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Le ragioni del grande inizio del Napoli
05 ott 2021
05 ott 2021
La squadra di Spalletti è partita col piede giusto.
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Il 30 giugno Aurelio de Laurentiis parla affondato in un trono di velluto blu al centro del salone dell’hotel St. Regis di Roma. Ha l’indice sinistro perennemente al cielo come un Cristo in Ascensione e la bocca piena di metafore: sembra stia decidendo il destino eterno dei giornalisti seduti di fronte a lui, uno per uno. Dovrebbe essere la conferenza di presentazione della nuova stagione del Napoli ma l’aria è funerea come l’inquietante urna nera posta alle sue spalle. Più che l’apertura di una nuova era sembra il commiato per la chiusura del ciclo appena terminato con il suicidio casalingo contro il Verona, con cui incredibilmente la squadra di Gattuso è riuscita a rimanere fuori dalla Champions League permettendo alla Juventus di qualificarsi al suo posto. Anzi, di più, sembra l'addio al Napoli stesso come l'abbiamo conosciuto negli ultimi anni. «Il Napoli spende cifre che non fattura e deve rivedere il foglio paga dei calciatori. Bisogna portare il club sui binari giusti, tagliare le spese eccessive, altrimenti fallisce. Non è ridimensionamento ma presa di coscienza che il budget venga rivisto», dice De Laurentiis con tono grave e allungando le parole fino all’inverosimile, «Forse non basterà venderne uno, ma più di uno per abbassare il tetto salariale».


 

L’estate del Napoli, in realtà, sarà meno cupa delle parole baritonali del suo presidente - se è stata morte, com’era sembrato in quella conferenza di presentazione, è stata più simile a quella simulata dall’opossum quando si stende a terra sperando di ingannare i rapaci che volano sopra la propria testa. Nessun acquisto finanziariamente significativo (anzi, di fatto nessun acquisto reale, dato che Anguissa è arrivato in prestito con diritto di riscatto), è vero, ma anche nessuna cessione di rilievo. L’impressione, più che altro, è che ci si volesse prendere il minimo dei rischi, in un momento in cui il calcio ha temuto per la sua esistenza (almeno a parole). E così, per la panchina si è andati sul sicuro: a Napoli è arrivato un allenatore esperto con una sempre meno vaga inclinazione al cinismo, che negli ultimi anni ha sempre portato a casa l’obiettivo (quello minimo, per lo meno) e che si è sempre più specializzato nella valorizzazione delle rose più che del gioco.


 

Con queste premesse, in ogni caso, era difficile aspettarsi una partenza come quella che abbiamo vissuto in questo mese abbondante di campionato. Sette vittorie su sette con tanto di trionfo a Napoli contro la Juventus, 18 gol fatti (secondo miglior attacco) e solo 3 subiti (miglior difesa per distacco), un numero nove finalmente valorizzato per l’investimento fatto all’inizio della scorsa stagione, i nodi di spogliatoio - a partire dal rinnovo di Insigne - temporaneamente dimenticati. Per adesso nessuna crisi di nervi, nessuna polveriera esplosa, nessun psicodramma - se si esclude l’Europa League dove al convincente pareggio in casa del Leicester è seguita l’incomprensibile sconfitta con lo Spartak Mosca che complica, e non poco, il passaggio alla fase a eliminazione diretta della coppa più amata dalla nostra redazione. Uno scenario per forza di cose ancora in divenire - siamo pur sempre ai primi di ottobre, è bene ricordarlo - ma comunque molto più luminoso e ridente di quello che ci si poteva aspettare solo qualche mese fa tra i marmi dell’hotel St. Regis o tra i silenzi attoniti del Diego Armando Maradona.


 

Per ricostruire il Napoli in maniera così veloce ed efficace, Spalletti è ripartito dai suoi punti fermi, che poi - e questo è il primo ingrediente di questo suo iniziale successo - sono anche quelli della rosa azzurra. L’allenatore di Certaldo, com’è sua consuetudine, ha messo al centro il controllo del pallone, facendo leva sulla grande sensibilità tecnica di molti dei suoi giocatori, da Insigne a Fabian Ruiz fino ad arrivare ad Anguissa, che ogni giornata che passa sembra sempre più il pezzo mancante di un centrocampo a cui è incredibilmente difficile togliere il pallone. Il Napoli è schizzato immediatamente in cima alla classifica sul possesso palla medio a partita (59.3%) e sull’accuratezza dei passaggi (89.1%), con un incremento significativo in entrambi i dati rispetto alla scorsa stagione (quando si fermavano al 54.1% e all’87%). Per avere un possesso in primo luogo sicuro, Spalletti ha dovuto porre nuove fondamenta al rombo di prima costruzione - quello, cioè, che ai vertici ha il portiere, il regista e i due centrali di difesa.


