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Giorgio Di Maio
I dolori del vecchio Rafa Nadal
22 mar 2024
22 mar 2024
Il percorso del campione spagnolo verso il ritiro si sta rivelando più difficile del previsto.
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Giorgio Di Maio
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IMAGO / AAP
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Se iniziare non è facile, è ancora peggio smettere. Di esempi nel tennis ne abbiamo avuti parecchi, da Bjorn Borg che ritorna a giocare con le racchette di legno in un mondo di metallo e grafite, all’addio cinematografico e ricco di lacrime di Roger Federer. Gli ultimi mesi di carriera di Rafa Nadal ci stanno dimostrando che nemmeno per un guerriero come lui (o forse proprio per questo) il ritiro è una cosa semplice. Come ha ricordato recentemente Andy Murray non devono essere gli altri a decidere quando uno sportivo decide di ritirarsi, che abbia vinto 22 Slam o zero. Più che sul campo però bisogna concentrarsi su ciò che succede fuori: che difficoltà sta incontrando Rafa Nadal?

Il tennista maiorchino ha sempre mostrato un’immagine di sé pura e retta. Per certi versi simile a quella di Jannik Sinner che tanti fan ha conquistato negli ultimi mesi anche per i suoi modi e dichiarazioni fuori dal campo. Nadal emblema di grinta, spirito di sacrificio e volontà di rialzarsi sempre, che sia dopo un infortunio (come il problema cronico al piede) o in uno scambio in cui è in grossa difficoltà. Nadal uomo del popolo, un tennis spettacolare e potente ma fatto anche di fatica e sudore, in contraltare alla bellezza nobiliare ed eterea di Roger Federer, il tennista che viene da un altro pianeta. Nadal il giusto, mai una racchetta rotta in carriera e sempre dalla parte giusta della morale. Tante versioni dello stesso uomo, sempre coerenti con quanto detto e fatto fuori dal campo.

Adesso però Nadal sta combattendo duramente con un avversario che non riesce a battere, anzi che non può battere: il Tempo. Il campione spagnolo di fatto non gioca dal 2022, escludendo la breve parentesi dell’anno scorso terminata per un problema all’anca già in Australia. Il 2024, per sua stessa bocca, sarà probabilmente l’ultimo anno. L’occhio è alle Olimpiadi di Parigi, che quest’anno si giocheranno nel suo giardino di casa, il Roland Garros. La strada per arrivarci però non è stata facile, tra gli Australian Open saltati per un problema muscolare dopo un buon inizio di swing, al recente ritiro prima di Indian Wells per una condizione ancora precaria.

Polemiche recenti sono nate per motivi di campo, con il ritiro all’ultimo minuto da Indian Wells sul banco degli imputati. Nadal si è ritirato a tabelloni già compilati, e torneo iniziato, dal primo turno contro Milos Raonic. Una scelta particolare che stride con il Netflix Slam giocato a Las Vegas contro Carlos Alcaraz e perso al tie-break del terzo. Certamente un'esibizione, ma in cui Nadal si è mostrato in condizioni fisiche discrete e simili a quelle in Australia prima dell’infortunio muscolare. Tutto legittimo ma come avvenuto nel famoso ritiro di Djokovic in Australia, con Caruso contemporaneamente lucky loser e testa di serie numero uno, un po’ tardivo e controproducente considerata la vicinanza con la sfida di Las Vegas. Sicuramente un segnale ulteriore di come Nadal punterà a dare il massimo sulla terra battuta quest’anno, e sarà molto difficile rivederlo sul cemento.

La notizia che ha fatto più scalpore è però arrivata fuori dal campo, con la notizia dell’accordo a febbraio con l’Arabia Saudita per diventare l’ambasciatore della federazione tennistica dell’Arabia Saudita. Un accordo che porterà le Rafa Nadal Academy nella monarchia del Golfo e soprattutto lo spagnolo a promuoverla in giro per il mondo. Non è potuto accadere già a Doha, saltato per infortunio, ma è previsto che Nadal giocherà la 6 Kings Slam ad ottobre a Riyad con Alcaraz, Sinner, Medvedev, Rune e Djokovic. Una scelta impopolare vista la fama che si è fatta l'Arabia Saudita nei Paesi europei e occidentali, tanto che lo stesso Nadal ha provato a fare retromarcia in maniera un po' goffa.

E se per parola dello stesso Nadal, la proposta economica dell’Arabia non è granché rispetto ad altri ambassador, non c’è neanche da immaginare che il campione spagnolo abbia un bisogno particolare di soldi, anche qui per sua stessa ammissione. Nadal si è detto al corrente delle violazioni dei diritti umani operate dal regime arabo, ma anche fiducioso che «avrò la libertà di poter lavorare con i valori su cui penso di dover lavorare e che sono corretti», riservandosi il diritto di autocritica dovessero essere disattesi e attribuendo la reazione negativa dei tifosi ad un «errore di comunicazione» nella presentazione dell’accordo.

