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Da Manila a Riga, è sempre Germania
15 set 2025
Dopo il Mondiale la Germania si conferma all'Europeo al termine di una finale bellissima.
(articolo)
16 min
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IMAGO / Beautiful Sports
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C'è qualcosa di giusto e sensato quando si chiude un cerchio sportivo. Lo straordinario triennio della nazionale tedesca di pallacanestro si era aperto con una medaglia di bronzo, dal sapore agrodolce, nell'Europeo casalingo del 2022. Dolce perché era il primo successo per i tedeschi dall'argento vinto nel 2005 nel pieno dell'era Nowitzki, amaro perché arrivato davanti al pubblico amico, come nello storico trionfo a Monaco nel 1993.

Quando Chris Welp guidò la squadra di Svetislav Pešić al trionfo sulla Russia, solo tre giocatori dell'attuale Germania erano già venuti al mondo. Daniel Theis, Johannes Voigtmann e Maodo Lô sarebbero stati seguiti, un paio di mesi dopo la magica notte dell'Olympiahalle dal capitano della migliore Germania di sempre: Dennis Schröder, colui che ha abbinato all'MVP vinto al Mondiale quello dell'Europeo, legando in maniera ancor più indissolubile il suo nome al basket FIBA. Anche Schröder ha chiuso un cerchio nella serata di Riga, e non soltanto per i due canestri decisivi, i sei punti - contando anche i liberi - che hanno sigillato la medaglia d'oro, ma anche per come si era concluso il suo primo Europeo in carriera, anche quello in casa a Berlino dieci anni fa. Una sanguinosa palla persa costata l'eliminazione all'allora squadra di Fleming, con la coda di un triste commiato di Dirk Nowitzki.

Schröder non aveva bisogno di una nuova medaglia d'oro, due anni dopo l'alloro iridato di Manila, per consolidare il suo posto nella storia di questo sport. Ed è proprio questo successo arrivato così, nel suo essere quasi inevitabile, ad avere un sapore speciale per una squadra che rispetto al Mondiale nipponico-filippino ha cambiato guida tecnica e avviato un processo di rinnovamento del suo organico. Il progressivo inserimento di elementi, come i fratelli da Silva o il giovane Christian Anderson (uno degli ultimi tagli alla vigilia di EuroBasket) allungherà la data di scadenza di una squadra che avrà tanto da dire nei prossimi anni. Oltre a un presente decisamente importante.

UNA SQUADRA CHE SA SOLO VINCERE
8-0 al Mondiale 2023, 4-2 all’Olimpiade 2024, 9-0 a EuroBasket 2025, torneo chiuso con il miglior attacco e la terza migliore difesa (dietro soltanto a Italia e Spagna). Fanno 19 vittorie e 2 sconfitte negli ultimi tre tornei internazionali. Un cammino immacolato, ineguagliato a livello internazionale per la quarta squadra capace di laurearsi contemporaneamente campione del Mondo e d’Europa, la prima dopo la Spagna di Scariolo. Un’epopea che trova la sua definitiva consacrazione con un bis che arriva dopo 32 lunghi anni, archiviando nel migliore dei modi la coda amara del torneo olimpico di Parigi. Una vittoria che è la conseguenza di un cammino perfetto: inarrestabile nella fase a gironi di Tampere (5 vittorie con oltre 105 punti segnati di media e un eloquente +164 di differenza canestri) e capace di superare i momenti complessi nella fase a eliminazione diretta di Riga.

A cominciare da un ottavo di finale che sembrava stregato, quello contro il Portogallo. Una partita iniziata tirando 1/24 da 3 (per chiudere con 9 triple segnate sulle successive 12 tentate) e un attacco che davvero non girava oltre i meriti dell’orgogliosa difesa lusitana. Ma la Germania ha saputo trovare un modo, come ha saputo farlo nei quarti contro una Slovenia che non è stata soltanto Luka Dončić. I tentativi di fuga ispirati dalla stella dei Lakers - pur limitata dai falli - sono stati puntualmente respinti dalle mille frecce all’arco tedesco.

Chi non ha avuto un grande torneo, se si ripensa agli standard tenuti nell’Europeo precedente e soprattutto al Mondiale di Manila, è stato Andy Obst, che ha comunque chiuso 9 punti di media col 46% da 3 e alcuni momenti magici, tipo questo.

