
L’Egitto è una nazione di più di 100 milioni di abitanti pazza per il calcio. Lì si gioca il più importante derby d’Africa tra Al-Alhy e Zamalek, una rivalità che affonda radici nei conflitti di classe del Cairo e che ora divide il paese solo per legami familiari.
Fuori dal continente, però, anche se ha in rosa un fuoriclasse, l’Egitto non è la prima Nazionale africana che viene in mente, o almeno quella con più talento. Questo forse perché ai Mondiali non ha mai raggiunto risultati di prestigio o giocato partite iconiche. Certo, è stata la prima nazionale africana a partecipare a un Mondiale, nel 1934, ma dopo l’ha giocato solo nel 1990 e nel 2018.
Prima dell'Egitto penserete al Camerun, alla Nigeria, al Senegal, all’Algeria, al Marocco, alla Costa d’Avorio. Squadre che hanno giocato grandi mondiali, o che riforniscono costantemente di talento le squadre europee. Eppure è l’Egitto la Nazionale ad aver vinto più Coppe d’Africa: 7, tra cui 3 consecutive nel 2006, 2008 e 2010. Nel 2006, battendo la Costa d’Avorio di Drogba in finale ai rigori dopo aver forzato lo 0-0; nel 2008 battendo in finale il Camerun di Eto’o per 1-0, e nel 2010, sempre per 1-0, ha battuto il Ghana poi sorpresa al Mondiale in Sudafrica.
Quella degli anni 2000 è considerata la generazione d’Oro del calcio egiziano. Ha vinto tre coppe d'Africa consecutive (2006, 2008, 2019): successi che hanno fatto passare in secondo piano anche il fatto che ha fallito la qualificazione ai Mondiali. L’immaginario della Nazionale è ancora oggi legato a quella Nazionale pragmatica, che sembra avere la formula vincente in Coppa d’Africa grazie all'attenzione difensiva e a guizzi offensivi che non facciano mai perdere l'equilibrio.
Paradossalmente proprio ora che l’Egitto ha il miglior giocatore del continente ed è tornata a giocare un Mondiale, ha avuto i maggiori problemi a continuare la sua storia vincente in Africa: Salah ha esordito nel 2011 e nelle successive tre edizioni (2012, 2013 e 2015) l’Egitto ha mancato la qualificazione, e per anni il movimento è rimasto sotto choc per la tragedia di Port Said del febbraio 2012. Morirono 74 persone e la Federazione sospese il campionato locale per due anni. Nel 2017 l'Egitto ha perso la finale, mentre nel 2019 - nell'attesissima edizione casalinga - è stato eliminato agli ottavi di finale dal Sudafrica.
Con Salah in formato Pallone d’Oro, per tornare a vincere l’Egitto ha assunto in panchina il sessantottenne Carlos Queiroz, uno che tra le sue decine di vite vissute ha gestito la generazione d’oro del calcio portoghese, allenato il Real Madrid dei Galacticos, è stato uno storico secondo di Alex Ferguson e per quasi un decennio ha plasmato il calcio iraniano.
Queiroz è arrivato nel settembre 2021 e si è trovato subito a suo agio con la rosa a disposizione, un gruppo che non ha quasi toccato rispetto a quello uscito subito alla Coppa d’Africa 2019, perdendo con lui soltanto 2 delle 17 partite giocate. Una di queste sconfitte è quella con cui ha esordito nella Coppa d’Africa contro la Nigeria. Da quel momento il suo Egitto non si è più fermato, a modo suo, pur avendo segnato solo 4 gol in 6 partite. Nei 90 minuti regolamentari è riuscito a battere solo le più deboli Guinea-Bissau e Sudan, non senza faticare: due 1-0. Contro il Marocco è andato in svantaggio, per poi completare la rimonta ai supplementari. Contro Costa d'Avorio e Camerun ha esercitato il proprio potere nel modo più crudele. Due partite vinte ai rigori dopo lo 0-0 dei 120 minuti. Il segreto dell'Egitto è quello delle nazionali dal successo enigmatico nei grandi tornei: vincere raramente, ma non perdere mai.
