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Dani Olmo e l'arte perduta del dribbling
16 gen 2020
16 gen 2020
Il talento della Dinamo Zagabria è difficilissimo da marcare.
(articolo)
13 min
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A osservare Dani Olmo lontano dal pallone non si direbbe di essere davanti a uno dei calciatori più eccitanti del panorama europeo. Il suo fisico non è quello tipico dei talenti del 2020: non è slanciato come Joao Felix, non ha la potenza di Mbappé e neanche i quadricipiti da culturista di Vinicius Jr. È piuttosto esile, alto meno di un metro e ottanta, con le gambe sottili e le spalle strette e leggermente ingobbite. Forse per questo il corrispondente di Repubblica, nel pezzo scritto all'indomani della lezione di calcio tenuta contro l'Atalanta, lo ha descritto come più simile a «un ragazzo reduce da una partita serale di calcetto con gli amici» che non a uno dei protagonisti della prima giornata di Champions League.

Dani Olmic

Olmo compensa i pochi muscoli col peso ciclopico della sua intuitività, della sua intelligenza e della sua tecnica. Prima che per le sue doti palla al piede, Olmo cattura l'attenzione per il suo percorso peculiare: uno spagnolo, catalano di Terrassa, al servizio della squadra più famosa di Croazia.

Cresciuto nella cantera del Barcellona, nella stessa nidiata di Aleñà e Cucurella, Olmo si trasferisce nei Balcani nel 2014, poco più che sedicenne. «Mi prendevano per pazzo. Mi hanno massacrato, affermavano che avrei rovinato la carriera di mio figlio. […] Oggi dicono che siamo stati coraggiosi e abbiamo preso la decisione migliore» racconta suo padre Miguel.

Nella parte introduttiva Olmo elogia Zagabria parlando croato.

Olmo Sr ha giocato un ruolo fondamentale nella scelta del figlio. Ex allenatore del Girona e di squadre sparse in tutta la Catalogna, con un'esperienza nel Manama Club in Bahrein, grazie alla dimestichezza col mondo del calcio ha aiutato Dani a individuare il percorso da battere per affermarsi ad alti livelli. Di famiglia benestante, Olmo non aveva la necessità di soddisfare particolari bisogni economici, perciò ha potuto modulare la sua crescita sulle esigenze di campo.

Il Barcellona negli ultimi anni non ha riposto molta fiducia nei ragazzi de La Masia. I trasferimenti di Kubo al Real Madrid e Xavi Simons al PSG sono l'epitome dello scarso interesse verso i prodotti delle giovanili (almeno prima dell'esplosione di Ansu Fati). Nel 2014 neanche Olmo riusciva a immaginare prospettive rosee in blaugrana. A sedici anni l'offerta per il suo primo contratto da professionista non migliora di molti la retribuzione precedente; soprattutto, non percepisce fiducia nelle sue qualità. Arrivano tre offerte dalla Premier League, ma il corteggiamento decisivo è quello dell'agente croato Andy Bara. «In Inghilterra avrebbero sistemato economicamente la famiglia, però non avevamo questa necessità e la decisione doveva prenderla Dani», racconta il padre «La Dinamo gli ha proposto un progetto che poi effettivamente si è realizzato».

Il piano di sviluppo dei croati lo aveva rivelato Olmo stesso un paio d'anni fa: «Mi dissero che alla prima stagione avrei fatto parte della squadra B, un periodo di adattamento per poi entrare stabilmente in prima squadra a diciassette anni. Non è stata una scelta facile, non è semplice lasciare il club migliore al mondo».

Olmo si è ambientato bene e abbastanza velocemente. Ha imparato l'inglese e in un secondo momento anche il croato. Ha esordito in campionato una settimana dopo aver compiuto diciotto anni, all'ultima giornata del 2015/16. Nel girone di ritorno della stagione successiva è entrato stabilmente nelle rotazioni della prima squadra, disputando il finale di campionato da titolare. Dal 2017/18 ha preso in mano le redini della squadra, mettendo in mostra una netta superiorità sul resto della HNL: è stato eletto per ben due volte miglior giocatore del torneo, prima dai capitani e dagli allenatori delle squadra, poi dai dirigenti della stessa lega croata.

