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Flavio Fusi
Cosa manca a Guardiola
13 feb 2017
13 feb 2017
Il tecnico catalano non ha mai incontrato tante difficoltà come nella prima stagione al Manchester City.
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Flavio Fusi
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Il momento della firma con il Manchester City era considerato da molti come il passaggio fondamentale nella carriera da allenatore di Pep Guardiola: i suoi (pochi ma irriducibili) detrattori gli rimproveravano di aver guidato Barcellona e Bayern Monaco, due tra le squadre più forti del mondo, già di per sé destinate a vincere nel periodo del suo ingaggio. La solita storia delle squadre che potrebbero essere allenate da chiunque.

 

E invece, con i Citizens le premesse erano diverse: Guardiola ha preso una squadra reduce da un quarto posto in Premier League (il peggior piazzamento delle ultime 6 stagioni), mai realmente in lotta per il titolo, che di fatto aveva puntato tutte le sue fiches sulle coppe, conquistando la prima semifinale di Champions della sua storia e la Coppa di Lega, una specie di canto del cigno della gestione Pellegrini il cui esonero era già ufficiale a metà stagione.

 

Tra l’altro, l’allenatore cileno non era il solo alla fine di un ciclo, considerato che la rosa del City, con un’età media di 28,4 era una delle più anziane del campionato.

 

Ma non erano solo i risultati poco soddisfacenti degli ultimi anni ad innalzare il livello di difficoltà della sfida raccolta da Guardiola: il Manchester City aveva dimostrato di avere una serie di problematiche tattiche quasi ataviche, alle quali in tre anni un allenatore esperto e stimato come Pellegrini non era riuscito a porre rimedio. Quando Pep aveva preso in mano il Barcellona, aveva trovato giocatori cresciuti secondo la sua stessa filosofia e per larga parte “figli” della Masia proprio come lui. In Baviera le cose erano state diverse, ma l’elevata intelligenza calcistica media dei giocatori del Bayern Monaco, già ingranaggi di una macchina sapientemente oliata da Heynckes e allenati da uno dei campionati più interessanti dal punto di vista tattico del panorama europeo, si erano messi a disposizione del tecnico catalano, dimostrando una volontà di apprendimento tutt’altro che scontata.

 

 



 

Non solo gli “Sky Blues” erano analfabeti del linguaggio del

ma con Pellegrini non si erano nemmeno dimostrati capaci di agire con continuità in una formazione efficiente che permettesse una circolazione di palla fluida e offrisse più opzioni di passaggio al portatore. Il risultato era una manovra spesso lenta, con giocatori statici, se non letargici, nel supportare il portatore di palla.

 


Una delle strutture sconnesse che proponeva fino allo scorso anno la squadra di Pellegrini, in questo caso tratta dall’analisi di Manchester City 1-0 PSG.



 

Un’altra nota dolente erano le transizioni, uno dei più grandi problemi del triennio Pellegrini, con il City che spesso veniva infilato dai contropiedi avversari, con i centrocampisti troppo passivi nel coprire nei ripiegamenti e colpevoli di lasciare i difensori in balia degli attaccanti avversari. Senza una struttura consolidata in possesso, per il City era praticamente impossibile attuare il gegenpressing, cercando di recuperare il possesso appena perduto: le ampie distanze tra un giocatore e l’altro e soprattutto il centro lasciato scoperto con troppa ingenuità erano le cause scatenanti delle difficoltà dei mancuniani in transizione.

 

Non si salvava nemmeno il pressing dei Citizens, che in maniera molto simile a quello tipico del calcio inglese, era spesso troppo scoordinato, con un riferimento sull’uomo troppo rigido, attuato mantenendo una compattezza praticamente nulla, con la difesa troppo distante dal resto della squadra e un centrocampo troppo poco dinamico per supportare gli attaccanti in pressione. Il pressing del City aveva il prevedibile esito di lasciare sistematicamente scoperte le zone chiave e la sua riuscita si basava praticamente solo sull’iniziativa e l’intensità individuale.

 

Dopo poco più di metà stagione, il City è terzo in Premier League, a un solo punto dal Tottenham secondo, ma a -10 dal Chelsea di Conte (a cui Guardiola ha di fatto già

) e agli ottavi di Champions League dove affronterà il Monaco. Nelle coppe nazionali è stato eliminato dal Manchester United in Coppa di Lega, mentre è ancora in corsa in FA Cup (5°turno).

 

Insomma non un ruolino fallimentare, ma stampa e opinionisti non possono che chiedere sempre il massimo ad un allenatore da 21 titoli in 7 stagioni e difatti il catalano è stato di frequente

.

