
Ronaldinho impomatato, con occhiali da sole fumé a montatura larga e un gessato degno di un film di Scorsese, apre la busta e fa una faccia stupita per un secondo appena. Alza lo sguardo, verso qualcuno in platea. Lo split-screen ci mostra a sinistra Lamine Yamal, con l’aria stanca di un bambino che ha chiesto già da mezz’ora ai genitori di portarlo a letto; a destra Ousmane Dembélé che non riesce a trattenere un sorriso anticipatorio. Si lecca le labbra come se avesse visto il cameriere col suo ordine in mano e gli occhi sembrano in procinto di uscirgli dalle orbite. Ronaldinho deve dire una sola parola: Dembélé, non serve neanche dire il nome.
In fin dei conti, lo sapevano tutti già da prima che avrebbe vinto lui, anche se Marca nelle ore precedenti aveva provato a fare un po' di terrorismo, anche se non tutti sembravano proprio convinti. Dembélé era stato annunciato implicitamente da mesi di campagna pubblicitaria del Paris Saint Germain ma questo non cambia molto le cose, il punto della cerimonia del Pallone D’Oro non è nella sorpresa. Ci può stare un po’ di suspance, la delusione di qualcuno, tutto fa spettacolo ma insomma nessuno al mondo - tranne Franck Ribery, che anche ieri ha twittato il proprio rosicamento per il mancato Pallone d’Oro del 2013 - pensa che l’effettiva assegnazione certifichi o avvalori sul serio lo status di qualche giocatore. È molto più vicina alla realtà dei fatti la noia di Lamine Yamal, la sua partecipazione puramente simbolica.
E non fatevi ingannare dall’ipocrita snobismo del Real Madrid e di Vinicius Jr. È lo stesso discorso che faceva Al Khelaifi, presidente del PSG, qualche tempo fa quando ancora non era certo che vincesse Dembélé: «Se non lo vince lui c’è un problema». Se invece lo vince lui, tutto apposto. Funziona così. Se lo vinco io il premio ha senso, ma se non lo vinco allora è truccato.
Il Pallone d’Oro è una questione di potere. E mai come ieri è stato evidente. Dembélé ha preso il microfono, era emozionato. Un giocatore che fa fatica a dire se è destro o mancino, figuriamoci come si sente a dover leggere un discorso davanti a tutte quelle persone. Dopo aver salutato Ronaldinho e aver sciolto il ghiaccio è passato alle cose serie. «Ringrazio anzitutto il Paris Saint Germain, che è venuto a prendermi nel 2023, cioè il suo presidente». La platea fa partire un’ovazione e le telecamere inquadrano il profilo vagante aquilino di Nasser Al Khelaifi, mentre annuisce vistosamente e sbatte le palpebre lentamente, per assaporare il momento. Sì, d’accordo, il Pallone d’Oro è un premio al giocatore in teoria migliore della stagione, ma è soprattutto un premio al PSG - in sostanza al suo potere.
«Il presidente», dice Ousmane, «è come un papà per me». Luis Enrique, anche, un altro «papà». E poi ringrazia i suoi compagni di squadra, dice che «questo premio individuale è il collettivo che l’ha vinto». Dei suoi compagni di squadra sono lì presenti Joao Neves, Désiré Doué e l’ormai ex Gigio Donnarumma. Neves e Doué, come Dembélé, sono infortunati, per questo hanno potuto presenziare alla cerimonia. O meglio, sono gli altri compagni di squadra che non hanno potuto per un altro impegno. Una partita di campionato.
Olympique Marsiglia-PSG si doveva giocare domenica sera, ma un allerta meteo ha spinto le autorità a rinviare il match al giorno dopo (la stessa allerta meteo che, a 65 chilometri da Marsiglia, ha costretto la partita di rugby tra Toulone e la Rochelle ad essere sospesa). Non sarà “un classico”, come ha sostenuto Roberto De Zerbi in virtù della sproporzione tra le vittorie del PSG e quelle dell’OM, ma resta pur sempre la partita più affascinante e di valore di tutta la Ligue 1. Per evitare la sovrapposizione con la cerimonia del Pallone d’Oro, il campionato francese ha provato a spostare la partita a martedì ma l’OM si è rifiutato. Insomma, cosa è più importante, un premio individuale o una partita che dovrebbe mobilitare decine di migliaia di persone allo stadio?
Crazy scenes in Paris 🤩 Fireworks when Ousmane Dembélé leaves the Théâtre du Châtelet pic.twitter.com/OVondRZBHW
— Ballon d'Or (@ballondor) September 22, 2025
Mentre Dembélé li ringraziava, i suoi compagni di squadra a Marsiglia hanno perso 1-0. Ha segnato Aguerd di testa, dopo un’uscita a vuoto di Chevalier, e l’OM ha avuto più occasioni per segnare il secondo. Gouiri ha preso una traversa, Emerson-Palmieri ha segnato da pochi passi al termine di una lunga azione ma gli è stato annullato per un fuorigioco precedente. Il PSG ha avuto qualche occasione, Rulli ha fatto un paio di belle parate - un mezzo miracolo su un tiro da fuori di Hakimi - e alla fine l’OM ne è uscito vincitore.
E così, mentre i tifosi del Marsiglia esibivano una coreografia trionfale, a Parigi c’erano i fuochi d’artificio per Ousmane Dembélé. Le due cose, apparentemente non sono in contraddizione tra loro. Anzi, sono completamente svincolate l’una dall’altra. Il Marsiglia non batteva il Paris Saint-Germain al Velodrome, in campionato, da 14 anni. Allo stadio c’erano quasi 67mila persone.
De Zerbi si è fatto espellere nei minuti finali. L’arbitro lo ha ammonito, lui ha continuato a ringhiare e l’arbitro lo ha espulso. A fine partita, con quella di solito sembra retorica tardo-adolescenziale, da matto del paese, De Zerbi ha detto di essere venuto a Marsiglia per il Velodrome, ma anche per battere il PSG. «Era uno dei miei sogni, perché il Paris Saint-Germain equivale al potere, equivale alla squadra che vince da anni senza quasi la possibilità che le altre squadre possano competere contro di loro. E questa cosa qua è una cosa che non accetto».
Queste parole, ieri sera, con il presidente del PSG e tre dei giocatori più importanti lontani dal resto della squadra, anche se infortunati, avevano un senso particolare. «Il cuore del mestiere del calciatore dovrebbe essere giocare le partite», ha detto Pablo Longoria, il presidente dell’OM, quasi scusandosi per il fatto che il maltempo abbia sovrapposto i due eventi, dicendo di capire «la frustrazione».
C’è qualcosa che, invece, non dovremmo capire. Come è possibile che per la squadra più importante di Francia, la partita più importante del calcio francese, quella che il pubblico francese aspetta con più interesse, conti meno di una sfilata su un tappeto rosso e un discorso scritto con Chat GPT lungo trenta secondi?
Se non si giocassero partite come quella di ieri, se non ci fossero più OM-PSG, anche solo per la possibilità che una volta ogni 14 anni vinca la squadra più debole, chi lo vincerebbe il Pallone d’Oro?