
L’infortunio a Paolo Banchero non sarebbe potuto arrivare in un momento peggiore per gli Orlando Magic. Avevamo appena finito di esaltarci per la sua prestazione da 50 punti realizzata contro gli Indiana Pacers e a scaldare le nostre takes più ardite per cominciare a descrivere il suo definitivo salto di qualità, che alla quinta partita stagionale è arrivato un infortunio tremendamente fastidioso: rottura del muscolo obliquo, tempi di rivalutazione di 4-6 settimane e poi si vedrà.
I Magic erano alla prima di cinque gare consecutive in trasferta, in un viaggio che in otto giorni li avrebbe portati da Chicago a Cleveland fino a tornare a Indianapolis passando per un terribile back-to-back tra Dallas e Oklahoma City. Le hanno perse tutte e cinque, e in due partite non sono riusciti neanche a segnare 90 punti. La loro stagione, senza Banchero, sembrava già finita prima ancora di cominciare.

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Come è stato possibile allora che da quel giorno in poi i Magic hanno vinto 11 delle successive 12 partite, risalendo prepotentemente fino al terzo posto nella Eastern Conference? Ovviamente una striscia di vittorie del genere ha numerosi fattori, ma volendo ridurre tutto a un solo nome, non può che ricondursi a tutti all’ascesa di Franz Wagner al rango di giocatore da All-Star Game.
La prestazione sul campo dei Lakers è stata suggellata dalla tripla della vittoria a 2.5 secondi dalla fine che lo ha definitivamente messo sotto i riflettori della NBA, ma l’intera partita di Wagner è stata straordinaria per letture, concentrazione e assunzione di responsabilità. Gli 11 assist sono impressionanti tanto quanto i 37 punti segnati, così come la bellezza e la pulizia tecnica del suo gioco.
UN ANNO INTERLOCUTORIO
Da Franz Wagner ci si aspettavano grandi cose già nella passata stagione. Le sue prestazioni ai Mondiali del 2023 alla guida della Germania, campione del mondo per la prima volta nella sua storia, avevano fatto immaginare per lui un immediato salto di qualità alla vigilia della sua terza stagione in NBA, quella in cui normalmente i grandi giocatori fanno the leap, il salto. Invece la stagione 2023-24 di Wagner è stata interlocutoria: il tedesco si è posizionato su un livello medio-alto dello spettro dei migliori giocatori della lega, specialmente per il suo rendimento e la sua versatilità difensiva, ma non è stato così migliore rispetto all’anno precedente nella metà campo offensiva, facendo nascere il dubbio che in area NBA non potesse replicare quanto visto invece nelle competizioni FIBA.
A trattenerlo, in particolare, è stato il tiro da tre punti: a fronte di un volume identico rispetto alla stagione precedente, Wagner è passato dal 36% al 28% dall’arco, trascinando verso il basso l’intera efficienza del suo gioco. Il problema del tiro da tre è definitivamente esploso ai playoff, chiudendo la serie di primo turno contro i Cleveland Cavaliers con un pessimo 26% al tiro e, soprattutto, realizzando appena 6 punti in gara-7, sbagliando 14 tiri su 15 nel momento decisivo della serie.
I tiri non sono nemmeno bruttissimi, e non così dissimili da quelli che tenta ora, ma Wagner sembra prenderseli senza nessuna fiducia che entreranno — come se ci fosse un coperchio sopra il canestro a impedirgli di segnare, oltre alle braccia infinite di Mobley che gli sono entrate nella testa dopo la stoppata subita in gara-5.
Le difficoltà di Wagner sono state in qualche modo sia acuite che nascoste dalle prestazioni di Banchero. A differenza del tedesco, l’ala dei Magic ha migliorato ogni aspetto del suo gioco, ascendendo al rango di All-Star già al suo secondo anno in NBA dopo aver vinto il premio di Rookie dell’Anno. Alla sua prima esperienza ai playoff, poi, ha prodotto medie di tutto rispetto con 27 punti, 8.6 rimbalzi e 4 assist nonostante una difesa di alto livello come quella dei Cavs concentrata quasi unicamente sul fermarlo, consapevoli che il resto dei Magic non sarebbero stati così pericolosi — specialmente con un Wagner così poco incisivo.
L’esplosione di Banchero ha fatto passare in secondo piano i problemi di crescita di Wagner, e questo è bene; ma ha anche fatto nascere l’idea che i Magic siano un “one man show”, mentre nelle idee della dirigenza dovrebbero essere in due a determinarne i destini futuri, alla stregua di come Jayson Tatum e Jaylen Brown sono diventati i pilastri sui quali i Boston Celtics hanno costruito la squadra del 18° titolo. Ma la crescita di una squadra attorno a due ali perimetrali, per quanto talentuose, è diversa rispetto a quella ad esempio di una guardia e di un lungo, o di un playmaker e di un realizzatore, o anche paradossalmente di due lunghi. Ci sono tempi di maturazione diversi: non è facile per nessuno imparare come attaccare una difesa NBA con il pallone fermo tra le mani e il cronometro che si avvicina inesorabilmente verso lo zero, e lo è in particolare per un roster con grandi limiti offensivi come quello dei Magic.
