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Inafferrabile come Zambo Anguissa
30 set 2021
30 set 2021
Il nuovo acquisto del Napoli è diventato da subito fondamentale.
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È inutile nasconderci: la partenza di Cristiano Ronaldo, Donnarumma, Lukaku, Hakimi e De Paul ha rotto qualcosa nella Serie A. Come se un cervo imbizzarrito fosse entrato in un negozio di Swarowski, adesso stiamo vivendo il momento in cui fissiamo i mille frammenti di vetro a terra alla ricerca delle idee e delle forze per ripulire e rimettere a posto tutto. Frammenti da cui le squadre quest’estate sono state costrette a ripartire: con nuovi giocatori o nuovi allenatori, che poi nuovi non sono. Al massimo tornati indietro con una nuova maglia o nuova sciarpa, di certo con qualche ruga in più. Tutte squadre, comunque, alla ricerca di tempo, come ha chiesto persino Mourinho, in attesa che le giovani promesse crescano, che gli automatismi ingranino, che le connessioni si creino.


 

L’11 settembre, a Napoli, il primo scontro al vertice della Serie A tra i padroni di casa e la Juventus, sembra la rappresentazione di questo macello. Due squadre che faticano a trovare una forma sul campo, che reagiscono una agli errori dell’altra, due allenatori tornati nel campionato italiano dopo qualche anno di pausa a dare il pane alle oche o a citare aforismi stantii agli spettatori in TV. Due club che sembrano quasi costretti contro voglia a lottare per vincere, che hanno passato l’estate con la paura di muovere troppo, che in tempi difficili si sono rifugiate nello status quo preferendo conservare quello che c’era già. Tra i 22 in campo c’è un solo giocatore davvero nuovo per la Serie A: è arrivato l’ultimo giorno di mercato in prestito con diritto di riscatto (l’obbligo forse sarebbe stato rischiare troppo) con il 99 sulle spalle, il numero dell’ultimo ad arrivare e del primo a sparire. Per gli standard del conservatorismo della Serie A è comunque una novità sufficiente a provocarci un sussulto: è arrivato nemmeno dieci giorni fa ed è già titolare contro la Juventus?


 

La partita si apre - ironicamente, per due squadre così attente a non regalare niente agli avversari - con un errore di Manolas, un giocatore che in Serie A sembra esserci rimasto troppo a lungo dopo un’estate passata a flirtare con la squadra che lo aveva lanciato. Un retropassaggio troppo banale verso Ospina, stoppato e poi trasformato in gol da Morata, che abbassa il volume dell’entusiasmo del San Paolo - anzi, del Diego Armando Maradona - mentre la Juventus trova finalmente la legittimazione morale per difendersi in area. Il Napoli, però, ci mette un po’ a riprendersi e forse non si rende nemmeno conto che in mezzo al campo, passaggio dopo passaggio, Anguissa sta diventando sempre più importante.


 

Al 25esimo del primo tempo Insigne dal cerchio di centrocampo sbaglia la verticalizzazione verso la trequarti, ma l’intercetto di Rabiot finisce proprio sui piedi del centrocampista camerunese. Anguissa fa un primo scatto in verticale, ma poi si gira su se stesso, come se avesse dimenticato qualcosa alle sue spalle. Locatelli e Rabiot ci cascano come due cani che cercano la pallina all’orizzonte dopo la finta del padrone che la sta tenendo dietro la schiena. Anguissa si gira dalla parte opposta e lascia il pallone con un po’ di sufficienza ad Elmas accanto a lui - con quel passaggio un po' lungo sembra gli abbia appena detto: adesso a fare le cose banali ci pensi tu. Il numero 99 del Napoli gioca sempre con l’attitudine di chi ti aggiusta il nodo della cravatta prima di uscire di casa, come se la sua nonchalance in mezzo al campo fosse un modo malcelato per invitare tutti gli altri ad alzare il livello. Nonostante si tratti solo di una finta a centrocampo, il San Paolo la accoglie con un “oooh” di stupore e poi con una breve pioggia d’applausi, colpiti dall’eleganza da torero di Anguissa.


