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FantaRoma 2019
31 mag 2019
Cinque possibili allenatori per la panchina giallorossa, più alcuni nomi più improbabili.
(articolo)
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Marco Giampaolo

La grande ambiguità che restituisce la carriera di Marco Giampaolo, e specialmente questi ultimi tre anni a Genova, risiede nel contrasto tra i picchi raggiunti dalla sua identità di gioco in singole partite e i risultati effettivamente raggiunti nel corso dei campionati. In questi ultimi tre anni la Sampdoria si è affermata come una delle squadre più organizzate della Serie A, ma allo stesso tempo ha chiuso ogni volta la stagione sostanzialmente in linea con le aspettative: decima con 48 punti nella stagione 2016/17; decima con 54 punti nel 2017/18; nona con 53 punti nel 2018/19.

La discontinuità all’interno della stagione della Sampdoria di Giampaolo è forse ciò che spaventa di più tifosi e dirigenti quando riflettono sul suo passaggio in una grande squadra, specialmente a Roma, dove i picchi negativi sono sempre amplificati a dismisura. Ancor di più perché questa discontinuità è percepita come una diretta conseguenza di una certa rigidità tattica, che in alcuni momenti sembra essere più un limite di un vantaggio per l’allenatore. E dopo Di Francesco, per i romanisti sarebbe difficile accettare un altro allenatore così ancorato alle proprie convinzioni da diventare quasi autolesionista.

Nonostante ciò, Giampaolo ha dimostrato a Genova di avere una qualità che alla Roma sembra più che necessaria per sopravvivere, e cioè il riuscire a portare avanti un progetto tattico nonostante gli stravolgimenti del mercato. I piazzamenti della Sampdoria, anonimi ad un primo sguardo, possono essere visti sotto un’altra luce se si pensa alle sanguinosissime sessioni estive che ha attraversato la squadra blucerchiata negli ultimi anni. Solo la scorsa estate la Sampdoria ha perso, tra gli altri, Lucas Torreira e Duvan Zapata, che nel frattempo sono diventati rispettivamente un titolare dell’Arsenal e il vicecapocannoniere della Serie A, sostituendoli con Ekdal e Defrel. Alla luce del player trading sempre più aggressivo della Roma negli ultimi anni, è fin troppo facile capire perché questa qualità potrebbe essere vista di buon occhio dalla società giallorossa.

Giampaolo, inoltre, potrebbe salvare l’investimento della Roma su Schick, che per adesso si è rivelato uno dei più grandi buchi nell’acqua della storia recente del mercato giallorosso. Intorno al talento ceco, che alla Sampdoria ha ricoperto sia il ruolo di trequartista che di seconda punta, verrebbe probabilmente costruito il magico rombo dell’allenatore, che forse riuscirebbe a rivitalizzare anche un altro acquisto poco riuscito come Pastore. A parte il difficile ricollocamento di alcune ali (come Kluivert), insomma, Giampaolo potrebbe anche risultare una scelta oculata per rigenerare una rosa che è sembrata disfunzionale sia con il 4-3-3 che con il 4-4-2, e quindi anche un ottimo modo per risparmiare sul mercato.

Se a livello puramente aziendale Giampaolo sembra una scelta sensata, più difficile invece immaginare come potrebbe essere digerita da tifosi e stampa, vista l’insofferenza sempre più grande proprio verso le logiche aziendali della società. Il contrasto tra un allenatore dal carattere difficile e una piazza spesso isterica sembra esplosivo già oggi. Anche questo, alla fine, deve essere preso in considerazione da una squadra che vuole ragionare da azienda.




