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Redazione
Dentro o fuori l'Europa che conta
25 ago 2015
25 ago 2015
Ritorno dei preliminari di Champions League: cosa deve fare la Lazio e i temi tattici delle altre sfide.
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All'andata la Lazio ha deciso di giocarsi le sue carte: Pioli ha mostrato come con alcune accortezze tattiche e la

, i biancocelesti abbiano potuto affrontare l'incontro con piglio più offensivo rispetto a un possibile schieramento fatto di palleggiatori o giocatori più tecnici. Tenere l'intensità alta e pressare gli avversari, accettando di perdere qualcosa dal punto di vista del possesso e degli inserimenti centrali delle mezzali: proprio contro una squadra che punta tutto sul ritmo.

 

Il Bayer infatti ha impiegato 48 secondi per portare il match a una velocità supersonica: in neanche 20 metri l'attacco, il centrocampo e metà difesa si erano concentrati per aggredire la linea laterale, il miglior difensore nella logica di Schmidt.

 


Vedere alla voce gegenpressing.



 

Gli uomini di Pioli sembravano preparati; non hanno accusato il colpo, proponendo invece una ventina di minuti iniziali di ottima qualità. Palla rapida sulle fasce, continue sfide personali tra Candreva-Felipe Anderson vs. Hilbert-Wendell e qualche occasione. Quello è il modello e lo stile di gioco da esportare alla BayArena. In generale il primo tempo è sembrato essere tutto di livello superiore alle "Aspirine" di Leverkusen, capaci di creare difficoltà alla retroguardia biancoceleste solo con palle lunghe (comunque studiate e funzionali per Schmidt) o con l'intensità generata in particolare sul lato di Basta. Se il coreano Son infatti non è riuscito a impensierire mai il serbo, i movimenti di Bellarabi, Kiessling e gli inserimenti di Wendell hanno creato qualche grattacapo in più.

 

Analizzata rapidamente l'andata, "prevediamo" ora le mosse del ritorno. Due domande. La prima: cosa farà il Bayer?

 

Risposta. Nel primo tempo dell'andata la Lazio ha sfruttato maggiormente la catena di sinistra. Schmidt ha notato e posto rimedio nella seconda frazione aggredendo Lulic (al ritorno ci sarà il rientrante Radu), lasciato spesso colpevolmente solo dai compagni. Ha inserito Mehmedi al posto di Son e spostato Çalhanoglu, eclissandolo, sul lato opposto. La musica è cambiata e le occasioni sono fioccate (vedi il gol annullato). Quello sarà il tasto su cui il Bayer continuerà a giocare anche al ritorno, in particolar modo se a dare adeguata copertura non ci sarà Onazi o un centrocampista difensivo (non a caso i guai in quel settore sono sorti dopo la sua sostituzione). Probabilmente gli uomini di Schmidt si presenteranno alla stessa maniera, anche se l'assenza di Son dal primo minuto non mi sorprenderebbe (come contro l'Hannover), date anche le critiche che in Germania aleggiano sulle sue prestazioni e sull'impiego di Mehmedi e Brandt.

 

Cercherà di imporre maggiore intensità, condensati in particolare nei primi venti minuti. L'obiettivo sarà sbloccare la partita e aggredire la retroguardia laziale. Schmidt ha parlato di dover lavorare sulla difesa e sul contrattacco. Può stupire pensando che la partita dovrà farla il Bayer, ma in realtà significa solamente che le "Aspirine" non snatureranno il loro gioco. Il possesso palla rimarrà un accessorio poco utile, grande verticalità e recupero palla possibilmente nella trequarti laziale. Il numero di tiri a fine partita sarà sicuramente molto alto.

