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Cosa succede alla Roma
08 gen 2018
08 gen 2018
La grande partita dell'Atalanta di Gasperini ha esposto i problemi strutturali della squadra di Di Francesco dietro alla recente serie di risultati negativi.
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Foto di Tiziana Fabi / Getty Images
(foto) Foto di Tiziana Fabi / Getty Images
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Potendo scegliere, forse la Roma non avrebbe rinunciato alle vacanze natalizie: in poco meno di venti giorni i giallorossi sono stati infatti eliminati dalla Coppa Italia (in casa contro il Torino), hanno perso contro la Juventus, pareggiato col Sassuolo e infine sono stati battuti anche dall’Atalanta, in un modo preoccupante non tanto per il risultato finale (2-1) quanto per la sensazione di inferiorità lasciata trasparire nel primo tempo e, in un certo senso, anche dopo l’espulsione di de Roon. In questa finestra temporale, ai problemi in campo si sono aggiunti quelli generati dal famoso video di Nainggolan a Capodanno: il belga è stato punito e ha seguito la partita contro i bergamaschi dalla tribuna, un provvedimento che ha indebolito il centrocampo della Roma, che già doveva rinunciare a De Rossi. Insomma, la sosta di gennaio sarà l'occasione giusta per fare il punto della situazione e provare a eliminare le varie criticità emerse di recente. Non è la prima volta che Eusebio Di Francesco deve affrontare un momento delicato nella sua carriera: era già capitato a inizio stagione, durante la normale fase di transizione che ogni squadra deve affrontare quando cambia allenatore, specie se ha princìpi di gioco molto chiari come Di Francesco. La Roma era comunque riuscita in tempi piuttosto brevi ad assimilare le idee del nuovo tecnico, i risultati e il gioco erano migliorati di conseguenza anche grazie agli adattamenti dello stesso Di Francesco - meno dogmatico di quanto si dicesse - per non snaturare le caratteristiche di alcuni fra i suoi giocatori migliori (su tutti Nainggolan e Perotti). L’involuzione delle ultime settimane è, quindi, ancor più preoccupante delle incertezze di inizio stagione e secondo Di Francesco non ha ragioni tattiche: «Da quando sono arrivato alla Roma è il momento peggiore sotto il punto di vista dei risultati. Forse dal punto di vista emotivo siamo un po’ calati, dobbiamo invece ritrovare quelle attitudini che avevamo prima», aveva spiegato prima della partita contro l’Atalanta. I difetti emersi sul campo, però, sono gli stessi delle prime partite, come se gli interventi di Di Francesco avessero avuto un effetto temporaneo e non strutturale. Oggi la costruzione della Roma è tornata scolastica, e la parziale rinuncia ai meccanismi delle catene laterali in favore di un maggiore sfruttamento degli spazi interni con le mezzali è tornata a dare a Dzeko responsabilità enormi nella risalita del campo. Problema #1: la costruzione dal basso L’Atalanta è stata capace di forzare la ricerca del centravanti bosniaco con le sue tipiche marcature a uomo che indirizzavano la manovra sui terzini, Florenzi e Kolarov, ma il vero problema era che la progressione della manovra giallorossa non prevedeva comunque fasi di consolidamento che sgravassero Dzeko dai suoi compiti di raccordo, vincendo un duello aereo o proteggendo la palla per dare il tempo ai compagni di alzarsi. È significativo che i compagni dai quali il centravanti bosniaco ha ricevuto più passaggi (8 a testa, dato Wyscout ) siano proprio Kolarov e Florenzi, i cui lanci da destra hanno rappresentato un motivo ricorrente del primo tempo.

Pellegrini e Strootman sono marcati, su Florenzi esce addirittura Palomino. In assenza di linee di passaggio pulite, il capitano della Roma sceglie di lanciare verso Dzeko.

Le marcature previste da Gasperini hanno messo in evidenza le difficoltà negli smarcamenti di Pellegrini, Strootman e Gonalons, quest’ultimo particolarmente a disagio nell’evitare le attenzioni di Ilicic e incapace di dare un contributo in costruzione per tutto il primo tempo. I problemi individuali dei centrocampisti si sono sommati a un difetto più strutturale che riguarda lo stile della Roma: come è noto Di Francesco preferisce una costruzione verticale e molto rapida nell’attaccare la profondità, senza fasi di palleggio, neanche minime, che permettano di disordinare lo schieramento avversario e di gestire meglio i tempi della rifinitura. Questa tensione verticale, contro l’Atalanta, si è trasformata in vera e propria frenesia, con la Roma che portava la palla in avanti senza creare prima le condizioni necessarie ad attaccare con qualità la porta avversaria. Qui sotto un esempio: nella metà campo dell’Atalanta c’è il solo El Shaarawy, Fazio vede il suo scatto in profondità e lo cerca con un filtrante impreciso che finisce per regalare il possesso ai bergamaschi.

