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Le delusioni di Euro 2020
14 lug 2021
14 lug 2021
Squadre e giocatori che hanno reso al di sotto delle aspettative.
(articolo)
11 min
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Nel 2016 ci interrogavamo su come il calcio per nazionali poteva colmare il gap di qualità e organizzazione con il calcio dei club. Era stato un Europeo molto fisico, dominato dalla paura di fallire e da squadre difensive. L’Italia di Conte era stata l’unica a offrire un calcio all’avanguardia, in mezzo a squadre conservative o in declino. Un Europeo talmente primitivo che ci eravamo ridotti a scrivere articoli sui migliori lanci lunghi visti. L’Europeo dei lanci di Ignashevich e dei colpi di testa di Sigthorsson. L’Islanda era stata una favola romantica, ma al contempo un segnale preoccupante su quanto poco bastasse per andare avanti in certi tornei.

Euro 2020 è stato molto diverso. Forse grazie all’entusiasmo portato dal pubblico tornato allo stadio, le squadre si sono aperte, abbracciando un calcio coraggioso e spesso dalle idee originali. Le cose belle sono state tante, ma le delusioni, come sempre, non sono mancate. Squadre o giocatori che non sono riusciti a far collimare aspettative e realtà: una delle imprese più difficili dell’ipermediatizzato calcio contemporaneo. Le ho raccolte qui, e come sempre c'entra molto il gusto personale.

La Turchia

Ho visto diverse partite della Turchia per scriverne qui. Non potevo immaginare un Europeo tanto deludente: zero punti in un girone in cui sembravano potersi qualificare senza troppi problemi, o quanto meno giocandosela con la Svizzera, forse più organizzata, di certo meno talentuosa. Non era solo una questione di nomi, e anche quelli da soli bastavano a essere ottimisti, persino eccitati. Yusuf Yazici: uno dei calciatori più estrosi e peculiari al mondo; Burak Yilmaz: un centravanti autore di una stagione straordinaria; Soyuncu e Demiral: una delle coppie di centrali più promettenti d'Europa. Un vasto assortimento di giocatori di culto o da alimentare con legittime aspettative. Ma c’erano anche i risultati: la Turchia aveva battuto la Francia e l’Olanda, pareggiato con la Germania una partita spettacolare. Il suo gioco difensivo e scrupoloso sembrava fatto apposta per mettere in difficoltà le grandi squadre, e invece alla prima grande squadra incontrata, l’Italia di Mancini, tutta l’impalcatura è venuta giù come fosse fatta di cartapesta. Forse sottovalutiamo il peso psicologico della prima partita di un grande torneo. L’impressione è che la Turchia volesse soltanto uscirne fuori indenne, e invece ne è uscita rotta, fatta a pezzi dal possesso palla e dalla riaggressione italiana. Ha giocato troppo vicino alla propria porta, e il campo da attaccare sembrava sterminato. È stato il primo segno che forse, in questo Europeo, le squadre troppo difensive non sarebbero andate lontano.

Dopo la sconfitta pesante con l’Italia, e dopo aver perso le uniche certezze, quelle in difesa, la Turchia ha continuato ad andare in pezzi contro avversarie meno quotate ma più convinte. Si erano affidati a una leggenda del calcio turco in panchina: Senol Gunes li aveva portati alla semifinale dei Mondiali nel 2002 e forse era l’unico con le spalle abbastanza grosse da sopportare il peso di un eventuale fallimento. Ci credevano, prima dell’Europeo avevano girato uno dei video più enfatici di presentazione.

Gunes ha detto che contro l’Italia la Turchia ha perso il controllo, e contro il Galles ha pagato i troppi errori individuali: «Non ricordo i nostri giocatori fare così tanti errori di passaggio, mai». Contro la Svizzera, nella partita decisiva, la squadra è partita col fuoco nei piedi, e si è spenta tristemente un minuto dopo l’altro. Ha perso 3-1. «Questa generazione di giocatori farà la storia del calcio turco nei prossimi dieci anni, ma la prestazione in questo torneo è stata inaccettabile», ha detto Gunes, che si è rifiutato di dare le dimissioni. Le responsabilità sono da spartire tra tutti, media compresi, ha detto. Zero punti in tre partite, e noi la immaginavamo almeno ai quarti. Una mancanza di coraggio inaccettabile nell’interpretazione delle partite. La delusione delle delusioni.