 

La buona riuscita di questi sarà legata ad alcune prestazioni individuali, come quella del turco Çalhanoglu, che dovrà dare evidentemente qualcosa in più, come ha fatto nella giornata di campionato appena trascorsa. Il suo ruolo sta parzialmente mutando rispetto all'anno passato. Schmidt sembra infatti tornare in parte a ciò che aveva provato durante il periodo austriaco di Salisburgo. Più volte si è avuta la sensazione di essere davanti ad un 4-4-2 trasformabile in un 4-2-4 con il turco molto vicino a Kiessling, quando non proprio sulla stessa linea. Çalhanoglu non sembra aver ancora digerito quei movimenti e prevedo, in un match così delicato da dentro-fuori, un ritorno al ruolo di playmaker alto che aveva interpretato alla grande nella stagione precedente. Bender stavolta, autore all'andata di una partita di grande spessore, dovrà essere sostenuto dal compagno di centrocampo Kramer, troppe volte poco coinvolto e mai pericoloso negli inserimenti, a differenza del capitano. I movimenti di Bender aprono di conseguenza la parte dedicata alla Lazio.

 

https://youtu.be/81fqakIJiTk?t=34s

Non si possono fare falli sul limite dell'area.



 

Seconda domanda: cosa dovrà fare la Lazio?

 

Risposta. Determinante dovrà essere l'impostazione e la prestazione degli uomini di centrocampo. Con l'assenza pesantissima di Biglia, molto graverà sulle spalle di Parolo. Sarà l'uomo di qualità sulla mediana e con maggiori capacità di palleggio, caratteristiche che sarebbero dovute essere sfruttate dal capitano argentino. Servirà tanta mobilità e un centrocampo sempre alla ricerca della soluzione più semplice. Alcuni ipotizzano un cambio di modulo, date le assenze, con un ritorno alla difesa a tre provata nella stagione passata in finale di Coppa Italia contro la Juventus. Dubito che ciò avvenga, in quanto tale disposizione sarebbe un rischio contro la fase offensiva del Bayer: aumenterebbero di certo le difficoltà nell'uscita del pallone dalla zona di difesa sulla pressione dei tedeschi. L'innesto di Cataldi dal primo minuto, così come è stato nella sostituzione contro il Bologna, è la soluzione più sicura, affiancato dal già citato Parolo e uno tra Lulic e Onazi.

 

La Lazio dovrà studiare ancor di più dell'andata la fase di non possesso. Utile alla lettura del match per Pioli potrebbe essere rivedere il match degli ottavi di Champions dell'anno passato tra l'Atlético Madrid e il Bayer. Simeone optò per bloccare la gara, riproporre un sistema molto simile all'avversario, disinteressarsi della sfera e focalizzare la maggior parte delle attenzioni sulle palle inattive. Quest'ultimo fondamentale è da sempre la chiave favorevole e negativa delle partite del Bayer. Schmidt vi ha riposto fin dal passato grande attenzione e la qualità di Çalhanoglu l'ha esaltato ancor di più. Anche gli avversari hanno visto in questo particolare aspetto un grimaldello per forzare i match contro di loro. È stato così con Simeone e Guardiola, e anche Pioli nella gara d'andata ha preparato qualche soluzione alternativa e pericolosa da calcio d'angolo (come nel primo tempo).

 

Arrivando all'attacco, il tridente, nonostante l'ottima prova in campionato di Kishna, sarà Candreva, Keita, Felipe Anderson. Qualcosa di nuovo loro tre dovranno inventare. Anche con il Bologna Pioli ha chiesto a più riprese a Keita di rimanere nel ruolo di punta, senza svariare eccessivamente sul fronte offensivo. Con il Bayer invece dovrà essere un'altra musica: la mobilità del tridente dovrà essere una costante, le posizioni intercambiabili. Un riferimento centrale dovrà sempre esserci, così da dare una soluzione in più in uscita dalla difesa, ma nessuno dei tre possiede di certo quelle capacità. Dovranno sfruttare quindi uno dei caratteri principali del Bayer, l'enorme mole di falli, data dalla grande aggressività del modulo. All'andata un paio di giocatori tedeschi hanno rischiato il doppio giallo. La presenza di tre attaccanti brevilinei e rapidi lì davanti può favorire il progetto tattico della Lazio. Ai non impeccabili difensori centrali delle "Aspirine" spetterà poi fare il resto. Sicuramente ci sarà Tah, in dubbio Papadopoulos, che ha completamente sbagliato i primi due appuntamenti della stagione. Con l'Hannover ha giocato il giovane Ramalho, autore di una buona prestazione, seppur ancora acerbo, come hanno dimostrato alcuni svarioni su lanci lunghi.