 

Da quel momento in poi, Anguissa ha regolato a suo piacimento l’entusiasmo del pubblico, con finte, controlli orientati e ricami a cucire il gioco in mezzo al campo. Finirà la partita con un dribbling riuscito, due intercetti e il 96% dei passaggi riusciti. All’84esimo minuto, con il risultato ancora sull’1-1, arriva il momento in cui accende definitivamente lo stadio prima dell'apoteosi finale: controlla il pallone piroettando su se stesso, si gira di nuovo d'improvviso dentro al campo, tenendo il pallone incollato sulla punta del piede, e Kulusevski che lo stava seguendo è costretto ad aggrapparsi per un attimo alla sua maglia - sembra un maggiordomo che sta cercando di sfilare il cappotto a un padrone di casa troppo indaffarato per dargli retta. Anguissa corre ma non sembra mai di fretta e ha proprio l’aria di chi è molto impegnato a rimettere a posto le cose. Con la sua eleganza in Napoli-Juventus è stato il primo a ricucire il nostro rapporto con una Serie A che, dopo un’estate di lacrime e sangue, sembrava improvvisamente più sciatta della scorsa stagione.


 

Il fatto che Anguissa ci abbia fatto un pochino rivalutare il campionato italiano ha a che fare anche con le aspettative che c’erano al suo arrivo. D’altra parte, il centrocampista camerunese, che la scorsa stagione era retrocesso dalla Premier League insieme al resto del Fulham, ha dovuto aspettare talmente tanto per un’offerta degna di questo nome che a un certo punto si è ritrovato a giocare alcune partite in Championship, la Serie B inglese. E se persino Spalletti ha ammesso che non lo conosceva prima di vederlo a Castel Volturno, cosa avremmo dovuto aspettarci noi da quest’altra parte del televisore?


 

In realtà, il fatto che quasi nessuna squadra di media-alta classifica in Europa, e soprattutto in Inghilterra, lo abbia preso in considerazione è difficile da spiegare, soprattutto alla luce del prezzo relativamente contenuto. Oggi, col senno di poi, possiamo dirlo a cuor leggero, come ha scritto AS qualche giorno fa: Anguissa è stato “l’errore della Premier”. Chissà, magari a vederlo giorno dopo giorno si finisce per dare per scontata la sua eccezionalità.




 

Sulle prime impressioni, invece, André Frank Zambo Anguissa è sempre andato fortissimo. Cresciuto nel quartiere di Yaoundé che ha dato il nome alla sua famiglia, Anguissa ha iniziato per strada

«lattine, arance, palline da tennis, piccoli palloni di plastica», tutto ciò che gli capitava a piede. Eppure, secondo uno dei dirigenti locali che lo ha visto crescere, interpellato dallo stesso Anguissa nel documentario prodotto dal Marsiglia

: «Era un bambino che fin da subito ci ha mostrato che sarebbe emerso, che sarebbe diventato un gran giocatore».

 

A 16 anni partecipa al G8, che non è quello che pensate ma un grande torneo per giovani talenti organizzato nella capitale camerunese dal procuratore Maxime Nana. Insieme a lui ci sono altri 160 ragazzi di otto settori giovanili diversi, che si sfidano in un torneo formato da due gruppi di quattro squadre. Sugli spalti gli osservatori di diverse squadre europee. Tra questi anche quello del Marsiglia, Jean-Philippe Durand (che proprio con la maglia del Marsiglia da calciatore aveva vinto la Champions League nel 1993), che non ci mette molto a notarlo. «Mi ha subito rubato l’occhio», ricorda Durand nello stesso documentario «Per la sua qualità tecnica, per la facilità con cui passava il pallone. Così ho detto a Maxime (

): “È Frank. Il miglior giocatore è Anguissa”».

 

Anguissa viene votato miglior giocatore del torneo e forse come premio passa a uno dei principali club camerunesi, il Cotonsport Garoua. A portarlo in Europa, però, non è il Marsiglia, ma il Reims, che in qualche modo dopo pochi mesi riesce ad inserirsi. Le cose, però, in Francia non iniziano bene: gli allenatori del Reims lo giudicano troppo indietro tatticamente e, dopo avergli fatto giocare qualche partita con la squadra riserve, lo lasciano andare. Su di lui ci sarebbe il Valenciennes, che gli offre un contratto di più anni, ma a questo punto il Marsiglia decide di non farsi fregare una seconda volta. Durand lo porta addirittura in prima squadra, dove lo fa allenare per metterlo sotto gli occhi di Bielsa.


