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Simone Conte e Daniele Manusia
Diario Italia: vs Galles
20 giu 2021
20 giu 2021
In attesa della terza partita del girone, una riflessione su come l'Italia di Mancini è arrivata a giocare così.
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Simone Conte e Daniele Manusia
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Ok ok. D’accordo. La stampa italiana e quella internazionale concordano su una cosa: la Turchia e la Svizzera si sono rivelate avversarie troppo deludenti per considerare

l’Italia tra le contendenti al titolo. Sarebbe difficile, d’altra parte, provare a contraddire questo argomento senza quanto meno omettere il fatto che l’Italia ha subito il suo primo tiro in porta – cioè parato – del torneo dopo più di 140 minuti di gioco, nel secondo tempo della seconda partita, quando stava già battendo la Svizzera 2-0. Si potrebbe, al limite, far notare come Turchia e Svizzera abbiano deluso, ma lo abbiano fatto in modo diverso, con approcci diametralmente opposti. La prima ha provato a impostare una partita reattiva, chiudendo gli spazi nell’ultimo terzo di campo e ripartendo in verticale, appoggiandosi sulle spalle larghe di Yilmaz e sull’intelligenza affilata di Yazici. Ma sono finiti a giocare in apnea dentro la propria area, tirati a destra e a sinistra dai giocatori italiani finché il loro tessuto difensivo si è strappato. La seconda, invece, ha provato ad essere maggiormente aggressiva, tenendo palla e pressando, ma è colata a picco nel mare aperto che si è lasciata alle proprie spalle, finendo per correre dietro ai giocatori azzurri, giocando una partita in salita quando si trattava di attaccare e in discesa quando dovevano correre verso la propria porta.

 

Allora possiamo dire che, per carità, Turchia e Svizzera non puntavano a vincerlo neanche prima quest’Europeo, ma magari è stato merito dell’Italia se sono sembrate così poco competitive. L’Italia ha giocato due partite diverse restando praticamente sempre in controllo, senza rischiare niente. E lo ha fatto

, senza sforzo né ansia, divertendosi. Alternando con confidenza registri di gioco che la maggior parte delle squadre nazionali presenti in questo torneo a mala pena distinguono. E quindi, ripeto: ok, ok, d’accordo, l’Italia deve ancora superare il test di una squadra di alto livello, ma francamente tra le squadre viste finora è l’unica davvero padrona del gioco, che sa alzare e abbassare il ritmo e intensità a seconda dei momenti, delle situazioni.

 

Ormai abbiamo visto tutte le squadre giocare almeno due partite e possiamo dire una cosa: nessuna squadra è perfetta. La Francia complessivamente sembra un livello di gioco sopra a tutte le altre (e in alcuni specifici momenti anche un paio di livelli di gioco sopra), ma è andata sotto nel punteggio contro l’Ungheria, prima di riuscire a pareggiare, comunque faticando. Non esiste organizzazione o sistema che ti possa tutelare da giocatori

, ma senza di lui in campo il Belgio sembra un artista ridotto a dipingere con forchetta e coltello. Va aggiunto un asterisco al postulato secondo cui nel calcio senza i campioni non si vince: vero, ma non è neanche detto che vinca sempre la squadra con più campioni in squadra. È un Europeo emotivo, come ha scritto

, in cui anche le piccole pressano e cercano di tenere alta l’intensità, e di conseguenza anche le più grandi faticano a trovare spazi (vedi l’Inghilterra con la Scozia, la Spagna con la Svezia o i primi sessanta minuti del Portogallo con l’Ungheria), ma l’Italia è sembrata l’unica squadra con le istruzioni di gioco aggiornate. L’unica davvero preparata, tranquilla, equilibrata.

 

Adesso però metto le mani avanti. Lo dico il più chiaramente possibile. Secondo me l’Italia non vincerà l’Europeo. O meglio,

non abbiamo prove sufficienti a pensarlo. E non per le critiche o i dubbi che ho letto e ascoltato in questi giorni. «È una squadra orizzontale», si lamentava qualcuno alla fine del primo tempo della partita con al Turchia, salvo poi venire sorpresi dalla verticalità vista con la Svizzera. E chissà se c’è qualcun altro che ha confuso le transizioni, cominciate con una costruzione del portiere che attirava il pressing avversario, con un gioco di «contropiede»,

. No, l’Italia non ha limiti facilmente individuabili, limiti interni al proprio gioco. Persino l’idea che non ci siano campioni è quanto meno irrilevante: quante squadre hanno portieri come Donnarumma, playmaker come Jorginho, gente come Barella e Locatelli e Verratti a giocarsi due posti, un attaccante come Immobile che ha segnato 5 gol ed effettuato 2 assist nelle ultime 6 partite giocate in Nazionale, degli esterni come Insigne e Berardi (che, da solo, in due partite ha causato un autogol, effettuato un assist e creato i presupposti del gol di Immobile con la Turchia)?