 


La posizione dei 4 dietro nel gol preso contro l'Hoffenheim è da film horror: doppia uscita dei centrali, Hilbert che non pensa ad iniziare quantomeno la diagonale, Wendell che ha un vago ricordo del concetto di fuorigioco.



 

La pressione sarà alta, lo stadio una bolgia. Quando sono i dettagli a fare la differenza, i singoli possono cambiare le carte in tavola. Il più atteso tra i laziali è il nuovo numero 10. Anderson, seppur non in forma smagliante con la Juventus, all'andata e nei pochi minuti con il Bologna, dovrà caricarsi la squadra sulle spalle grazie ai suoi dribbling e alle sue ripartenze. L'intero match girerà attorno a un solo obiettivo, segnare almeno un gol.

 


Le ripartenze. Questa è un'altra chiave che sarà molto utile alla BayArena se il risultato rimarrà bloccato a fine primo tempo. Qui dopo il palo di Bender, il contropiede porta Anderson ad avere 4 opzioni percorribili, scegliendo poi l'imbucata per Klose.



 



 

La sfida che proponeva i valori tecnici più alti tra tutti i preliminari di Champions League si è conclusa con un risultato abbastanza rassicurante per i padroni di casa del Valencia: il Monaco al ritorno dovrà segnare almeno due gol senza subirne per assicurarsi il passaggio alla fase a gironi della massima competizione europea. Il risultato, però, ha nascosto una partita inaspettata e molto difficile per il Valencia: a livello collettivo i monegaschi hanno dato una migliore impressione, commettendo troppi errori individuali, costati carissimo nell’economia dei 90 minuti.

 

A parziale scusante, va detto che la squadra di Jardim arrivava profondamente rimaneggiata alla sfida, con l’assenza di molti dei suoi protagonisti, come Moutinho e Abdennour, infortunati e Kurzawa, in procinto di trasferirsi al PSG (anche se per ora l'offerta dei parigini è stata rifiutata). I tre erano sostituiti rispettivamente da Pasalic, Elderson e Wallace. Anche il Valencia doveva modificare la formazione per esigenze di mercato, con Otamendi (passato al Manchester City) sostituito da Rúben Vezo.

 

Il Monaco, tradizionalmente una squadra dal baricentro basso che punta molto su transizioni offensive veloci, ha cercato di sporcare la costruzione dell’azione del Valencia sin dalla fonte, con Martial e Pasalic che andavano a pressare i due centrali avversari a partire dalla loro trequarti e con Fabinho (adattato a mediano per l’occasione) che invece prendeva in consegna il regista basso, Enzo Pérez. L’obiettivo era quello di mandare il Valencia sugli esterni e alzare il pressing con il resto della squadra, in modo da recuperare il pallone e andare in porta in velocità.

 

La tattica ha fin da subito disturbato la gestione del possesso degli spagnoli, non aiutato nemmeno dalla prestazione non certo eccellente delle due mezzali, de Paul e Parejo. Proprio da una palla persa da quest’ultimo (grazie al pressing di Martial) è nata la più grande occasione del Monaco del primo tempo, con il portiere australiano Ryan che ha miracolosamente deviato sul palo un tiro di Bernardo Silva diretto all’angolo basso alla sua destra. Più in generale, il Monaco ha dimostrato per tutto il primo tempo (e per la prima parte del secondo) un’ottima padronanza del possesso palla, con il Valencia costretto a rincorrere la sfera.