Kylian Mbappé

Pochi giorni fa EA Sports ha annunciato che Kylian Mbappé sarà sulla copertina di FIFA 22. Mbappé di profilo, testa alta, l’aria un po’ strafottente che forse è il nostro sguardo impietoso a proiettargli sopra. Di certo non il miglior tempismo, in un periodo in cui Mbappé non riesce a far coincidere aspettative e realtà delle sue prestazioni. La Francia arrivava da favorita assoluta, con una superiorità quasi oltraggiosa rispetto alle altre nazionali. È stata eliminata dalla Svizzera in una partita epica, uno dei più vorticosi upset del calcio contemporaneo. Sarebbe giusto quindi parlare di un fallimento collettivo, Mbappé però su questo fallimento ci ha messo la faccia. Perché prima dell’Europeo aveva fatto di tutto per caricarsi di aspettative: «Voglio fare la storia», aveva voluto dire a l’Equipe. Contro la Svizzera ha sbagliato tutti i tiri che gli sono capitati sui piedi, e si è fatto parare il rigore decisivo da Sommer. Nei fotogrammi prima del tiro, i suoi occhi sembrano tesi e preoccupati (ma anche questa forse è una nostra proiezione). Non ci vuole certo un genio, però, per capire che Mbappé non era tranquillo, che calciare il rigore decisivo dopo un Europeo da zero gol non era stata poi una grande idea.

https://twitter.com/itvfootball/status/1412343062261551106?s=20

Gli unici gol all’Europeo li ha segnati in fuorigioco. C’è un po’ di crudeltà in questo, se non altro perché il primo dei due gol annullati contro la Germania era fantastico. Un tiro di piatto da fermo che ha baciato il palo prima di entrare. Mbappé non aveva certo tratto vantaggio dalla microscopica posizione di fuorigioco iniziale, ma siamo nell’epoca del VAR e dei gol annullati assecondando le astrazioni burocratiche. Probabilmente quel gol avrebbe indirizzato il suo Europeo in modo diverso. Forse non avrebbe nemmeno sbagliato quel rigore, forse neanche ci sarebbe andata la Francia ai rigori: Mbappé avrebbe trovato prima il modo di segnare, con uno di quei tiri che ha ciancicato fuori. Era già stato uno dei giocatori decisivi del Mondiale vinto nel 2018, e in fondo non aveva molto da dimostrare. Ha fatto tutto da solo: è sembrato lui stesso a volersi ergere a leader della Francia ipertalentuosa che arrivava a questi Europei, e forse non era pronto a indossare tale pressione. Nella sua carriera, oltre al talento tecnico e atletico fuori scala, aveva sempre dimostrato una capacità speciale di incidere nei contesti importanti. Stavolta è finito dalla parte sbagliata della storia.

Nessun dramma: non basta un Europeo deludente a poter mettere in discussione lo spessore del talento di Mbappé. Qualunque calciatore, persino i migliori della storia, devono passare per un periodo di necessaria delusione, specie con la nazionale. Cristiano Ronaldo (Mondiali 2014) Lionel Messi (2018, a tenerci stretti), Neymar (2018). Ha solo 22 anni.


Sancho, Grealish, Foden, Rashford, Bellingham e la nuova generazione di talenti inglesi

Phil Foden prima dell’Europeo si è tinto i capelli bianco ghiaccio: «Voglio riportare Gascoigne in campo», aveva detto. Un gesto romantico, che a posteriori è impossibile non leggere con un po’ di sarcasmo. Foden si è dovuto accontentare di qualche scorcio di partita, così come del resto gli altri giovani gonfi di hype con cui l’Inghilterra arrivava a questi Europei. Sancho, Grealish, Foden, Bellingham: tutti - più o meno - sacrificati sull’altare dell’equilibrio difensivo, di una squadra che ha deciso di voler dividere in maniera stagna i compiti di chi attacca e di chi difende; che si è affidata a giocatori di esperienza, forse più in grado di sopportare la pressione di un Europeo giocato praticamente in casa. L’unico giovane che ha trovato spazio è stato l’ala dell’Arsenal Bukayo Saka, più disciplinato tatticamente e più affidabile fisicamente degli altri. Grealish riceveva un’ovazione dai tifosi ogni volta che si scaldava, tutti eccitati all’idea di un giocatore-demiurgo in grado di costruire occasioni a ogni palla toccata. Qualcosa ha combinato, ma la sua creatività è stata confinata in angoli di spazio e di tempo in cui non poteva nuocere a nessuno. Il loro scarso utilizzo esprime bene la mancanza di coraggio dell'Inghilterra di Southgate, che ha preferito privarsi dei propri migliori talenti e giocare un calcio senza ambizioni, quasi interamente fisico, a tratti vicino al rugby. In effetti che fare con un giocatore raffinato come Sancho, se poi la squadra preferisce attaccare con i lanci a tre quarti campo di Pickford? Che fare con una mezzala tecnica come Bellingham, se la strategia inglese era quella del puro predominio territoriale? Perché affidarsi alla sfrontatezza della gioventù, se si vuole giocare governati dalla paura di fallire?