ESSERE EGOISTI COME FORMA DI ALTRUISMO
Mentre Banchero è sempre stato abituato fin dai tempi di Duke ad assumersi grandi responsabilità realizzative e creative, per Wagner il ruolo di prima opzione offensiva rappresenta una novità — anche se era consapevole che prima o poi questo giorno sarebbe arrivato. Come ha detto lui stesso nel podcast The Long Shot con Duncan Robinson dei Miami Heat, cercare di immettere un po’ di “mentalità americana” nel suo gioco è stato il motivo stesso per cui ha deciso di andare all’università di Michigan nonostante le porte dell’Eurolega fossero già spalancate davanti a lui quando era ancora minorenne. «In Europa non avrei mai potuto imparare quella mentalità da killer e la voglia di competere di quelli che vogliono dimostrare di che pasta sono fatti qui. Da questo punto di vista il college ti prepara meglio a dover giocare 30-35 minuti a partita e a prenderti tante responsabilità. Riuscire ad avere sia la mentalità americana che le conoscenze che ho acquisito in Europa sarebbe stata una buona combinazione per me».
È evidente che l’aspetto mentale del gioco sia quello su cui Wagner ha dovuto lavorare di più. Come ha ammesso lui stesso, dopo l’infortunio di Banchero ha dovuto necessariamente cambiare modo di pensare pallacanestro, anche perché altrimenti i Magic non avrebbero avuto modo di sopravvivere alla sua assenza. Sembra un paradosso, ma Wagner diventando più egoista ha fatto il più grande gesto di altruismo nei confronti della squadra e dei suoi compagni di squadra, che per caratteristiche rendono molto meglio se chiamati ad avere un ruolo complementare rispetto a uno da protagonisti. «Sono cresciuto giocando molto lontano dalla palla, cercando di prendere buoni tiri ogni singola volta» ha detto dopo il suo primo “trentello” stagionale in una vittoria contro Charlotte. «Ho capito che a volte va bene anche prendersi un tiro dalla media distanza in più. Non è una cosa che fa parte necessariamente del mio gioco e non è una cosa che mi è stata inculcata fin da quando ero piccolo, perciò questa per me è un po’ una sfida».
È un aspetto di cui ha parlato anche il suo allenatore Jamahl Mosley, sottolineando come a volte Wagner faccia ancora fatica ad andare contro la propria natura: «È un ragazzo che vuole fare sempre la cosa giusta — nei confronti del gioco della pallacanestro, della sua etica del lavoro, della sua professionalità e dei suoi compagni di squadra. A volte prendersi tiri difficili non è quello che vuole fare, e preferirebbe fare la giocata giusta. Ma a volte prendersi quei tiri è esattamente ciò di cui ha bisogno la squadra».
Nelle ultime 13 partite Wagner è stato tenuto sotto i 20 punti solamente una volta dalla difesa dei Clippers, che lo ha braccato per 48 minuti cercando di togliergli il pallone dalle mani il più possibile e facendo emergere i limiti di esperienza in quel ruolo. I Magic, per come sono costruiti, non possono permettersi una serata in cui tenta solo 11 tiri, e non a caso è stata l’unica sconfitta da quando sono rientrati dalla terribile trasferta inaugurata dall’infortunio di Banchero.
PRIMA OPZIONE OFFENSIVA, MA SENZA SACRIFICARE IL RESTO
L’ultimo mese di partite ci ha però detto che Wagner è più pronto ad agire da prima opzione offensiva di una squadra di quanto immaginasse lui stesso. Da quando si è fatto male Banchero, e da quando ha smaltito una brutta influenza che lo ha limitato nelle prime settimane di regular season, viaggia a oltre 25 punti di media con 6 rimbalzi, 6.4 assist e 2 recuperi in quasi 35 minuti di media; nelle ultime 9 partite è andato per cinque volte sopra quota 30 punti segnati, quota che nell’intera passata stagione ha raggiunto solo in sette occasioni su 72 gare disputate.
La cosa davvero interessante è che, all’aumentare delle responsabilità offensive, la sua efficienza non è calata. Nonostante il suo Usage Rate, inteso come numero di possessi da lui “conclusi” (tirando, assistendo un compagno, subendo fallo o commettendo una palla persa), sia passato dal 25.7% al 30.3%, la sua efficienza al tiro è migliorata rispetto a un anno fa, anche perché il tiro da tre è tornato a un 35%, più vicino alle sue sue capacità per quanto ci siano ancora alcuni difetti nella meccanica da sistemare, come ad esempio un caricamento del tiro piuttosto complesso. A fare impressione è però quanto sia migliorato come passatore: i 3.7 assist che registrava lo scorso anno non erano certo un dato da buttare via per un’ala, ma mantenerne 5.6 a gara su base stagionale con le difese che hanno come obiettivo primario quello di fermarlo è tutta un’altra storia. Per di più diminuendo il numero di palle perse.