 

Nonostante ciò, il Monaco ha faticato troppo a trasformare il possesso in azioni pericolose. Su questo ha inciso negativamente sia la serata non ispirata di Bernardo Silva sia l’inserimento ancora non perfetto dei due nuovi arrivati Cavaleiro e Pasalic (quest’ultimo, in particolare, avrà fatto sentire molto l’assenza di Moutinho a Jardim). Il peso dell’attacco è quindi ricaduto tutto sulle spalle di Martial, che dal canto suo ha molte volte messo in difficoltà l’intero reparto difensivo del Valencia.

 

https://www.youtube.com/watch?v=n3P2qnoHQwQ

 

Gli spagnoli hanno comunque trovato le armi per fare male all’avversario. Una volta superata (faticosamente) la linea di centrocampo, il Valencia spingeva il proprio reparto offensivo all’interno dell’area monegasca, con le due ali, Feghouli e Rodrigo, che tagliavano centralmente per fare spazio ai cross degli ottimi terzini, Gayà e Barragán. A questo si aggiungevano anche gli inserimenti da dietro delle due mezzali, scarsamente assorbiti dai due mediani del Monaco, Toulalan e Fabinho. Il primo gol del Valencia è arrivato proprio da un cross in area di de Paul, prima intercettato da Feghouli (malamente coperto da Elderson) e poi trasformato da Rodrigo. Anche gli altri due gol valenciani sono venuti attraverso cross in area: il Monaco si è fatto trovare sempre scoperto sul secondo palo, con i due terzini, Raggi ed Elderson, che si accentravano per assorbire gli inserimenti degli interni, lasciando delle voragini alle loro spalle (in particolare, Raggi sembrava spesso tendere naturalmente verso il centro, creando scompensi in difesa).

 

Più in generale, il Valencia ha ottenuto il massimo da una serata non certo brillante sotto il profilo del gioco (3 tiri in porta, 3 gol), in una partita che ha dimostrato alle due squadre quanto sia illusoria la facilità con cui sostituiscono i propri giocatori attraverso il mercato. A parte l’errore di Elderson già citato (qualcuno starà già rimpiangendo Kurzawa), occorre sottolineare anche le sbavature di Wallace e Rúben Vezo sugli altri gol, che non hanno di certo fatto dimenticare le assenze di Abdennour e Otamendi.

 

Anche per questi motivi, il ritorno si presenta come una partita difficilmente prevedibile. Il Valencia parte con l’ovvio vantaggio di poter aspettare il Monaco nella propria metà campo e ripartire, un compito che ha già dimostrato di saper eseguire alla perfezione attraverso la forza esplosiva delle sue ali. La prestazione dell’andata, tuttavia, non deve lasciare tranquillo Nuno Espírito Santo che, dal canto suo, deve ringraziare più i limiti degli avversari che i pregi dei propri giocatori.

 

I monegaschi, invece, devono sperare in una serata di grazia di una delle loro stelle (Bernardo Silva su tutti, ma chissà che non si possa accendere anche El Shaarawy) per riuscire nell’impresa non impossibile di ribaltare il risultato. La riuscita passerà anche dalla capacità di Jardim di trovare soluzioni tecnico-tattiche ai malfunzionamenti dell’andata, dall’esperimento fallito della mediana Fabinho-Toulalan alla prestazione opaca di Cavaleiro. Se la difesa riuscisse a coprire meglio le posizioni e tenere le distanze sarebbe già un passo avanti: ma per segnare due gol non basterà solo un Martial tarantolato. Per il ritorno serviranno uomini e idee già pronte: non è più tempo di esperimenti.

 



 

Nonostante lo squilibrio di hype attorno alle due squadre, il CSKA allo stadio Alvalade ha rifiutato il ruolo di vittima sacrificale. Il 2 a 1 per i portoghesi lascia l’esito finale del doppio confronto aperto, non solo per il margine di punteggio—un gol in trasferta offre sempre discrete premesse—ma anche per i modi in cui questo è maturato. In Portogallo si è giocata una partita equilibrata, che ha mostrato come la squadra russa meriti di giocare la massima competizione continentale quanto quella portoghese. A dispetto di quanto si potrebbe pensare.