Paulo Fonseca

Paulo Fonseca è uno dei pochissimi allenatori stranieri accostati alla panchina della Roma nelle ultime settimane, e questo già la dice lunga sull’esigua propensione al rischio rimasta all’immaginario del tifo romanista e forse anche alla società giallorossa. Non solo è straniero, ma anche giovane, con un’aria da saccente e un’idea di gioco ambiziosissima: Fonseca rispetta alla perfezione l’identikit dell’allenatore che i romanisti hanno imparato a disprezzare visceralmente negli ultimi anni di gestione americana, anche se è dai tempi di Luis Enrique che non si vede un allenatore con queste caratteristiche dalle parti di Trigoria (quindi, forse, è un profilo che non è mai piaciuto, nonostante uno degli allenatori più importanti della storia giallorossa sia stato proprio uno straniero con l’aria da saccente e un’idea di gioco ambiziosissima).

Dal canto suo, Fonseca non sembra morire dalla voglia di rimanere un altro anno in Ucraina. Solo pochi giorni fa ha dichiarato che gli sarebbe piaciuto allenare in Inghilterra, in Germania o in Italia, per poi accettare l’eventualità di rimanere un’altra stagione allo Shakhtar Donetsk come se non avesse di meglio da fare: «Ho ancora un anno di contratto. Quindi tutto lascia pensare che sarà così».

Insomma, Fonseca apparentemente sembra non vedere l’ora di fare finalmente il grande salto in uno dei cinque campionati europei, dopo otto anni di gavetta tra Portogallo e Ucraina, e la Roma alla fine potrebbe essere un trampolino di lancio invitante per un allenatore che vuole proiettarsi nell’élite del calcio europeo. A Roma, infatti, l’allenatore portoghese troverebbe una squadra da rifondare completamente, con una base molto giovane da modellare a proprio piacimento.

Un bignami sul gioco di Fonseca, raccontato da Fonseca stesso.

Anzi, il calcio di possesso e controllo di Fonseca potrebbe accelerare la rivoluzione tecnica che già si intravede a Trigoria, per un calcio diametralmente opposto da quello praticato dalla Roma negli ultimi anni. Innanzitutto servirebbe un portiere che sappia giocare con il resto della squadra, contribuendo alla costruzione bassa dell’azione. Questo ovviamente esclude Olsen alla luce dell’ultima, disastrosa, stagione, a favore però di una soluzione rigorosamente low-budget: magari Claudio Bravo, ormai più che ai margini del Manchester City, oppure Cilessen, nel caso in cui volesse tornare a fare il titolare ad alti livelli.

Anche la difesa avrebbe bisogno di un restyling profondo. Fonseca esige una circolazione bassa lenta e continuata, in modo da attirare il pressing avversario e aumentare lo spazio verticale tra le linee di pressione, e per questo necessiterebbe un ottimo passatore al centro della difesa. Non Manolas quindi, che tanto già sembra ai saluti, ma un centrale con una sensibilità tecnica sopraffina e l’ambizione di far arrivare il pallone sulla trequarti: si potrebbe andare su Rugani nel caso in cui si volesse tentare la strada più sicura (ma anche più costosa), oppure su delle scommesse più giovani e ardite, come Boubacar Kamara del Marsiglia (in rotta con la società per il rinnovo del contratto) o addirittura Julian Weigl, che quest’anno è stato arretrato in mezzo alla difesa da Favre al Borussia Dortmund.

Fonseca, poi, avrebbe un disperato bisogno di un regista dinamico, ancor di più alla luce dell’addio di De Rossi. E per venire incontro a questa esigenza magari la Roma potrebbe fare l’unico sforzo economico davvero consistente cercando di far riabbracciare l’allenatore portoghese con Fred, che viene da una stagione difficilissima allo United dopo essere sbocciato proprio nello Shakhtar di Fonseca. In avanti, per sostituire Dzeko (anche lui molto vicino alla cessione), si potrebbe puntare un po’ più in basso per un ruolo a cui l’allenatore portoghese tende a non dare troppe responsabilità creative.

