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Lorenzo Forlani
Queiroz ha costruito l'Iran in 7 anni
26 giu 2018
26 giu 2018
La nazionale iraniana è stata una delle più belle sorprese di questi Mondiali, e grande parte del merito va a un tecnico fin troppo sottovalutato.
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Lorenzo Forlani
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Dopo la vittoria in extremis sul Marocco e la sconfitta di misura con la Spagna, ieri l'Iran si è giocato una imprevedibile qualificazione alla fase a eliminazione diretta del Mondiale in Russia. Il Portogallo partiva nettamente favorito, ed era anche riuscito a creare il contesto più favorevole possibile, andando in vantaggio di un gol dopo pochi minuti.

 

Il portoghese Carlos Queiroz, che dal 2011 è l'allenatore della Nazionale iraniana, nei giorni scorsi aveva descritto la partita come un “match point”, caricandolo di aspettative anziché assecondare la retorica appagata della “vittoria nella partecipazione”, tipica di squadre minori che arrivano a giocarsi un insperato risultato, senza avere nulla da perdere. In campo, sotto di un gol, l’Iran sembrava effettivamente credere che l’impresa fosse a portata di mano. Ha giocato una partita come al solito attenta, ma anche coraggiosa. Ha pareggiato al novantesimo con un rigore contestato, e poi - al sesto minuto di recupero - si è effettivamente guadagnata la palla del “match-point”. Mehdi Taremi raccoglie un rimpallo dentro l’area di rigore, è solo davanti a Rui Patricio, ma col sinistro non riesce a incrociare il tiro, che finisce solo sull’esterno della rete.

 

L’Iran è stata eliminata dal Mondiale dopo aver messo insieme 4 punti in un girone complicatissimo, dove partiva dietro non solo a Spagna e Portogallo ma anche al Marocco, almeno sulla carta più talentuoso. Si può definire già ora una delle eliminate migliori dei campionati del mondo in Russia.

 



Se l’Iran è arrivato davvero a un passo dall’eliminare il Portogallo di Cristiano Ronaldo non c’è niente di casuale. La squadra di Queiroz è stata una delle prime Nazionali a qualificarsi ai Mondiali in Russia, e lo ha fatto con autorità crescente, senza subire nemmeno un gol fino al raggiungimento della matematica certezza. Una fase difensiva che Queiroz cura da sempre in modo meticoloso, e che nel caso dell'Iran è stata sviluppata partendo da una linea difensiva a quattro, composta esclusivamente da giocatori della Iran Pro League, e su distanze brevissime tra i reparti. Sono i frutti di un lavoro iniziato sette anni fa e che aveva già fatto intravedere dei risultati durante il Mondiale del 2014, quando l'Iran prima concesse zero gol alla Nigeria, poi resistette per 90 minuti contro l'Argentina, andando più volte vicina al vantaggio in contropiede, prima della sentenza di Lionel Messi. Quella con l'Argentina, così come quella contro la Spagna di pochi giorni fa, fu una partita giocata letteralmente in trincea, nella quale i giocatori iraniani fecero registrare il record negativo di passaggi effettuati da una squadra (114) negli ultimi 50 anni di mondiale, anche se come detto furono tutt'altro che innocui nelle ripartenze.

 

Nell'immaginario degli iraniani è impossibile non collegare questo genere di epica sportiva (diciamo pure del “catenaccio”) a quella della guerra di logoramento con l'Iraq del 1980-88, combattuta contro l'Iraq di Saddam ma anche contro l'intera comunità internazionale, che sosteneva il rais iracheno nell'aggressione alla Repubblica islamica, arrivando a chiudere entrambi gli occhi di fronte agli attacchi chimici iracheni ad Hallabja e ovviamente negando all'Iran i sistemi difensivi di cui necessitava – una situazione che spingerà gli iraniani ad avviare in proprio un programma di missili balistici, tuttora molto discusso.

 

L'Iran con pochi mezzi – militari nel caso della guerra, tecnici nel caso del calcio – che resiste di fronte ad attacchi più o meno sofisticati, più o meno vigorosi, traendo la linfa utile a ricompattare un paese dilaniato nel primo caso, e quella per rendersi pericolosa con insidiosi contropiedi nel secondo. Ma basterebbe l'attualità, con il recente ritiro degli Stati Uniti dall'accordo sul programma nucleare iraniano e la conseguente implementazione di nuove sanzioni americane volte ad isolare il Paese dal resto del mondo dal punto di vista commerciale.