Nonostante le responsabilità creative che gli sono state messe sulle spalle, Wagner non ha però per questo diminuito il suo coinvolgimento difensivo, continuando a essere un membro chiave di una delle migliori difese della lega. Gli occhi vengono inevitabilmente catturati dall’abbandono con cui Jalen Suggs lancia il proprio corpo da un lato all’altro del campo, riuscendo in qualche modo a essere ovunque per fermare il miglior esterno avversario o ad aiutare un compagno; Jonathan Isaac, quando è in salute, potrebbe semplicemente essere il miglior difensore di tutta la NBA per impatto e versatilità. Goga Bitadze con il suo gioco spigoloso è riuscito a non far rimpiangere la perdurante assenza del centro titolare Wendell Carter Jr.
Wagner non ruba l’occhio quanto gli altri, ma non è meno importante per il sistema di coach Mosley grazie alla sua capacità di rimanere sempre concentrato sull’azione e di marcare ogni tipo di avversario. Si contano sulle dita di una mano i giocatori delle dimensioni di Wagner — stiamo parlando di un 2.08 ufficiali, che potrebbero essere anche qualcosina di più a guardarlo come torreggia in altezza su certi lunghi — capace di piegare il corpo e muovere i piedi per rimanere davanti a tutte le guardie, ma allo stesso tempo con abbastanza “armatura” per poter reggere contro i lunghi sui cambi difensivi e dare una mano a rimbalzo. Non avrà le stigmate del “lockdown defender” che mette la museruola ai migliori attaccanti avversari (ma chi lo è in questo momento in NBA?), eppure non è fuori luogo vederlo contro l’ala avversaria più pericolosa, usando soprattutto le sue braccia chilometriche per produrre recuperi su recuperi. Non a caso Orlando è la squadra che costringe gli avversari a più palle perse dopo la macchina infernale di steals messa assiema da Sam Presti a OKC.
FRANZ L'IMPRESCINDIBILE
Le cifre tra quando è in campo e quando è fuori certificano il ruolo cruciale occupato da Wagner. Il suo differenziale on-off è di +14.3, di gran lunga il più alto della squadra, quasi equamente diviso tra attacco (+7.9 punti segnati su 100 possessi) e difesa (-6.4 punti concessi su 100 possessi). Non siamo dalle parti di Nikola Jokic, che ha un assurdo +30.5, ma è comunque un dato che sulla mole di minuti disputata da Wagner rende concreta la sua maturazione anche nei numeri, rendendolo assolutamente imprescindibile per la squadra. Senza di lui infatti l’attacco dei Magic, già asfittico di suo per mancanza di trattatori del pallone e di pericolosità perimetrale (30.6% da tre di squadra, nessuno tira peggio di loro in tutta la NBA), precipita in un buco nero sia in termini di palle perse che di tiri liberi guadagnati, perdendo anche gli ultimi appigli a cui aggrapparsi per produrre canestri non dico facili, ma almeno non faticosi. Al netto del grande rendimento difensivo, infatti, Orlando ha il sesto peggior attacco della NBA, il che rende ancora più impressionante il record che sono riusciti a mettere assieme finora, sfruttando soprattutto un eccezionale rendimento casalingo (9 partite e 9 vittorie, ultima squadra imbattuta davanti al proprio pubblico di tutta la NBA).
Nella costruzione della squadra, il capo della dirigenza Jeff Weltman ha evidentemente dato priorità alle dimensioni e alla versatilità difensiva nel reparto guardie rispetto alle capacità offensive. Giocatori come Jalen Suggs e Anthony Black, ma anche Kentavious Caldwell-Pope e Gary Harris, hanno evidenti limiti in termini di palleggio e creazione primaria, che in linea teorica dovrebbero essere compensati dalle doti invece di Banchero e Wagner, dai quali dipendono in maniera quasi succube. Sarà interessante capire l’evoluzione di Black, il giocatore che per caratteristiche e gioventù potrebbe avere qualcosa in più in termini di creazione, oppure se in futuro i Magic dovranno cercare un profilo che possa togliere qualche responsabilità anche dalle spalle delle due stelle della squadra, a discapito della loro granitica solidità difensiva.
Ancor più interessante, però, sarà vedere come si integreranno Banchero e questa nuova versione di Wagner quando l’All-Star tornerà dall’infortunio (lui spera entro Natale, ma potrebbe volerci qualcosa in più). L’esempio dei Celtics dimostra che è possibile costruire una contender attorno a due ali giovani e in qualche modo sovrapponibili, ma anche che ci vuole tanto tempo e degli inevitabili momenti in cui la loro convivenza verrà ritenuta insostenibile. Ma se i Magic vogliono tornare ad avere un ruolo di rilievo dopo più di un decennio del peggior anonimato possibile, il loro futuro non può che passare da loro due. E l’ultimo mese di Franz Wagner fa ben sperare per rivederli al top della lega.