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Dario Vismara
Finalmente Anthony Davis
08 dic 2022
08 dic 2022
Nell’ultimo mese si è visto il giocatore che i Los Angeles Lakers aspettavano da anni.
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Dario Vismara
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Greg Fiume/Getty Images
(foto) Greg Fiume/Getty Images
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Non più tardi di un mese fa, la stagione dei Los Angeles Lakers stava andando così male che diversi commentatori hanno ripreso a farsi una domanda a cui il campo sembrava aver già risposto: ma alla fine, a quattro anni di distanza dalla trade, avranno fatto bene a scambiare per Anthony Davis?In un mondo ideale, o almeno in uno nel quale non ci sono tutte le pressioni che accompagnano the world’s most glamour franchise, una domanda del genere non dovrebbe nemmeno esistere. I Lakers dopo quello scambio hanno vinto il maledettissimo titolo NBA al primo tentativo, e tanto dovrebbe bastare per sigillare con la ceralacca qualsiasi discussione e pensare ad altro. Eppure a riaprire il fascicolo ci ha pensato non solo il rendimento dei giocatori che si sono trasferiti da Los Angeles a New Orleans (Lonzo Ball, Josh Hart e soprattutto Brandon Ingram, diventato nel frattempo un All-Star), ma soprattutto le scelte al Draft che si sono trasformate nella quarta assoluta (De’Andre Hunter, poi scambiato per altro), l’ottava (l’intrigantissimo rookie Dyson Daniels) e altre due che sono in arrivo, una nel 2023 e una nel 2024 o nel 2025 (la decisione spetta alla dirigenza di New Orleans, of course).Quest’anno, in particolare, i Pelicans hanno il controllo sulla scelta dei Lakers nel sempre più probabile caso in cui i gialloviola dovessero finire dietro in classifica (e quindi più in alto al Draft) rispetto a Zion Williamson e compagni, che nonostante mille infortuni diversi sono ora primi nella Western Conference e paiono destinati a un posto ai playoff senza passare dal play-in. I Lakers invece sono partiti con un record di 2 vittorie e 10 sconfitte ele raccapriccianti prime uscite stagionali facevano temere il peggior scenario possibile e immaginabile: che con la scelta dei Lakers potesse finire a New Orleans anche l’alieno Victor Wembanyama. A essere sinceri, lo scenario-di-fine-di-mondo non è ancora del tutto scongiurato, visto che i Lakers sono ancora fuori dalla zona play-in e hanno il 7.5% di possibilità di consegnare ai Pelicans la prima scelta assoluta. Ma se non altro una cosa è certa: se anche accadrà non sarà per colpa di Anthony Davis, che nell’ultimo mese ha mostrato la miglior versione possibile di se stesso, quella che i tifosi dei Lakers aspettavano da quando è stato preso. Ed è una versione talmente dominante da cambiare da solo le prospettive dell’intera franchigia. La scomparsa di Anthony DavisQuando i Lakers hanno preso Anthony Davis lo hanno fatto con l’idea di prendere non solo il miglior partner possibile per LeBron James, che lo aveva preceduto a Los Angeles arrivando nel 2018, ma anche il singolo giocatore in grado di essere la prima opzione offensiva al posto di LeBron James, permettendogli di affrontare con meno peso addosso la parte finale della sua illustre carriera. Invece nei due anni dopo il titolo nella bolla di Orlando — nel quale comunque Davis ha avuto un’importanza pari a quella del Re, specie se si considera quale impatto riusciva ad avere nella metà campo difensiva — non c’è mai stato davvero un momento nel quale i Lakers sono sembrati la squadra di AD e non quella di James.Sicuramente il motivo principale sono gli infortuni. Davis ha giocato solo 82 delle 161 partite possibili delle ultime due stagioni tra regular season e post-season, e anche in buona parte delle gare che ha disputato è sembrato essere quantomeno claudicante o in lotta con limitazioni imposte dal suo fisico prima ancora che dagli avversari in campo. In quelli che dovevano essere gli anni del prime della sua carriera, Davis è sembrato regredire vistosamente come tiratore non solo in situazioni di gioco (23% da tre nelle due stagioni, facendo sembrare un miraggio il 38% tenuto nella bolla) ma anche ai liberi, inanellando due stagioni da 70% scarso in lunetta dopo otto anni di carriera all’80%.

