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Cosa salvare dalla sconfitta di Wembley
18 ott 2023
18 ott 2023
Nonostante il risultato, l'Italia ha mostrato dei segnali di crescita.
(articolo)
12 min
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IMAGO / Colorsport
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Ci sono cose su cui possiamo essere tutti d’accordo. L’Inghilterra è una squadra su un livello superiore - viene da una finale europea e un quarto al Mondiale, con questa vittoria è matematicamente dentro il prossimo Europeo di cui sarà per forza di cose tra le favorite, il campionato inglese è il più ricco al mondo e il più competitivo - ha giocatori che noi non abbiamo, che sembrano andare al doppio della velocità, con le gambe e con la testa, giocatori circensi che sembrano giocare in equilibrio su funi immaginarie, hanno più riflessi, più rapidità, più tecnica, più forza.

Non dico che siano cose da dare per scontate - a un certo punto bisognerà anche riflettere sul perché il loro calcio abbia prodotto e lanciato a 16 anni un giocatore come Jude Bellingham, non per essere meccanicisti ma la selezione e la formazione del talento, oltre alla cultura in cui cresce, contano quanto se non di più della genetica - ma usiamole come punto di partenza.

Della partita abbiamo parlato anche nel podcast dedicato agli abbonati, Che Partita Hai Vista, dove commentiamo a caldo le partite più importanti della settimana. Se non sei ancora abbonato, puoi farlo cliccando qui.

Perdere 3-1 a Wembley, tutto sommato, ci può stare. Spalletti aveva parlato della mentalità dei giocatori di caratura “internazionale” che in partite come quella con l’Inghilterra vedono «la possibilità di qualificarsi senza pensare alle successive». È vero anche che il momento non era dei migliori per un’impresa di questo tipo: il nostro ex-allenatore ci ha piantato in asso per allenare l’Arabia Saudita pochi giorni dopo che gli era stato assegnato l’incarico di riformare l’intera federazione, veniamo da due Coppe del Mondo guardate in tv e un nuovo scandalo che, come lo stesso Spalletti ha raccontato, ha lasciato la squadra sotto schock con «la polizia quasi negli spogliatoi».

Che l’Italia sia una squadra in costruzione lo sapevamo anche prima di questa partita, quindi perché non concentrarci sugli aspetti positivi? Perché di cose belle, anche in una sconfitta così rotonda che restituisce in modo realistico la distanza tra le due squadre, se ne sono viste. Prendiamo il secondo gol inglese, quello in cui tutti, a partire da chi monta gli highlights, si soffermano sul pallonetto con cui Bellingham supera Scalvini e si lancia in campo aperto. Omettendo così non solo di dare il contesto dell’azione, ma anche il precedente grande tocco di Foden che, per servire Bellingham dietro a Bryan Cristante, colpisce la palla con l’esterno del piede, scucchiaiandola leggermente.

Il contesto, però, era quello in cui l’Italia aveva appena recuperato un pallone nella metà campo inglese, pressando la rimessa di Pickford che, dopo un tentativo di costruzione dal basso, aveva lanciato in direzione sempre di Bellingham, facendosi intercettare da Berardi. L’Italia ha provato subito ad andare alla conclusione, con una trasmissione non di grandissima qualità ma efficace tra Berardi, Cristante e Barella, che poi ha chiesto e ottenuto il triangolo per il tiro a Scamacca, ben posizionato tra i centrali inglesi. Indovinate un po’ chi rovina tutto con una scivolata? Bellingham, sempre lui.

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Bellingham sembra più lungo di un Drago di Komodo quando toglie palla a Barella.

Quella del 2-1 inglese è un’azione che mostra bene i rischi di un gioco coraggioso e aggressivo e che magari qualcuno può usare per dire: ma non sarebbe meglio aspettarle a metà campo squadre veloci con giocatori come Foden, Bellingham e Rashford? Per carità, riflessione con un suo senso, ma è anche vero che, se Barella fosse riuscito a calciare, avremmo costruito un pericolo con appena tre passaggi.

Forse rispondendo preventivamente a questo tipo di critiche Spalletti ha detto, dopo la partita, che «deve essere una cosa normale subire delle ripartenze, se si vuole fare un calcio europeo e fisico» (e aggiungerei anche che forse talenti come Foden e Bellingham non è possibile annullarli del tutto, e a volte è inevitabile concedere una ripartenza o magari un dribbling in una zona pericolosa, un filtrante, eccetera).

Oltretutto l’Italia ha aspettato spesso l’Inghilterra in zone più basse, anche Scamacca arrivava spesso nella trequarti difensiva. In particolare i primi quattordici minuti, fino al gol del vantaggio azzurro, Maguire e Stones arrivavano tranquillamente a giocare una ventina di metri oltre la linea di metà campo e non si può dire che Spalletti abbia fatto il gioco degli inglesi lasciando spazi in campo aperto. Anzi, l’Italia ha portato meno pressioni ieri nella metà campo inglese (69) di quanto fatto nella partita di andata con Mancini in panchina (119, i dati sono di Statsbomb), per dire. Però lo ha fatto meglio, cercando meno l’uomo su uomo (in alcuni momenti della partita dello scorso marzo il pressing italiano sembrava una caccia all’uomo dietro ai vari portatori).

