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Emanuele Atturo
Fiaba saudita
23 nov 2022
23 nov 2022
La vittoria della Nazionale di Renard ha trasfigurato i topos di questo sport.
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Emanuele Atturo
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Qatar 2022 si porta dietro questioni problematiche, in questo articolo abbiamo raccolto inchieste e report che riguardano le morti e le sofferenze ad esso connesse.Salem Al-Dawsari porta palla dentro l’area di rigore, nell’angolo sinistro. Indossa la maglia numero 10, è il miglior giocatore del Golfo, o uno dei migliori. Quello su cui è proiettato l’ideale del calciatore-demiurgo - di Messi, di Maradona - in un’area del mondo in cui il calcio di fatto non è esistito fino agli anni ’50. La Nazionale dell’Arabia Saudita ha giocato il suo primo torneo internazionale nel 1957. All’epoca l’Argentina aveva già vinto 10 edizioni della Copa America. Al-Dawsari è in mezzo a due giocatori, ed evita il primo rientrando sull’interno, là dove però la strada sembra chiusa. A quel punto rientra sul destro, evita l’intervento di Rodrigo De Paul e calcia sul palo lontano di collo interno. Emi Martinez tocca la palla, la sfiora soltanto, e la rete si gonfia.Allora sentiamo il telecronista arabo gridare con lo stile che abbiamo sentite molte volte sopra i video di gol europei. L’effetto, per noi che ascoltiamo, stavolta non contiene nessuna ironia, nessuno straniamento - quello di sentire un telecronista esaltarsi in arabo per un gol di, non so, Meggiorini contro l’Inter. Eppure rimane strano, e affascinante, vedere l’Arabia Saudita produrre, con le stesse vibrazioni, la stessa forma estetica, l’epica calcistica dei campionati del mondo, quella che di solito è proprio l’Argentina a produrre. Un effetto di straniamento teatrale: Al-Dawsari - con la sua corsa corta, il numero dieci, gli uno contro uno - rappresenta la nostra idea di calciatore tecnico in un modo noto ed estraneo al tempo stesso. ___STEADY_PAYWALL___ Andrea Stramaccioni sulla RAI entra in modalità Victor Hugo Morales ad Argentina ’86, in piena esaltazione per il gol di Al-Dawsari e per l’atmosfera. Mentre sfornava l’immagine del pubblico come un immaginario, enorme tamburo battente, noi a casa cosa stavamo guardando?Per un attimo si è materializzato il sogno della FIFA, quello più nobile, anche se portato avanti spesso perseguendo interessi economici. L’idea che tutte le nazioni, tutte le culture, possono diventare nazioni e culture calcistiche. Quale immagine più potente, del misconosciuto dieci dell’Arabia Saudita che segna un gol stupendo in faccia a Lionel Messi, in uno stadio spalancato nel deserto del Golfo Persico?Questo è un modo di vederla. L’idea che la distanza fra le nazionali di maggiore tradizione calcistica e le altre si sia accorciata fino a questo punto. Al punto in cui l’Argentina perde 2-1 contro l’Arabia Saudita. Una versione ambiziosa dell’Argentina, peraltro, che non perdeva da 36 partite e che era considerata, almeno fino a ieri, una delle principali candidate alla vittoria finale. Ma sarebbe un racconto parziale, che non terrebbe conto del 6-2 che l’Iran ha rimediato dall’Inghilterra, e soprattutto dell’impressione modesta offerta dal Qatar nella partita inaugurale contro l’Ecuador. Il Qatar che ha cercato di costruirsi una Nazionale in provetta, attraverso il distopico progetto della Aspire Academy, per arrivare competitiva a questo Mondiale.Allora forse vale la pena essere più che altro ammirati dal lavoro del movimento calcistico saudita e soprattutto di Hervé Renard. Uomo bellissimo, vagamente somigliante a Jamie Lannister, portatore di eleganza e virilità francese. È stato strano fino a un certo punto, quindi, vederlo non invecchiato di una virgola, con la stessa camicia bianca aderente di quattro anni fa, la mascella pronunciata, l’abbronzatura di un uomo sano e rilassato, sulla panchina dell’Arabia Saudita, trasmettere le proprie idee ai giocatori attraverso l’aiuto di un traduttore. Renard negli anni ha coltivato l'immagine del santo protettore degli underdog dei meno fortunati del mondo - tra Zambia, Costa d'Avorio e Marocco - mentre ora è strano vederlo portare la sua retorica nell'Arabia Saudita.La squadra però gioca in un modo tutto suo, e soprattutto in un modo completamente diverso dalla sua versione del 2018. Non so se la ricordate. Una squadra di giocatori esili e tecnici, che si sforzava di giocare una versione discount del gioco di posizione. Quest’Arabia Saudita tiene la linea alta, va sui contrasti come una questione di vita o di morte, bullizza gli avversari, li intimidisce fisicamente e non si fa problemi a usare la trappola del fuorigioco come in una partita alle slot machine, sperando nell’allineamento