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Daniele Manusia

Faraoni ha fatto bene o male a prenderla con la mano?

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Lo sport è il luogo dove – oltre a rendersi manifesto “Dio nell’uomo”, come diceva David Foster Wallace, per via della bellezza trascendente degli atleti e dalla loro capacità di sospendere, anche solo in apparenza, le leggi della fisica – si esprime meglio che in qualsiasi altro contesto l’inseparabilità di corpo e mente. Dove conoscenza, istinto, talento, razionalità, inconscio, sono impossibili da distinguere e nessuna verità troppo semplice può spiegare il perché di certi gesti tecnici o di certe performance. In che modo il carattere, l’identità, l’immagine interiore, insomma quello che ognuno di noi vede dentro lo specchio quando ci si mette davanti, influisce sulla grandezza dei migliori? In che modo, invece, può influire su quei fallimenti di pochi centimetri, millimetri, quei buchi nella presenza atletica che inspiegabilmente portano a clamorosi fallimenti? 

 

Tipo: il colpo di testa di Lukaku su Ederson, con tutta la porta vuota o quasi, da mezzo metro di distanza o quasi, vogliamo davvero dire che è solo un problema tecnico, una questione di gradi, di angolo con cui Lukaku ha deviato la sponda di Gosens? O magari c’entra anche quello che proprio in quel momento, esattamente mentre la palla gli arrivava come calamitata su quel testone che in effetti sembra una calamita a forma di uovo di dinosauro, quello che succedeva dentro quello stesso testone?

 

Però non è di questo che volevo parlarvi, ma del suo opposto. Di un gesto discutibile, il cui significato va interpretato, ma in cui ho visto la manifestazione di un pensiero profondo che rispetto, che mi piace anzi, in cui voglio illudermi di riconoscermi. E sto parlando del fallo di mano di Davide Faraoni nello spareggio playout tra Spezia e Verona. 

 


Contesto: il Verona stava vincendo 3-1 e Faraoni aveva segnato il gol del 1-0 ed era anche andato vicino a segnarne un secondo. Quando mancano venti minuti più recupero e lo Spezia sta attaccando con la forza della disperazione: su una palla lunga e profonda spizzata da un suo compagno arriva prima di tutti Faraoni, al limite dell’area, ma buca l’intervento perché ci va con l’esterno del piede destro, correndo verso la propria porta da destra verso sinistra. Avrebbe dovuto usare il sinistro, cioè, e invece la palla gli sfila sotto al piede e Shomorudov ha il riflesso di anticipare l’uscita del portiere con un pallonetto alto. 

 

La palla sta entrando perfettamente in porta e Faraoni, che ha seguito l’azione provando a rimediare al suo errore, non ha modo di toglierla dalla porta se non usando la mano. E quella usa. Lo fa in modo discreto, una goffa allusione alla “mano di Dio”, ma se ne accorgono tutti e l’arbitro lo espelle e fischia il rigore senza neanche bisogno di rivedere l’azione al replay.

 

Adesso: Faroni ha fatto bene o ha fatto male? Ovviamente è meglio difendere un gol di vantaggio in parità numerica che in inferiorità e, se lo Spezia avesse trasformato il rigore, questo sarebbe successo. Sarebbe stato esattamente come se Faraoni avesse lasciato entrare la palla solo che Faraoni sarebbe rimasto in campo. Non è come quando lo ha fatto Luis Suarez, nel 2010, contro il Ghana: in quel caso stavano 1-1 alla fine dei tempi supplementari: se il Ghana avesse segnato sarebbe finita in ogni caso. Qui manacavano altri venti minuti da giocare e il Verona avrebbe avuto un gol di vantaggio anche se la palla fosse entrata. Quindi, insomma, Faraoni oggettivamente ha fatto una cazzata. 

 

Non ha ragionato, dirà qualcuno, non ne ha avuto il tempo. Ancora meglio però per il discorso che facevo sopra: la decisione Faraoni l’ha presa da qualche parte dentro di sé, ma non si capisce bene dove. E infatti dopo aver fatto quello che ha fatto si dispera come un uomo che si sveglia e nel proprio letto c’è un cadavere nudo (incipit di quasi solo grandissimi film e serie tv).

 

Come sappiamo, però, lo Spezia il rigore non lo segna. Nzola lo calcia piano piano nell’angolino in basso a sinistra della porta di Montipò, che ci si avventa sopra come se avesse appena finito la dieta e la palla fosse un babà. (Anche qui vale la pena chiedersi: come è possibile che M’Bala Nzola che aveva segnato 10 rigori su 10 in carriera, sbaglia proprio questo, il più importante?) Questo cambia tutto: di colpo quello di Davide Faraoni è un nobile sacrificio: con due gol di vantaggio si può stare tranquilli anche con l’uomo in meno. 

 

A me però piace perché il fallo di mano di Faraoni è una piccola, scorretta e forse razionalmente sbagliata ma non per questo meno ammirevole, affermazione della sua volontà di difensore. Mentre prende quella palla con la mano facendola sembrare una cosa naturale Faraoni sta dicendo: no, mi rifiuto, mi dispiace non posso lasciare che questa palla, o qualsiasi altra palla se è per questo, entri nella nostra porta, non adesso che siamo così vicini a salvarci, non finché io sono in campo, dovrete cacciarmi per mettercela dentro. 

 

Davide Faraoni, che non sembra il tipo da prendere decisioni avventate che potrebbero costargli caro come una retrocessione nella vita di tutti i giorni, ha fatto una scelta improvvisa, il suo corpo mosso senza dubbio dagli stimoli del cervello, da un pensiero profondo – non deve entrare quella maledetta palla! – ha deciso di rischiare grosso. Pensate se lo Spezia avesse segnato quel rigore, e poi avesse segnato il 3-3 e poi magari avesse anche vinto ai rigori (non ci sarebbero stati supplementari in caso) come sarebbe stato ricordato Faraoni e la sua leggerezza. E invece, senza sapere neanche come, Faraoni ha fatto bene. Prendetene un insegnamento: fidatevi anche voi del Faraoni che avete dentro e che ha voglia di prendere la palla di mano sulla riga di porta.

 

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Daniele Manusia, direttore e cofondatore dell'Ultimo Uomo. È nato a Roma (1981) dove vive e lavora. Ha scritto: "Cantona. Come è diventato leggenda" (Add, 2013) e "Daniele De Rossi o dell'amore reciproco" (66th & 2nd, 2020) e "Zlatan Ibrahimovic, una cosa irripetibile" (66th & 2nd, 2021).