In parte il problema della costruzione si mescola con quello dell'isolamento di Dzeko, perché se da una parte Pellegrini e Strootman si sono preoccupati di allungare la squadra proprio per avvicinarsi al bosniaco, accompagnandolo in area o chiamando fuori posizione uno dei tre centrali difensivi dell’Atalanta, dall'altro non hanno fornito linee di passaggio sicure. Per tutto il primo tempo, il loro contributo nella progressione della manovra è stato pressoché nullo e l’unico giocatore a muoversi in senso contrario, incontro e non dilatando le distanze da chi portava palla, era Perotti: non ha migliorato molto la manovra, ma con le sue qualità nell’uno contro uno poteva far saltare una marcatura e creare i presupposti per muovere il pallone all’interno dello schieramento dell’Atalanta (e infatti nel secondo tempo è stato arretrato stabilmente a centrocampo). Problema #2: le transizioni difensive La rinuncia del controllo, anche minimo, a centrocampo ha avuto due effetti collaterali: quello di “sporcare” la costruzione della manovra (più le distanze si allungano più i passaggi sono complicati) e quello di non preparare la squadra alle transizioni difensive: giocare su distanze così lunghe rende più complicato accorciare nella zona della palla in caso di errore. Un problema piuttosto serio in una squadra così marcatamente aggressiva: ogni lancio sbagliato, ogni filtrante impreciso genera infatti ritardi nella pressione che sommandosi possono far crollare il sistema difensivo. Se non è sorretta da una grande condizione fisica e dalla fiducia nei propri mezzi, ma anche dai giusti movimenti e dalle giuste scelte dei singoli giocatori, l’estrema tensione verticale alla quale Di Francesco ha educato i suoi giocatori diventa un problema: la qualità della costruzione diminuisce e gli spazi che inevitabilmente si aprono in transizione diventano impossibili da coprire. Negli ultimi tre gol subiti tutto parte da un lancio o da un passaggio rischioso, a cui seguono ritardi nella pressione e spazi che si aprono a catena e che vengono attaccati in transizione o costruendo da dietro dagli avversari: l’anticipo di de Roon sul passaggio di Gonalons verso Strootman che manda in porta Cornelius; il filtrante di Fazio (mostrato nell'immagine sopra) dal quale l’Atalanta costruisce l’azione fino a segnare con de Roon; il lancio di Florenzi che genera qualche secondo di confusione dal quale il Sassuolo esce palleggiando e attaccando dal suo lato destro per arrivare al doppio cross che fa segnare Missiroli.

La rinuncia a risalire il campo palleggiando è costata cara anche contro il Sassuolo.

