodio tipicamente da Fiorentina: nel momento di massima pressione offensiva, è bastata una goccia per far crollare l’intero castello di sabbia. Il Basilea ha segnato alla prima occasione in cui si è affacciata nella metà campo avversaria nel secondo tempo, e anche questo è un film già visto per la Fiorentina: una squadra che concede poche occasioni agli avversari ma molto pericolose (in Serie A è la peggiore squadra insieme a Udinese e Cremonese per rapporto xG/tiri concessi). Il gol subìto però rivela anche altro: se tatticamente la Fiorentina è una squadra fragile, mentalmente è proprio nelle difficoltà che ritrova la concentrazione e la tensione mentale giusta. Come nei mezzi suicidi contro Braga e Lech, lo svantaggio serve forse come una scarica di adrenalina per risvegliare una squadra che quando è in vantaggio tende a distrarsi, a far uscire il suo lato più naif e svagato. Sette minuti dopo il pareggio, la Fiorentina va vicina al gol, naturalmente con un cross dalla trequarti di Biraghi che trova l’inserimento di Bonaventura dietro la difesa. La deviazione di sinistro al volo finisce mezzo metro sopra la traversa. La Fiorentina preme sempre di più, l’intensità dei recuperi palla sale sempre di più. Al 72’, dopo alcuni minuti in cui il Basilea fatica a uscire dalla propria area, la Viola segna il 2-1: ancora con Gonzalez, che si ritrova un pallone vagante tra i piedi dopo l’ennesimo cross lanciato in area (stavolta di Dodò dalla destra). Gli ultimi venti minuti filano via con la Fiorentina che continua ad attaccare, cercando di segnare il terzo gol che eviterebbe i supplementari, e il Basilea che è sempre più schiacciato indietro, con sempre più campo da risalire e sempre meno energia per farlo. In quei minuti i tifosi della Fiorentina vivono un’afflizione che è uguale e opposta, ad esempio, a quella dei tifosi della Roma, che in contemporanea stanno vivendo in apnea gli ultimi minuti di Leverkusen-Roma in Europa League. Se i giallorossi hanno scelto una strategia ultra-difensiva per difendere il gol del vantaggio dell’andata, e stanno trascorrendo in trincea gli ultimi minuti della semifinale di ritorno, la Fiorentina sta giocando la sua semifinale col suo solito approccio sfrontato e audace. E non solo perché deve segnare ancora un gol per qualificarsi, ma perché è quella la natura dei suoi principi di gioco. È questo forse il più grande orgoglio che i tifosi viola si porteranno da questa campagna: essersi presentati in ogni campo d’Europa con un calcio che ambisce a controllare il gioco e a schiacciare l’avversario. L’inversione dello stereotipo del calcio italiano tutto difesa e catenaccio. Ai supplementari alla fine bisogna andarci. L’inerzia della partita però non cambia. La Fiorentina continua a dominare il gioco, e al 94’ nel giro di trenta secondi va vicinissima al gol due volte, prima con Jovic, appena entrato al posto di Cabral, poi con Gonzalez. Cinque minuti dopo è Bonaventura a provarci, con un tiro da dentro l’area che però finisce centrale tra le mani del portiere. Bonaventura è l’arma principale usata da Italiano per aumentare la pericolosità centrale della Fiorentina; con la sua qualità tra le linee, quando è in campo è sempre lui la mezzala incaricata di alzarsi per giocare in supporto della punta. Contro il Basilea ha giocato un’intera partita da attaccante ombra, praticamente. Nell’intervallo tra i supplementari Bonaventura esce e Antonin Barak entra al suo posto. Si sistema nella stessa posizione ibrida tra mezzala e trequartista, più o meno con gli stessi compiti di Bonaventura. Barak che è forse il principale oggetto misterioso della stagione della Fiorentina. È arrivato dopo gli 11 gol della stagione scorsa a Verona, dove aveva proliferato negli spazi ampi dell’attacco dell’Hellas, ma alla Fiorentina si è trovato ingolfato negli spazi opprimenti della trequarti viola. Barak che come Gonzalez in Conference ha alzato di molto le sue prestazioni: prima di giovedì aveva segnato 4 gol, il doppio di quelli segnati in campionato, in un terzo delle partite. Il quinto gol lo segna al 129’ della semifinale, quando a Basilea sono già passate le 23:30. Nasce tutto ancora da un cross, di Nico Gonzalez dalla destra. Jovic fa da torre sul secondo palo e rimette dentro, sull’altro palo i difensori del Basilea pasticciano e alle loro spalle sbuca Barak. L’ultima immagine che i tifosi della Fiorentina ricorderanno di questa semifinale è quella di Barak, bellissimo, col fisico da surfista australiano e i calzettoni abbassati, che controlla il pallone col ventre e poi lo schiaffeggia con l’esterno del piede sinistro. Prima della fine c’è tempo anche per un palo di Jovic che avrebbe potuto rendere il risultato ancora più rotondo. Al fischio finale la panchina della Fiorentina si riversa in campo. Nico Gonzalez si stende per terra, strappa i ciuffi d’erba con i pugni. Poi tutta la rosa della Fiorentina si unisce a raccolta sotto lo spicchio di tifosi ospiti; dagli spalti piovono sciarpe bianche e viola e in un attimo quasi tutti i giocatori della Fiorentina ne hanno una in mano da agitare, mentre saltellano e cantano insieme ai tifosi «Torneremo torneremo / Torneremo grandi ancor / Torneremo a esser campioni / come nel ’56».

