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Fabio Severo
Un anno spartano
24 nov 2015
24 nov 2015
Novak Djokovic si è laureato "maestro" a Londra chiudendo una stagione perfetta, con 82 vittorie e 6 sconfitte.
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Fabio Severo
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Rafael Nadal, subito dopo essere stato velocemente sconfitto in semifinale alle World Tour Finals della passata settimana, aveva ben riassunto il problema attuale nell'affrontare Novak Djokovic:

 




 

Sono passati più di dieci anni dall'ultima volta in cui il tour maschile è apparso dominato da un solo giocatore, dal 2004 in cui Roger Federer ha vinto tre Slam su quattro, la prima delle tre volte in cui ci è riuscito in carriera, l'anno in cui è diventato numero 1 per la prima volta. In testa ci è rimasto ininterrottamente fino al 2008, per 237 settimane consecutive, ma già dal 2005 Nadal aveva cominciato a presentarsi come sua nemesi, vincendo il primo Roland Garros.

 

Anche nella sua annata più vincente, il 2006, Federer aveva comunque perso quattro finali contro Nadal: il bilancio è stato 12 titoli, 92 vittorie e 5 sconfitte, 3 Slam e finale al Roland Garros, più la Masters Cup.

 

A fine anno aveva più punti del secondo e terzo in classifica messi insieme, ma l'impressione è che il 2015 di Novak Djokovic sia stato ancora più dominante di quell'ormai mitico 2006.

 



 

Giocatore agli antipodi di Djokovic, mancino avventuroso tanto elegante quanto fragile contro i più forti, il veterano Feliciano López ha riassunto così l'anno di Novak. "Ridicolo", "Impossibile", "Insuperabile" sono tutti aggettivi che risuonavano nella settimana dell'ultimo torneo ATP dell'anno, in una stagione dove Djokovic ha fatto le seguenti cose, tra le altre:

 

- raggiunto Nadal sul 23-23 nei confronti diretti (a maggio 2009 era sotto 4-14);

- raggiunto Federer sul 22-22 nei confronti diretti;

- è il primo giocatore ad aver vinto quattro volte consecutive le Finali ATP (2012-2015);

- è il primo giocatore ad aver vinto 6 titoli Masters 1000 in una stagione;

- ha vinto più di 21 milioni di dollari di soli montepremi in un anno,

. In assoluto soltanto nove giocatori hanno guadagnato in tutta la carriera quanto Djokovic quest'anno;

- ha partecipato a 16 tornei, ne ha vinti 11 e ha raggiunto la finale in 15.

 

Rod Laver, nel 1969 in cui ha vinto il suo secondo Grande Slam, il primo da professionista, vinse 18 titoli e guadagnò 124000 dollari di montepremi, il primo giocatore a guadagnare più di 100000 dollari in un anno, con un bilancio di 106 vittorie e 16 sconfitte. Forse resta soltanto il '69 di Laver a competere con il 2015 di Djokovic, ma è come paragonare due sport diversi: nessun atleta oggi sarebbe in grado di giocare più di cento partite in un anno, iscriversi a più di trenta tornei giocando decine di set senza tie-break, vincendo o perdendo un set 18-16 una settimana sì e l'altra no. I tennisti di oggi morirebbero sul campo a giocare in quel modo, tutti tranne forse uno.

 



 

In fondo questo 2015 si può considerare superiore anche al 1984 di John McEnroe, 81 vittorie e 3 sconfitte, titoli a Wimbledon e US Open, finale a Parigi: al Roland Garros Ivan Lendl recuperò da due set a zero, negando a McEnroe, ma anche a tutto il mondo, la favola che si potesse vincere Parigi con il serve & volley. Tralasciando il fatto che quell'anno McEnroe non andò in Australia, è analogo a quello che è successo a Djokovic in primavera, battuto a sorpresa da Stanislas Wawrinka in finale al Roland Garros.