 

Dopo un paio di settimane, l’allenatore argentino prende una di quelle decisioni estemporanee tipiche di una figura a metà tra il pazzo e il profeta, e lo aggrega per il resto della stagione pochi giorni prima di dimettersi da allenatore del Marsiglia (per contrasti con la società su alcune clausole del suo contratto). Anguissa prenderà lo stipendio più basso di tutta la Ligue 1, ma questo ovviamente non conta. «Ha creduto in me e mi ha detto: “Hai tanta qualità, è per questo che ti metterò in gruppo"», ha ricordato in un’intervista a Canal Plus chiusa con una frase che sembra uscita parola per parola dalla bocca di Bielsa: «Se un giovane ha potenziale può sorprendere il mondo».


 

Da quel momento la sua carriera segue ciclicamente il percorso che va dallo stupore all’oblio, avanti e indietro. Dopo la prima travagliata stagione (in cui il Marsiglia, dopo le dimissioni di Bielsa, cambia altre due volte allenatore, concludendola con un suo assistente, Franck Passi), Anguissa diventa titolare con Rudi Garcia, che lo porta fino alla finale di Europa League persa contro l’Atletico Madrid nel 2018. In quell’estate la cessione per 25 milioni di euro al Fulham, con cui ha un rapporto difficile. Dopo una prima stagione non brillante, finita con una delle tante indistinguibili retrocessioni del Fulham, va in prestito al Villarreal per non dover giocare in Championship, ma il club londinese fissa comunque un diritto di riscatto molto alto (25 milioni) per non perderlo definitivamente. E così, dopo una grande stagione, il Fulham torna in Premier League e il Villarreal, come il resto delle squadre europee peraltro, non se la sente di spendere quella cifra per lui.


 

La storia si ripete quasi uguale la stagione successiva, quando, invece del grande salto, Anguissa è costretto a ricominciare dalla bassa classifica inglese, dimostrando ancora una volta di averci poco a che fare. Eppure all’arrivo di un’altra estate, dopo almeno quattro stagioni ad alti livelli, ancora una volta Anguissa sembra dover convincere tutti di poterci stare, come quando aveva iniziato in Francia.


 

Forse la sua è solo sfortuna per essere emerso in un momento in cui i club, per via della pandemia, non hanno alcuna voglia di scommettere (anche su scommesse piuttosto solide come la sua). O forse è perché non ha messo molte volte il proprio nome sul tabellino: nell'era post-YouTube è possibile ricordarsi di un giocatore che da quando è un professionista ha segnato appena 2 gol e 7 assist? Anche la collocazione tattica non deve averlo aiutato: Anguissa non è né un regista, né una vera e propria mezzala, e forse non è un caso che sia molto a suo agio in un centrocampo a due come quello di Spalletti in cui ha molta libertà di movimento e può delegare le funzione più creative in fase di prima costruzione a un giocatore più cerebrale come Fabian Ruiz.


 

Anguissa non è un giocatore che viene definito dalla visione di gioco con la palla, né dalla forza con cui la conduce in area o la tira verso la porta. A guardarlo giocare non si capisce subito il motivo per cui ci esalta, in lui c'è qualcosa di enigmatico ma penetrante come il suo sguardo, che lo fa assomigliare a uno dei guerrieri del deserto di Dune. Il suo talento sembra avvolto da una nuvola di fumo, come quella in cui si ritrovano i suoi avversari quando cercano di togliergli palla. Per non perdere il pallone, infatti, apparentemente non sembra ci sia bisogno di nessuna qualità, eppure tra le qualità richieste da un calcio sempre più ossessionato dal concetto di pressing è una di quelle più rare e al tempo stesso più richieste.


