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Emanuele Atturo
L'errore di Ibañez non è arrivato per caso
07 nov 2022
07 nov 2022
Una Lazio pragmatica ha vinto il derby di Roma dopo una brutta partita.
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Emanuele Atturo
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Silvia Lore/Getty Images
(foto) Silvia Lore/Getty Images
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Di questa partita abbiamo discusso ieri nel podcast Che partita hai visto, riservato agli abbonati. Ci si iscrive qui.

Una delle immagini più iconiche della sua storia recente il derby di Roma l’ha scolpita nel 2008. All’ultimo minuto le squadre sono ferme su un precario pareggio, due a due, acciuffato dalla Roma con un gol di Perrotta su assist di Totti. I giocatori riprendono la palla in mano, la portano a centrocampo frettolosi. È marzo e la Roma è ancora in corsa per lo scudetto; ha bisogno di vincere e si sbilancia, ha tanti attaccanti in campo, lascia spazi. All’ultimo minuto Pandev rientra sul sinistro e mette un cross lento sul secondo palo, Stefano Mauri ci arriva in spaccata rimettendo la palla dentro. Questa palla scorre tremebonda lungo tutta l’area, Juan non interviene, spunta di corsa Valon Behrami, capelli platinati, che col piatto tira sotto la traversa. La rete si gonfia, Behrami scavalca i tabelloni per correre sotto la curva nord. Mentre guarda i tifosi si porta l’indice alla tempia gridando “testa e cuore”.

Negli anni l’associazione “testa e cuore” è diventata un modo di dire trito e melenso. Una frase motivazionale da boomer, che flirta con il surrealismo de “Le cose più vere della vita”. Nel derby di Roma però l’idea mantiene una sua verità: un derby si vince con passione e intelligenza, cercando di domare la tensione nervosa con cui si arriva a una partita, o comunque cercando di trasformarla in energia positiva. È particolarmente vero nei derby più sentiti, che dopo pochi minuti trasformano il calcio in un'altra cosa. I giocatori sembrano muoversi dentro un’acqua densa e torbida, il nervosismo ne paralizza il talento, lo spettacolo si atrofizza fino a diventare una specie di teatro kabuki contrito e faticoso persino da guardare. I derby brutti bisogna saperli vincere maneggiando meglio degli avversari la tensione della situazione, mantenendo sangue freddo e nervi saldi. Più si resta lucidi, meno si commettono errori. Chi sbaglia per primo perde.Il singolo errore della Roma che ha fruttato alla Lazio la vittoria è arrivato più o meno alla mezz’ora. La Roma abbozza una costruzione dal basso e i giocatori della Lazio restano a guardare come predatori consci che prima o poi la loro preda si tradirà. Nella costruzione dal basso in effetti la Roma sembra alle prese con una lingua che non conosce. Balbettando Mancini la passa a Rui Patricio, Smalling poi avanza per sfilare Felipe Anderson dalla zona centrale. Il suo movimento, però, non è compensato da nessuno che si libera al centro. I giallorossi, come sempre, fanno girare la palla con lentezza incomprensibile. Ibanez offre lo scarico molto vicino, non si allarga, e per i giocatori della Lazio è più facile chiudere il campo. Quando il centrale brasiliano riceve, Pedro scatta subito per chiudere la linea di passaggio scolastica verso Zalewski; quando Ibanez si accorge che quel passaggio è chiuso, fa precipitare le cose: prova una conduzione palla sciroccata in area di rigore e in qualche modo Pedro si aspettava anche quella. Con una reattività formidabile per un giocatore di 35 anni, contrasta Ibanez e fa finire la palla al centro, dove Felipe Anderson può chiudere facilmente in porta il gol dell’1-0.