In un campionato in cui nessuna squadra può ambire a competere a livello tecnico con la Juventus, comunque, le fantasie sul calciomercato passano in secondo piano rispetto alla scelta di un allenatore con un’identità in grado di far fruttare al massimo rose non di primissimo livello. In quest’ottica Fonseca ha già dimostrato nella sua carriera di saper coniugare delle idee chiare alla continuità dei risultati, avendo vinto in piccole squadre (come il Braga, che ha portato a vincere la coppa nazionale a 50 anni dall’ultima volta) o con pochissimo margine di manovra sul mercato (come lo Shakhtar, che prima del suo arrivo non vinceva il campionato da due stagioni).

Forse una scommessa non così rischiosa come sembra al momento.


Roberto De Zerbi

Il Sassuolo di De Zerbi ha concluso la stagione al decimo posto, dopo un ottimo inizio e un inverno difficile, chiudendo sostanzialmente dove il valore della rosa sembrava indicare ad inizio stagione: undicesimo per punti, nono per xG fatti e dodicesimo per xG subiti. In questa stagione il Sassuolo ha mostrato un’ottima manovra, organizzata nei minimi dettagli, che gli ha permesso di essere pericoloso contro qualunque avversario.

Senza palla, tuttavia, è sembrata una squadra fragile, con una gestione poco attenta delle transizioni difensive e una difesa posizionale spesso carente a causa di errori difensivi dei singoli (così come nei calci piazzati).

Nel complesso De Zerbi ha prodotto una delle squadre più divertenti da veder giocare in serie A, dando credito all’immagine che si era creato in questi anni come uno degli allenatori italiani più interessanti e più adatti a lavorare con un gruppo giovane, da formare, proprio come quello della Roma.

La gestione dell’addio di De Rossi e la ricerca di abbattere il monte ingaggi con le partenze più che probabili di Dzeko, Manolas e Kolarov dimostra infatti di come la Roma esce ridimensionata da questa stagione e di come sembra preferire puntare su di un gruppo dall’età media molto più bassa e da lì costruire la sua risalita.

In questi due anni con Di Francesco, poi, sono stati pochissimi i giocatori ad aver migliorato il proprio livello, un aspetto fondamentale per una squadra che vuole iniziare un nuovo ciclo e che alla Roma è mancato quasi totalmente.

A Sassuolo, ma anche nelle altre esperienze, De Zerbi ha lavorato benissimo nel migliorare individualmente la rosa, impostando un metodo che mette la tecnica davanti a tutto e soprattutto da un gioco costruito per dargli responsabilità, pur rimanendo all’interno di una struttura codificata e definita. Al Sassuolo, insomma, c’era uno spartito chiaro per tutti da seguire, una strategia dove la tattica si metteva a disposizione della tecnica.

Un modo per dare un senso ad una rosa costruita in maniera disfunzionale è trovare proprio un allenatore che possa lavorare sui giocatori attraverso l’organizzazione di gioco. Con De Zerbi possono tornare al centro del progetto giocatori su cui si è investito tanto, come Kluivert e Schick, ma anche far crescere un giocatore come Luca Pellegrini (come avvenuto già in questa stagione al Sassuolo con un altro terzino giovane in Rogerio).

Con De Zerbi non è neanche importante ragionare sul modulo in ottica mercato, come lo sarebbe stato con Di Francesco. Nella scorsa stagione, ad esempio, ha scelti di schierare il Sassuolo con la difesa a 3 o a 4 a seconda delle esigenze, utlizzare attaccanti esterni molto larghi o stretti nel mezzo spazio. Questo permetterebbe un mercato più orientato sulla qualità dei giocatori e sulle occasioni, che sui compiti in grado di svolgere.

Per De Zerbi lo schieramento scelto dipende da diversi fattori, ma non va mai ad incidere sui princìpi di gioco. Princìpi che vogliono portare ad un calcio sempre proattivo, facilmente visibili nella costruzione della manovra del Sassuolo nonostante i tanti giocatori utilizzati nel corso della stagione. In una recente intervista con la Gazzetta dello Sport, ad esempio, ha spiegato cosa intende lui per gioco di posizione: «Per come lo intendo io, è la ricerca di un due contro uno perenne. Devo creare le condizioni di superiorità numerica affinché un giocatore guidi la palla e vada a ricercare un’altra situazione di superiorità con un compagno».

