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Daniele V. Morrone

Don Andrés

La nuova centralità di Iniesta, la chiave di volta della Spagna di Del Bosque.

Nel calcio attuale i sistemi di gioco delle Nazionali sono quasi sempre meno complessi ed efficienti di quelli dei club. Allora capita spesso che un intero sistema finisca per dipendere da un singolo giocatore, da solo in grado di esaltare l’idea di calcio che l’allenatore vuole mettere in campo. Per la Spagna vista in questo Europeo, Andrés Iniesta non è solo il leader tecnico, ma la singola variabile da cui dipende il funzionamento dell’intero sistema. Senza di lui, la “Roja” si riduce a una squadra ricca di talento ma senza un filo che la tenga unita, ridotta a provare a vincere le partite per pura inerzia.

 

Dopo l’abbandono della Nazionale di Xavi e Xabi Alonso, il ct Del Bosque ha deciso di continuare con il suo calcio di possesso provando ad affidare tutto l’impianto a Iniesta, trasformandolo in uno e trino: in questa Spagna Don Andrès deve, da solo, (1) far nascere e sfruttare la superiorità, (2) consolidare il possesso (3) trovare il lancio per aprire il campo e dare aria alla manovra. Del Bosque ha chiesto a Iniesta di essere un leader accentratore, proprio quello che non è nel Barcellona. Essere il cuore del sistema: significa che, come tutto il sangue passa dal cuore, tutti i palloni devono passare da Iniesta.

 

Ogni singolo movimento sembra eseguito in base alla posizione del numero 6: l’intera mole di possesso della Spagna non avrebbe senso senza di lui, inizio e definizione di ogni giocata. Girare palla grazie a lui, rompere le linee grazie a lui, andare in gol grazie a lui.

 

 

 

La grandezza dell’ultimo Iniesta

 

Negli ultimi mesi al Barcellona Iniesta è stato tra i pochi ad alzare il proprio rendimento. Forse anche per questo Del Bosque ha deciso di esasperare la sua centralità, mettendolo nel cuore del sistema e riempiendo il campo di specialisti che giocano in funzione di lui. I giocatori che gli ruotano attorno vengono plasmati via via che la partita va avanti e finiscono a loro volta ad aumentare le tendenze associative, pur mantenendo le loro caratteristiche.

 

Iniesta gioca mezzala di possesso a sinistra e, per fargli spazio sulla sua fascia, viene posizionato un attaccante esterno come Nolito; a destra ci sono una mezzala felice di limitarsi ad essere guidata dal contesto, come Cesc, e un esterno destro associativo che vada a giocargli vicino, Silva. Un fedele scudiero in grado di far circolare la palla in modo perfetto come Busquets alle spalle e una punta capace di sfruttare gli assist del regista pur occupando l’area da solo: Morata.

 

 

L’esordio ha portato la prima vittoria e una grande prestazione di Iniesta, in una partita in cui anche il suo linguaggio del corpo esprimeva assoluta padronanza della situazione. Una novità per un giocatore che è sempre stato tanto elegante e decisivo con il pallone, quanto poco propenso ad assumere il centro del palcoscenico. Iniesta ha sempre preferito aggiungere la pennellata finale su di una tela già preparata da Xavi e Xabi Alonso.

 

Del Bosque stavolta invece gli ha chiesto, di fatto, di dominare la competizione. Se basta avere una sua grande prestazione per competere con tutti, allora bisogna mettere Iniesta nelle condizioni di poter fornire sempre grandi prestazioni. Questa, in sostanza, la strategia della Spagna per vincere questi Europei. Del Bosque del resto non è un fine stratega, ritiene che il calcio sia solo e unicamente dei calciatori. Allora il suo compito sarebbe solo quello di metterli nella condizione mentale migliore e di dotarli di un’idea di gioco che riesca a farli rendere al massimo.

 

 

L’Iniesta-sistema

 

La Spagna entrata in campo contro la Turchia era costruita per migliorare rispetto a quella vista nell’esordio, soprattutto per come metteva la propria stella in condizione di dominare. All’unione di posizioni e caratteristiche dei giocatori in campo, sono stati aggiunti dei compiti e movimenti specifici. Niente di sofisticato, ma quanto basta per potenziare ancora di più il sistema e correggere i meccanismi che avevano arenato la squadra nella prima partita: quando il possesso era della Spagna (praticamente sempre), Morata in area e i due terzini all’altezza della trequarti avversaria sono le uniche due posizioni rimaste fisse, in grado di garantire sempre ampiezza al modulo.