 

Jorge Jesus ha schierato contemporaneamente i talenti di Ruiz, Gutiérrez e Carrillo, rinunciando così sia a Mané che a Montero, che potevano provare a risolvere i problemi di profondità mostrati dall’attacco dello Sporting in questa prima parte della stagione. Nel CSKA il ritorno di Doumbia ha provocato un effetto domino nei cinque centrocampisti. Musa, schierato punta centrale prima del rientro dell’ivoriano, è stato messo sulla fascia sinistra, generando l’arretramento di Dzagoev e la rinuncia del regista israeliano Natcho: riportando così tutto al 2014, cioè a prima che Doumbia si trasferisse alla Roma. Il nigeriano Musa si rivelerà l’arma tattica fondamentale della manovra offensiva dei russi e Sluckij un allenatore molto più vivace di quanto previsto.

 


Le immagini sono gentilmente offerte dalla nostra Sluckij Cam®.



 

È forse per una forma di pregiudizio che nella preview dell’andata scrissi che il CSKA avrebbe adottato una difesa bassa. I russi hanno invece da subito hanno provato a sfruttare la maggiore freschezza atletica, imponendo dei ritmi elevati e una linea di pressione alta, che prevedeva l’addensamento di molti uomini nella zona del pallone, soprattutto nella fascia centrale.

 


I tre trequartisti del CSKA nelle prime fasi riuscivano a mantenere una linea di pressione alta, imbottigliando la fascia centrale del campo ed esasperando i problemi di costruzione bassa dei portoghesi.



 

È stato però forse un peccato di hybris, perché proprio da questo atteggiamento aggressivo nasce il vantaggio portoghese. Il gol ha origine da una transizione stupenda, condotta più in ampiezza che in verticalità. Il CSKA rientra lentamente da un fallo in attacco, e quando lo fa prova la riconquista alta sulla fascia sinistra. I portoghesi riescono a uscire dal pressing con un cambio gioco, il CSKA a quel punto è costretto alla risacca sul lato destro: Slimani è di nuovo pressato, ma riesce a far saltare la marcatura con un colpo di tacco. A quel punto il CSKA è ormai spaccato in ampiezza e Gutiérrez e Bryan Ruiz attaccano il lato debole.

 


Uno dei difetti di Slimani nell’economia di squadra—cioè quello di svariare troppo per dialogare con i compagni, privando il sistema della profondità necessaria—si trasforma in un’azione chiave.



 

Il CSKA ha concesso di giocare negli spazi ampi a una squadra che aveva dimostrato di faticare a giocare in quelli stretti, ribaltando un atteggiamento di gara più attendista che sarebbe stato per certi versi più naturale. Il vantaggio ha però cambiato il canovaccio tattico. Il CSKA ha arretrato le linee lasciando il gioco in mano ai portoghesi, lasciandoli cuocere sulla trequarti nei difetti che

. I russi hanno adottato il piano che si pensava potessero scegliere dall’inizio: si sono compattati su due linee basse, ma intense (con Eremenko e Wernbloom molto bravi nel raddoppiare costantemente il portatore), togliendo la profondità a una squadra che già fatica a trovarla.

 


Da una parte le due linee compatte e ravvicinate del CSKA, dall’altra la mancanza di movimenti, in ampiezza o in profondità, di tutti gli offensivi dello Sporting.