 

Il punto, semmai, la differenza con le altri grandi di Euro 2020 è che l’Italia è una squadra che gira bene ad alti volumi, non le basta – almeno in teoria – costruire una o due occasioni a partita, non può lasciare troppo a lungo la palla alle sue avversarie e difendersi ad oltranza nella propria trequarti. Offensivamente non è una squadra precisa, Insigne e Berardi hanno bisogno di osare, di sbagliare anche in modo grottesco (provando, ad esempio, il loro millesimo tiro a giro da fuori area), devono restare almeno in parte egoisti, per essere utili al sistema. L’Italia, in generale, è una squadra che commette parecchi errori tecnici, ma che quasi ogni volta che ha palla crea uno spazio in cui infilare la palla in direzione della porta avversaria, e batti e ribatti… che succede contro una squadra che ci lascia meno palloni, meno occasioni?

 

Anche difensivamente – e questo contro la Svizzera un po’ si è visto – quando salta il pressing e il sistema di riaggressione immediatamente successiva alla perdita del pallone, l’Italia fatica un po’ a coprire tutto il campo in ampiezza (forse per questo nel secondo tempo Mancini ha provato una linea a 5 con Toloi al posto di Berardi) e per subire così pochi tiri c’è voluto comunque uno sforzo individuale non indifferente. Che succede contro una squadra in grado non solo di schiacciarci nella nostra metà campo ma anche di vincere duelli individuali contro i nostri difensori?

 

Non sarà il Galles, probabilmente, a rispondere a queste domande. L’Italia gioca con il pilota automatico e contro squadre che non possono contenderle il possesso palla o quello territoriale difficilmente può perdere. Può sempre capitare che il Galles faccia una grande partita, o che trasformi una o due occasioni e metta la partita in salita; così come può sempre capitare che l’Italia incappi in una brutta partita, in cui non trova il ritmo (ne dubito, visto l’entusiasmo con cui giocano) e sbaglia più del solito, ma in qualsiasi caso ci saranno delle scusanti: non è una partita fondamentale, Mancini avrà fatto riposare molti titolari, eccetera eccetera. In ogni caso, quindi, dovremo resistere nell’incertezza, tenerci il dubbio sul reale valore di questa squadra fino almeno agli ottavi di finale, ma più probabilmente fino ai quarti. Come tutti, dopotutto, perché ogni giudizio definitivo viene costruito a posteriori: per questo non vale la pena curarsene. Per ora resta la certezza di una squadra che, se in forma come nelle prime due partite, deve affrontarne una

tecnicamente e fisicamente per scontrarsi davvero contro i propri limiti.

 

Prima dell’ultima partita del girone, però, permettetemi un po’ di retorica inversa, simile a quella che leggo e sento in giro ogni volta che un difensore (o, peggio, un portiere) sbaglia un passaggio vicino alla propria area di rigore, ma di carica opposta. Ecco, allora vorrei chiedere dove sono, oggi, quelli che dicono che costruire dal basso non serve a niente, quelli che non vogliono sentir parlare di “transizioni”, “spazi di mezzo”? Quelli contrari ad ogni tipo di analisi che vada oltre la ricerca dell’errore che ha portato al gol, del capro espiatorio da sacrificare al dio del calcio? Quelli che confondono la complessità – l’esistenza stessa di princìpi di gioco soggiacenti alle scelte dei calciatori – con l’ideologia tattica, che non sanno che differenza c’è tra provare a capire («a vedere meglio»,

, perché «purtroppo, o per fortuna, non sempre amare il calcio significa capirlo») e sparare giudizi. A loro vorrei chiedere: cosa vedete di questa Italia? Cosa

di come gioca questa Italia?

 

Una cosa è parlare per slogan, per sentenze, il calcio è

, oppure il calcio

, un’altra interessarsi davvero, senza polemiche o altre distrazioni, a una squadra che cerca di proporre un gioco organizzato, con dietro delle idee e un lavoro che ha richiesto anni a Mancini e al suo staff per arrivare a questi risultati. E che si appoggia sul lavoro fatto, a livello di club, da altri allenatori quasi tutti snobbati giudicati con sufficienza: sulla verticalità di De Zerbi, sulla fluidità di squadre come la Fiorentina di Paulo Sousa, la Roma di Fonseca o la Juve di Pirlo, le triangolazioni e la ricerca del terzo uomo di Sarri, l’aggressività di Gasperini e Conte.

 

Ed è grazie a questa nuova tradizione sperimentale che dalla Serie A ha contaminato il gioco della Nazionale se l’Italia ha quanto meno delle chance da giocarsi in questo Europeo. Senza dipendere, come al solito, dalle intuizioni di questo o quel talento che mentre gioca, in sottofondo, può sentire il rumore dei coltelli che la stampa e Twitter stanno affilando per farlo a fette appena si esce. Perché magari non abbiamo energie o risorse per vincerlo questo torneo, ma per divertirci ancora un po’ sì (dobbiamo ancora vedere come funziona con Verratti e Chiesa dal primo minuto, ad esempio).

 

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