 

Nolito si muove da ala alla ricerca della profondità, ma poi si muove sia per creare un triangolo con Alba sulla sua fascia e Iniesta in possesso, che per accentrarsi ulteriormente. A quel punto finisce a fare la seconda punta accanto a Morata quando la palla è lontana, liberando tutta la fascia per Jordi Alba. L’esterno opposto, Silva, ha movimenti ancora più ampi per cercare sempre di trovarsi tra le linee, dove viene raggiunto da Cesc, svincolato dalla posizione di mezzala di possesso. Anche Cesc viene messo tra le linee, perché a gestire il pallone basta Iniesta.

 

La stella della squadra gioca partendo sul centro sinistra, come suo solito, con Jordi Alba spesso più alto per permettergli una ricezione libera da pressione. Busquets più dietro alla sua destra e Sergio Ramos alle spalle sono ottimi guardiani. Da quella posizione Iniesta ha tutta la fascia centrale davanti, con almeno tre diverse opzioni di passaggio contemporaneamente di fronte a sé, più due dietro di sé per uscire dalle situazioni peggiori. A questi livelli non esiste un sistema difensivo tanto oliato da poter reggere la pressione di una squadra che fa un calcio di possesso e che ha un giocatore capace di immaginare qualsiasi linea di passaggio e, al contempo, mantenere palla sotto ogni tipo di pressione.

 

 

Iniesta è totalmente padrone dei destini della circolazione del pallone e ha spazio e tempo a disposizione per scegliere l’opzione migliore. La Spagna ha scherzato la Turchia, alternando fraseggio corto a cambi di campo, mantenimento del possesso orizzontale a filtranti in verticale. Ogni pezzo della galassia attorno a Iniesta era consapevole dei compiti assegnatogli, certo che giocando così la squadra avrebbe comunque segnato un gol. Ne sono arrivati tre.

 

 

 

Arrivare in fondo

 

L’intuizione di Del Bosque deve ancora essere messa davvero alla prova, da avversari meno depressi della Turchia e meno rinunciatari della Repubblica Ceca. L’Iniesta-sistema però ha riportato entusiasmo in un ambiente ingrigito e impaurito dopo la brutta figuraccia di due anni fa.

 

Contro la Croazia la Spagna ha trovato un avversario che ha prima subito il grandissimo talento associativo di Iniesta e compagni, ma che nel secondo tempo ha risposto giocando proprio ad isolare il numero 6, eliminando la creazione delle linee di passaggio di cui necessita. La Croazia ha prima di tutto aumentato l’aggressività nel pressing sull’uscita del pallone spagnolo, costringendo Busquets ad abbassarsi a giocare tra i centrali, togliendolo quindi dalle spalle di Iniesta. Ha continuato, poi, isolando Iniesta e aggredendo i giocatori davanti a lui tra le linee, bloccando la propria trequarti centrale e forzandolo a doversi appoggiare ai giocatori alle sue spalle.

 

L’altezza del possesso spagnolo è passato dalla rete pensata da Del Bosque degli scambi tra Iniesta e il fronte Cesc+Silva, con i due terzini alla loro stessa altezza, a quello tra Busquets e i due centrali. L’aggressività croata ha costretto Iniesta a far circolare la palla ricevendo spalle alla porta e lontano dalla trequarti. Dovendosi inventare ogni volta un modo diverso per riuscire a rompere una linea.

 

 

Il talento infinito del giocatore lo ha portato comunque a trovare la giocata decisiva non appena lasciato un attimo libero dagli avversari, quando ricevendo solo sulla trequarti ha passato la palla in area per il rigore fischiato su Silva, ma a vincere è stata la Croazia con una ripartenza elementare. La prima partita in cui Iniesta non è riuscito ad imporsi per tutto il tempo come cuore del possesso spagnolo non a caso è stata una partita persa.

 

In un torneo dove i grandi giocatori al massimo della forma si contano sulle dita di una mano, la Spagna ne ha uno e se ne è legata a doppio filo. Questo porta alla sicurezza di poter vincere contro chiunque se lui gioca al massimo, ma anche alla prospettiva reale di dipendere in modo totale dalle sue prestazioni per andare avanti. Perché adesso che il tabellone è quello più difficile possibile, per arrivare fino in fondo alla Spagna serviranno altre quattro prestazioni perfette di Iniesta. A partire dalla partita contro l’Italia. Conte sa già su chi basare la sua strategia difensiva.

 

 

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Daniele V. Morrone, nato a Roma nel 1987, per l'Ultimo Uomo scrive di calcio e basket. Cruyffista e socio del Barcellona, guarda forse troppe partite dell'Arsenal.