 

Più lo Sporting riusciva a fare possesso sulla trequarti offensiva più venivano a galla i suoi problemi di manovra. Quando la palla veniva risucchiata nell’imbuto centrale i russi aumentavano la pressione, provando la riconquista. A quel punto si innescavano delle ripartenze piuttosto dirette, soprattutto sul lato destro della difesa dello Sporting. La scelta di mettere Musa sulla sinistra ha portato i suoi frutti: dai suoi attacchi alle spalle di João Pereira (in enorme difficoltà) sono nati tutti i pericoli. Lo Sporting ha dimostrato di non saper tenere le linee ravvicinate in transizione difensiva, sfilacciandosi a ogni ripartenza e creando un cuscinetto centrale vuoto su cui puntualmente si inserivano i trequartisti russi.

 


Il centrocampo è in evidente ritardo nell’assorbire gli inserimenti da dietro. Particolarmente bravo Tosic ad accentrarsi da destra per andare a occupare il vuoto. Da quest’azione nasce il rigore sbagliato poi da Doumbia.



 

Sempre dall’incapacità dello Sporting di mantenere una linea alta senza scucirsi nasce il pareggio di Doumbia, che sfrutta il fuorigioco sbagliato da Naldo quasi sulla linea del centrocampo.

 

Nel secondo tempo la partita si è adagiata su questo solco tattico. Con i ritmi più bassi il CSKA dava l’impressione di poter gestire ancor meglio lo Sporting, ma lo squilibrio qualitativo tra le due squadre, a un quarto d’ora dalla fine, ha finito per pesare. Proprio mentre le occasioni dei portoghesi si stavano diradando, Slimani e Carrillo trovano un complicatissimo uno-due sul limite dell’area.

 


Carrillo, il migliore in campo dei portoghesi, ha ridotto il pallone alla grandezza di una biglia per farla passare in quello spazio.



 

Jorge Jesus sembra voler imprimere un’identità offensiva forte alla propria squadra, senza scendere a compromessi. Lo Sporting ha però, a questo punto della stagione, dimostrato di faticare ancora ad assorbire il calcio richiesto dal tecnico (si è visto ancora poco della famosa “

” dei tempi del Benfica), e questo potrebbe diventare un problema in un doppio confronto che richiede una certa flessibilità negli atteggiamenti di gioco. Il CSKA sembra una squadra più fluida e rodata, con tutti i mezzi per mettere nuovamente in difficoltà i portoghesi, ribaltando così un pronostico che inizialmente sembrava più chiuso. Il 2 a 1 non costringe i russi a essere precipitosi in attacco, e potrebbe portarli a riprendere il proprio piano di gioco lì da dove lo avevano lasciato. Il pronostico appare insomma del tutto aperto, e dipenderà di nuovo molto da quante giocate individuali i maghi offensivi dello Sporting riusciranno a inventarsi.

 



 

Altro giro, altro van Gaal. Lo stesso allenatore che solo un anno fa, con la stessa squadra, aveva lanciato nella mischia tantissimi ragazzi del vivaio e sperimentato qualunque modulo possibile, quest’anno ha iniziato in totale controtendenza: con un modulo unico e un undici fisso, dal sapore molto anni ’70. La formazione titolare dello United si potrebbe quasi citare a memoria, con l’unica eccezione dell’alternanza Carrick-Schweinsteiger, in attesa che il tedesco sia in piena forma.

 

L’apparente sterilità offensiva (due gol in tre partite di Premier League) è in qualche modo collegata all’asimmetria della formazione. Non negli schemi, né nelle spaziature—sia Mata che Depay giocano indicativamente lo stesso numero di palloni, nella stessa posizione molto accentrata—ma nelle caratteristiche. Mata realizza in media il doppio dei passaggi dell’olandese, che a sua volta lo raddoppia per dribbling e conclusioni in porta (e ha deciso l’andata). Questa differenza comporta un problema soprattutto per Rooney, che deve muoversi diversamente a seconda del lato su cui si sviluppa l’azione, ma alla lunga potrebbe dare all’attacco quell’imprevedibilità che al momento manca.