Tensione verticale e aggressività sono gli ingredienti principali del gioco di Di Francesco. La Roma gioca bene finché soffoca pressando il possesso avversario e riesce a costruirsi spazi da attaccare velocemente, se però la spinta ad andare in verticale è precoce e ostinata l’intera impalcatura rischia di crollare, anche per il particolare sistema di pressing previsto da Di Francesco. Problema #3: quando non funziona, il pressing buca la coperta La qualità del primo pressing della Roma è forse il risultato più brillante raggiunto dal tecnico abruzzese nella prima metà di questa stagione: anche in una partita di chiara sofferenza come quella contro l’Atalanta, i giallorossi hanno spesso recuperato la palla nella metà campo avversaria. Tutto si regge, però, sull’intesa raggiunta dal tridente offensivo e dai tre centrocampisti, che non sono accompagnati alle spalle dai difensori. La linea difensiva resta alta per accorciare la squadra, ma è più predisposta a scappare verso la propria porta che non a uscire per coprire eventuali buchi alle spalle di chi va in pressione. La Roma aveva finora trovato un equilibrio invidiabile tra l’aggressività del tridente d’attacco e dei centrocampisti e la copertura della profondità della difesa (fino alla partita contro l’Atalanta era la squadra che aveva subito meno gol), ma l’eccessiva tensione verticale l’ha resa meno solida, sia quando gli avversari hanno attaccato rapidamente la porta in transizione che quando hanno consolidato il possesso. Trovare spazi, non solo cambiando gioco (il punto debole di tutte le squadre che pressando accorciano sul lato del pallone), ma anche sfruttando i buchi aperti dai ritardi in pressione generati dalla frenesia di costruire andando sempre in avanti, dilatando le distanze tra i reparti, è diventato più semplice. Sia Atalanta che Sassuolo hanno costretto la Roma a difendere all’indietro, attaccando in particolare ai lati dei centrali difensivi, soprattutto di Fazio, individuato non solo come il difensore più lento, ma anche come il più vulnerabile, vista la propensione offensiva di Kolarov sul suo lato. Sorprendere la Roma sul suo lato destro, nonostante le incertezze difensive di Florenzi messe a nudo da Gómez, non solo quando lo ha attaccato alle spalle ma anche quando si muoveva incontro per consolidare la riconquista o conservare il possesso, è invece più difficile: Manolas resta uno dei migliori difensori del campionato in copertura. I meriti di Gasperini L’andamento della partita tra Roma e Atalanta ha sottolineato l’importanza della fiducia, specie se deve sostenere un gioco ambizioso come quello di Di Francesco o di Gasperini. Oltre che sugli accorgimenti pensati da Gasperini e sui riferimenti di un sistema iper-collaudato, l’Atalanta poteva contare sulla fiducia costruita con gli ultimi risultati: l’eliminazione del Napoli dalla Coppa Italia battendolo al S. Paolo e la vittoria sul Milan a S. Siro. Solo l’inaspettata sconfitta con il Cagliari le ha impedito di chiudere questa striscia di partite in modo perfetto. La “Dea” ha saputo gestire i vari momenti della partita, superando le difficoltà poste dall’aggressività dei giallorossi con una breve circolazione in orizzontale o un cambio di gioco e affidandosi a Gómez e Ilicic, fondamentali nel farsi trovare ai fianchi o davanti ai rispettivi marcatori, Florenzi e Gonalons, per conservare il possesso per il tempo necessario a far salire la squadra. E anche nel secondo tempo, pur pensando esclusivamente a difendersi, non ha rinunciato ai tratti distintivi del suo gioco. A un certo punto Gasperini ha scelto di schierarsi con un 6-2-1 con quattro difensori centrali (Masiello, Toloi, Caldara e Palomino) e gli esterni abbassati definitivamente sulla linea difensiva. L’attitudine a scalare in avanti e ad aggredire il possesso romanista, però, non è andata persa, anche a costo di prendersi dei rischi. Qui sotto è Masiello che esce per marcare Schick, mentre Freuler controlla Gonalons. La difesa si fa bucare da una verticalizzazione del francese per Dzeko, ma poi rimedia murando due conclusioni a centro area di El Shaarawy.

Avere princìpi chiari non basta: bisogna crederci anche nelle difficoltà. «Una svolta, ora abbiamo cuore e fiducia tale che possiamo fare risultato con chiunque», ha commentato Gasperini a fine partita. Comunque vada la stagione, l’Atalanta si è confermata tra le realtà più solide e organizzate del campionato: in questo momento è di certo la candidata più credibile per il posto dietro alle prime cinque squadre. Ha raggiunto la Samp, che pur dovendo recuperare una partita sembra in involuzione. Ambire a qualcosa in più è forse utopistico, visto il ritardo accumulato nella prima metà del campionato, ma la “Dea” ha dimostrato di recente di poter dominare anche chi la precede in classifica. L’esatto opposto, l’assenza di fiducia dovuta al momento delicato sul piano del gioco e dei risultati, è stato invece un tasto molto battuto dai protagonisti giallorossi. «La squadra si è disunita, c’era paura di fare un passaggio di 5-10 metri. Siamo mancati in personalità», secondo Di Francesco. «Il primo tempo è stato una vergogna. È una cosa mentale, manca forse la fiducia e prendersi responsabilità. Non è una cosa fisica o tattica», è stata invece l’analisi dura di Strootman. Come già fatto a inizio stagione, Di Francesco dovrà intervenire per risolvere i problemi, ma stavolta potrebbe essere costretto a toccare più in profondità i meccanismi della sua squadra e a scegliere in maniera più chiara il suo undici titolare. Contro l’Atalanta, la Roma ha sbagliato molte scelte offensive, individuali e strategiche: «Nonostante i tanti cross, il gol è arrivato su una giocata verticale. Abbiamo dimostrato che andare al cross non porta molti risultati, dobbiamo verticalizzare, che è quello che chiedo», ha spiegato Di Francesco. E sulle difficoltà del secondo tempo: «Contro squadre chiuse devi andare più in ampiezza, spesso abbiamo tirato da 25 metri contro un muro». I mesi decisivi per la stagione sono alle porte, Di Francesco deve dimostrarsi all’altezza di una nuova sfida, per certi versi ancora più complicata di quella superata a inizio stagione, per riportare la Roma alle vette di brillantezza ammirate fino a qualche settimana fa.

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