Lo spagnolo è l'uomo franchigia della Dinamo Zagabria. Si dice affascinato dalla città, i tifosi lo hanno adottato e rinominato affettuosamente “Dani Olmic”. La società se lo coccola, chiede quaranta milioni per il suo cartellino e il presidente Mirko Barisik addirittura lo ritiene «superiore a Boban e Prosinecki alla sua età». È difficile brillare in un campionato di basso profilo come quello croato. L'ex Barça un paio di anni fa si è lamentato di ricevere più attenzioni da Germania, Inghilterra e Italia che non dalla Spagna. In effetti le nazionali giovanili iberiche per un certo periodo lo hanno ignorato e si è presentato all'Europeo in Italia con appena quattro presenze in Under-21. Tanto gli è bastato per esplodere e dimostrarsi all'altezza di talenti fenomenali come Ceballos e Fabian. Oggi Olmo prosegue il suo percorso nell'Under-21 spagnola di cui è capitano. Non potrebbe essere altrimenti, visto che si parla di un giocatore con esperienza in Champions e nelle fasi eliminatorie dell'Europa League.

Il dribbling di Dani Olmo

Se l'Europeo Under-21 era stato una vetrina importante, Olmo si è preso definitivamente il palcoscenico dopo la prima partita di Champions League contro l'Atalanta. Novanta minuti di dominio tecnico imbarazzante, conditi da dieci dribbling completati su quattordici: numeri che normalmente sarebbe assurdo associare a un giocatore diverso da Messi o Neymar.

Un dato indicativo del talento di Olmo e del modo in cui condiziona ogni giocata della Dinamo Zagabria. È sempre più raro, specie tra i giocatori nati nella seconda metà dei '90, trovare dribblatori che saltano l'uomo quasi esclusivamente grazie alla tecnica. Sancho, Mbappé, Vinicius, Dembelé hanno tutti doti atletiche straordinarie. Olmo, come detto, a vederlo da lontano non sembra neanche un calciatore professionista. È abbastanza veloce nei primi passi ma nelle conduzioni non stacca mai del tutto l'avversario, per questo in campo lungo spesso rallenta per raffreddare la transizione e non farsi rosicchiare troppi metri da chi difende. Olmo esegue i suoi dribbling e vince i duelli individuali per via della straordinaria sensiblità del tocco palla, con un'intuitività che sembra appartenere davvero più alla tradizione balcanica che a quella spagnola.

Usa quasi sempre il destro e, nonostante non sia troppo veloce di gambe, grazie alla tecnica riesce a toccare il pallone e a cambiarne la direzione con frequenze alte. Purtroppo il poco atletismo lo svantaggia negli uno contro uno frontali. Quando ritorna il difensore Olmo non può accorciare la distanza per imporre il contesto dell'isolamento: se l'avversario lo accompagna verso il fondo rischia di non saltarlo mai, visto il gap di velocità non troppo considerevole. Allora lui cerca di essere meno diretto. Cambia la frequenza della conduzione, stringe e dilata la distanza con chi ha davanti. Nel frattempo muove il bacino e le gambe, fintando di toccare il pallone e cambiare direzione, con l'intento di sbilanciare l'avversario, fargli battezzare un lato e saltarlo su quello opposto. Olmo non mangia gli avversari bruciandoli sullo scatto, gestisce l'uno contro uno tocco dopo tocco.

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Se l'attacco frontale è l'occasione più ortodossa in cui saltare l'uomo, la vera peculiarità del repertorio di Olmo sono i dribbling in situazioni d'emergenza, magari con più uomini intorno e girato spalle alla porta, oppure con avversari che gli si fanno sotto come dei tir in corsa. Sono momenti della partita in cui il catalano sprigiona tutto il suo intuito per l'arte dell'aggiramento, con soluzioni che lasciano a bocca aperta. Prendiamo come esempio quest'azione tratta dalla finale dell'Europeo Under-21.

