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Marco Magini
Come l'Inghilterra vede sé stessa
24 set 2023
24 set 2023
"Dear England" mette in scena i significati della Nazionale di Southgate per l'Inghilterra.
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Marco Magini
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Foto di David Kieran / Shutterstock
(foto) Foto di David Kieran / Shutterstock
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“Cosa significa essere inglese? Cosa significa giocare per l’Inghilterra?”Sono le domande che Gareth Southgate, interpretato da Joseph Fiennes nello spettacolo Dear England in scena al National Theatre di Londra fino a Gennaio, chiede ai suoi giocatori e indirettamente al pubblico seduto in sala. Non è la prima volta che gli sceneggiatori inglesi usano il calcio come mezzo per parlare di problemi sociali - basta ricordare le ragazze di Sognando Beckham - ma lo spettacolo di James Graham è particolarmente ambizioso: non solo vuole fare la fotografia di una nazione ma si domanda se lo sport - in questo caso il calcio - possa cambiarne il cuore. Graham ha già esplorato questa strada: il suo precedente testo, Ink, analizza gli anni ‘70 inglesi attraverso la storia dell’impatto sui media dell’arrivo di Rupert Murdoch.Southgate arriva sulla panchina della nazionale inglese per caso. L’allora allenatore dell’Under 21 viene chiamato all’improvviso per sostituire Sam Allardyce, dimesso a poco più di due mesi dall'incarico sotto il peso di accuse di corruzione. L’Inghilterra viene dall'eliminazione dell’Europeo per mano dell’Islanda, uno dei punti più bassi della storia del calcio inglese, e tutti si aspettano che Southgate rimanga fino all’arrivo di un allenatore più titolato. Contro ogni aspettativa viene invece confermato dopo la brillante qualificazione ai Mondiali del 2018.Lo spettacolo si apre con il rigore sbagliato da Southgate, allora giocatore, che costa l'eliminazione dell’Inghilterra dall’Europeo del 1996 per mano della Germania. Non è la prima né l'ultima eliminazione inglese dal dischetto, ma il culmine (l’Europeo giocato in casa!) di un trauma sportivo decennale causato alla Nazionale dai calci di rigore. Per entrare nella testa dei suoi giocatori, Southgate assume Pippa Grange, psicologa che attraverso percorsi individuali si focalizza su «quel 15% di rendimento che viene influenzato dalla paura di decidere». Fin dal primo incontro il suo messaggio è chiaro. La paura non è solo negativa: è il mezzo che spinge l’atleta a fare meglio, ma solo a patto che non lo paralizzi nei momenti chiave.Pippa diventa il mezzo attraverso il quale Southgate cerca di capire i calciatori al di là della figura che hanno costruito per il pubblico. In un mondo di soliloqui online, chiede loro di scrivere un diario. Fino ad allora lo spettacolo è stata una carrellata della vita pubblica inglese degli ultimi anni: dall’avvicendarsi degli allenatori a quello dei primi ministri. Con il racconto delle vite individuali dei calciatori irrompe nello spettacolo la Storia come esperienza personale. https://twitter.com/DearEnglandPlay/status/1706027002631684097 Chi sono davvero i giocatori che giocano in Nazionale? Sono il ritratto di una nazione? Lo spettacolo fa credere di sì. C'è Dier, figlio di una famiglia borghese, e c’è Dele Alli, di origine caraibica e cresciuto da una madre sola. Un giorno Southgate porta una bandiera inglese e chiede a loro cosa significhi giocare per l’Inghilterra. Davanti alla croce di San Giorgio le fratture che tagliano la società inglese diventano più evidenti anche all’interno della squadra. Fatture di classe ma anche fatture di razza e di eredità culturale. Cosa significa essere inglese per chi non è bianco?Cosa significa essere inglese per chi ha le proprie radici nelle ex colonie?Quella bandiera rappresenta un’identità chiusa e immutabile, che mal rappresenta la realtà di quel gruppo di ventenni e davanti alla quale si ribellano. E da questa presa di coscienza, e in seguito a un episodio di razzismo nei confronti di Sterling durante una partita giocata a Budapest, che la squadra decide di adottare uno dei simboli della campagna contro il razzismo, l’inchino già in uso nello sport americano.