Questo tentativo si è visto durante tutta la stagione del Sassuolo, mentre, non a caso, è stato uno dei punti deboli della Roma. Con De Zerbi i giallorossi metterebbero in piedi una scommessa simile a quella del Napoli con Maurizio Sarri: si punterebbe ad avere un valore aggiunto dall’allenatore, un allenatore all’avanguardia che sta aspettando solo la grande occasione per mettere alla prova le sue idee, in grado di dotare la squadra di un gioco riconoscibile e lavorare sullo sviluppo dei giocatori in rosa per esaltarli attraverso il gioco stesso.


Siniša Mihajlović

Roma è una città al collasso, alla fine della storia, enormi gabbiani banchettano sui resti di un’umanità stanca. La classe politica che governa la città viene indagata per corruzione, i capitani e i simboli eterni della squadra si tradiscono a vicenda. Nell’amore che le persone hanno tributato a Totti e De Rossi durante il loro ultimo saluto si legge l’illusione che per anni è stata coltivata: quella di una squadra la cui identità era irriducibile ai trofei.

Sono queste dinamiche, che mettono l’amore davanti al pragmatismo, che probabilmente hanno impedito alla Roma di vincere qualcosa, qualunque cosa, negli ultimi undici anni. Avete mai provato a chiedere a un tifoso della Roma se è davvero felice? L’ultimo trofeo della squadra è una Coppa Italia nel 2008. Sinisa Mihajlovic si era ritirato da appena 2 anni e faceva l’assistente di Mancini sulla panchina dell’Inter.

Nonostante abbia avuto una breve esperienza alla Roma a inizio carriera, è difficile trovare un personaggio più distante dall’ambiente romanista di Mihajlovic. In sei anni, i più ricchi di vittorie della storia biancoceleste, il serbo è diventato un simbolo della tifoseria della Lazio, che ancora qualche settimana fa lo omaggiava con cori di pura riconoscenza, con lui che si diceva «orgoglioso dei cori laziali».

Mihajlovic si presenterebbe alla Roma come l’anti-cristo, e l’anti-cristo è esattamente ciò che serve nella squadra di questa città-Suburra, in cui ognuno sembra aver coltivato il proprio orticello di potere. Serve qualcuno di esterno che non abbia paura di rompere questi legacci, che non abbia legami di potere pregressi e che non può subire il ricatto della tifoseria. Un uomo forte che possa parlare ai tifosi in maniera diretta, prendere a schiaffi l’ambiente se serve, permettere a tutti di guardarsi da fuori e riconoscere le proprie colpe.

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Mihajlovic ha già dimostrato quest’anno di poter salvare anche le situazioni calcisticamente più compromesse. Di restituire motivazioni e convinzioni a squadre che sembrano in macerie, che è come sembra la Roma in questo momento. Nella sua carriera ha interpretato tutti gli spartiti tattici possibili: difesa bassa e ripartenze, pressing alto e transizioni corte, possesso palla ragionato. Ma questo conta relativamente, la Roma ora ha bisogno di un duce non di un architetto.

Forse non c’è nessuno meglio di un laziale per permettere alla Roma di uscire dalla propria narrazione auto-commiseratoria, di avere finalmente un approccio laico, di diventare finalmente una squadra come le altre.