 

Ma non è proprio la stessa cosa: Lendl sconfisse McEnroe all'interno di una rivalità lunga ed equilibrata frutto dell'idea opposta di gioco che portavano in campo; il modo in cui Wawrinka ha battuto Djokovic è più paragonabile a una violenta esplosione, un pomeriggio di tennis offensivo assoluto, un gioco che non si può esprimere per un'intera stagione. Una battaglia combattuta alla perfezione, non il modo in cui si può vincere la guerra.

 

Come si vince la guerra contro Novak Djokovic quest'anno non l'ha capito nessuno: solo sei sconfitte in undici mesi, tre contro Federer. L'ultima nel round robin delle Finals, dove a posteriori si è rivelato esatto il commento di Djokovic dopo la sconfitta: scontento del suo gioco, ha detto: «Mi sembra di avergli lasciato la vittoria». In finale invece non gli ha lasciato proprio nulla, come in semifinale contro Nadal, giocando in entrambe le partite con la sua tipica difesa offensiva, disinnescando la pressione dell'avversario, sbagliando pochissimo e colpendo più pesante appena possibile.

 

Se guardiamo soltanto dove cade la palla, la fase di difesa o contenimento di Djokovic ha una profondità superiore all'attacco di molti altri giocatori. Se sceglie di forzare è in grado di colpire piatto e molto veloce oppure liftato e sulle righe, se è più o meno costretto ad andare avanti è in grado di colpire qualcosa di più di una semplice volée di routine, sta imparando a coprire realmente la rete. Non sarà mai un doppista, ma se deve colpire una volée incrociata in allungo, ormai lo fa senza sbagliare. In finale contro Federer ha vinto 16 punti su 19 quando ha servito la seconda, salvato due palle break su due. In più quando l'avversario attacca, lui gioca così:

 

https://www.youtube.com/watch?v=QKCumNIOims

 

Pur avendolo vinto Federer, quello che conta di un punto così è proprio il fatto che l'avversario ti abbia costretto a vincerlo in questo modo, perché fare punti con simile sforzo fisico e mentale non è chiaramente un modello replicabile per l'intero incontro. Difatti, poi, mano a mano che gli scambi a zero margine di errore si accumulano, mano a mano che Djokovic non concede mai di vedere una palla colpita dall'avversario allontanarsi senza che lui arrivi almeno a sfiorarla, così che anche i vincenti sembrano strappati per il rotto della cuffia, ecco che poi lui parte con l'affondo, facendo quello che in inglese brutalmente si chiama "tenere lo stivale premuto sul collo":

 

https://www.youtube.com/watch?v=M8QCweNlinc

 

Non soffre il punteggio, non soffre la durata dell'incontro, non soffre una superficie piuttosto che un'altra: ignora la folla che tifa disperatamente per l'avversario (Indian Wells, Roma, Wimbledon, US Open, ATP Finals, tutte finali contro Federer, tutte vinte con il pubblico contro), non ha più i misteriosi problemi fisici che lo facevano spesso abbandonare incontri nei primi anni della carriera; non conosce dilemma tattico, semplicemente si espone al gioco del rivale in campo sapendo che lo può contenere, assorbire, rimandare indietro, sapendo che può aspettare l'errore, soprattutto sapendo che può provocarlo.

 

Se c'è bisogno di impedire l'espressione della varietà tecnica di un avversario allora lo chiuderà in un angolo del campo e quanto più possibile dietro la linea di fondo; se c'è da fare gara di corsa, è ancora peggio: durante gli Australian Open nel gennaio scorso Djokovic ha vinto 6-0 l'ultimo set sia in semifinale contro Wawrinka che in finale contro Murray.

 

Dopo due ore e quaranta minuti Djokovic e Murray erano soltanto un set pari, un tie-break a testa, poi Djokovic ha vinto il terzo 6-3 e il quarto a zero. È come correre la maratona appaiati fino al trentesimo chilometro, poi uno dei due crolla perché non riesce a finirla a quel ritmo.