Ibanez aveva già commesso un errore decisivo simile in un derby, quando due anni fa era scivolato al momento di spazzare facendosi rubare palla da Lazzari, e aprendo la strada al gol di Immobile. Un tipo di errore singolarmente frequente nei derby in generale, se ricordate anche l’errore di Wallace sul gol di Strootman, o quello più intricato di Paolo Negro nell’anno dello scudetto giallorosso. Del resto, come si dice, la tensione gioca brutti scherzi. Da quella partita Ibanez è diventato un difensore più affidabile, fra i migliori di questo inizio di stagione della Roma, fino, appunto, a questo derby.L’errore di Ibanez è evidente, non ci sarebbe nemmeno da discuterne, ma da dove nasce un errore? Solo dalla tensione della partita, dalla svagatezza congenita di certi difensori, dalla furbizia di certi attaccanti, più bravi di altri ad annusare il sangue?È curioso che la Lazio abbia vinto il derby conquistando un pallone in alto, in una partita in cui è stata soprattutto la Roma a pressare, e a farlo anche con più convinzione. Da quando Mady Camara è entrato fra i titolari la Roma è diventata più aggressiva. È un giocatore con caratteristiche uniche in rosa, con grande intensità nelle corse in avanti. Con Camara la Roma si sbilancia un po’ di più in avanti senza palla, lasciando a Cristante molto campo da coprire, ma Mourinho si fida anche del suo dinamismo nei recuperi. Contro il Ludogorets la Roma ha sofferto le corse veloci nei corridoi centrali dei centrocampisti avversari, ma la Lazio non ha quelle caratteristiche e in più non aveva Milinkovic-Savic, squalificato. Senza il serbo la Lazio ha perso un riferimento decisivo non solo per la sua creatività e il suo peso vicino alla porta avversaria, ma anche per come fa risalire il campo col suo gioco spalle alla porta. La linea che va da Provedel a Milinkovic è una delle più battute del possesso palla della Lazio. Così la Roma saliva in pressing con le due punte sui due centrali, i due esterni sui due terzini della Lazio, Pellegrini su Cataldi, Cristante su Vecino. La Lazio non ha il palleggio sincopato e la facilità d’uscita delle squadre di Sarri, e la Roma nel primo tempo è riuscita spesso a schiacciare gli avversari in pressing. È la squadra che statisticamente ha portato più pressioni, che ha riconquistato più spesso il pallone in alto. Ma in fondo, a parte un paio di casi comunque mal gestiti, non è mai riuscita a generare pericoli da un recupero in pressing. La Lazio si è soprattutto preoccupata di non correre rischi, ma non lo ha fatto in modo confusionario. Senza Milinkovic, Provedel, uno dei portieri col miglior gioco con i piedi del nostro campionato, lanciava soprattutto sul lato sinistro dell’attacco. Lì Sarri aveva avvicinato Luis Alberto, Zaccagni e Felipe Anderson per cercare di essere pericoloso con le loro associazioni. Così capitava che senza un appoggio vicino Provedel andasse direttamente da Zaccagni, che qualche volta riusciva a ripulire il pallone dalla pressione di Mancini, con un gioco spalle alla porta in costante crescita. Se Zaccagni era coperto Provedel andava su Felipe Anderson che si abbassava sempre leggermente a sinistra, portando fuori posizione Smalling e aprendo situazioni pericolose sugli esterni. [gallery columns="9" ids="85635,85636,85637,85638,85639,85640"]

Tre situazioni in cui la Roma prende a uomo tutti i riferimenti della Lazio e Provedel lancia lungo verso il lato sinistro, su Zaccagni.