 

Anguissa, in altre parole, è un maestro del dribbling difensivo, che in realtà è un modo molto riduttivo per chiamare il modo con cui crea spazio sul campo con l’uso del corpo e del pallone. A volte, con lui, è persino difficile tracciare una linea netta tra dribbling difensivo, cioè volto solo a mantenere il possesso, e offensivo. Come dovremmo chiamare ad esempio il modo con cui contro l’Udinese si è girato su se stesso e poi ha superato Nuytnick con un semplice tocco di interno sinistro?


 


 

 

Nonostante fosse un centrocampista tutt’altro che offensivo di squadre di media-bassa classifica, Anguissa nelle ultime due stagioni è stato stabilmente nella top 10 dei giocatori con più dribbling riusciti. Nella stagione 2019/20, in Liga, era sesto tra quelli con almeno mille minuti di gioco, dietro a nomi come Messi, Hazard, Fekir, Denis Suarez e Vinicius (ne ha completati 3 su 3.6 per 90 minuti, oltre l’83%). In quella appena passata, in Premier League, addirittura terzo: con 3.3 dribbling riusciti su 5 ogni 90 minuti (il 66%) solo Saint-Maximin e Adama Traoré hanno fatto meglio di lui. Quest’anno il campione è ancora troppo ristretto per far solidificare i numeri, ma tra i giocatori con un minutaggio simile al suo, Anguissa è sopra per dribbling riusciti  (2.5 su 3.3 tentati per 90 minuti) a giocatori come Damsgaard e Brahim Diaz. Tra questi ci sono anche il numero da pattinaggio artistico con cui è sfilato tra Bereszynski e Thorsby per entrare nell’area della Sampdoria e il valzer messo in scena sulla linea di fondo con Walukiewicz, che accanto alla sua sinuosità da serpente è sembrato rigido come un orso che balla su due zampe sulla pista di un circo.


 


 

 

Come già successo con Rudi Garcia a Marsiglia, Anguissa a Napoli sembra poter rinascere per l'ennesima volta con un allenatore che non ha alcuna intenzione di dargli compiti troppo rigidi e che si fida del suo istinto nel modo in cui occupa gli spazi in campo. E in un campionato che, senza l’esasperazione atletica della Premier League, gli permette di essere più libero anche di sganciarsi più avanti. Tutti quelli che lo hanno incontrato nella sua carriera, poi, concordano che una delle sue qualità migliori è quella di saper ascoltare, di crescere attraverso i consigli che gli vengono fatti. Durand, quando lo incontrò a 16 anni in Camerun, si accorse immediatamente dei suoi miglioramenti nel gioco senza palla dopo che gliel’aveva fatto notare una volta. Oggi Spalletti dice: «Alla fine del primo tempo lui analizza la sua posizione, prende continuamente appunti, studia i movimenti e i comportamenti delle squadre avversarie: è un ragazzo molto intelligente». Anguissa, insomma, sembra poter crescere ancora.


 

È anche per questo che, nonostante abbia giocato appena cinque partite con la maglietta del Napoli, la sua futura assenza a gennaio per via della Coppa d’Africa già aleggia minacciosa come una nuvola nera sui discorsi e le prospettive della squadra di Spalletti - ironico per uno la cui presenza, fino a poche settimane fa, non era stata nemmeno messa in conto. Con il calendario sempre più fitto di partite, da qui a gennaio, e ancora di più da qui a giugno, passeranno molti più mesi di quelli che effettivamente ci separano da quel momento. E chissà, anche se la Coppa d'Africa non dovesse avere alcun effetto sulla sua stagione o su quella del Napoli, magari saremo noi - come già successo in Inghilterra e in Spagna - ad assuefarci alla sua eccezionalità, arrivando a giugno pensando che in fondo 15 milioni per un giocatore come lui sono troppi. La storia di Anguissa magari rimarrà un mistero, come quello che si ripete ogni volta che supera un avversario semplicemente muovendo le spalle o girandosi su se stesso. Per adesso l'unica cosa che so è che, nonostante l’estate appena passata, se la Serie A è rimasta un campionato interessante è anche merito della danza ipnotica messa in mostra in ogni partita da André Frank Zambo Anguissa.


 

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