Sotto anche di 13, la risposta è stata il collettivo. Oltre le percentuali non brillanti di Wagner (5/17) e Schröder (6/20), tutti hanno portato il loro mattoncino per prima fermare la fuga slovena e poi firmare la rimonta nel quarto periodo. Messosi Dončić alle spalle, rimaneva l’ostacolo più sorprendente, quella Finlandia già travolta a Tampere. Dalla risposta all’ottimo avvio finnico - un periodo da 30 punti a referto dopo una partenza 4-11 - al turnaround di Schröder rispetto al quarto di finale (26 e 12 assist, di cui 7 nei soli primi 10’), dall’eccellente difesa su Markkanen ai nervi saldi mantenuti sul rientro finnico fino al -6, con le triple in successione di Obst, Schröder e Tristan da Silva che hanno chiuso i conti. Creando le premesse per l’atto finale contro l’unica altra squadra imbattuta e dal record immacolato, protagonista a sua volta di un’altra performance da applausi per raggiungere il duello per l’oro.

Oltre alla bellezza della partita in sé, fate caso al livello di intensità e agonismo che emerge dai 3’ di highlights.

È raro che una finale sia una bella partita di pallacanestro. Sicuramente intensa, magari anche avvincente, ma “bella” è davvero difficile. Per l’importanza della posta in palio che raramente presta il fianco a grandi prestazioni individuali o collettive, per il margine d’errore inesistente che tende a condizionare ogni scelta. Le due finali vinte dalla Germania tra Manila e Riga sono state eccezione alla regola, e non soltanto per merito delle squadre sconfitte, Serbia e Turchia. Lo sono state perché ciò che rende speciale la squadra che da ieri detiene il trono mondiale e quello europeo è la capacità di alzare il proprio livello quando più conta.

Una consapevolezza probabilmente nata in una circostanza totalmente inattesa, quella del Preolimpico 2021 vinto a Spalato a sorpresa contro un Brasile in grande condizione e spolvero. Un torneo conquistato senza la presenza di Schröder e con una squadra che a Tokyo si batté andando via dal Giappone con una netta sconfitta ai quarti contro la Slovenia, “vendicata” in questo EuroBasket come il ko nel girone di Colonia tre anni fa. Una generazione d’oro nata dalle sconfitte e da anni alla ricerca del proprio posto nel panorama del basket mondiale, dopo la fine dell’era Nowitzki e risultati “nel medio” in generale in seguito all’apice di inizio millennio, rappresentato da due medaglie (bronzo Mondiale nel 2002 e il già citato argento Europeo 2005) e la partecipazione all’Olimpiade 2008.

La Finale di Riga ha avuto tanti momenti dentro i 40’. Impossibile immaginare una Germania vincente senza l’apporto in primis di Isaac Bonga, probabilmente il vero X Factor di questa squadra nelle partite senza un domani per le sue capacità su entrambi i lati del campo. Probabilmente acceso da una stoppata subita da Şengün, l’ex Lakers ha dato la scossa ai suoi con 7 punti consecutivi che hanno chiuso il primo tentativo di fuga dei turchi, generando il primo dei 15 cambi di punteggio nel corso del match.

Bonga ha poi completato l’opera iniziata nel primo quarto con diversi canestri clutch negli ultimi 10’, venendo giustamente riconosciuto come il migliore giocatore della finale.

Constatate le difficoltà iniziali di Schröder (soltanto due punti dalla lunetta nei primi 20’) a prendere il mantello delle responsabilità è stato Franz Wagner, che tra Tampere e Riga ha trovato quella consacrazione a livello FIBA non del tutto raggiunta, a causa di un infortunio che ne aveva limitato l’impiego e il rendimento, durante il Mondiale 2023. L’All Star degli Orlando Magic è stato il giocatore più coinvolto della Germania (davanti persino a Schröder per Usage%) nel corso dell’intero torneo, e la nomina nel quintetto ideale - completato, oltre che dall’MVP del torneo, anche da Şengün, Antetokounmpo e Dončić - è un riconoscimento logico e indiscutibile. Wagner non ha tirato bene nel torneo (28.7% da 3) ma non ha lasciato che questo condizionasse il suo essere propositivo in attacco e l’assunzione di responsabilità nei momenti chiave.