Nella semifinale contro il Camerun l'Egitto ha firmato il proprio capolavoro. La squadra di casa ha iniziato alla grande, ha attaccato forte nei primi 20 minuti, ha sfiorato il gol per tre volte senza riuscire a segnare. Quando il colpo di testa di Ngadeu prende la traversa, quando il tiro pazzo di Oum ha toccato il palo senza entrare in rete, a quel punto era chiaro: era un'altra grande serata egiziana.
Passata la paura, inizia la vera partita dell’Egitto. La squadra prende forma nel resto del primo tempo e diventa padrona nel secondo. Il Camerun avrà un paio di occasioni nel resto della partita ma niente di così vicino. Anche l’Egitto ha avuto anche le sue occasioni: una con Salah lanciato solo in porta, ma anticipato dall’uscita tempestiva di Onana fuori dall’area e, soprattutto, proprio allo scadere dei supplementari, con un cross in area di Ramadan Sobhi che non viene deviato in porta nonostante passi in mezzo ai tre compagni in area piccola.
L’Egitto ha giocato sempre allo stesso modo nelle tre partite, con un 4-3-3 dal blocco medio, un’uscita dal basso lentissima, quasi singhiozzante. Una bruttezza pensata per mantenere i ritmi super controllati e non mettere mai in ritmo gli avversari. Quando la partita tace, all'improvviso, l'Egitto tenta una verticalizzazione, mette in fila due passaggi per miracolo, e può far ricevere Salah in zone pericolose, ovvero uno dei più forti attaccanti al mondo.
Salah ci ha messo del tempo ad adeguarsi alle richieste del torneo. Forse per via della preparazione atletica, forse per abituarsi ai campi francamente impraticabili su cui giocano. La prima partita contro la Nigeria è stata la sua peggiore e infatti l’Egitto ha esordito con una sconfitta. Ha segnato alla seconda partita, rigore decisivo segnato agli ottavi, gol e assist ai quarti e in generale, secondo OPTA, è il giocatore che ha creato più occasioni da gol della competizione (14) e il terzo per xG totali (4.46). Insomma, Salah ha fatto quello che deve fare un giocatore del suo livello, anche dentro una squadra che non sa bene come esaltarlo, ma che al contempo dipende da lui.
Tolto Salah, l’Egitto ha solo altri due volti riconoscibili: Mohamed Elneny, panchinaro storico dell’Arsenal e anima della squadra a centrocampo, e Trezeguet, attaccante dell’Aston Villa che in Nazionale è il talento che entra dalla panchina a sparigliare le carte. Ma non sono gli unici a giocare fuori dall’Egitto perché è così anche per i due compagni d’attacco di Salah: il barocco attaccante esterno Omar Marmoush, tutto controlli e dribbling, che gioca da anni in Germania senza riuscire a esplodere, e la punta Mostafa Mohamed, riserva del Galatasaray e in Nazionale attaccante di fatica più che di raccordo. Gli altri componenti della rosa giocano in Egitto, distribuiti tra Al-Alhy (sette) e Zamalek (sei). Proprio lì si concentrano i volti protagonisti a sorpresa di questo torneo, come il centrocampista di 28 anni Hamid Fathi dell’Al-Alhy e il portiere di 33 anni "Gabaski" dello Zamalek.
Fathi è un centrocampista difensivo con il ghiaccio nelle vene. Gestisce il pallone sbagliando pochissimo e nei momenti di maggiore confusione è quello che viene a prendersi il pallone per mettere ordine. Gabasaki, a quanto pare soprannominato così dal suo allenatore Milutin Sredojevic perché non riusciva a pronunciare il suo nome (Abou Gabal), è l'uomo copertina. È massiccio, ha la barba perfettamente levigata per essere sfumata all’altezza di capelli con un doppio taglio abbondantemente ingelatinato. Ha esordito agli ottavi contro la Costa d’Avorio con una prestazione così eroica per uno che per un decennio è stato il portiere di riserva della Nazionale. Il padre ha dichiarato che avrebbe sacrificato due vitelli per festeggiare.