Intendiamoci: la Lazio non ha creato grossi pericoli in queste situazioni, ma questo pattern le è servito per rallentare i ritmi, alleggerire la pressione, dare ai propri giocatori un canovaccio da seguire per scaricare il peso mentale di scelte difficili da prendere in situazioni di rischio, in una partita nervosa. Per questo ha sfruttato anche le abilità tecniche dei propri giocatori: il gioco con i piedi e la bravura nelle scelte di Provedel, soprattutto, ma anche la bravura di Zaccagni nel gioco spalle alla porta e la qualità tecnica di Felipe Anderson. In questa immagine si nota quanto la Lazio abbia provato a costruire di più a sinistra.La Roma in costruzione bassa ha meno certezze. La Lazio evita di pressare davvero; Felipe Anderson resta su Smalling, mentre Zaccagni e Pedro oscillano tra i braccetti e gli esterni avversari. La Lazio però si preoccupa soprattutto di schermare le linee di passaggio della Roma, cercando di esporre i limiti nella costruzione del gioco giallorossa - che ha qualità tecniche limitate nei difensori, peggiorate da una scarsa organizzazione.Rui Patricio ha una capacità limitata nel gioco coi piedi e appoggia sempre vicino a Ibanez, che poi cerca di aprire velocemente verso Zalewski. La Roma prova a uscire sempre su quel lato sinistro, e pian piano Pedro affina la lettura di quella situazione. Una volta coperto il passaggio per Zalewski, Ibanez non ha nessuna linea di passaggio pulita davanti. A volte è costretto a lanciare, ma sono lanci nel vuoto, senza preparazione, e che mettono Abraham in condizioni difficili (e siamo in un momento storico in cui ad Abraham non riescono cose difficili). La combinazione tra Ibanez e Zalewski è la più frequente del match (13 passaggi), escluse quelle tra i centrali della Roma. La situazione, insomma, si ripete in tutta la sua problematicità varie volte nei primi venticinque minuti di partita, finché non arriva la palla rubata e il gol di Felipe Anderson. [gallery columns="7" ids="85641,85642,85643,85644,85645,85646"] Per tornare al discorso di prima, allora, in un gioco di squadra come il calcio, si può dire che un errore - anche uno flagrante come quello di Ibanez - sia interamente individuale? Ibanez ha sbagliato, ma anche perché non aveva una struttura di sostegno attorno che rendesse più facili e meno rischiose le sue decisioni. Se la Roma è la squadra in Serie A che concede più reti agli avversari da propri errori, come certi dati dimostrano, non può essere solo per la scarsa concentrazione, o le doti tecniche malandate de propri difensori. Ci deve essere un problema più profondo. La testa e il cuore sono importanti nel calcio e ancor di più in un derby, ma senza il giusto contesto scoloriscono. Dire quindi che la Roma ha perso perché è stata meno concentrata, meno “cattiva”, meno coraggiosa della Lazio, può essere vero, ma racconta solo una parte della storia. Al coraggio, alla determinazione, ci si arriva. Questioni tattiche, tecniche, fisiche e psicologiche, nel calcio come in ogni sport, sono sempre profondamente collegate.Dopo quel gol la partita si incarta in un equilibrio tattico ed emotivo particolare. La Lazio pian piano si abbassa, preoccupandosi di concedere sempre meno spazi alla Roma. Più passa il tempo e più la Lazio sembra in controllo, più la Roma pare frustrata, le sue idee opache, i suoi errori palesi. Diventa una partita inquieta, concitata, con sbavature tecniche continue. Una partita francamente brutta, che fa comodo alla squadra in vantaggio.Col bisogno ansioso di un gol, la Roma non è stata aiutata dalla forma scadente dei propri giocatori offensivi, sottolineata anche da Mourinho dopo la partita. Con la Lazio che ha giocato una partita di alto livello in difesa posizionale, e la Roma imballata nella solita rigidità, c’era bisogno di grandi azioni individuali, che non ci sono state. Zaniolo, il migliore dei giallorossi,ha giocato la sua solita partita di Lacoonte che si dimena in mezzo ai serpenti; Abraham è stato incapace di vincere qualsiasi duello con i centrali della Lazio, ed è stato inconsistente nei tanti e sempre peggiori (25) cross piovuti in area di rigore. Pellegrini è in un pessimo momento di forma ed è incapace tanto di legare il gioco quanto di essere incisivo nella definizione dell’azione. A Roma si vocifera che giochi da settimane con un problema fisico all’anca, ma chissà. In ogni caso al 51’ è stato costretto a uscire per un problema muscolare al flessore. La Roma ha fatto entrare il ragazzino Volpato, che ha aggiunto una capacità inedita di saltare l’uomo, ma la coperta pare sempre troppo corta. Mourinho dice che giocano sempre gli stessi da inizio anno ed è difficile dare troppe colpe a questi giocatori.A parte una traversa di Zaniolo - zero gol e quattro legni nei derby, decimo stagionale per la Roma (!) - la squadra non ha avuto sostanzialmente occasioni. Dopo quella contro il Napoli, un’altra partita chiusa con una bassissima produzione offensiva. Due partite in cui gli avversari si sono difesi in modo molto diverso: il Napoli ha pressato in alto, la Lazio si è difesa in basso chiudendo gli spazi. Dei problemi offensivi della Roma abbiamo detto, ma questi si sono incrociati anche con una difesa posizionale della Lazio incredibilmente migliorata rispetto allo scorso anno. È la settima porta inviolata per Provedel dall’inizio della stagione. Casale e Romagnoli hanno giocato una grande partita nella difesa dell’area di rigore. Romagnoli, al primo derby con la maglia della squadra che tifa, ha chiuso con 7 duelli aerei vinti, 5 spazzate, 2 intercetti, 4 contrasti: un buon candidato per il premio di migliore in campo.