È verosimile che nei prossimi anni ricorderemo questo EuroBasket come l’inizio del passaggio di testimone tra lui e Schröder, ma essere testimoni di un presente in cui gli alfieri di due generazioni diverse tra loro sono al comando di questa squadra incredibile è un privilegio.

Per rispondere colpo su colpo a una Turchia efficace tra i lunghi (grazie al rendimento di Bona oltre che al solito Şengün) ma da elogiare per quanto fatto da due leader come Larkin - soprattutto difensivamente e a livello di gestione della situazione, qualcosa di sorprendente se si pensa al giocatore offensivamente dominante che ammiriamo in Eurolega con l’Anadolu Efes - e un Osman limitato da problemi fisici, era fondamentale però ritrovare il capitano, il condottiero di questa squadra speciale.

«È la migliore squadra con la quale abbia mai giocato”, ha detto Schröder - oggi 32 anni - dopo la vittoria. Il merito di questa frase è soprattutto suo, se si passano in rassegna i momenti decisivi degli ultimi anni».

Pur in una partita “non sua” Schröder ha saputo trovare i suoi momenti, la sua dimensione per essere decisivo. La copertina è rappresentata dai sei punti segnati nell’ultimo minuto, decisivi per dare il definitivo colpo del ko alla Turchia, ma a riguardare tutta la ripresa del play dei Sacramento Kings si staglia indelebile l’immagine di un giocatore in completo controllo emotivo e mentale della partita. Una polaroid sorprendente, se si pensa allo Schröder di inizio carriera, tutt’altro che impeccabile nei momenti decisivi e spesso complicato nella gestione dei gruppi con cui ha condiviso gli spogliatoi negli anni. Questa Germania non conta su due solidi elementi NBA - Maxi Kleber e soprattutto Isaiah Hartenstein - in primo luogo perché il fit umano e tecnico con il capitano tedesco non è dei migliori, stando alle cronache ben informate e ai retroscena.

Più volte Schröder ha sottolineato l’importanza tecnica e umana sulla sua carriera (e vita) avuta da Gordon Herbert, e dal rapporto speciale che i due erano stati in grado di costruire nei tre anni in cui il coach canadese ha guidato questa squadra. Avere fatto un ulteriore passo in avanti come giocatore e come leader quando Herbert è uscito di scena è una consacrazione forse superiore a quella rappresentata dal nuovo (e meritato) titolo di MVP. E il perché lo si può ritrovare nelle parole che ha condiviso con la stampa dopo la sirena finale, partendo dall’eredità spirituale e tecnica raccolta da Dirk Nowitzki dieci anni fa.

«Quanto Dirk ha fatto per la nazionale tedesca in generale e raggiunto sia in NBA che con la Germania come giocatore ha fatto sì che tutti puntassero a vestire questa maglia», ha detto. «Ha cambiato il basket per noi. Ma alla fine il mio nome è Dennis Schröder, io sono solo Dennis Schröder e questa è la mia eredità. Qualsiasi cosa io possa portare in campo e fuori per far sì che i miei compagni giochino al meglio, che come squadra possiamo competere ai livelli più alti per vincere medaglie d'oro. È quello che ho fatto e farò, tutto il resto non conta. Nei momenti importanti non ci tiriamo mai indietro, come squadra. Ed è un gruppo speciale, essere qui è come andare in gita: vestire questa maglia è un privilegio e voglio farlo finché avrò 40 anni».

Impossibile però non parlare di Álex Mumbrú in questa vittoria della Germania. La sua scelta per sostituire Gordon Herbert, l’architetto della squadra campione del mondo, aveva fatto alzare qualche sopracciglio in giro per l’Europa, in primis per la ridotta esperienza ad alti livelli come allenatore. EuroBasket 2025 è stato per lui un torneo tormentato a causa di gravi condizioni di salute, che l’hanno costretto lontano dalla panchina per il girone di Tampere e con un contributo per lo più silente nel corso della fase di Riga. La squadra, però, non ha mai esitato a manifestare la propria vicinanza a Mumbrú, abbracciandolo sin da subito, e l’ottimo lavoro svolto dallo staff è un merito che va riconosciuto all’allenatore spagnolo, sperando di vederlo al suo meglio nei prossimi tornei.