 

E soprattutto c’è un problema con Rooney, non tanto per il suo stato di forma, ma perché non si capisce che tipo di attaccante potrebbe trovarsi a suo agio in questo sistema. Non può agire da falso centravanti, perché lo spazio in mezzo alle linee è già intasato dal moto perpetuo di Mata, Januzaj e Depay, né dare la profondità, visto che cross dal fondo non ne arrivano mai. Si può solo limitare a muoversi continuamente creando spazio per gli altri e consentendo uno-due rapidi, ma è un lavoro estenuante oltre che irrispettoso del suo talento. Eppure, come al solito, sta eseguendo lo spartito.

 


I movimenti cui è costretto Rooney, dal momento che i palloni arrivano solo dall’area centrale. Muoversi verso la palla e liberare l’area per gli inserimenti. Si noti anche come a inizio secondo tempo il Brugge ha già abbassato il baricentro soffrendo la circolazione dello United.



 

In compenso Romero è ancora imbattuto dopo tre gare di campionato. Merito del controllo che lo United esercita sulla partita, e della sicurezza di Blind e Smalling, un fattore chiave anche nella partita d’andata: nel primo tempo solo con le avanzate palla al piede dei due centrali è stato possibile ricreare la superiorità in mezzo al campo. Perché Preud’homme ci ha provato, nonostante l’Old Trafford, e a tratti ha vinto la scommessa—il gol del vantaggio è certamente fortuito, ma il fallo precedente la punizione segue una palla recuperata dopo aver costretto Smalling al lancio lungo.

 

Il Brugge ha provato la sua tipica aggressione a tutto campo, schierandosi in fase di non possesso con un ambizioso 4-1-1-4, con la squadra spezzata in due blocchi e Vázquez avanzato sulla linea degli attaccanti per la parità numerica sui difensori dello United. Il problema subentrava una volta superata la prima linea di pressing, che lasciava il povero Timmy Simons, 38 anni, bullizzato dai continui movimenti di Januzaj e costretto poi a uscire per problemi muscolari.


Questo è invece l’efficacissimo pressing 1-4 del Brugge a inizio partita, in parità numerica sui difensori. Nell’occasione Smalling ha appena sbagliato il rilancio e piega sconsolato la testa bassa. A breve i belgi passeranno in vantaggio.



 

Alla lunga però, sia perché agosto, sia perché lo United ha lentamente conquistato il centrocampo, il Brugge non ha retto. Nel secondo tempo è emersa tutta la differenza tra le squadre, molto prima dell’espulsione di Mechele. Non che il Brugge si sia mai allungato, ma si è abbassato tantissimo, trovandosi con le ali Bolingoli e Dierckx a contenere i movimenti di Mata e Depay. È un approccio a cui non è abituato e che è stato forzato dalla grande sicurezza del palleggio dello United, con Schweinsteiger appena entrato e subito padrone del centrocampo.

 

Le possibilità di assistere a una gara di ritorno quantomeno combattuta si poggiano su questo terreno di scontro: da una parte l’aggressività dei belgi, che ci riproveranno, dall’altra la facilità del gioco posizionale dello United di trovare linee di passaggio. E quando il campo inevitabilmente si allungherà, Preud’homme dovrà lanciare in campo il diciannovenne Oulare, che anche solo per i venti centimetri di altezza che lo separano da Diaby ha molte più possibilità di fare reparto da solo rispetto al rapido attaccante maliano.

 

Il Brugge proverà, come all’andata, anche a sfruttare lo stesso apparente punto debole su cui ha insistito il Newcastle sabato in Premier League: sovraccaricare il lato di Shaw e attaccarlo con rapidi cambi di gioco. Non a caso Preud’homme aveva schierato un’ala pura a destra e un terzino avanzato a sinistra, per sfruttare le incertezze dell’inglese e limitarne contemporaneamente il potenziale offensivo. Il che dimostra anche un rispetto che Darmian si è già guadagnato (al netto della minore pericolosità, che lo ha portato sabato alla sostituzione per Valencia nel finale col risultato bloccato sullo 0-0). Una delle tante certezze con cui lo United si avvicina alla qualificazione ai gironi di Champions.

 
 

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