 

E così, per avere un’uscita del pallone pulita, l’allenatore ha dato fiducia piena a David Ospina, diventato definitivamente portiere titolare in campionato dopo le incertezze di Gattuso nello scorso campionato. Ma ha anche pre-pensionato Manolas - limitante in fase di prima costruzione anche prima del recente declino - in favore di Rrahmani (forse la vera grande sorpresa di questo inizio campionato del Napoli), e ha trasformato definitivamente Fabian Ruiz in un vertice basso di centrocampo, un ruolo forse limitante per la sua visione di gioco nell’ultimo quarto di campo ma che permette al Napoli di correre pochi rischi quando c’è da superare la prima linea di pressione. C’è da dire che nella sua opera di ricostruzione del possesso basso, Spalletti è stato aiutato anche da alcuni suoi giocatori. Dal bistrattassimo Mario Rui, per esempio, usato a volte da falso terzino quando entra dentro al campo, dando un ulteriore linea di passaggio centrale ai due centrali di difesa e al portiere, e aumentando anche la densità centrale per diminuire i rischi in caso di palla persa. Ma soprattutto da Zambo Anguissa, che con la sua intelligenza osmotica nell’occupazione degli spazi aiuta Fabian Ruiz e Zielinski a smarcarsi dietro le prime linee di pressione.


 

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Il secondo gol contro la Sampdoria rivela molto della nuova forza del Napoli in fase di prima costruzione. L'azione comincia dai piedi di Ospina. I due centrali sono larghi e davanti a loro, in posizione di falso terzino, si muove Di Lorenzo, seguito alle spalle da Damsgaard. Dietro di lui Anguissa e Fabian Ruiz, seguiti dai due mediani avversari. Il portiere colombiano alza la testa e pesca alle loro spalle Zielinski, che può ricevere libero vicino al cerchio di centrocampo. Dalla sua progressione verticale il Napoli arriverà al tiro fuori area di Fabian Ruiz.


 

In questo contesto di maggiore sicurezza e ricchezza di soluzioni in fase di prima costruzione quasi tutti i difensori del Napoli sono rifioriti. Non solo Koulibaly e Di Lorenzo, rispettivamente sesto e quarto in Serie A per metri guadagnati ogni 90 minuti grazie ai loro passaggi, ma anche Rrahmani, che con il pallone si sta dimostrando sicuro anche nei passaggi taglia-linee.


 


Un esempio dall'ultima partita contro la Fiorentina. Da notare come Zielinski sia sempre intelligente a mettersi nello spazio creato dai movimenti di Anguissa e Fabian Ruiz rispetto alla posizione del portatore.


 

Se parlo così spesso di sicurezza in relazione al possesso palla è perché il Napoli, anche qui in linea con la recente tradizione spallettiana, lo utilizza in primo luogo in funzione difensiva ovvero per alzare o abbassare i ritmi della partita e per gestire i momenti più che per arrivare in area manipolando le difese avversarie. Il pallone è il primo strumento che gli “azzurri” utilizzano per difendersi e la prima leva che l’allenatore toscano sta utilizzando per migliorare la solidità della sua squadra, togliendo ossigeno offensivo agli avversari per privazione del possesso. Il Napoli, finora, è la squadra che sta facendo meglio dal punto di vista difensivo - è primo sia per xG concessi per 90 minuti, 0.55, sia per xG per tiro concesso, 0.084, sia per conversione dei tiri avversari, 4.3% - e buona parte del merito deve essere data alla capacità dei suoi giocatori di non perdere il pallone sotto pressione. In questo senso, l’aver incontrato quasi tutte squadre che si difendono molto basse come Genoa, Juventus e Cagliari ha sicuramente aiutato, come non è un caso che la squadra ad aver creato più difficoltà finora alla difesa azzurra sia stata quella che applica il pressing alto in maniera più aggressiva, cioè la Fiorentina. La fortuna, per Spalletti, è che quest’anno in Serie A, a parte quella di Italiano, non sembrano molte le squadre in grado di farlo in maniera efficace.