UN ARGENTO BELLISSIMO
“C’è un po’ d’Italia” è una frase che negli ultimi anni è stata utilizzata spesso, a livello mediatico mainstream, per introdurre a un pubblico generalista la vittoria di un personaggio sportivo (o di una squadra) poco noto ai più. L’idea è che per rendere più illustre, affascinante, interessante un successo importante lo si debba rendere così vicino da poterlo toccare con mano quantomeno come immaginario collettivo. Come tutte le formule mediatiche, l’abuso del concetto ha portato a derisione e memificazione dello stesso, rendendone difficile l’utilizzo quando è effettivamente meritorio.

Non è sbagliato dire che ci sia un po’ d’Italia nel percorso sportivo che ha portato Halil Ergin Ataman a guidare la Turchia alla terza medaglia - sempre d’argento - nel basket maschile. Il nostro paese è stato fondamentale nella formazione cestistica del nativo di Istanbul, soprattutto per quel biennio a Siena che ha rappresentato la prima esperienza all’estero e portato i primi successi in campo internazionale: la Coppa Saporta del 2002 e la prima partecipazione senese alle Final Four di Eurolega. Premesse fondamentali per il periodo di vittorie sotto le gestioni tecniche di Recalcati prima e Pianigiani poi.

È da quasi 30 anni - l’esordio nel 1996 alla guida del Turk Telekom - che Ataman allena a livello internazionale, tra Turchia, Italia, di nuovo Turchia e ora anche Grecia. Tre decenni che l’hanno visto vincere continuamente, in campo nazionale e internazionale, risollevando situazioni tecniche complesse. Per esempio quando ha riportato l’Anadolu Efes Istanbul dal fondo della classifica di Eurolega a uno storico back-to-back, oppure quando ha ripetuto lo stesso risultato col Panathinaikos. La serata di Riga, quella che ha consegnato la medaglia alla sua Turchia, ha quasi portato a un “non c’è due senza tre”. È una medaglia bellissima, però, che arricchisce una grande carriera, da Hall of Famer.

«Sono il migliore allenatore degli ultimi 10 anni», ha detto nel pre-partita della Finale di Riga. Ed è una frase che ha diritto di cittadinanza a prescindere da un minuto conclusivo che, al di là delle prodezze di Schröder, poteva essere gestito in modo migliore. Ataman ha riportato la Turchia sulla mappa ed è un merito che va riconosciuto oltre il talento medio dei suoi giocatori, a partire da un Alperen Şengün meritatamente inserito nel quintetto ideale del torneo. I turchi avevano elementi di talento e di rango anche nei tornei successivi all’ultimo grande acuto, l’argento mondiale di Istanbul 2010. Medaglia ottenuta in casa come l’altra precedente, quella europea del 2001. A differenza delle precedenti due finali stavolta la Turchia ci è andata davvero vicina, entrando nell’ultimo minuto in vantaggio e avendo condotto nel punteggio per più della metà della partita (24’ contro i 10’ della Germania).

A precedere l’atto conclusivo contro la Germania era stata la semifinale con la Grecia. Un vero e proprio capolavoro di squadra, dei giocatori come dello staff tecnico.

Le tre settimane lettoni devono essere punto di partenza, nonostante non si siano concluse con un cammino immacolato. Resteranno i picchi - le vittorie su Lettonia, Serbia e soprattutto il capolavoro in semifinale contro la Grecia - come i progressi dei singoli, e in questo caso va fatta una menzione per due comprimari come Şehmus Hazer e Adem Bona che saranno sicuramente protagonisti dei prossimi tornei internazionali. Vincere aiuta a vincere, e considerato quanto sia partito da lontano questo percorso turco - per esempio dalla mancata qualificazione al Mondiale 2023 - il bicchiere è ampiamente mezzo pieno.