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All'11' del primo tempo Oyarzabal si allarga sulla destra e riceve, mentre Olmo stringe nel mezzo spazio. L'attaccante della Real Sociedad scarica sul compagno. Olmo accompagna il pallone verso l'interno con una mezza piroetta di destro. Alle sue spalle c'è una coppia di giocatori tedeschi, ma dopo il controllo altri due centrocampisti stringono su di lui. A questo punto si ritrova circondato; la telecamera improvvisamente stacca in alto e il frame è la fotocopia in carne ed ossa di Oliver Hutton circondato dai calciatori della Mambo. Non c'è tempo per ragionare, allora Olmo prima di scoprire totalmente il pallone chiude la caviglia destra e lo riporta verso l'esterno. È il tocco preparatorio per il dribbling: cambiata direzione in una finestra di tempo impercettibile lo tocca un'altra volta in allungo con l'interno, stavolta verso il fondo. I tedeschi restano sulle gambe, Olmo esce dalla gabbia di slancio e guadagna il fondo. Virare improvvisamente verso la porta era l'unico modo per saltare i difensori. Olmo quando riceve è girato, non può sapere che esiste quello spazio ma lo intuisce: la percentuale di riuscita è bassissima (la palla probabilmente passa tra le gambe di Amiri), ma è comunque l'unica soluzione possibile.

Insomma, il talento di Olmo risponde con originalità alle sollecitazioni avversarie: se ha difficoltà ad affrontare difensori attendisti, grazie a tecnica e furbizia diventa letale contro giocatori che lo aggrediscono invece di indietreggiare. La combinazione di istinto e tecnica nel dribbling è troppo difficile da affrontare a viso aperto. Tunnel, croquetas, sombreri, sono tutte giocate a elevatissimo coefficiente di difficoltà che rientrano nel suo repertorio e che diventano il rimedio naturale contro avversari troppo frenetici. L'elusione è parte integrante del suo calcio, alla peggio si tramuta in furbizia se il difendente è in posizione di forza e gli chiude tutte le vie d'uscita. Olmo è bravissimo a subire falli, sull'intervento avversario sposta il pallone anche quando sa di non poter dribblare per cercare il contatto e prendersi la punizione. Lo fa anche con gli spioventi. Se la palla arriva dall'alto e non vede soluzioni non la mette a terra, ma col controllo la tiene in aria, per costringere l'avversario al gioco pericoloso o al fallo di mano.

Dani Olmo spalle alla porta

Se si scompone il dribbling contro la Germania si possono apprezzare le sfumature più intriganti della tecnica e delle movenze di Olmo: la velocità di rotazione, la morbidezza del tocco, che regola la distanza del pallone sempre in previsione del gesto successivo e l'elasticità della caviglia. Tutti aspetti utili non solo nel dribbling improvviso ma anche nelle fasi più ragionate del suo calcio.

Nato come ala destra nel Barcellona, in Croazia ha agito soprattutto da trequartista, da mezzala e da ala sinistra con licenza di occupare il mezzo spazio: da giocatore di fascia a protagonista nei corridoi intermedi del campo. Al centro può crescere la sua influenza sulla partita, ma bisogna adattarsi a ritagli di tempo esigui, spazi più congestionati e ricezioni più scomode. Olmo, specie da interno sinistro del 3-5-2, ha libertà di muoversi su diverse altezze. Il giro palla della Dinamo non è troppo codificato e si appoggia spesso sugli esterni o sul gioco spalle alla porta di Petkovic.

Se il possesso non riesce ad arrivare sulla trequarti allora il numero sette si abbassa per prendere il pallone direttamente dai centrocampisti o dai difensori. Quando i suoi movimenti attirano fuori posizione un avversario, Olmo gestisce il gioco di spalle in modo da mandare fuori equilibrio chi lo segue e voltarsi fronte alla porta. Anche in questo caso muove continuamente il bacino e le gambe, copre e scopre il pallone per invitare l'avversario all'aggressione; con la coda dell'occhio Olmo ne osserva i movimenti e, una volta individuato un lato scoperto, lo percorre. L'elasticità della sua caviglia è sorprendente, ruota come se non avesse l'osso e per questo e gli consente di girarsi verso la metà campo avversaria anche quando è completamente rivolto verso la propria porta: non a caso tra le sue giocate più frequenti vi sono le Cruijff Turn e le virate con l'esterno.

