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Fabio Severo
A che serve un allenatore di tennis
16 dic 2015
16 dic 2015
Stefan Edberg non allenerà più Roger Federer. Cambierà qualcosa nel suo gioco? Quanto incidono gli allenatori nel tennis?
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Fabio Severo
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A cosa serve realmente avere un allenatore nel tennis? Alcuni giocatori ce l'hanno, altri ne hanno persino due, molti nessuno, spesso perché non possono permetterselo. Ci si fa allenare da vecchie glorie, da ex giocatori di poco successo, dalla propria madre, padre o fratello, da un dottore o da un guru. Non è un rapporto tra maestro e allievo, anzi quando il giocatore è molto forte appare piuttosto come una bizzarra

tra un principino e un consigliere sotto esame, sempre a rischio di venir cacciato; oppure come una forma di masochismo del tennista, che si fa schiacciare da un'autorità giudicante.

 



Pochi giorni fa Roger Federer ha annunciato la conclusione del suo rapporto con Stefan Edberg e l'inizio di una collaborazione con Ivan Ljubicic, professionista fino a tre anni fa. Ljubicic è stato un discreto top player: dieci titoli e un best ranking al terzo posto, una semifinale a Parigi nel 2006. Tutti a chiedersi che cosa possa significare la mossa di Federer, quale strategia sarebbe in programma per la prossima stagione.

 

Gli elementi di non immediata lettura dell'ingaggio sono: Ljubicic era un giocatore molto meno dotato di Edberg; gran servizio, anche lui rovescio a una mano, ma poca abilità nella progressione in avanti e dei fondamentali dall'esecuzione un po' laboriosa. Ma forse non c'è nessun segreto particolare da scoprire: Edberg ha detto di non aver mai considerato di andare avanti per più di due anni nel lavoro con Federer, principalmente per una questione di calendario e stile di vita. Da subito la sua è stata una presenza a intervalli, assente nei momenti minori della stagione, come se si percepisse lo sforzo di viaggiare da un torneo all'altro, e forse Federer ha semplicemente voglia di continuare a essere accompagnato da qualcuno che sappia leggere in modo intelligente il suo gioco e quello dei suoi avversari.

 

Ljubicic ha giocato contro un discreto numero degli avversari di Federer ancora in attività, oltre ad aver appena finito di allenare Milos Raonic, tra le nuove leve in attesa di prendere il posto dei Big Four. Ma Federer ha davvero bisogno di Ljubicic per capire meglio come gioca Raonic, oppure è davvero utile per lui sapere come si prepara Raonic per giocare contro Djokovic o Nadal? Brad Gilbert

che Federer ha ingaggiato Ljubicic per battere Djokovic: ma se in un anno hai perso in finale a Wimbledon, US Open e ATP Finals sempre contro lo stesso giocatore, mentre hai battuto Murray, Nadal, Wawrinka e più o meno chiunque altro c'era da sconfiggere quando c'era da farlo, quale altro proposito puoi avere per la stagione successiva?

 

Quello che ha spiazzato nell'ingaggio di Ljubicic è il contrasto con la tendenza recente dei coach superstar: iniziata con Murray e Ivan Lendl nel 2011, ormai la maggior parte dell'élite si legava a pari grado di passata generazione e le affinità e le suggestioni dell'accoppiata erano la chiave di lettura su cui ci si appoggiava per leggere il senso della collaborazione: Marin Cilic con Goran Ivanisevic e la loro alleanza tra bombardieri, Kei Nishikori con Michael Chang per un tennis di resistenza che superi degli oggettivi limiti fisici, Edberg con Federer per il gioco di volo, Djokovic e Boris Becker per...? Quale risonanza ci sarebbe tra Djokovic e Becker? Becker non ha mai giocato da fondo campo come il suo protetto, Djokovic non cerca minimamente la rete come faceva "Bum Bum".

 

è stato una campagna militare, un assolo di undici mesi in cui nessuno è riuscito a competere alla pari per più di una partita, o anche meno. Ma Djokovic aveva già fatto praticamente la stessa cosa nel 2011, giocando nello stesso modo, e Becker all'epoca non c'era. E quindi dov'è il contributo di Becker nel gioco di Nole? Nel 2011 si parlava molto di come Djokovic avesse cambiato il movimento del servizio e la rinnovata efficacia era vista come una delle chiavi dell'enorme successo di quella stagione. Il difetto del servizio era stato causato dai tentativi sciagurati del suo coach dell'epoca, Todd Martin, di modificargli il movimento. Quando nel 2010 si sono separati, il tema della notizia era che la loro relazione fosse nata sotto una cattiva stella.