 

In ogni caso, il miglioramento difensivo del Napoli non può essere dato per scontato ed è forse la medaglia più preziosa che l’allenatore toscano può appuntarsi sul petto. La scorsa stagione, dati di StatsBomb alla mano, sembrava infatti la fase più difficile da rafforzare senza nuovi innesti in rosa. Nonostante fosse appena terza per xG subiti, infatti, la squadra di Gattuso era nella parte bassa della classifica nei parametri che misurano la capacità degli avversari di convertire quelle occasioni in gol. Su 36 post-shot xG concessi (gli Expected Goals calibrati sulla difficoltà per il portiere di impedire alla palla di entrare in porta) il Napoli aveva subito 40 gol (esclusi autogol), uno scarto minore solo di quelli di Atalanta, Spezia, Crotone, Parma e Torino.


 

Ovviamente è ancora presto per cantare vittoria. Per una squadra che fa così tanto affidamento sul possesso per gestire la partita, il Napoli sembra ancora avere limiti in fase di pressione alta e riaggressione - anche in questo caso non certo una novità per una squadra di Spalletti, che lo ha anche ammesso piuttosto candidamente. «Dobbiamo migliorare nella fase di nessuno, quando la palla è per aria, sulle palle di nessuno noi ne portiamo a casa troppe poche rispetto agli avversari. Quella fase lì è importante allo stesso modo della fase attiva e passiva, ci sono dei rimbalzi su cui bisogna lottare col duello fisico», ha detto l’allenatore toscano pochi giorni fa. Il Napoli è appena undicesimo per PPDA, l’indice che misura la qualità del pressing attraverso il numero di passaggi concessi per azione difensiva, e settimo per recuperi palla nella metà campo avversaria - un problema che per adesso si è visto solo a tratti ma che riemergerà come un fiume carsico soprattutto contro le squadre che proveranno a contendergli il possesso. Quando è costretto a difendersi senza palla, il Napoli è più passivo di quanto dovrebbe e finisce spesso a difendersi in area concedendo tiri potenzialmente pericolosi (lo si è visto per esempio contro la Sampdoria, che è stata molto più in partita di quanto lo 0-4 finale non dica). In questo senso, le prossime due partite di campionato, contro Torino e Roma, saranno un buon test per capire la reale solidità azzurra, vista l’aggressività satanica del calcio di Juric (primo per PPDA e recuperi palla offensivi) e il potenziale offensivo della rosa giallorossa.


 

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Tre casi dalle partite contro Sampdoria e Juventus in cui il Napoli ha sbagliato i tempi della pressione alta o è stato troppo passivo nel difendere lo spazio. Da queste azioni, le squadre di D'Aversa e Allegri si renderanno pericolose con Candreva, Bernardeschi e Kulusevski.


 

Il miglioramento della riaggressione sarà fondamentale anche alla luce del modo in cui il Napoli attacca, cioè cercando sempre di allungarsi sul campo e rendendosi quindi fragile in fase di transizione difensiva. Spalletti si è ritrovato tra le mani giocatori che sembrano nati per il suo gioco offensivo e ha pigiato fino in fondo il pedale con l’attacco del lato cieco, le palle in profondità e l’allargamento delle linee avversarie. Osimhen, in questo senso, è davvero la leva con cui l’allenatore toscano può sollevare il mondo. Con un’elasticità e una velocità nel lungo fuori scala per la Serie A, l’attaccante nigeriano rappresenta una minaccia costante all’attacco della profondità impedendo alle difese avversarie - troppo preoccupate di dover scappare verso la propria porta - di accorciare verso il centrocampo. In questo modo, il Napoli, superata la prima pressione, ha sempre due vie per arrivare alla porta. Il primo è quello di cercare direttamente Osimhen in profondità attraverso quello che è ormai un classico del repertorio spallettiano, e cioè il lancio di prima ad attaccare il lato cieco della difesa avversaria. Diventato mainstream con i lanci di Totti di prima per Perrotta che si inseriva alle sue spalle, oggi al Napoli gli specialisti sono invece ben due. Da una parte Insigne, messo larghissimo a sinistra per tirare fuori il terzino avversario e lanciare di prima verso Osimhen che attacca lo spazio liberato proprio dal terzino destro avversario.