Per una squadra che ha faticato più del dovuto perfino a qualificarsi a questo torneo (con due sconfitte contro l’Italia e le vittorie sofferte su Islanda e Ungheria nel girone) il futuro deve partire da questo torneo e dalla consapevolezza nei propri mezzi, indubbiamente importanti. La Turchia si è dimostrata la squadra migliore come reparto lunghi - potendosi permettere il lusso di avere elementi come Yurtseven e Şanlı da comprimari - e se riuscirà a gestire nel migliore dei modi il ricambio generazionale tra gli esterni, con un futuro da iniziare a immaginare oltre il 32enne Larkin e i 30enni Sipahi e Osman (encomiabile ieri in finale, protagonista di una partita che avrebbe meritato miglior sorte e considerazione), le prospettive diventerebbero decisamente rosee per far sì che questo argento non resti isolato.

Con un Şengün così nella partita più importante della carriera, tutto può essere davvero possibile. Sicuramente costruendogli una squadra intorno.

GRECIA, FINLANDIA E IL FUTURO
A chiudere il podio, salendo sul terzo gradino per la prima volta dal 2009, la Grecia. Punto in comune tra Katowice, Limassol e Riga la presenza di Vassilis Spanoulis: in campo 16 anni fa, in panchina nel 2025. Il bronzo europeo rappresenta il primo titolo da allenatore dopo una stagione da piazzato - in Francia e in Eurolega, sempre finalista perdente - col Monaco, e c’è molto di Spanoulis in questo risultato, che nobilita una generazione di giocatori sempre arrivata a un passo dal risultato senza però raggiungerlo.

«Questa medaglia è probabilmente il più grande successo della mia vita». A dirlo è un giocatore che è stato MVP e miglior difensore in NBA, che ha vinto un titolo nel 2021, che entrerà nella storia di questo sport come uno dei migliori di sempre. Non è sorprendente scoprire che Giannis Antetokounmpo veda così il suo primo successo con la sua nazionale, che arriva l’estate dopo la prima soddisfazione rappresentata dall’accesso all’Olimpiade tramite la vittoria del Preolimpico del Pireo. La storia di Giannis è legata a doppio filo al rapporto con la sua nazione, diventata casa col passare del tempo e con l’avanzare di una crescita difficile.

Considerando il contesto generale di una squadra con tanti elementi cardine al passo d’addio (o quasi) per la Grecia eravamo quasi al now or never, e nonostante la dura lezione subita in semifinale con la Turchia è stato importante ritrovare compattezza in meno di 48 ore per centrare un risultato che fa bacheca e ha grande valore. Anche perché ottenuto contro un’avversaria tanto sorprendente quanto esaltante. La Finlandia ha firmato una delle grandi sorprese di questo europeo con l’eliminazione ai danni della Serbia, si è confermata ai quarti contro la Georgia e ha sfiorato la prima medaglia della sua storia, soprattutto su quel tap-in mancato da Jantunen.

Un sogno così vicino, così lontano.

Per la squadra di Tuovi - a parere di chi scrive il miglior allenatore di EuroBasket 2025, senza nulla togliere al superlativo lavoro di un vincitore più che degno del premio come Ergin Ataman - il futuro è più roseo rispetto all’avversaria che ha sbarrato l’accesso al terzo gradino del podio. Le conferme, soprattutto per un gruppo di giocatori che ha dimostrato una profondità e una qualità che va oltre il singolo faro della stella rappresentata da Lauri Markkanen, andranno ricercate nella corsa al prossimo Mondiale. Un cammino non proibitivo per la Finlandia - dal momento che la squadra parte dietro solo a Francia e Slovenia in un ipotetico ranking dei gironi di qualificazione - per ottenere la possibilità di fare uno step in più e consolidarsi come realtà a livello internazionale dopo due ottimi Europei.

Più difficile il percorso della Germania campione in carica - tra le rivali dirette e indirette per i tre posti Mondiali ci sono Croazia, Israele, Lettonia e Polonia - e decisamente in salita quello della Turchia, assente nell’edizione 2023 e per questo motivo penalizzata (prima del balzo che seguirà questo Europeo) nel Ranking FIBA. Soltanto tre tra Serbia, Italia, Lituania e la squadra di Ataman giocheranno nel 2027 a Doha, a patto di rispettare i pronostici contro avversarie come Bosnia e Islanda che possono rivelarsi assai ostiche quando non puoi contare sui tuoi alfieri NBA ed è difficile fare affidamento su quelli di Eurolega. Per tutte la corsa partirà a fine novembre, per un biennio di basket internazionale che promette di essere spettacolare tanto quanto questo Europeo.

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