 



 



Le accoppiate allenatori-giocatori vengono spesso raccontate con i toni del matrimonio e allora c'è quello virtuoso come c'è quello nato male. Se Edberg-Federer fosse andata male probabilmente si sarebbe parlato, oltre che del declino fisico, di quanto sia velleitario cercare oggi la rete, della poca incisività dei consigli di uno come Edberg, le cui idee sul tennis sarebbero ormai fragili e datate. E invece è andata bene, e allora si elogia l'inattualità vincente del progetto portato avanti dai due.

 

Quando Murray ha annunciato la collaborazione con Lendl, non esistevano precedenti per valutare la capacità di allenare del taciturno cecoslovacco, quindi le prime reazioni sono state di perplessità, tra chi definiva Lendl "

" e una generale impressione di mal assortimento. Che poi è una reazione puramente estetica: Murray è un giovane britannico, Lendl un anziano est europeo naturalizzato americano fuori dai riflettori da una vita, ma queste sono categorie da red carpet, non da sport professionistico.

 

con cui è stata accolta la collaborazione tra Djokovic e Becker: cosa si sarebbe detto del rubicondo tedescone se Djokovic avesse cominciato a giocare peggio sotto di lui? Che il suo buffo taglio di capelli è il riflesso di quanto non sappia allenare? Invece Djokovic con lui ha continuato a vincere inesorabilmente e allora lo sguardo spiritato di Boris è diventato il segno della sua splendida cattiveria agonistica. Sono tutte narrative improvvisate, che forse indicano quanto la riflessione sulla preparazione del tennis professionale non abbia ancora una sua vera e propria letteratura su giornali e riviste.

 

A cosa servirà dunque Ljubicic? Non lo possiamo sapere, ma è lecito pensare che, al di là di grandi manovre segrete e della ricerca della chiave per sconfiggere un rivale piuttosto che un altro, forse Federer, che in passato è stato a lungo anche senza coach, in questa fase finale della carriera voglia essere accompagnato da uno staff nutrito, per una questione magari di puro mantenimento di un certo livello di agonismo.

 

Federer ad agosto prossimo farà 35 anni, un'auto d'epoca in primo luogo va tenuta pulita e funzionante, piuttosto che mettersi a fare esperimenti sul motore. L'atteggiamento offensivo con cui sta giocando da anni a questa parte più che una rivoluzione è il ritorno a strategie che usava nei primi anni 2000, quando faceva serve & volley su prima e seconda. Poi l'evoluzione del power tennis l'ha portato a sfidare le nuove leve da fondo campo e in seguito la voglia di restare competitivo il più a lungo possibile l'ha motivato a cercare un'ottimizzazione delle proprie risorse, ad accorciare gli scambi, a fare il miglior uso possibile di un gioco di rete che effettivamente nessun rivale ha altrettanto efficace. Il processo è iniziato con Paul Annacone, con cui ha vinto Wimbledon nel 2012, e si è accentuato nel biennio con Edberg. Ljubicic potrebbe essere semplicemente il custode di questo processo, accompagnatore saggio di un piano pluriennale in opera già da tempo.

 



 



Trent'anni fa, il 27 dicembre 1985, moriva uno dei più grandi allenatori di tennis della storia,

. Dopo una carriera di giocatore con buoni risultati soprattutto in doppio, Hopman nel 1939 passò ad allenare la selezione australiana di Coppa Davis, vincendo 16 titoli nell'arco di 22 stagioni. Nessun capitano ha mai vinto così tante insalatiere, come del resto nessun altro allenatore ha una competizione nominata in suo onore, la Hopman Cup che si disputa a Perth dal 1989, un torneo esibizione a squadre alla vigilia dell'inizio dell'Australian Open. La vedova di Hopman, Lucy,

la madrina di ogni singola edizione del torneo fino al 2014, quando all'età di 94 anni ha preferito non intraprendere il lungo viaggio dagli Stati Uniti.