È la prima presa di posizione pubblica, un evento che delimita un prima e un dopo nella loro percezione pubblica della squadra.La Nazionale diventa d’improvviso icona di una parte della società giovane, aperta e multiculturale. L’inchino spacca il paese, abituato a calciatori lontani della politica e capaci solo di dichiarazioni di circostanza. La Nazionale inglese ha in passato attirato soprattutto un nazionalismo a volte apertamente razzista e sembra incredibile vederla di colpo diventare una paladina dei diritti. Il coro dei commenti online diventa d'improvviso più aggressivo, sullo sfondo di una società spaccata, come dimostrato dal referendum sulla Brexit del 2016. Southgate e la sua ricerca di un'identità inglese che sia solidale verso tutte le diverse esperienze che la compongono, appare in aperto contrasto con lo spirito del tempo.Benedict Anderson ha definito tutte le nazioni come "comunità immaginarie” che si nutrono di simboli e narrazioni, tra le quali la nazionale di calcio entra a pieno titolo. In questo senso diventa difficile immaginare la Nazionale inglese come un mezzo di affrancamento degli oppressi. È vero che il calcio offre ormai uno dei pochi sogni di scalata sociale meritocratica della società, ma se questo è vero a livello individuale, vale anche a livello collettivo? Esiste un mondo dove il calcio diventa un mezzo di cambiamento sociale? Ma soprattutto esiste davvero uno spazio per un'identità nazionale che vada al di là di un confine netto tra “noi” e “loro”? L'esperimento di Southgate raccontato in Dear England è inevitabilmente destinato a fallire?Le partite decisive delle nazionali all’interno dei grandi eventi internazionali, siano Europei o Mondiali, diventano parte della storia del paese. Milioni di appassionati ricordano dov'erano quando Baggio ha sbagliato il rigore nel caldo di Pasadena, mescolando memoria collettiva a vita individuale. Nel caso inglese, la percezione di grandeur del calcio e di una nazionale obbligata a vincere (esemplificata dall’onnipresente Football is coming home, colonna sonora dell’Europeo del ‘96 e adottato dai tifosi inglesi come inno, promessa di gloria futura) riflette la visione di una parte del paese che sceglie la via della Brexit come sogno di un ritorno alla passata gloria imperiale.In questo senso la storia di Southgate è una tragedia greca dove il padre cerca di redimere il proprio passato (il rigore del ‘96) attraverso i “giocatori-figli”, finendo però per ripeterlo attraverso sconfitte sempre uguali, non fosse altro nella forma. Sono Sancho, Rashford e Saka, rappresentanti perfetti di quell’idea di Inghilterra giovane e multietnica, a sbagliare i rigori della finale di Wembley contro l’Italia, scatenando la prevedibile onda d’odio e di razzismo. Nel mondiale del 2022 è invece il turno di Keane, capitano e simbolo di quella middle-England all’apparenza conservatrice ma capace di aprirsi al cambiamento. Giocatori che rappresentano all’apparenza “Inghilterre diverse” ma legati dallo stesso destino. Il rigore, gesto individuale per eccellenza all’interno di uno sport di squadra, diventa la metafora perfetta dei fallimenti del paese. Non importa chi si presenta sul dischetto, quando si tratta della nazionale dei tre leoni il fato sarà pronto a punirlo. Dear England prende il titolo da una letterascritta dai Southgate ai tifosi alla vigilia del Europeo del 2020, posticipato al 2021 a causa della pandemia. La lettera cerca di creare un senso di fine collettivo alla luce di un periodo incerto e difficile come quello del covid. Se per decenni la domanda è stata "perché non vinciamo?” Dear england si chiede soprattutto come una nazione possa imparare ad accettare e a condividere la sconfitta, creando un senso di volontà comune che vada al di là del risultato.Nell’ultimo periodo, proprio mentre è in scena a Londra, la realtà pare scontrarsi con parte della storia raccontata da Graham. Poche settimane fa Southgate stesso ha indicato un cambio di rotta precisando che è interessato a occuparsi solo di calcio. Il capitano Jordan Henderson è passato in pochi mesi dalla protesta per i diritti LGBT+ in Qatar ad accettare un contratto milionario nel campionato Saudita, rinunciando di fatto alla nazionale. La Premier League stessa viene ormai da decenni finanziata con soldi provenienti da paesi con curriculum controversi quando si tratta di diritti umani. Dear England ci chiede quanto il calcio possa davvero cambiare la visione che un paese ha di se stesso e di conseguenza la società della quale la nazionale fa parte. È come se ci aspettassimo che nella sua eccezionalità l’atleta sia qualcosa di distinto dal resto della società, mentre in realtà non è altro che il suo risultato. Il vero lieto fine di questa storia avverrà a Wembley, ma avrà protagoniste inaspettate. La maledizione della nazionale inglese viene spezzata dalle Leonesse, la squadra di calcio femminile che è riuscita a vincere l’Europeo del 2020.

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