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Se però Olmo riesce a ricevere tra le linee la sua pericolosità si moltiplica, grazie a un assortimento di giocate in spazi stretti ancora più importanti dei guizzi in uno contro uno. Giocare dietro il centrocampo significa accettare di ricevere spesso spalle alla porta. Lui non ha il fisico per prendere posizione in maniera statica, spalancare il braccio e incassare il contatto. Compensa però i pochi muscoli con l'intelligenza, il gioco di prima e i controlli orientati. Olmo non resta mai fermo quando arriva il passaggio. Cerca sempre di muoversi incontro per impedire all'avversario di prendere contatto e soffocarlo. Prima di spostarsi però osserva la posizione dei difensori. In questo modo sa già dove indirizzare lo stop: il controllo orientato è il fondamentale più pregiato del suo calcio. Gli basta il primo tocco per far fuori l'uomo dietro e girarsi fronte alla porta, gran parte dei suoi dribbling sono controlli orientati. Vale sia nel mezzo spazio sinistro che in quello destro, nonostante per ora sia monopiede: se l'interno è la parte più comoda con cui accompagnare il pallone, la morbidezza del suo esterno è davvero di alto livello.

Già da ora, dopo appena due stagioni da titolare, i controlli outside of the boot sono la trademove di Dani Olmo, una peculiarità quasi unica nel mondo del calcio: l'esterno è difficile da maneggiare nell'istante fulmineo del tiro, figurarsi in un fondamentale come il controllo orientato, in cui è necessario dosare al millimetro direzione e forza con una superficie di piede così ristretta e poco ergonomica.

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La prossima scelta

Passo dopo passo i progetti di Dani Olmo si sono realizzati e l'addio alla Catalogna per ora è una scommessa vinta. Oggi è il leader di una squadra più che degna della Champions League, con individualità di ottimo livello e capace di interpretare i ritmi frenetici del calcio europeo. Era proprio ciò che serviva a un calciatore fisicamente così particolare per affermarsi nel professionismo: testare la propria tecnica in spazi e tempi ristretti e contro avversari più imponenti. Il trasferimento in uno dei maggiori campionati europei ormai è questione di mesi e ci sono pochi dubbi sulle sue capacità di adattamento.

Un indizio sull'evoluzione di Olmo in contesti più competitivi, in cui non dovrà assumersi tutte le responsabilità creative, ce lo lascia l'ultimo Europeo Under-21. Mentre nella Dinamo il suo potere decisionale è illimitato, in Nazionale ha dovuto accettare il dominio tecnico di Ceballos e Fabian. L'ex Barcellona si è dimostrato un ottimo secondo violino, giocando un calcio più minimale ma non per questo meno scintillante.

Diventato titolare dalla seconda partita contro il Belgio, de la Fuente lo schiera da esterno destro. Lui non interpreta il ruolo da ala classica, sembra piuttosto un trequartista defilato. Non punta il terzino per raggiungere il fondo, non ha la progressione necessaria. Gioca soprattutto a due tocchi, si concede qualche dribbling per entrare dentro il campo e regola posizione e scelte sui movimenti del terzino, Martin Aguirregabiria. La connessione col giocatore dell'Alaves era fondamentale per dare profondità e ampiezza sulla destra alla manovra iberica. Martin correva per per attaccare il fondo e compensare lo scarso atletismo del compagno. Effettuava sovrapposizioni interne se il catalano restava largo, esterne se invece Olmo si accentrava nel mezzo spazio. Il numero sette giocava a pochi tocchi per servirlo sulla corsa; in alternativa, i movimenti del terzino gli portavano via l'uomo e allora poteva condurre verso il centro per associarsi con Fabian e Oyarzabal.

Olmo può esprimersi anche senza cercare ossessivamente la giocata risolutiva. Sa cucire la manovra coi passaggi e gli smarcamenti in zone interne ed è in grado di adattarsi a sistemi di possesso più sofisticati di quelli della Dinamo. In questo mercato di gennaio è stato già cercato da diverse squadre e dopo che si è parlato di un suo possibile ritorno al Barcellona dalla Croazia si dice che il Milan sia interessato a lui. Sei anni dopo l'addio al Barcellona le aspettative per la prossima scommessa di Dani Olmo non possono che essere alte.

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