Qatar 2022 si porta dietro questioni problematiche, in questo articolo abbiamo raccolto inchieste e report che riguardano le morti e le sofferenze ad esso connesse.
Salem Al-Dawsari porta palla dentro l’area di rigore, nell’angolo sinistro. Indossa la maglia numero 10, è il miglior giocatore del Golfo, o uno dei migliori. Quello su cui è proiettato l’ideale del calciatore-demiurgo - di Messi, di Maradona - in un’area del mondo in cui il calcio di fatto non è esistito fino agli anni ’50. La Nazionale dell’Arabia Saudita ha giocato il suo primo torneo internazionale nel 1957. All’epoca l’Argentina aveva già vinto 10 edizioni della Copa America. Al-Dawsari è in mezzo a due giocatori, ed evita il primo rientrando sull’interno, là dove però la strada sembra chiusa. A quel punto rientra sul destro, evita l’intervento di Rodrigo De Paul e calcia sul palo lontano di collo interno. Emi Martinez tocca la palla, la sfiora soltanto, e la rete si gonfia.
Allora sentiamo il telecronista arabo gridare con lo stile che abbiamo sentite molte volte sopra i video di gol europei. L’effetto, per noi che ascoltiamo, stavolta non contiene nessuna ironia, nessuno straniamento - quello di sentire un telecronista esaltarsi in arabo per un gol di, non so, Meggiorini contro l’Inter. Eppure rimane strano, e affascinante, vedere l’Arabia Saudita produrre, con le stesse vibrazioni, la stessa forma estetica, l’epica calcistica dei campionati del mondo, quella che di solito è proprio l’Argentina a produrre. Un effetto di straniamento teatrale: Al-Dawsari - con la sua corsa corta, il numero dieci, gli uno contro uno - rappresenta la nostra idea di calciatore tecnico in un modo noto ed estraneo al tempo stesso.
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