Maurizio Sarri

Quando citiamo Maurizio Sarri, oggi venerdì 31 maggio, non si può non tenere conto delle voci e delle coincidenze (Agnelli che si fa fotografare nello stesso suo albergo di Baku) che lo vorrebbero come possibile prossimo allenatore della Juventus. Inserirlo in un pezzo sui possibili allenatori della Roma, a questo punto, serve solo per dire di quanto il valore di Sarri nel nostro immaginario sia cresciuto dopo la sua ultima stagione in Inghilterra e la vittoria dell’Europa League. Se parliamo di Maurizio Sarri, ovvero, parliamo di uno dei migliori allenatori italiani in circolazione. Che, poi, in circolazione fino a un certo punto, dato che al momento di ragioni per lasciare il Chelsea non ce ne sono di manifeste.

Certo la sua è stata una stagione ricca di alti e bassi, iniziata forse persino troppo bene e conclusasi con due finali giocate, ma con una parte centrale in cui l’esperimento chiamato “sarriball” sembrava un trapianto rigettato dall’organismo della Premier, e in cui soprattutto sembrava aver perso la fiducia dei suoi. Basta ricordare le parole di Cahill, panchinato da Sarri senza spiegazioni, «Non posso portare rispetto a chi non mi porta rispetto», o al rifiuto di Kepa di uscire dal campo durante la finale di Carabao Cup.

Ma anche il malumore di Eden Hazard era palese (in dichiarazioni tipo: «Quello che dice l’allenatore non mi interessa») e che oggi come oggi è complicato pensare ancora come un giocatore del Chelsea. Che, oltretutto, va ricordato, ha il mercato bloccato dalla Fifa. Questo per dire che, magari, qualche ragione per lasciare il Chelsea potrebbe anche averla.

Adesso però affrontiamo l’arduo compito di immaginare come potrebbe trovarsi Sarri a Roma. Senza tenere conto delle specificità “ambientali”, perché troppo imprevedibile e volatile, considerando l’aria da guerra civile che si respira in questi giorni e che probabilmente allontanerebbe qualsiasi allenatore con opportunità non dico migliori ma anche solo equivalenti. Di passaggio, però, dirò che paradossalmente la situazione disperata e la passionalità dei tifosi potrebbero tornargli utili, soprattutto se pensiamo a come era stato sostenuto Luis Enrique da una parte della tifoseria, che è quella che stima e rispetta gli uomini tutti d’un pezzo (e a Sarri si può dire tutto tranne che non sia coerente a se stesso). E senza tenere conto del mercato, che anche a Roma difficilmente sarà faranoico. Che resta quindi? La rosa a disposizione. Che per un tecnico come Sarri è fondamentale.

E in questo senso chiediamoci: chi potrebbe fare il playmaker nel suo 4-3-3? C’è qualcuno capace di eludere il pressing avversario con l’intelligenza, la visione di gioco e la tecnica di Jorginho? Le mezzali a disposizione hanno il controllo necessario per far girare la palla sui triangoli esterni? I difensori centrali sarebbero a loro agio con i piedi a metà campo come in teoria piace a Sarri? Dove si trova un centravanti in grado di compiere i movimenti in profondità richiesti e di dialogare con gli esterni con pochi tocchi? Chi tra Mirante e Olsen (o Fuzato, il terzo portiere) ha i piedi abbastanza delicati per Sarri?

Ho volutamente posto le domande a cui è più difficile rispondere con sicurezza, ma il punto è che la rosa della Roma è stata costruita in modo strano e contraddittorio e alcuni giocatori non sembrano avere le caratteristiche adatte al suo gioco (a dir la verità anche la rosa della Juventus non sembra adattissima, ma sicuramente lì ci sono più margini di manovra). Se escludiamo quelli che sembrano in effetti più adatti - i due Pellegrini, Lorenzo e Luca, con il secondo che una valida alternativa a Kolarov, anche lui adatto alle richieste di Sarri, i giovani esterni Under e Kluivert, forse persino Fazio - e quelli che forse potrebbero adattarsi - sicuramente Florenzi ed El Shaarawy, magari anche Nzonzi - restano alcuni talenti soprattutto fisici e anarchici che difficilmente potrebbero esprimere le idee di Sarri. Parlo di giocatori “importanti” per la Roma, sotto tutti i punti di vista, come Cristante, Zaniolo, Manolas e Perotti.

