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Tommaso Giagni
Duro come Aleksandar Mitrovic
17 set 2018
17 set 2018
La punta serba del Fulham sembrava destinato a grandi cose, ma per rilanciare la sua carriera è dovuto ripartire dal basso.
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Tommaso Giagni
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Suo padre

per lui soltanto due orizzonti possibili: la kickboxing e la criminalità. Aleksandar Mitrović

che, se non avesse avuto il calcio, avrebbe fatto qualcosa in cui scaricare adrenalina.

 

È grosso e rissoso, pronto a provocare giocatori ancora più grossi di lui (come

andò sotto a Zlatan Ibrahimovic). Si definisce: «Il tipico numero 9. Forte, duro, sempre in area». Ha una foga di segnare che

con la metafora della dipendenza, e che non si spegne neanche

: le lunghe esultanze di Mitrović sono scoppi di energia, violenza codificata.

 

Quando si pensa alle parabole che dall'Olimpo fanno rovinare a terra, o a quelle che dai bassifondi fanno salire vertiginosamente in cielo, è bene ricordare che di solito le cose sono molto più complesse.

 

Nel caso di Aleksandar Mitrović, per esempio, si distinguono facilmente tre fasi già solo nel percorso fin qui. Prometteva di essere un giocatore da alti livelli, poi di essere un flop, sopravvalutato, non all'altezza dei grandi campionati. Oggi sta riprendendo quota, dopo essersi dovuto immergere nella serie cadetta inglese con un bagno d'umiltà.

 


All'ultimo Mondiale, con la maglia serba (Ryan Pierse / Getty Images).


 

A otto anni, Aleksandar sta guardando la Champions League in TV. È l'estate 2003, il suo Partizan è ospite del Newcastle di Alan Shearer nel terzo turno preliminare. Quella notte i bianconeri di Belgrado vincono ai rigori e accedono alla fase a gironi. Aleksandar

però dell'atmosfera del St James's Park espugnato.

 

Perciò da ragazzino

due maglie dei

e ci andava in giro per Smederevo, dov'è nato il 16 settembre 1994: alle porte di Belgrado, antica capitale serba, oggi conosciuta nel Paese come la città dell'acciaio. A sovrastare la città c'è una bella fortezza quattrocentesca, sopravvissuta al tempo e ai bombardamenti: una presenza che deve aver mantenuto vivo il senso di minaccia nell'adolescenza di Mitrović, dopo un'infanzia dominata dalla guerra dei Balcani.

 

Mitrović da ragazzo

la curva del Partizan, mentre è già un tesserato del settore giovanile. Si pone quattro obiettivi: giocare con la prima squadra, segnare nel derby con la Stella Rossa, vincere il campionato serbo e diventare un idolo del club. Riuscirà a raggiungerli tutti.

 


Ottobre 2012, faro del Partizan a San Siro contro l'Inter, nel girone di Europa League, in una delle sue primissime esperienze a livello internazionale (foto AFP / Stringer).


 

In Serbia viene salutato da subito come un talento importante. Dopo una stagione in prestito all'FK Teleoptik Zemun, a diciott'anni torna ai

di Belgrado per giocare in prima squadra. I suoi 10 gol ne fanno il miglior realizzatore del club, che vince il campionato. Lui riesce anche a segnare alla Stella Rossa, nel suo primo derby, dopo appena dieci minuti.

 

Una fila di club europei viene a chiedere informazioni sul ragazzo, la società decide di monetizzare.

 

La scelta ricade sull'Anderlecht. Il club fa un grande investimento per un grande talento: 5 milioni, il più caro dell'ultimo decennio. L'operazione è condotta dall'agente di Mitrović, Nenad Jestrović, che da giocatore dei Bianco-Malva aveva vinto due campionati e un titolo di capocannoniere.

 

Lui non è spaventato dalla nuova sfida,

50 gol. Ne farà 44 in due stagioni, 90 presenze, vincendo una Jupiler Pro League e una Supercoppa belga.

 

Quell'anno arriva anche la

di José Mourinho, che assiste al suo primo gol con la nazionale maggiore (Serbia-Croazia del settembre 2013): «Quel ragazzo ha tutto per diventare una stella europea».

 


Il giorno della presentazione da nuovo acquisto dell'Anderlecht, con i capelli così (foto di Nicolas Maeterlinck / Stringer).


 

Nell'estate 2015, Aleksandar Mitrović domina il mondo del calcio dal punto più alto che abbia mai raggiunto. Ha tutti i motivi psicologici per guardare ancora più su, dove pure è troppo luminoso per riconoscere il futuro.

 

Non ha neanche 22 anni, gioca in nazionale (ha 13 presenze), è stato campione del suo Paese con la squadra del cuore, ha vinto un altro campionato europeo e un titolo di capocannoniere, mezza Europa gli ha fatto la corte e l'ha spuntata proprio il suo club preferito fuori dalla Serbia, il Newcastle, che ha gli stessi colori del Partizan e ha scommesso su di lui 18,5 milioni di euro.

 

Avanti veloce. A gennaio 2018, Mitrović sta annaspando nel tratto più fangoso del suo percorso fin qui. Ha 24 anni e non ha sfondato in Premier League. Il Newcastle che tanto sognava lo sta cedendo. «Avevo un disperato bisogno di giocare a calcio, di stare sul campo, di segnare gol», 

poi.

 

Anche se ha molte richieste, non vengono dai grossi club che se lo contendevano poche stagioni prima. Tra gli altri c'è l'Anderlecht, e l'ipotesi di ritorno dà la misura del passo indietro. La trattativa con i belgi sembra addirittura cosa fatta. Invece salta.