L’Italia ieri non si è quasi mai allungata, semmai, come in occasione del gol del 2-1, si è alzata molto ma rimanendo compatta. È stata la capacità dell’Inghilterra di passare attraverso il centrocampo a 3 o di aggirarlo sulle fasce, a fare la differenza. Insieme, ovviamente, al loro di pressing, perché la difficoltà a tenere il pallone tra i piedi sotto pressione è apparsa evidente (forse iniziamo a sentire la mancanza di giocatori come Verratti, Jorginho e Thiago Motta). Quello del pressing sarà un punto fondamentale per Spalletti, la modernità del suo calcio passa anche attraverso la capacità di leggere la fluidità avversaria, ieri l’Inghilterra in alcuni momenti ha manipolato con grande qualità la struttura difensiva italiana, soprattutto grazie alla qualità palla al piede degli esterni e agli smarcamenti di Bellingham.

Come in occasione del rigore che si è procurato a metà del primo tempo.

Cristante ha il compito di schermare Bellingham mentre Acerbi dovrebbe mettergli pressione da dietro. Bellingham però trova lo spazio dove affacciarsi per ricevere il passaggio di Rice e poi, con una giocata raffinata di prima, allunga la palla fino a Kane. Il resto dell’azione è rappresentativo quasi solo del talento del giocatore del Real Madrid, non c’è contesto tattico che possa arginare un giocatore che va a prendersi la palla dai piedi del suo attaccante, penetra nella difesa avversaria arrivando primo su ogni palla e poi anticipa il tackle di Di Lorenzo che sembrava tranquillamente in vantaggio.

Però, appunto, le cose positive: ieri l’Italia anche contro un’avversaria come l’Inghilterra di palloni ne ha recuperati, anche in zone alte di campo, mettendo in difficoltà la loro costruzione. Il pressing italiano era piuttosto elementare in realtà: le mezzali, Barella e Frattesi, andavano su Phillips e Rice mentre Scamacca restava vicino a Stones, lasciando libero Maguire. Quando la palla arrivava a Maguire la mezzala più vicina usciva in pressione (cercando di schermare Rice alle sue spalle) forzandolo a un passaggio verso il centro, difficile, o sul terzino sinistro su cui poi aumentava la pressione Berardi.

In questo modo l’Italia ha recuperato il pallone al 18esimo, con Maguire che ha giocato un filtrante per Kane preciso ma forte, che l'attaccante del Bayern ha faticato a controllare facendosi togliere palla da Barella. Acerbi, che da dietro aveva impedito a Kane una ricezione tranquilla, si è buttato in area e sullo sviluppo dell’azione Barella ha provato a servirlo con un colpo di tacco un po’ cervellotico. Un esempio, anche, di come all’Italia manchi un po’ di qualità nella gestione del pallone dalla trequarti in su.

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Da notare nella prima immagine come Rice chieda a Maguire di portare palla in avanti per attirare la pressione italiana e, nella seconda immagine, come Cristante avesse seguito Bellingham a uomo una volta che quello gli era passato davanti abbassandosi di una linea.

Recuperare palla sulla costruzione avversaria serve anche a impostare la propria azione senza avere il problema di aggirare a propria volta la pressione. Sullo 0-0 Cristante e Acerbi hanno recuperato una palla nella metà campo inglese grazie al meccanismo descritto sopra: Frattesi mette fretta a Maguire (muovendosi dalla zona di Rice, su cui scala Scamacca) che va da Bellingham rasoterra; Bellingham controlla bene e scarica a Trippier, cercando un triangolo in fascia che però viene sporcato dalla pressione di Berardi. A quel punto Cristante e Acerbi (incollato a Kane) chiudono sulla palla che, una volta recuperata, torna indietro per impostare la fase offensiva senza andare subito in verticale.

Resistere all’intensità di una squadra come l’Inghilterra non è facile e l’Italia ieri ha giocato con la testa sott’acqua per una buona parte della partita. Soprattutto all’inizio, riuscendo a tirarla fuori e respirare praticamente per le prima volta con l’azione del gol di Scamacca. Che nasce, anche qui, da un rischio preso: Donnarumma si fa venire sotto Kane, finge un passaggio a destra e si gira a sinistra. È interessante che Donnarumma sia uno dei pochi giocatori italiani con un dribbling all’attivo: dopo El Shaarawy che ne ha fatti 2, solo Frattesi e Dimarco ne hanno provato almeno un, oltre appunto al portiere (non deve sorprendere il fatto che al solo Bellingham ne sono riusciti 4, seguito da Kane con 3 e poi Rashford e Foden con 2).