Un campione come Nadal, che più volte nel corso della sua carriera ha sottolineato di incarnare valori che nei fatti non vengono condivisi dall'Arabia Saudita, ha quindi deciso di essere coinvolto in questa cosa. Un campione che ha deciso di imporre a se stesso e di conseguenza agli altri un certo livello di morale, e che quindi ha tutto da perdere. Agli occhi del pubblico, soprattutto spagnolo, non ha aiutato nemmeno la sua posizione sulla discrepanza di guadagni nel tennis tra uomini e donne. Nadal ha infatti detto, sempre nella stessa intervista sull’Arabia Saudita, che per lui uguaglianza non significa «fare regali», e che quindi le donne dovrebbero «guadagnare di più se generano di più». Una visione in realtà coerente con quanto detto nel 2018, in cui aveva paragonato la questione al mondo della moda. «Le modelle guadagnano più dei modelli e nessuno dice niente, perché? Perché hanno un grande seguito. Nel tennis chi è più visto e seguito fa anche più soldi».

È una logica fragile, che non mette in conto la disuguaglianza sistemica a cui è stato sottoposto il tennis femminile per decenni, e che oggi presenta inevitabilmente un conto da pagare anche da un punto di vista dei ricavi finanziari. Ancora oggi c’è una differenza enorme di visibilità concessa alla WTA rispetto all’ATP. Basti pensare all'epoca d'oro del tennis femminile a cavallo degli anni ‘90 - tra l’epopea più recente delle Williams, molte giocatrici fortissime e superstar mondiali come Maria Sharapova - un periodo in cui le tenniste donne erano superstar dentro e fuori dal campo, a cui però non ha corrisposto una parità o superiorità economica rispetto al tennis maschile, anche se consideriamo il periodo immediatamente precedente alla rivalità dei "big three", cioè Federer, Nadal e Djokovic.

Ha fatto rumore che un uomo impeccabile, sempre democristiano nelle sue uscite pubbliche, abbia sbandato così clamorosamente su argomenti del genere. Nadal è sempre sembrato uno che non avrebbe sfigurato sotto Carlo V come un proprietario terriero di provincia, devotamente cattolico e realista e buon padre di famiglia. Queste dichiarazioni, l’affaire Netflix Slam e l’accordo con l’Arabia Saudita sono un segnale di come Nadal sia in difficoltà nel periodo che precede al suo, purtroppo, inevitabile ritiro? Cose personali che teoricamente non sarebbero affari nostri, come ha detto Murray su chi vorrebbe dirgli come gestire il suo finale di carriera, se non fosse che Nadal è uno dei più grandi tennisti della storia e quindi inevitabilmente una figura pubblica.

D'altra parte, nessuno dei big three è stato davvero immune a polemiche di questo tipo nel finale delle proprie carriere. Il campione svizzero si è speso per varie cause tra cui quella ecologista, ma è finito sotto attacco nel 2020 da parte di Greta Thunberg e del gruppo 350 Europe per la sua storica sponsorizzazione con Credit Suisse, rea di aver finanziato con 57 miliardi l’industria dei combustibili fossili. La risposta di Federer è stata un comunicato stringato a Reuters in cui non prendeva davvero posizione. Senza tornare alle polemiche vaccinali dell’era COVID, o alla vicinanza agli ambienti del nazionalismo serbo, non se la passa meglio Djokovic, citato come emblema di attaccamento supremo al suo Paese da tanti nazionalisti, ma residente a Montecarlo.

C’è da chiedersi quanto sentiamo veramente il bisogno di avere campioni immacolati, con dichiarazioni ed emozioni "prestampati", che ci accompagnino per mano nella morale. È un discorso ambiguo e ambivalente. Perché se da una parte è anche questo il fascino di Djokovic, che in molte cose esce fuori dai binari del campione “tipo” attirandosi una fanbase non proprio invidiabile ma che non fa molto per rifiutare, dall'altra anche la "superiorità morale" di cui si sono fregiati per anni i tifosi di Nadal e Federer alla fine è andata in frantumi per via delle polemiche a cui abbiamo accennato.

È forse proprio il fatto che chiediamo sempre più complessità ai nostri campioni a farci rimanere delusi quando questi prendono decisioni che quella complessità non la prendono in considerazione, come per l'appunto quella di Nadal di diventare ambasciatore dell'Arabia Saudita. Chissà, magari se la carriera di Federer fosse durata qualche anno in più anche lui avrebbe potuto fare una scelta simile, ma ormai dopo il ritiro la sua figura è storicizzata e quelle polemiche sembrano nulla più che piccole macchie in una storia molto più grande.

Molto probabilmente lo stesso avverrà anche con Nadal dopo il ritiro, che però non sappiamo ancora esattamente quando avverrà. Solo a quel punto ci appariranno lontane l'ipocrisia nel dire di voler migliorare la situazione dei diritti umani in Arabia Saudita, le dichiarazioni impacciate sull'uguaglianza di genere. La sofferenza nell'affrontare un momento difficile per tutti i tennisti, ma per Nadal un pochino di più.

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