 

A vedere quella piccola donna consegnare il trofeo in sedia a rotelle ai vincitori del torneo, il volto così pieno di rughe da farla sembrare una sorta di Yoda del tennis, viene da pensare che l'eredità del marito Harry si sia trasmessa nel corpo di Lucy. Hopman è stato tra i primissimi allenatori ad applicare un regime atletico che prefigura la cura maniacale del corpo dei tennisti di oggi, ha cresciuto diverse generazioni di leggende tra cui Lewis Hoad, Ken Rosewall, John Newcombe, Rod Laver, Tony Roche. Ha combattuto fino all'ultimo contro la trasformazione del tennis da sport amatoriale a professionale, in una rigida concezione dello sport come disciplina e scuola etica. Anche dopo aver lasciato l'Australia per andare a vivere negli Stati Uniti ha continuato a scoprire e a indirizzare nuovi talenti alla Port Washington Tennis Academy di New York, dove tra gli altri sono cresciuti John McEnroe e Vitas Gerulaitis, che lo considerano tra le maggiori influenze della loro crescita sportiva.

 



 

Hopman rappresenta un'epoca ormai sparita in cui figure semi-spirituali instillavano l'amore per il tennis e raccoglievano legioni di campioni, come una famiglia in costante espansione. Forse l'ultima esperienza nel tempo riconducibile a un vivaio di successo è stata l'allevamento di future star di Nick Bollettieri in Florida, che negli anni '90 ha prodotto l'ultima grande generazione del tennis americano maschile: Andre Agassi, Jim Courier, Pete Sampras. In tempi recenti ci siamo invece abitutati molto di più a concepire la dinamica giocatore-allenatore come un rapporto strettamente a due, a decodificare il senso e l'andamento delle relazioni, gli umori, gli scarti tattici che un'accoppiata poteva significare rispetto a un'altra.

 

La carriera di Sampras è forse uno dei migliori esempi della complessità sportiva e personale di una simile relazione. Piuttosto che la rifinitura presso Bollettieri, preliminare all'ingresso nei professionisti, di Sampras si ricorda la sequenza dei coach individuali, a partire da Pete Fischer, il pediatra ed endocrinologo che lo ha seguito da ragazzino, responsabile del cambio del rovescio di Sampras da due mani a una e dell'impostazione del suo gioco di volo. Anni dopo Fischer

con accuse di molestie sessuali a minori, facendosi tre anni di prigione. All'epoca del processo Sampras spese parole di supporto per Fischer, ma il rapporto tra i due

definitivamente nel 2002: Fischer era agli US Open invitato da Sampras e non perde occasione per dirgli che lo vede messo piuttosto male in campo. Coach una volta, coach per sempre. La beffa è stata che Sampras quel torneo lo ha vinto, chiudendo lì la carriera, e chissà che la rabbia per le parole di Fischer non l'abbiano motivato ulteriormente ad arrivare fino in fondo, un'ultima volta.

 

https://www.youtube.com/watch?v=yyrALjicZnA

«Do it for your coach».



 

Nel 1995 a Melbourne, durante il suo quarto di finale contro Jim Courier, Sampras piange per il suo allenatore Tim Gullikson, crollato a terra durante un allenamento e riportato subito a Chicago, dove scoprirà di avere un tumore al cervello inoperabile, morendo nel maggio dell'anno successivo a 45 anni. Nelle immagini di quella partita vediamo Sampras che comincia il movimento del servizio in lacrime, si ferma, poi ricomincia mentre a un certo punto si sente Courier che

: «Tutto ok Pete? Possiamo ricominciare domani, se vuoi». Sampras vincerà quella partita recuperando da due set a zero, per poi perdere in finale contro Agassi. Gullikson aveva portato Sampras a vincere quattro Slam nei due anni precedenti, ben tre anni dopo che aveva vinto il suo primo a New York. Pete si legherà poi a Paul Annacone, vincendone altri nove, fino a quell'ultima vittoria a New York nel 2002, dove il suo primissimo mentore l'aveva criticato, e dopo due anni senza neanche un titolo. Vince insieme allo stesso allenatore che riavvierà Federer al gioco d'attacco, in un'ideale passaggio di consegne tra i due migliori interpreti del tennis classico degli ultimi vent'anni, sfioratisi soltanto nell'ottavo di finale vinto da Federer in cinque set nel 2001 a Wimbledon, proprio davanti ad Annacone.

 
 

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