 

In quelle ore confuse,

si distrae su Snapchat, Mitrović vede comparire sul telefono un messaggio di Slaviša Jokanović, l'allenatore serbo che ha giocato nel Partizan e ora guida il Fulham in Championship: «Come stai?». Mitrović sa bene che anche i "

stanno cercando di prenderlo, così risponde: «È il tuo giorno fortunato, l'accordo [con l'Anderlecht] non si fa».

 


Come fosse a casa sua, nello stadio che ammirava da bambino (foto di Michael Regan / Getty Images).


 

Eppure era iniziata tanto bene, a Newcastle-upon-Tyne. «Sento di essere tornato a casa. Questa è casa mia. Spero di restarci per i prossimi dieci o quindici anni. Mio figlio crescerà

. Si era presentato

, allo scadere del calciomercato estivo 2015. Nella storia della società,

i "

" avevano investito una somma maggiore.

 

La prima stagione è discreta a livello individuale, ma il Newcastle retrocede. L'anno e mezzo che segue è un graduale inabissamento: sempre meno spazio, sempre meno gol. Sempre più sfiducia da parte del tecnico, Rafa Benítez (e viceversa: «

una brava persona ma non ero a mio agio con il suo gioco», dirà Mitrović). Eppure i tifosi continuano a sostenerlo e anzi lo trasformano in un giocatore di culto, uno che gioca poco ma tutti reclamano in campo. C'è gente che si tatua

sul bicipite.

 


Nel 2015/16, nel sentitissimo derby del Tyne and Wear, contro il Sunderland, Mitrović segna. Nella lunga e articolata esultanza, finisce per correre incontro a un tifoso che ha invaso il campo, il quale però scivola e fa scivolare pure lui. Si abbracceranno, dopo, come compagni di squadra (foto di Stu Forster / Getty Images).


 

Nella sua esultanza più nota, Mitrović tira fuori la lingua e porta indice e medio ai lati della bocca: qualcuno

fosse un riferimento sessuale, altri che intendesse tagliare la lingua a chi lo criticava.

 

Spiegando il suo entusiasmo all'arrivo a Newcastle,

che per essere amato lì non era necessario vincere ma combattere fino all'ultimo («È lo stesso modo con cui noi serbi approcciamo le cose»). E si sfregava le mani: «

della Premier League mi prenderanno a calci, e io prenderò a calci loro. Ho rimediato un po' di cicatrici durante le partite: dimostrano che sono pronto ad andare dove fa male, a mettere la testa ovunque, se questo mi porterà a segnare».

 

«Ha il diavolo dentro», 

Steve McClaren, che l'ha allenato a Newcastle.

 

Tanto gioca a fare il duro, tanto Mitrović non accetta lo stereotipo del serbo

. Addirittura si impunta per convincere del contrario: «I serbi sono molto gentili. A volte la vita è brutale e bisogna tirar fuori il carattere, ma venite in Serbia a vedere quanto la gente è accogliente».

 

La testa, una volta, l'ha messa sulla faccia di Björn Engels del Club Brugge, sul finire della prima stagione in Belgio. Il difensore aveva allargato il braccio, in un contrasto aereo, ma l'arbitro non aveva dato il fallo. Mitrović si era lamentato, Engels da dietro gli aveva gridato malamente di finirla e gli era andato sotto. Mitrović allora ha spinto la fronte, leggermente, e l'altro si è buttato rotolando in modo ridicolo. L'arbitro ha espulso Mitrović. Per portarlo fuori dal campo, sono servite quattro persone.

 

Luke Edwards, che l'ha intervistato per «The Telegraph»,

che dal vivo Aleksandar Mitrović è timido e si imbarazza a guardarti negli occhi.

 

La giustificazione del contrasto può venire da Mitrović stesso: «

non sono normale. Fuori, sono un family guy, faccio cose normali, le cose che fanno tutti».

 


Foto di Bryn Lennon / Getty Images.


 

La nazionale non l'ha mai mollato in questi anni. Anche quando la sua carriera ha preso una brutta piega, Mitrović ha giocato ininterrottamente, con ognuno dei CT (6!) che la Serbia ha avuto dal suo esordio.

 

Dopo soli quattro mesi in U21, il primo CT della nazionale maggiore a dargli fiducia era stato Siniša Mihajlović, quando Mitrović aveva diciotto anni, nell'estate 2013. Già al debutto era stato titolare, nello stadio di Bruxelles intitolato a re Baldovino. Proprio in Belgio, dove a distanza di poche settimane sarebbe andato a vivere.

 

Sembra che l'esperienza gli abbia insegnato a gestire l'agonismo. Tra il 2016/17 e oggi, Mitrović ha ricevuto un numero di ammonizioni del tutto normale (11 in 81 gare, includendo club e nazionale) e non è mai stato espulso.

 

Gli ultimi mesi lo stanno riportando in alto. Indossa di nuovo i colori bianconeri, stavolta del Fulham: una società ambiziosa, che in questo mercato estivo ha investito ben

(solo Liverpool e Chelsea hanno speso di più), incluso il suo riscatto per 20 milioni di euro. Dall'arrivo, lo scorso inverno, Mitrović ha trascinato la squadra a un'insperata promozione dalla Championship (12 reti in 20 partite) e ha avuto un ottimo impatto nella nuova stagione di Premier (4 gol in 5 gare). In mezzo, c'è stato un buon Mondiale con la Serbia, preceduto da 5 gol nelle 4 amichevoli di primavera.

 

Certo, può non bastare: in una storia di alti e bassi così violenti, la stabilizzazione è troppo fragile per non essere protetta.

 
 

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