 

Tutto questo è ormai chiarissimo a Carlos Queiroz, che 7 anni fa accettò l'offerta di una Federazione già in difficoltà, e nonostante la possibilità di godersi una pensione dorata dopo aver allenato, tra le altre, Real Madrid e Portogallo. Sette anni in cui Queiroz ha rassegnato (e poi ritirato) per quattro volte le dimissioni anche per diretti dissidi con la stessa Federazione, gli stessi che alla fine, lo scorso maggio, lo hanno convinto ad annunciare il definitivo addio al Team Melli dopo il mondiale in corso (ad aprile è stato uno dei 77 “applicants” per il posto vacante di allenatore del Camerun). Sette anni in cui è anche stato anche accusato di passare poco tempo in Iran (sopratutto da Mohammad Mayeli Kohan, ex coach della Nazionale) ma nei quali da una parte ha toccato con mano le difficoltà create alla sua squadra dalle sanzioni e dall'altra è riuscito a creare una empatia con i suoi giocatori che è sconfinata nell'identificazione con un ruolo paterno.

 



 

«Abbiamo lottato per viaggiare, per avere campi di allenamento in giro per il mondo, per trovare avversari disposti a giocare amichevoli. Quale altra Nazionale sarebbe andata al mondiale senza aver giocato un numero sufficiente di amichevoli, o allenandosi spesso su campi di sessanta metri?», aveva detto Queiroz in una intervista concessa a GQ lo scorso 13 giugno. «Anche comprare le magliette è diventata una sfida, ma sono proprio queste sfide ad avermi fatto innamorare dell'Iran. Queste difficoltà si trasformano in una fonte di ispirazione per la gente, rendendola più unita, disposta a combattere per il proprio paese», ha detto due giorni dopo in conferenza stampa, a proposito della decisione della Nike di non rifornire più l'Iran con i suoi scarpini nel timore di incorrere in sanzioni americane, e costringendo quindi i giocatori iraniani a trovare altre soluzioni (comprarseli autonomamente) a ridosso della manifestazione.

 

È curioso rilevare come queste parole andrebbero in un certo senso bene anche per la società iraniana nella sua interezza, che, pur polarizzata e conflittuale, negli ultimi 40 anni si è sempre compattata nelle difficoltà dell'isolamento, dopo i ciclici inasprimenti delle sanzioni. Queiroz ha iniziato la conferenza stampa lanciando un appello diretto alla FIFA – che il portoghese da qualche tempo propone di trasformare in “Nazioni Unite del Calcio” – , che è suonato come una denuncia, come quelle che il ministro degli Esteri Mohammad Javad Zarif occasionalmente sottopone alle sedi internazionali.

 

«Partecipiamo a questo Mondiale sotto il patrocinio della Fifa, la quale ha come valore fondante quello di lasciare da parte ogni questione politica. Ciò tuttavia non sta avvenendo, e trovo che sia molto scorretto nei confronti di 23 ragazzi che vogliono solo giocare a calcio, e che hanno dimostrato di meritare lo stesso trattamento riservato agli altri giocatori del mondo. Penso sia mio dovere dire di fronte a tutti voi che è necessario lasciar giocare a calcio i miei ragazzi, che non sono ostili a nessuno e non hanno problemi con nessuno. Questi giocatori meritano un sorriso da parte del resto del mondo», ha commentato Queiroz, con un'aria mai così costernata, quasi rabbiosa, che per un momento ha reso possibile associare i suoi occhi cerulei, i tratti signorili e le sue labbra sottili ad un “rottweiler”, la razza canina a cui lo ha sorprendentemente accostato Sir Alex Ferguson nella sua autobiografia.

 



Ci sarebbero diverse diapositive, diverse angolazioni per provare a descrivere un personaggio difficilmente afferrabile come Carlos Manuel Brito Leal Queiroz, nato nel 1953 a Nampula, in Mozambico, e venuto a Lisbona dopo la Rivoluzione dei Garofani del '74, per poi laurearsi all'Università di Lisbona. Un cittadino del mondo, con radici multiple, che nella sua vita ha allenato anche in Sud Africa, in Giappone, negli Stati Uniti e negli Emirati Arabi Uniti. A guardarlo, il portoghese ha l'aria mite e garbata del direttore di una filiale bancaria, e si fa fatica anche a immaginarne il viso tumefatto, cioè come in sostanza avrebbe voluto ridurlo tempo fa Roy Keane, ex capitano del Manchester United, che nei giorni scorsi ha svelato di aver lasciato i Red Devils per colpa sua. Chi è Queiroz, un duro, un buono? Un insegnante di calcio o un arguto gestore? Uno che compatta i gruppi o che li divide?