L’analista di ESPN Kirk Goldsberry ha sottolineato più volte come AD fosse il peggior tiratore in sospensione dell’intera NBA, anche peggio di Russell Westbrook.

I problemi al tiro si sono tramutati in problemi realizzativi, disputando due stagioni in cui ha segnato 21.8 e 23.2 punti di media, i due peggiori dati della carriera dopo le prime due stagioni di rodaggio a New Orleans. E anche in difesa — dove comunque non ha mai fatto mancare il suo impegno, cercando di tenere assieme con lo scotch una squadra che ha dilapidato sul mercato tutto il talento difensivo che aveva sul perimetro — era sembrato avere sempre meno impatto, lui che nella sua versione ideale sa tramutarsi in una Dea Kalì feroce e invalicabile. Il risultato è stato un Anthony Davis che riusciva paradossalmente a essere sia pesante (per i chili che gli sono stati messi addosso negli ultimi anni) che fragilissimo (per i mille infortuni e per le ancor più innumerevoli cadute in campo, dalle quali si rialzava sempre con un’ammaccatura in più), impossibilitato a fare quello che tutti gli chiedevano di fare: raccogliere il testimone da James e diventare il volto dei Lakers.Le prime 12 partite di questa stagione sembravano andare nella stessa direzione delle due annate precedenti. Nonostante i proclami in pre-season di voler disputare tutte le 82 partite e di volersi ergere a leader indiscusso dei Lakers, come sottolineato anche dal nuovo allenatore Darvin Ham (il quale ha raccontato che in uno dei loro primi incontri Davis ha scritto sulla lavagna del suo ufficio la frase: “2022-23, dai la palla a AD”), i Lakers sembravano irrimediabilmente rotti e Davis irrimediabilmente incapace di rimanere sano, dovendo rinunciare al suo obiettivo di giocarle tutte già alla quinta gara stagionale, complice un problema alla schiena. Al ritorno in campo Davis ha inanellato due doppie doppie consecutive in due vittorie contro Nuggets e Pelicans, ma subito dopo lui, come tutta la squadra, è tornato in sofferenza con cinque sconfitte in fila nelle quali solo una volta è riuscito a segnare più di 24 punti. Con un record di 2-10, la stagione dei Lakers sembrava già morta e sepolta esattamente come negli anni passati.Il miglior giocatore dei LakersÈ dalla partita interna contro i Brooklyn Nets però che la stagione di Davis, e di conseguenza quella dei Lakers, è cambiata repentinamente. I Lakers hanno approfittato di una versione vacanziera e rimaneggiata dei Nets (senza Ben Simmons e Kyrie Irving) per cogliere una delle loro migliori vittorie della stagione. La contemporanea assenza di LeBron James per un infortunio all’inguine e un evidente ritorno di salute ed energie hanno restituito alla pallacanestro una versione finalmente consistente di Davis: in quella partita ha chiuso con 37 punti, 18 rimbalzi (di cui 10 solamente in attacco) e 15/25 al tiro, utilizzando i cinque giorni di pausa tra una partita e l’altra per metterne altri 38 con 16 rimbalzi contro i Detroit Pistons. Quelle due sono state le prime di otto doppie doppie consecutive nelle quali Davis è stato semplicemente mostruoso: 35.3 punti, 15.6 rimbalzi, 3 stoppate, il 65% dal campo e il 45% da tre punti con l’88% ai liberi su oltre 10 tentativi a partita, senza neanche esagerare troppo col minutaggio rimanendo sotto i 35 a sera. All’interno di questa clamorosa striscia individuale i Laker hanno messo insieme un record di 8-2 che, se non proprio resuscitato, ha comunque rianimato l’elettrocardiogramma piatto della franchigia come la scarica di un defibrillatore. Davis è diventato il sole attorno al quale ruotano tutti gli altri pianeti dei Lakers, dando loro un senso compiuto anche quando non ce l’hanno. Innanzitutto in questa stagione ha definitivamente messo da parte le sue velleità di fare il 4, giocando da centro nel 98% dei suoi minuti, cominciando e finendo le partite come unico lungo in campo. Quella che nella bolla era considerata l’arma finale dei Lakers è diventata, di fatto, l’unica arma a disposizione per cercare di cavarsela: coach Ham lo ha messo al centro della squadra sia a livello di responsabilità che a livello tecnico, molto banalmente facendogli portare molti più blocchi sulla palla (da 34.3 a 57.7 su 100 possessi, secondo i dati di Second Spectrum) per sfruttarne le indiscutibili doti di finalizzazione.Davis infatti è sempre stato e sempre sarà uno straordinario finisher di azioni, più che un creatore di gioco. Per usare le parole di LeBron James: «Posso tirargli più o meno qualsiasi cosa e lui la va a prendere». Se ne sono accorti soprattutto i Milwaukee Bucks, che hanno visto Davis volargli sopra le teste per una prestazione da 44 punti nella miglior vittoria dei Lakers da quando Russell Westbrook veste il gialloviola.