 


Lancio di prima di Insigne, larghissimo a sinistra. Osimhen è perfetto nel posizionarsi sufficientemente alle spalle di Yoshida, che non può controllare contemporaneamente il pallone e lo scatto dell'avversario alle sue spalle.


 

Dall’altra Fabian Ruiz, che con l’uomo alle spalle e sempre di prima lancia verso la corsa dall’interno all’esterno dell’attaccante nigeriano. Il centrocampista spagnolo non a caso secondo per progressive passes in Serie A.


 

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L'azione che porta al rigore dell'1-1 contro la Fiorentina nasce da un lancio di prima di Fabian Ruiz per Osimhen, che si infila nello spazio tra Milenkovic e Odriozola, che era salito sul movimento incontro di Insigne.


 

Anche senza lancio diretto ad attaccare la profondità, comunque, Osimhen è fondamentale con la sola presenza ad abbassare le difese avversarie, allargando le distanze e permettendo le ricezioni tra le linee dei centrocampisti, a partire da Zielinski che non vedeva l’ora di avere più spazio per prendere palla e attaccare la porta in verticale con la palla attaccata al piede. In questo senso, chissà che nel lungo periodo non possa tornare utile anche Ounas, che di corse palla al piede se ne intende. L’ala algerina per adesso sembra indietro nelle gerarchie rispetto a Politano, più attento nei ripiegamenti difensivi, ma se dovesse entrare stabilmente tra i titolari, il Napoli a quel punto avrebbe un potenziale offensivo praticamente ingiocabile per qualsiasi difesa di Serie A, che dovrebbe controllare contemporaneamente la profondità attaccata da Osimhen, le ricezioni al centro di Zielinski, la tecnica sull’esterno di Insigne e i dribbling palla al piede dalla trequarti di Ounas.


 

La ricchezza di soluzioni offensive del Napoli non ha praticamente eguali in Serie A e spiega come faccia la squadra di Spalletti a segnare così tanto nonostante un gioco offensivo non particolarmente sofisticato. Gli azzurri sono appena sesti per xG prodotti in open play e settimi per xG per tiro prodotto, ma è difficile che la loro produzione offensiva si rattrappisca nel lungo periodo. Basti pensare che anche l’anno scorso, in una stagione disastrosa, il Napoli secondo i dati di StatsBomb è stato comunque la squadra con lo scarto più grande tra gol segnati (75, esclusi rigori e autogol) e xG prodotti (61.5, esclusi i rigori). Segno di un reparto offensivo già di altissimo livello, e che quest'anno può vantare anche un Osimhen che continua a migliorare i suoi standard di efficienza (per adesso 4 gol da 4.3 xG e una conversione dei tiri in gol oltre il 21%).


 

Se l’attacco può andare quasi col pilota automatico, nel corso del campionato il Napoli se vorrà tenere questo ritmo dovrà più che altro non sottovalutare i suoi difetti in fase di pressing e recupero immediato del pallone. Spalletti, insomma, è chiamato a superare definitivamente i suoi limiti storici, rimettendo in discussione alcuni dei suoi principi, magari perdendo in imprevedibilità per acquisire in controllo. Oppure, per arrivare a quello Scudetto che in fin dei conti si meriterebbe come premio alla carriera, potrà percorrere la strada che ha sempre percorso: spingere sulla crescita supereroica di alcuni dei suoi giocatori chiave (a partire da Anguissa, che dovrà portare le sue qualità di recupero palla a livello Nainggolan per tenere insieme il Napoli nelle partite più difficili) e fare all-in sulle capacità offensive della propria squadra, abbandonando le velleità di controllo e cercando di segnare sempre un gol più dell’avversario.


 

Alla fine, anche alla luce di una proprietà che non sembra così tanto intenzionata a fare grandi investimenti in difesa, sarebbe anche la scelta più sensata alla luce della rosa attuale e, da spettatore neutrale ma interessato, quella più in linea con gli umori della città. Sarebbe bello se quella funerea conferenza stampa di De Laurentiis venisse ricordata come l’inizio della stagione più pazza, divertente e, chissà, magari anche vincente della storia recente del Napoli.


 

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