Come sono gli Expected Goals di una partita orrenda? Così.

Nel finale la partita si spezzetta in mille rivoli di nervosismo, con la Lazio che continua a cucinare la frustrazione della Roma, che cresce insieme alla sensazione di essere inoffensiva. Si sarebbero potuti giocare duecento minuti senza che la squadra di Mourinho segnasse, e comunque se ne sono giocati più di cento. Dieci minuti di recupero in cui non si è quasi giocato, in cui la palla è stata più in aria che in terra, con la regia costretta a inquadrature sulle facce straziate dalla tensione, perché di calcio c’era davvero poco da vedere. Minuti in cui c’è stata una classica immagine da derby, con Stefan Radu che resuscita da chissà quale tomba per nascondere la palla a Rui Patricio che voleva riprendere il gioco. Sono minuti in cui i motivi principali della partita raggiungono il loro apice: la confusione della Roma, la durezza della Lazio. Chi fa meno errori vince, una vecchia regola del calcio italiano, ma da dove nascono gli errori? La palla persa di Ibanez è una grossolana disattenzione, ma ci sono errori individuali che nascono da problemi collettivi. Nascono da un’assenza di struttura che rende più difficile per i giocatori non sbagliare. La Lazio ha vinto la partita perché è stata la squadra organizzata per commettere meno errori, e che ha trovato la migliore condizione mentale nel corso della partita.La squadra si è adattata con astuzia ai limiti della Roma, una squadra spesso a proprio agio senza palla, ma che può andare in difficoltà quando è costretta a controllare il pallone con poco spazio da sfruttare. In questa strategia Sarri ha sfoderato il suo sottovalutato pragmatismo, applicando uno dei principi storici di Mourinho: dare agli avversari la partita che non vogliono. La Lazio non ha tenuto molto il pallone, ha dosato la propria aggressività. È restata scrupolosa e concentrata. Ha spezzato i momenti più intensi della Roma, anche consapevole dei propri limiti, o comunque dell’assenza dei propri punti di forza. La Lazio ha vinto in modo cinico, facendo poco più della Roma, sfruttando al massimo l’unico episodio favorevole, ma la casualità c’entra fino a un certo punto. Con testa e cuore, certo, ma anche con tattica, strategia e furbizia la Lazio ha vinto il derby, nonostante l’assenza di Immobile e quella di Milinkovic-Savic. Ha superato da squadra i propri limiti individuali, una cosa che la Roma di Mourinho non è riuscita a fare.

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