 

Queiroz era stato scelto nel 2002 come sostituto di Steve McLaren, e a lui fu affidata quasi totalmente la tattica, sin dal primo giorno di allenamento. Un pezzo uscito su Bleacher Report nel 2012 parlava di Queiroz come il vero architetto della trasformazione dello United, a metà della prima decade del nuovo millennio, da squadra che praticava un calcio ancora tipicamente inglese a squadra prettamente europea. Si deve a lui – come dimostra anche l'acrimonia di Keane – la graduale marginalizzazione (o l'abbandono) di esponenti della Golden Generation come Beckham, i fratelli Neville, Nicky Butt o lo stesso Keane, come si deve a lui l'intuizione di provare il giovane Cristiano Ronaldo a piede invertito, sulla fascia sinistra, assecondando una incombente epoca di dribblatori sulle corsie, più che di crossatori. Il pezzo ha un titolo emblematico, Come il Manchester è regredito tatticamente da quando è andato via Queiroz.

 

La fisiognomica di Queiroz inganna, ed il suo carisma è stato a lungo oscurato dal fatto di essere il tattico designato ed il vice di uno degli allenatori più carismatici della storia del gioco. Da quando è allenatore dell'Iran ha imposto la sua linea, rivoluzionando gradualmente tanto le modalità di allenamento quanto le linee guida sullo scouting dei giocatori convocabili. In meno di 7 anni, l'Iran ha scalato la classifica delle migliori nazionali asiatiche, e probabilmente oggi è inferiore solo al Giappone (in realtà prima del mondiale l'Iran secondo la Fifa era la prima asiatica). Queiroz ha deciso di far partire tutto dalla fase difensiva. Nel 2005, quando era ancora al Manchester United, disse: «tutte le squadre vincenti, anche se sono offensive, hanno un approccio difensivo. Guardate i Chicago Bulls nel basket. Erano i migliori ad attaccare ma hanno vinto tutti quei trofei partendo da una grande difesa. Più difendi e meglio difendi, più facile sarà attaccare».

 

Prima della designazione di Queiroz, la policy ufficiale della Nazionale iraniana era sempre stata quella di convocare esclusivamente giocatori nati in Iran (anche che giocassero all'estero), escludendo quelli nati fuori dai confini. Nel 2006 la prima eccezione la fa l'allenatore del tempo Branko Ivanovic, convocando l'irano-tedesco Fereydon Zandi. Queiroz, invece, fa una cosa ancora più semplice: dopo esser stato nominato ct, annuncia di voler convocare tutti i giocatori convocabili secondo le regole della Fifa. Così, esordiscono in Nazionale il portiere Daniel Davari, nato in Germania e il difensore irano-americano Steven Beitashour, che non parlano una parola di persiano e che dopo il mondiale 2014 usciranno dalle convocazioni. Poi è il turno di quelli che, nati in Iran, si sono trasferiti da piccoli con le loro famiglie in Europa: Ashkan Dejagah e Reza Ghoochannejad , che invece diventano dei punti fermi della Nazionale, oltre che improvvisamente molto amati nella patria d'origine. Senza, tuttavia, dimenticare la Iran pro League, sulla quale Queiroz sguinzaglia il suo storico assistente – ed ex capitano del Portogallo – Oceano da Cruz (arrivato nel 2014 a sostituire Antonio Simoes), che è spesso tra le tribune di qualche match di serie A iraniana. Altre figure fondamentali del suo staff sono il preparatore dei portieri Dan Gaspar, responsabile indiretto dell'approdo in Europa di portieri come Sosha Makani e Alireza Haghighi, oltre che dalla crescita esponenziale dell'attuale titolare Alireza Beiranvand, il cui passato da pastore e da lanciatore di pietre – attività sfociata in quella che oggi è la sua signature move, cioè un rinvio con le mani di 70 metri – è stato recentemente raccontato dal Guardian; e Omid Navazi, il suo ex vice, recentemente passato a fare il vice allenatore della Nazionale di calcio femminile americana (!).

 

Dopo il mondiale in Brasile, in Europa iniziano a giocare con regolarità e con una certa influenza anche giovanissimi come Alireza Jahanbakhsh e Sardar Azmoun, seguiti poi da Saman Ghoddos e da Saeid Ezatolahi. Per inserirli gradualmente – Azmoun non viene convocato nel 2014, Jahanbakhsh parte sempre dalla panchina – Queiroz inizia a marginalizzare alcuni senior, come l'ex capitano Andranik Teymourian o il portiere Alireza Haghighi, o meglio ad equilibrare maggiormente il rapporto tra giocatori d'esperienza e giovani.

 

Queiroz esige il rispetto delle regole, mira a cementare un gruppo e a trasferirgli una mentalità resiliente, ma sembra tutt'altro che un sergente di ferro. A testimonianza di ciò c'è la sua prolifica attività sui social. Sopratutto da quando è iniziato il mondiale, Queiroz aggiorna spesso il proprio profilo Facebook, che risulta fecondo di contenuti eterogenei: riflessioni sui massimi sistemi, frasi motivazionali, cronache quotidiane dai toni goliardici. Ne emerge sì, una sorta di padre adottivo per i giocatori della Nazionale, ma uno di quei padri moderni, dialoganti e al passo coi tempi, che sa parlare la lingua dei propri figli e sa mettersi al loro livello senza far venir meno l'autorevolezza.