Nel quarto periodo in particolare i Lakers hanno giocato fino alla nausea un pick and roll definito come “snug” nella terminologia della NBA, liberando un quarto di campo e giocandolo ben al di sotto della linea del tiro libero, in maniera controintuitiva visto che hanno ridotto gli spazi invece di ampliarli. In spazi così stretti però il talento di James e Davis ha finito per sovrastare i Bucks, che non avevano il tempo materiale di opporsi visto che erano troppo vicini a canestro per opporsi. 

Davis ha anche segnato due triple di importanza cruciale nel corso del quarto periodo, rispolverando anche un tiro da tre punti che sembrava aver mandato in soffitta. Dopo aver tentato 11 triple nelle prime quattro gare stagionali, ne ha tentate solo 10 nelle successive 14 gare, salvo poi riutilizzare il tiro da tre contro Milwaukee e Washington (4/6) una volta che ha ritrovato il suo ritmo. Il ragionamento è stato tanto semplice quanto efficace: Davis ha eliminato i tiri che non entravano (vale a dire quasi tutti quelli in sospensione) in favore di conclusioni nel pitturato, che rappresentano ora l’81% del suo attacco. AD ha dimezzato le sue conclusioni dalla media distanza fuori dall’area (dal 23% al 12% della sua dieta di tiri) e ha aumentato le conclusioni al ferro, passate dal 32% di due anni fa (il suo peggior dato in carriera) al 54% attuale (solo nell’anno da rookie ne tentava di più).La nuova vecchia modernità di ADTornando all’antico in un ruolo da 5 “classico” (a proposito: i suoi 3.3 rimbalzi offensivi a partita sono il massimo in carriera), Davis ha riscoperto la modernità che lo aveva reso un giocatore unico nel suo genere. Per quanto nella lega gli ultimi quattro MVP siano finiti nelle mani di lunghi come Nikola Jokic o Giannis Antetokounmpo, non esiste un 5 altrettanto in grado di unire tanti aspetti diversi del gioco offensivo e difensivo come Davis, a cui manca giusto un po’ di creazione in proprio e di coinvolgimento dei compagni (i 2.6 assist attuali sarebbero il peggior dato dal 2018) per poter essere considerato a tutti gli effetti un candidato MVP, complice anche il record di squadra perdente. Ma è abbracciando il suo essere “solo un 5” che è rinato: ora Davis non deve più preoccuparsi di dover spaziare il campo per i compagni perché il campo è spaziato per lui, specie da quando Russell Westbrook non parte più in quintetto. E ricevendo in maniera dinamica invece che statica è inarrestabile: nei 4.7 possessi che finisce da bloccante del pick and roll, la sua efficienza è di 1.39 punti per possesso, meglio di chiunque altro ne giochi più di 2 a partita (ed è il secondo in NBA per volume dietro Joel Embiid).Prima che la sfortunata gara di Cleveland — nella quale ha dovuto alzare bandiera bianca dopo appena 8 minuti per via di una febbre sopra quota 38 — rovinasse le sue medie a partita, Davis era ai massimi in carriera per punti, rimbalzi (nei quali è numero uno in NBA), percentuale dal campo, percentuale reale, percentuale effettiva e Win Shares. Il suo Player Efficiency Rating è di 31.9, nettamente il più alto della NBA anche davanti a quello di Luka Doncic (31.2) e Nikola Jokic (31). Ma è soprattutto la sensazione che dà la sua presenza in campo a essere cambiata: mentre prima sembrava trascinarsi da una parte all’altra del campo cercando di farsi il meno male possibile (sia a lui che alla squadra), ora Davis va attivamente a cercare i contatti e ad attaccare in prima persona, facendosi carico dei destini dei Lakers invece di costeggiare le partite.