La conclusione ha avuto una perfezione catastrofica da parabola biblica. Dopo non avergli mai dato fiducia, Southgate ha infilato Rashford, Sancho e Saka nella lista di rigoristi. Erano i più tecnici, ha spiegato, mostrando un disinteresse masochista per la componente psicologica del calcio. Rasford e Sancho sono entrati solo a un minuto dalla fine dei supplementari, nonostante l'Italia fosse in sofferenza fisica È finita in modo tragico non certo per colpa loro. Se l'Inghilterra troverà il modo per essere più coraggiosa col pallone, abbracciando la gioventù e la tecnica della sua nuova generazione, il tempo è di certo dalla loro parte


Fernando Santos e il suo Portogallo

Il colpo di testa troppo centrale di Ruben Dias, l’uscita di Courtois su André Silva, il palo di Guerreiro, con quella palla che è corsa sopra l’erba beffarda. I tornei internazionali sono fatti di dettagli, e questi sono quelli che hanno separato il Portogallo da una qualificazione contro il forte Belgio di Martinez. Eppure non basta dire che il Portogallo è stato sfortunato: forse solo la Francia poteva vantare una quantità di talento paragonabile, un assortimento di giocatori così forte in ogni reparto. L’ossatura della squadra aveva già dimostrato di saper vincere, e a quello si era aggiunto il miglior centrale della scorsa Premier League (Dias) e uno dei giovani più pagati della storia (Joao Felix). In qualche modo il Portogallo è sembrato perdere il suo equilibrio, fondato in sostanza su una grande attitudine difensiva, sulla minimizzazione dei rischi. O forse anche il calcio per nazionali è cambiato, rispetto all’Europeo del 2016: non basta più cercare di non far accadere nulla, attendere che il talento porti l’inerzia delle gare dalla propria parte.

Cristiano Ronaldo è stato il miglior giocatore del Portogallo, ma in questa fase della carriera è difficile scegliere chi mettergli accanto che possa funzionare. Fernando Santos, nella disperata scelta fra i vari compromessi possibili, ha rinunciato a Bruno Fernandes dopo il faticoso esordio contro l’Ungheria. Joao Felix è rimasto in panchina la maggior parte del tempo. Ha preferito tornare a un rombo di controllo più simile all’antico assetto dei lusitani. Gli poteva garantire gestione del pallone e delle fasce centrali del campo.

Il Portogallo però non era più solido come qualche anno fa, e aveva poche idee su come si attaccavano le difese schierate. Ha addensato i propri migliori giocatori attorno alla palla pregando si inventassero qualcosa. È una ricetta troppo scolastica, non basta più.


La Polonia

Forse sorpresa da una grande partita della Slovacchia, la Polonia si è trovata subito in una posizione difficile nel girone. Forse sapeva di aver già compromesso qualcosa, ma era un Europeo in cui quasi tutti passavano i gironi. È riuscita, mettendo insieme un po’ di fortuna, a pareggiare contro la Spagna e a giocarsi quindi tutto nell’ultima partita contro la Svezia. La Polonia era soprattutto Lewandowski, che il suo lo ha fatto: ha segnato tre gol, di cui due nell’ultima partita, di cui uno incredibile con un tiro perentorio da fuori area. Non è mai sembrato così solo, privato del supporting cast che negli ultimi tornei avevano fatto sembrare la Polonia una delle squadre più sottovalutate in Europa. Sono mancati Milik e Grosicki, fondamentali nelle scorse manifestazioni. Alcuni giocatori sono sembrati invecchiati, e i giovani - Moder e Zielinski più che altro - sono sembrati incapaci, almeno per ora, di raccoglierne l’eredità. Paulo Sousa era arrivato da troppo poco tempo per poter essere giudicato, ma la fluidità e la brillantezza a cui le sue squadre ci hanno abituati non sono state pervenute.


Thomas Müller

Quando Sterling ha sbagliato quel retropassaggio, e la palla è arrivata a Thomas Müller solo davanti a Pickford, pensavamo che non ci fosse alcun essere umano migliore a cui potesse capitare quel pallone. Müller sembra nato per far pagare ai suoi avversari i loro errori. Nella sua carriera ha elevato ad arte la capacità di far sentire gli avversari deboli e inadeguati. Müller con l’umorismo un po’ pesante, quel sorriso sadico, l’aria di chi pare nato per spezzare cuori. Müller, ovviamente, con il senso di gioco innato, l’ultimo passaggio e una spietatezza nei momenti chiave che associamo ai successi col Bayern Monaco e con la Germania.

Quando gli è arrivata la palla, Müller ha aperto il piatto del destro. È scoordinato, ma niente di nuovo. La palla però esce a lato di qualche metro. Müller si inginocchia sul prato ancora prima che esca del tutto. Sterling tira un sospiro di sollievo: il suo Europeo continuerà a essere magico, la Germania verrà eliminata.

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Thomas Müller era stato fatto fuori dalla Nazionale da Löw nel 2019 - insieme agli altri veterani Hummels e Boateng - ma poi il CT era tornato sui propri passi. Ha giocato, e come lui Hummels, un pessimo Europeo.


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