 

Qui lo si vede in prima fila mentre con i suoi giocatori canta una canzone per il compleanno della figlia di Dejagah; qui è addirittura teatrale nella goliardia, mentre testa le tibie dei suoi ragazzi servendosi di un paletto per gli esercizi d'allenamento.

 


«Sto solo controllando se i ragazzi sono pronti per lavorare. Lo sono sempre!»”, si legge nella didascalia di Queiroz.


 

Il rispetto che Queiroz esige, in ogni caso, sembra essere lo specchio di quello che è in grado di dare. Lo scorso 4 giugno, dopo l'annuncio delle convocazioni, Queiroz sul suo profilo ha rivolto un pensiero non dovuto agli esclusi: «Cari amici, voglio condividere con voi un messaggio speciale di gratitudine a tutti i giocatori che in questi ultimi tre anni hanno dato il loro contributo affinché il Team Melli si qualificasse al Mondiale. Il nostro tributo va in particolare a quelli che sono stati con noi nelle partite ufficiali come Ando (Teymourian, ndr), Jalal (Seyyed Jalal Hosseini), Kaveh, Ansari, Karimi, Pourghaz e Makani. Ringrazio anche tutti i club e gli allenatori che in questi anni ci hanno aiutato a qualificarci con la loro disponibilità. Grazie a tutti, siete sempre con noi».

 

Queiroz il mite, quello con un viso che non sembra in grado di scomporsi, con la postura paterna nei confronti dei suoi giocatori, è in realtà un passionale, un istintivo, uno che una volta ha detto di avere “un animale dentro lo stomaco”, o che nel 2013, prima di una decisiva partita con la Corea del sud, in conferenza stampa offrì ufficialmente al suo omologo coreano una maglia dell'Uzbekistan con cui giocare il match, dopo che nei giorni precedenti lo stesso Choi Kang Hee aveva affermato di preferire il passaggio di turno degli uzbeki rispetto a quello degli iraniani. E che dopo la vittoria per 1-0 del Team Melli, esultò polemicamente col pugno chiuso di fronte alla panchina coreana. O ancora, che condivide su Facebook i post polemici o quasi complottisti sulla disparità di trattamento arbitrale tra Spagna e Iran nell'ultimo match, o che invoca il rigore negato all'Iran contro l'Argentina nel 2014, o che si fa da eco alle lamentele del suo difensore Pouralighanji, che dopo Spagna-Iran aveva denunciato indignato i ripetuti insulti rivolti da Diego Costa alla sua mamma durante il match.

 

Lunedì, in quella che potrebbe essere la sua ultima partita da allenatore dell'Iran, Queiroz incontrerà sulla panchina del suo paese Fernando Santos, che gli è succeduto come tecnico del Portogallo e che nel 1983, quando giocava centrale difensivo nell'Estoril, fu allenato per qualche mese dal nativo di Nampula, che aveva appena smesso di giocare e aiutava l'allenatore Mario Wilson. Un aiuto concreto e fondamentale – come quello che Ferguson ha ritenuto imprescindibile nel Manchester United per più di 5 anni –, se è vero, come ricorda l'ex giocatore Amilcar, che già al tempo era proprio Queiroz a «mettere in pratica gli allenamenti e i principi tattici, introducendo anche nuovi metodi e modi di pensare calcio».

 

I giocatori iraniani sono tornati a casa solo dopo aver venduto carissima la pelle, pendendo dagli occhi blu del proprio padre adottivo in panchina, serrando le linee e lottando su ogni pallone. Alla vigilia del Mondiale, Queiroz ha parlato come fosse già il momento dei saluti, con il cuore in mano e una gratitudine che i suoi giocatori penseranno di dovergli a loro volta: «Per senso di giustizia e di moralità, mi sento di dover dire qualcosa sui giocatori iraniani: mai nella mia vita ho visto calciatori disposti ad offrire così tanto al calcio e alla propria Nazionale, sapendo di ricevere in cambio quasi nulla. In nessun luogo del mondo ci sono calciatori che si allenano con tanta volontà e motivazione, per poi, alla fine, non sentirsi nemmeno dire 'grazie'. Questo ci dice molto sul carattere dei miei ragazzi (…). Se li mandi ad allenarsi per sette ore al giorno, loro lo faranno col sorriso, con la voglia di imparare sempre di più, di migliorarsi. Essere con loro da sette anni è un onore».

 

 

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