Tutti giocatori carismatici senza i quali la strategia di Queiroz non potrebbe funzionare. Perché l’Egitto raccoglie l’anima della sua identità storica e va oltre, non si accontenta di non perdere l’equilibrio, vuole manipolare emotivamente l’avversario, stuzzicarlo prima, renderlo paranoico ed esasperarlo poi, portarlo al limite della pazzia. È questo il contesto in cui può esprimere il suo calcio. Così ha affrontato la Costa d’Avorio agli ottavi, il Marocco ai quarti e il Camerun in semifinale. Tre squadre che alla fine hanno passato più tempo a discutere con l’arbitro che a giocare. L’Egitto è la squadra che contro il Marocco ha commesso 30 falli (rispetto ai 18 del Marocco) pur avendo il 54% del possesso palla, scatenato una rissa in campo e una poi negli spogliatoi a fine partita, quando il quarto portiere ha schiaffeggiato il presidente della delegazione marocchina.
E se Salah con la fascia da capitano sembra muoversi al di sopra di questa tattica, forse per mantenere una facciata di serenità con l’arbitro, tutti gli altri sono nei personaggi ai limiti della pantomima. Durante i quarti di finale il centrocampista Elneny si è buttato ginocchia a terra dopo ogni ogni singolo fischio contrario: occhi sgranati e spiritati, braccia aperte a richiamare l’arbitro o qualche ingiustizia divina. Il portiere Gabaski, infortunatosi dopo un grande intervento al minuto 81, si è messo a giocare col cronometro. Prima ci ha messo una vita a farsi medicare, e poi ha rifiutato apertamente il cambio a ogni interruzione successiva di gioco. L’arbitro si avvicina per chiedergli se ce la fa, lui con la coscia fasciata e una mano sempre a massaggiarsela, con la faccia sofferente, fa segno di sì e con le braccia scaccia il cambio con il compagno che lo guarda già pronto per entrare a bordocampo. Il cambio arriverà solo al minuto 96 dei tempi supplementari.
L'Egitto ha elevato la perdita di tempo a forma d'arte. C’è un'attenzione ai minimi dettagli, tanto che se non ci sono buone scuse in campo interviene lo staff dalla panchina.

Contro il Camerun sono passati una decina di minuti e l’arbitro già non riesce a tenere a bada la panchina dell’Egitto. Un'energia nervosa che ha finito per animare anche il solitamente serafico Queiroz.
Un sadismo che in semifinale ha coinvolto il povero Mohamed Sherif, entrato in campo nei supplementari e fatto uscire dodici minuti dopo per far entrare il rigorista Zizo - che poi in effetti calcia un rigore perfetto. Nelle due serie di rigori l’Egitto non ne ha sbagliato neanche uno (5 contro la Costa d’Avorio e 3 contro il Camerun), mentre dagli avversari sono arrivati errori grotteschi proprio in quelli decisivi: Bailly che prova un rigore no-look, o Clinton N’Jie che calcia da fermo un metro a lato della porta.
Con l'Egitto in campo vale la pena mettersi comodi e abbandonare qualsiasi pretesa estetica. Godersi invece lo strategismo mentale di una squadra disposta a tutto, in partite già tesissime per l'alta posta in palio. Contro il Camerun il tutto era esaltato dall'aver rovinato la festa dei padroni di casa, con Eto'o fuori di sé in tribuna. Ogni contatto è più accentuato di quello precedente, ogni infortunio è più doloroso, ogni protesta più indignata. Senza accorgersene gli avversari se lo ritrovano sotto pelle: continuano a giocare senza capire che hanno già perso.