 

Anche tre anni fa, quando Federer e Djokovic si erano già incontrati in finale alle ATP Finals, Djokovic ha vinto in due set, 7-6, 7-5. La partita allora è stata molto più equilibrata, con Federer che avrebbe potuto vincere entrambe i set: rispetto a domenica scorsa, dove non è mai stato in grado di condurre l'incontro, nel 2012 Federer è apparso invece come un velocista che non riesce a levarsi di torno l'inseguitore, per poi alla fine vederlo passare avanti sul finale. Ma sotto una differenza di valori in campo meno pronunciata, lo scontro era sempre tra le stoccate rischiose di uno e il muro mobile e inscalfibile dell'altro. Così Federer ha dovuto annullare un set point nel tie-break del primo set:

 

https://www.youtube.com/watch?v=OqC2fSr7uMM

 

Nel punto successivo, durante uno scambio neutro, Federer butta un rovescio facile in rete. Altro set point per Djokovic, questa volta realizzato.

 

Sul match point contro, Federer serve e imposta un'ottima discesa a rete sul rovescio di Djokovic, che deve colpire in allungo all'altezza del corridoio. Nessun problema:

 



 

Si può vedere qui all'opera la perfetta dimostrazione dell'evoluzione fisica del tennis contemporaneo, quanto la condizione atletica sia diventata centrale, specialmente nelle strutture muscolari addominali e dorsali, che sono molto più sollecitate e devono fare da perno all'impatto con la palla in condizioni molto più estreme di un tempo, come ad esempio nel passante con cui Djokovic ha battuto Federer nel 2012.

 

Djokovic è l'incarnazione suprema dell'ideale del tennista moderno, ormai fondato su una disciplina atletica assoluta, ma al tempo stesso ne rappresenta un'estremo quasi irripetibile, un'unione di tecnica, preparazione atletica, tenuta mentale, elasticità muscolare e articolare che appartiene soltanto a lui. Quello che ha fatto Djokovic è stato alzare lo standard, scavare ulteriormente il fossato tra i top players e le seconde linee, ma soprattutto rendere ancora più difficile l'affermazione di nuove generazioni, costrette ormai dal gioco moderno a una maturazione atletica molto più lenta, e chissà a una selezione naturale ancora più crudele.

 

Voler giocare come Federer è un sogno da telespettatori, perché la peculiarità del suo talento si esprime molto di più nei singoli gesti, e chi gioca davvero sa se li possiede o meno. Voler diventare come Djokovic è un sogno ingannevolmente più alla portata, perché si può pensare che allenandosi come degli ossessi forse un giorno si riuscirà a coprire il campo come lui, a allungarsi su colpi impossibili e rimandarli indietro con ancora più forza. Sembra questione di allenamento, non di genio.

 

Chissà cosa pensano di lui le centinaia di giocatori che racimolano miseri montepremi nei tornei minori, chissà se lo guardano e pensano che per avvicinarsi un po' di più a lui basti correre di più, soffrire di più, per riuscire a rimanere in piedi, come fa Djokovic quando lascia indietro gli avversari dopo ore di gioco e lui invece non cede mai, non dubita mai.

 

Dopo aver vinto la finale degli US Open Djokovic ha raccontato che la sera prima della partita in albergo aveva visto

,

, il cui protagonista Gerard Butler era nel suo box all'Arthur Ashe durante la finale. Tra gli abbracci e gli applausi, si intravede Djokovic avvicinarsi a Butler, e insieme urlano:

.

 

https://www.youtube.com/watch?v=ytvgXGilaqY

 

Poi dopo la premiazione lo rifanno per le telecamere, e non c'è messaggio più semplice ed efficace da mandare a tutti i rivali che non sono stati in grado di piegarlo. Non sarà un caso che il presidente dell'ATP ha appena annunciato

a partire dal prossimo anno: le nuove leve devono essere formate prima di poter affrontare il vero combattimento, perché ormai il tennis ha incoronato il suo Leonida.

 
 

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