Ai microfoni dopo la partita Vincenzo Italiano ha gli occhi lucidi di stanchezza. Non perde la sua aura di persona iper-razionale, ma al contempo c’è sempre una scintilla di follia che attraversa il suo sguardo. È difficile non pensare che il principale artefice di questo risultato sia lui. La sua carriera da allenatore è ancora breve ma di anno in anno Italiano ha alzato l’asticella e si è costruito una grossa reputazione di specialista delle sfide a eliminazione diretta. Per tre anni consecutivi, dal 2017-18 al 2019-20, ha ottenuto tre promozioni consecutive con tre squadre diverse vincendo i play-off: nel 2018 con l’Arzignano in Serie D, l’anno dopo con il Trapani in C e quello dopo ancora con lo Spezia in B. Sempre al primo colpo. L’anno scorso è arrivato alla Fiorentina e sempre al primo colpo ha centrato la qualificazione europea, dopo anni in cui la Fiorentina giocava per non retrocedere. Quest’anno, ancora una volta al primo tentativo, ha centrato la finale di una competizione europea alla sua prima partecipazione, e ha raggiunto la finale di Coppa Italia che disputerà mercoledì contro l’Inter. Solo due altre volte nella sua storia la Fiorentina ha giocato due finali nella stessa stagione, e tutte e due le volte ha vinto entrambi i trofei. Nel 1960-61 ha vinto sia la Coppa Italia sia la Coppa delle Coppe, il suo primo trofeo internazionale; pochi anni dopo, nel 1966, ha vinto un’altra Coppa Italia e la Mitropa Cup. Da allora la Fiorentina non ha più vinto un trofeo internazionale. L’ultima finale giocata risale a 33 anni fa, contro la Juventus in Coppa Uefa. La Fiorentina perse il doppio confronto con un totale di 3-1, in due partite che furono anche le ultime giocate da Roberto Baggio con la maglia della Fiorentina, prima di passare proprio alla Juventus. In questi 33 anni la Fiorentina ha sfiorato altre volte la qualificazione a una finale europea, ma per qualche motivo gli è sempre sfuggita dalle mani: nel 1997 ha perso in semifinale di Coppa delle Coppe contro il Barcellona, anche in quel caso, curiosamente, perdendo il ritorno in casa dopo aver centrato un prezioso pareggio all’andata in trasferta; nel 2007/08, in semifinale di Coppa Uefa, ha perso ai rigori contro i Glasgow Rangers, e nel 2014/15 è stata spazzata via da un complessivo 0-5 tra andata e ritorno dal Siviglia di Unai Emery. Che valore dare a questa stagione della Fiorentina? Può sembrare paradossale, ma nonostante l’ottimo cammino nelle coppe il giudizio resta sospeso, perché troppo legato al risultato delle due finali. Vincerne anche solo una renderebbe la stagione ottima, dal momento che riporterebbe a Firenze un trofeo che manca dalla Coppa Italia del 2001, e in più garantirebbe alla Fiorentina la partecipazione alla prossima Europa League. Perdendole entrambe, invece, la Viola resterebbe quasi sicuramente fuori dall’Europa. In campionato difficilmente riuscirà ad andare oltre l’ottavo-nono posto nelle tre partite che restano, e per sperare nell’ultima piazza disponibile per la Conference League dovrebbero allinearsi troppe coincidenze favorevoli su cui la Fiorentina non può avere alcun controllo. Ciò che pesa su questa stagione della Fiorentina, in sostanza, è il rendimento troppo altalenante avuto in campionato, l’unico canale di accesso sicuro all’Europa, a dispetto della natura volatile e incerta delle coppe. Contiene una certa coerenza con la natura fragile e volubile di questa Fiorentina, allora, il fatto che in questa stagione la squadra abbia dato il meglio di sé nelle coppe, là dove serve meno costanza e più estro. Non è del tutto vero, però, che in caso di sconfitta nelle due finali, e specie in quella di Conference League, non resterà niente. Una cavalcata europea lunga 17 partite. «È davvero esaltante», come ha detto Vincenzo Italiano a Sky dopo la partita col Basilea, dopo aver specificato che «Se c’era da scegliere tra finale di Coppa Italia a Roma e finale di Conference a Praga quest’anno avrei scelto Praga». Tutto il cammino europeo è stato l’espressione forse più pura dei principi che Italiano ha impresso alla Fiorentina in questi due anni. Della mentalità sempre proattiva del suo gioco, dell’ambizione a imporre il proprio contesto e fare la propria partita sempre, indifferentemente dall’avversario che si ha davanti e dallo stadio in cui si gioca. In questa stagione in cui tre squadre italiane sono arrivate in finale di tre competizioni europee per la prima volta dal 1998, e in cui si parla per questo di “Rinascimento italiano”, la mentalità che la Fiorentina ha mostrato in Europa è davvero un punto da cui tutto il calcio italiano può ripartire. E anche questo è un valore che resterà. Il 7 giugno a Praga la Fiorentina affronterà il West Ham e diventerà la prima squadra del continente ad aver giocato le quattro finali Uefa più importanti: Coppa dei Campioni, Coppa delle Coppe, Coppa Uefa e Conference League. E anche questo è un valore che resterà.

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