L’azione del gol si sviluppa poi a sinistra - come aveva notato Fabio Barcellona, Spalletti ha spostato il gioco dell’Italia sugli esterni - con Barella che si abbassa persino sotto a Udogie, attirando Foden. Sul terzino italiano, all’esordio in Nazionale maggiore, deve scalare Kalvin Phillips, con un po’ di ritardo, permettendogli di girarsi e guardare verso El Shaarawy. Con un triangolo e con la qualità della corsa di Udogie, l’Italia si è aperta il campo e ha costretto l’Inghilterra a difendere correndo verso la propria porta, col campo in discesa.

Sempre una frazione di secondo in ritardo, l’Inghilterra corre dietro alla palla e l’Italia riesce ad arrivare da Berardi e Di Lorenzo a destra, infilando la palla in area dove Frattesi e Scamacca avevano coperto molto bene il primo palo e la zona immediatamente dietro.

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Bello anche, alla fine, il movimento di Scamacca per staccarsi da Rice. La palla magari non passa, ma se passa è meglio essere soli.

È vero che all’Italia manca qualità, le imprecisioni nei controlli e nei passaggi, la timidezza nel dribbling, sono tutte cose che paghiamo, ma gli allenatori, la tattica e il gioco corale servono proprio per compensare questo tipo di limiti.

Prendiamo allora l’occasione di Udogie a fine primo tempo, forse l’azione più bella dell’Italia in tutta la partita. Durata più di 1 minuto e 40 secondi, con più di 37 passaggi che sono serviti all’Italia per alzare e abbassare la linea difensiva inglese e passare da destra a sinistra aspettando lo spazio giusto per mettere la palla in area di rigore.

Quell’azione nasce da una pressione inglese alta ma scoordinata, con Bellingham e Kane sui centrali difensivi e nessuno su Cristante, libero di ricevere, girarsi e salire fino a metà campo. Da quel momento comincia il palleggio azzurro, lento e in alcuni casi eccessivamente prudente - come quando El Shaarawy entra dentro al campo e prova a scambiare con Berardi, che però preferisce tornare indietro alla difesa - ma efficace non solo nel mantenere vivo il pallone ma anche nel creare spazi nella maglia inglese.

Il momento decisivo arriva quando Scalvini va in avanti su Berardi, che gioca su Cristante e poi gli va incontro. Cristante gliela ridà e Berardi va di prima su Scamacca, con un pallone non proprio banale. Scamacca, il cui gioco spalle alla porta può solo migliorare (in particolare la protezione della pallone), chiude quella specie di lungo triangolo ridandola a Cristante, che a quel punto potrebbe servire Udogie sulla corsa, davanti a Foden, ma non fidandosi (a ragione) del suo sinistro preferisce aspettare e servirlo dietro a Foden, dandogli la palla sui piedi e non nello spazio.

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Notare come l’Inghilterra si alzi e si abbassi a seconda di come l’Italia gestisce il pallone: il possesso palla non è una semplice perdita di tempo, o un’attività masturbatoria, ma un’attiva manipolazione delle difese.

A quel punto Udogie aveva deciso di buttarsi dentro e lo fa sfruttando l’appoggio di Berardi, che con un triangolo lo mette uno contro uno con Stones dentro all’area. Udogie arriva al tiro di destro ma Pickford ha evitato quello che sarebbe potuto essere il secondo gol italiano.

È un’azione importante non solo per il risultato e per poter dire, come i cattivi perdenti a FIFA, che le migliori occasioni le abbiamo avute noi, ma perché mette in mostra le qualità di questa Italia nuova di zecca. Un’Italia che si sta ancora cercando e in cui, per molti ruoli, non è ancora chiaro chi siano i titolari, ma che fa della fluidità, dei movimenti nelle catene di fascia e dei triangoli nello stretto, oltre che della pressione alta per recuperare il pallone vicino alla porta avversaria, dei principi chiari e semplici su cui costruire tutto il resto.

Ci avrete fatto caso che non ho nominato quasi per niente i singoli giocatori, proprio perché le cose belle di questa Italia vanno oltre le qualità individuali, che pure ci sono in quantità superiore a quello che si dice di solito. Sarebbe bello se oltre ad essere d’accordo sui limiti, sulle carenze, lo fossimo anche su quello che può aiutarci a costruire un percorso positivo che possa portarci all’Europeo, sì, ma anche a cambiare un po’ di questa nostra nostra cultura sempre eccessivamente conservatrice.

Sarebbe bello se trovassimo il coraggio di mettere a rischio i guadagni a breve termine (tipo quelli che derivano dalla difesa a tre) mirando ai vantaggi sul lungo periodo. Parlare di cultura è di per sé una forma di conservazione: si tratta di riflettere e tramandare il passato e la conoscenza di generazione in generazione, di cambiare senza fare fuori niente di quello che si è stati; ma è importante anche sapersi trasformare, accettare il cambiamento. Sono capaci tutti a guardare Jude Bellingham e dire che è un fenomeno. Ma come possiamo pretendere di avere talenti adatti ai cambiamenti del calcio contemporaneo se rifiutiamo in partenza quegli stessi cambiamenti?

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