Insomma per Sarri alla Roma sarebbe importante fare un mercato puntuale e preciso, cosa che la Roma non fa da anni (da prima di Monchi, per capirci). Oppure servirebbe qualche sua grande invenzione, come quella di Mertens dopo la cessione di Higuain, e qualche miracolo inaspettato (Schick, un giovane come Alessio Caprodossi, un ritorno sorprendente come quello di Gerson, Bruno Peres, Sadiq?).

Sarri alla Roma sarebbe bellissimo, ma ci vuole davvero molta fantasia per immaginarlo.


Mister X

Dopo il fallimento del corteggiamento a Gasperini, che ha rinnovato il suo contratto con l’Atalanta, la Gazzetta dello Sport dovendo tracciare la rotta verso il prossimo allenatore della Roma, oltre ai nomi che trovate qui sopra - quelli plausibili, diciamo - ha tirato fuori un possibile Mister X. Certo la formula non è elegante, potevano chiamarlo il Thomas Pynchon della panchina, l’Elena Ferrante del 4-3-3 o magari i Daft Punk della ri-aggresione, però il concetto è chiaro: non conosciamo bene le idee della Roma, potrebbe arrivare un allenatore di cui non siamo in grado di prevedere il nome. Noi però sì: ecco alcuni, forse tutti, i possibili Mister x, nomi che la stampa non ha ancora fatto.

Rudi Garcia

Appena lasciato andare dal Marsiglia, a Roma ha lasciato ricordi agrodolci. I tifosi, magari, si ricordano solo il catastrofico finale, ma Garcia è anche l’allenatore degli 85 punti, delle 10 vittorie consecutive, del violino, di un futuro che sembrava luminoso.

Luciano Spalletti

Tutte le grandi storie sono trilogie.

Luigi Di Biagio

La Roma ai romani, in campo e fuori. Se De Rossi è stato fatto andare via, Di Biagio è la figura perfetta per fare il quarto angolo di un quadrato con Totti, Florenzi e Pellegrini. Al momento allena l’Under 21, in estate proverà a vincere l’Europeo di categoria in casa, dopo sarà prontissimo per una nuova avventura…

Arsene Wenger

Qualche anno fa Wenger disse che non si poteva ritirare perché non aveva hobby all’infuori del calcio (precisamente disse «Ferguson ha i cavalli, io no»). Quale piazza migliore di Roma per non avere nulla da fare? La mattina allenamento a Trigoria, il pomeriggio caffettino a San Calisto, la sera aperitivo in terrazza in qualche hotel del centro. Per i risultati della squadra… beh è pur sempre Wenger, qualcosa può arrivare.

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Francesco Guidolin

Una vita passata a far bene in provincia, poi l’oblio. È riuscito ad arrivare alle qualificazioni di Champions League con rose con ben meno talento di questa Roma. Il fatto poi che adesso le prime quattro accedono direttamente ai gironi, gli ha tolto anche il suo più grande tallone d’achille.

Jose Mourinho

Antonio Conte all'Inter, forse Guardiola alla Juventus, una società allo sbando, una città disperata. Non c'è motivo al mondo per cui Mourinho non dovrebbe gettarsi a capofitto nella prossima Serie A godendo per il rumore dei nemici mentre allena al sole di Trigoria.

Domenico Tedesco

Temperamento italiano, metodologia tedesca. L’ex allenatore dello Schalke 04 è il profilo ideale per una squadra che ha bisogno di una figura di riferimento, carismatica, in grado di motivare una piazza depressa e allo stesso tempo in grado di lavorare coi giovani. Al suo primo anno sulla panchina dei tedeschi è arrivato fino in Champions League, proprio dove vuole (deve) tornare la Roma il prossimo anno.

Zdenek Zeman

Anche alcune storie meno belle sono trilogie.


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