L’Inter ha presentato Christian Eriksen al Teatro alla Scala di Milano. Gli ha fatto indossare l’abito elegante, gli ha rifinito la barba al centimetro e gli ha fatto percorrere il corridoio nella platea. Sguardo in camera, una sistemata ai polsini della camicia: era pronto ad andare in scena da direttore d’orchestra della squadra di Conte. Si sarebbe messo al centro del campo, a comandare una squadra di corazzieri e corridori con calma ed eleganza. Sembrava tutto quello che mancava all’Inter: una connessione di qualità tra centrocampo e attacco, una persona che poteva mettere Lukaku davanti alla porta a occhi chiusi.
Non era neanche un anno fa. Eriksen aveva 27 anni: pochi per qualunque calciatore, figuriamoci per uno che al gioco fisico ha sempre preferito la tecnica e l’intelligenza. Non aveva nulla da dimostrare: 51 gol e 62 assist in 226 presenze in Premier League, diciannovesimo di sempre nella storia del campionato.
Pochi mesi prima era chiuso in una stanza con Mourinho e Daniel Levy, il presidente del Tottenham, per cercare una soluzione. Il suo contratto era in scadenza, non voleva rinnovare e cercava una nuova squadra. L’Inter gli sembrava un’ottima soluzione. A Londra giocava poco e sempre partendo dalla panchina; di certo non poteva immaginare che in Italia sarebbe andato incontro allo stesso destino, persino peggiore. Nei primi mesi della scorsa stagione al Tottenham, i peggiori per lui, aveva giocato 1387 minuti, all’Inter – fra quest’anno e lo scorso – si ferma a 1253. Ha iniziato titolare 14 volte, mentre è partito dalla panchina 19 volte. Negli ultimi tempi il suo minutaggio, invece che aumentare, si è ridotto sempre di più. Sommando il tempo giocato con i suoi ingressi dalla panchina quest’anno si arriva a circa 50 minuti, poco più di un tempo quindi. In rosa solo tre giocatori hanno giocato meno di lui, e si fatica ancora a definirli giocatori dell’Inter: Stefano Sensi, con tutti i suoi problemi fisici; Andrea Pinamonti e Radja Nainggolan, la versione “evil” di Eriksen, che ormai pare rassegnato al suo destino e ha iniziato a far finta di allenarsi.
Durante questa polvere di tempo a Eriksen toccava il compito di convincere il suo nemico, Antonio Conte, che poteva essere utile alla causa. Davanti allo schermo i tifosi dell’Inter sono di fronte a un difficile esercizio ermeneutico: capire se aveva ragione lui, che chiede di giocare, oppure Conte, che lo tiene in panchina se va bene, o lo mette a pochi secondi dalla fine per mangiargli l’anima se va male. Ecco quindi i migliori ingressi di Eriksen negli ultimi minuti delle partite.