perfetto di volta in volta contro alcuni dei migliori giocatori al mondo. Nel primo tempo si sono moltiplicate le situazioni in cui i giocatori dell’Argentina potevano verticalizzare a palla scoperta. Giocatori coi piedi e la visione di De Paul, o Messi, o Di Maria, o Gomez, dare l’ultimo passaggio senza essere disturbati. La linea del fuorigioco dell’Arabia Saudita ha abbracciato la locura: si è alzata di volta in volta con l’incoscienza visionaria dei sonnambuli. È c’entrato il caso, certo, nel fatto che per un granello di polvere gli attaccanti argentini siano finiti in fuorigioco, vedendosi annullare tre gol. Ma c’entra anche questa organizzazione dai contorni sacchiani. La cosa impressionante, a pensarci bene, è un’altra. E cioè vedere l’Arabia Saudita, tra le due, essere la squadra con le idee più chiare in campo, che sapeva di più come superare collettivamente i propri limiti individuali, mentre nell’Argentina la dimensione collettiva sembrava fiaccare la lucentezza individuale. Una squadra controculturale rispetto a un calcio per nazionali spesso davvero poco organizzato e distante dal calcio per club. È stata una sensazione nuova vedere l’Arabia Saudita, coi suoi giocatori sconosciuti, avvicinarsi di più dell’Argentina allo zeitgeist contemporaneo. Ma soprattutto è stato strano vedere una Nazionale araba vestire i panni dell’underdog, con tutti i crismi e i tropi del caso. La partita sporca, a tratti disperata, la fortuna, l’eroe per caso che trova il gol della vita nel momento decisivo. Il portiere che naturalmente tira fuori una prestazione leggendaria, che gli vale il premio di migliore in campo (a cui viene tolto il marchio della birra che lo sponsorizza). La squadra grande, Golia, che psicologicamente si sgretola di fronte a una che prende così tanto coraggio che all'ultimo minuto pressa come invasata. Le istantanee di Messi, ovvero del miglior calciatore al mondo, nella polvere, l'aria di chi si sente dentro un incubo.C’è anche tutto il lato politico, dei significati più grandi, di questa vittoria. Anche qui è una fiaba nota, e al contempo estranea da noi. L’Arabia Saudita che batte una delle migliori nazionali al mondo in casa di uno dei paesi con cui ha le relazioni diplomatiche più tese, il Qatar. Nel frattempo, però, siamo costretti anche a ignorare delle cose per goderci la fiaba. L'Arabia Saudita ha problemi simili al Qatar per quanto riguarda il trattamento della comunità LGBTQ+, e anche per quanto riguarda la condizione femminile. Dall'altra parte del campo, nel frattempo, c'è Messi, che sappiamo intrattenere forti accordi commerciali con l'Arabia Saudita. Sarebbe uno dei principali ambasciatori della candidatura ufficiale del 2030.Resta difficile, per il nostro immaginario, cucire i panni dell’underdog attorno non tanto a una squadra araba, ma a una squadra del golfo. Un posto di cui sappiamo davvero poco, misterioso, e che riconduciamo solo al conservatorismo religioso, ai sistemi politici feudali, all’assenza di diritti e, soprattutto alla ricchezza. Come ci sta, nei panni dell’underdog, la Nazionale di uno stato terzo al mondo per ricchezza delle risorse energetiche? Come ce la viviamo la fiaba di una squadra che ha già lanciato la propria ambizioni di usare il calcio per pulire e promuovere la propria immagine del mondo? A quanto pare è un Mondiale in cui anche le fiabe ci costringono al lavoro di sdoppiamento del pensiero. Essere felice per calciatori e tifosi, cercando di non pensare agli interessi politici dietro a una vittoria.Come festeggia un tifoso saudita? Riusciamo a entrare in connessione con lui? Per fortuna Twitter non è ancora defunto e ci ha offerto varie immagini. Al posto dei pub anglosassoni, o davanti ai maxischermi in Africa o in Europa, abbiamo visto case a cui venivano smontate le porte e buttate in cortile, persone smitragliare in aria verso il deserto e altre provare il “siu” di Cristiano Ronaldo o gridare in una piazza stipata. Oggi in Arabia Saudita è festa nazionale.La partita dell’Argentina con l’Arabia Saudita ha riprodotto tropi e stereotipi classici del calcio. Il plot standard della squadra piccola che batte quella grande attraverso l’applicazione, la disciplina, il coraggio. Eppure lo ha fatto trasfigurando leggermente questi cliché, o comunque dandogli un vestito nuovo. Erano cose note, ma al contempo estranee. E in questo leggero slittamento non c’è forse un profondo senso di unità, autenticamente vicino alla retorica del calcio come linguaggio universale? Non è forse questo, il senso stesso del Mondiale, mettere in scena lo stesso universo emotivo fra popoli profondamente diversi? La fiaba della Nazionale di una ricca monarchia del golfo persico, a suo modo romantico, no?

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