Dopo i 44 contro Milwaukee Davis ne ha messi altri 55 due giorni dopo a Washington, travolgendo qualsiasi giocatore si trovasse davanti e chiudendo con un clamoroso 22/30 al tiro. La fiducia con cui attacca dal palleggio nelle prime azioni fa gridare al miracolo, se ci si ricorda quello che si è visto negli ultimi due anni

Dopo la vittoria con gli Wizards, Davis ha detto che questo suo grande mese — che secondo molti rappresenta il suo miglior momento della carriera — è al massimo il quarto o il quinto migliore della sua carriera, chiedendo ironicamente “Ma non mi avete visto quando ero a New Orleans?”. Eppure era dal dicembre del 2019, in un mondo che non aveva ancora conosciuto il Covid, che non veniva votato come giocatore della settimana per la Western Conference, un premio che di per sé non vuol dire niente ma che aveva conquistato otto volte tra il 2015 e il 2019 prima di riuscirci nella settimana passata. A questo punto bisogna anche sottolineare come i Lakers abbiano approfittato di un calendario decisamente benevolo per rimettere in piedi la loro stagione (affrontando per ben tre volte i San Antonio Spurs che hanno gettato la maschera a forma di Wembanyama ormai da tempo) e che, proprio quando avevamo cominciato a pensare a questo pezzo, il fisico è tornato a chiedergli il conto fermandolo sostanzialmente per due gare in fila tra Cleveland e Toronto con l’influenza. Eppure la sua apparizione sfolgorante sulle scene potrebbe avere un effetto domino imprevisto: se Davis è questo, cioè indiscutibilmente uno dei primi dieci giocatori della lega, allora i Lakers sono quasi obbligati a dover intervenire sul mercato per poter dare a lui e a LeBron James una chance di essere la mina vagante dei playoff a Ovest, risolvendo almeno qualcuno dei tanti punti interrogativi che ci sono nel roster, dal backcourt alla profondità in ala fino al reparto lunghi che è drammaticamente sguarnito dietro il totem AD. Dopotutto nella Western Conference non sta davvero scappando via nessuno (il primo posto occupato da Phoenix è distante 5.5 partite, il sesto dei Clippers solo 3 gare), e non dare un ultimo giro di giostra a questo Davis e a un LeBron James che, a un’età in cui molti suoi coetanei sono già dirigenti, allenatori o commentatori in tv, è ancora in campo a segnarne 26 di media (non in maniera efficiente, lo so, ma 26 son pur sempre 26) sarebbe delittuoso. I Lakers non hanno risolto i loro problemi, e il calendario non farà altro che peggiorare nel mese di dicembre. Ma se non altro, almeno per qualche settimana, Anthony Davis ha dimostrato che c’è ancora un talento speciale dentro quel giocatore che sembrava essersi smarrito tra aspettative troppo grandi e un fisico sempre più precario. E una serie di playoff contro di lui e contro James in salute non è una prospettiva allettante per nessuno.

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