 

Fin qui la stagione del Manchester City ha seguito un percorso decisamente contorto: ha vinto le prime 10 partite con Guardiola in carica - segnando 30 reti - prima di entrare in una crisi in cui ha perso 3 partite e ne ha pareggiate altrettante. Dopodiché si è inaspettatamente ripreso, schiantando persino

il Barcellona all’Ethiad - anche se secondo Guardiola il City aveva giocato meglio all’andata, persa 4-0 - prima di un altro brutto momento in cui ha perso con Chelsea e Leicester, concedendo 6 punti di margine ai “Blues”, e pareggiato con il Celtic, risultato che ha costretto Guardiola ad accontentarsi del secondo posto nel girone di Champions.

 

Infine un'altra striscia da 8 vittorie in 11 partite, ma con 2 pesanti sconfitte contro le due squadre di Liverpool: 1-0 contro i “Reds” rivali per l’Europa e un disastroso 4-0 contro l’Everton all’Ethiad.

 

Se almeno i risultati ultimamente sono tornati ad essere positivi, sono le dichiarazioni di Guardiola (e il suo

) ad aver disorientato la stampa, che è tornata a metterlo in discussione. Prima della vittoria con il Bournehmouth ha ammesso di sentirsi

da allenatore (dichiarazione

), mentre nel post-partita ha concesso una stralunata intervista che ha stupito molti. Stupore tramutatosi in sconcerto quando, dopo la peggior sconfitta della sua carriera (il 4-0 con l’Everton),

con i suoi giocatori.

 





 

Una volubilità rispecchiata dalle prestazioni offerte dal City in stagione: è indubbio che la squadra abbia fatto progressi rispetto alla scorsa stagione e, come dimostra l’iniziale 10/10, anche piuttosto rapidamente; allo stesso tempo, Guardiola ha scelto la strada più breve, senza perdere tempo per introdurre concetti e ruoli tipici della sua filosofia di gioco.

 


È solo la quarta giornata di campionato, ma il City ha già una struttura nettamente migliore rispetto alla passata stagione. L’immagine è tratta dall’analisi di Emiliano Battazzi di Manchester United 1-2 Manchester City.



 

Ad esempio, fin dall’inizio si sono visti i cosiddetti “

” che Guardiola aveva già sperimentato a Monaco di Baviera, ma in un’interpretazione diversa rispetto a quella di Alaba: i terzini del City si posizionano sugli interni, praticamente in posizione di centrocampisti aggiunti (formando un 2-3-4-1 con il resto della squadra), ma limitano la propria influenza ai primi due terzi di campo, agendo al massimo da riciclatori di palloni. Inoltre il problema è stato trovare gli uomini adatti, perché i laterali difensivi del City non si sono dimostrati esattamente padroni del ruolo e in più perché Kolarov (il più presente in assoluto in questa stagione) è stato spesso impiegato come centrale difensivo.

 

Quest’ultimo argomento vale un po’ per tutti i ruoli e per tutta la squadra, perché, confermando i dubbi di quasi tutti a inizio stagione, non tutti i giocatori del Manchester City si sono dimostrati in grado di assimilare appieno i concetti di Guardiola, per limiti tecnici e di comprensione.

 

Bisogna dire che l’ex allenatore di Barcellona e Bayern ha dato opportunità un po’ a tutti: forse il solo bocciato in partenza è stato a Hart, in favore di Caballero prima e Bravo poi, autore però di alcuni errori piuttosto evidenti e che hanno compromesso più di una gara. Come centrali di difesa si sono alternati Otamendi, Stones e Kolarov quando non è stato schierato sull’out di sinistra. Con Zabaleta e Sagna non pienamente convincenti Guardiola ha fatto ricorso anche alla difesa a tre, utilizzando un'ala pura come Sané o Navas (o entrambi, come contro il Chelsea) praticamente da fluidificante.

 

I problemi maggiori riguardano il centrocampo, in particolar modo la posizione di centrocampista davanti alla difesa, dove Pep ha sempre favorito un giocatore in grado di controllare il gioco con e senza palla. Inizialmente aveva scelto

per questo ruolo, cresciuto molto con Guardiola, tanto da diventare un tassello fondamentale nella gestione delle transizioni e nella copertura degli spazi, ma il brasiliano ha già saltato 7 gare per squalifica tra campionato e coppa e la sua assenza è sempre stata pesante.

 

Fernando (che non a caso ha fatto il difensore con il catalano) non ha un profilo paragonabile a quello del connazionale e la recente carriera di Yaya Touré - reintegrato solo dopo aver chiesto

al suo allenatore dopo le vicende dell’estate - dimostra che non è esattamente il centrocampista ideale quando il gegenpressing salta e si trova a difendere le transizioni praticamente da solo insieme ai centrali.

 

Pesa tantissimo l’assenza di Gundogan, di fatto l’unico innesto di rilievo voluto da Guardiola a centrocampo. Il tedesco, che ha cominciato la stagione da infortunato, era stato probabilmente prelevato per giocare da mezzala, ma è capitato che Guardiola lo utilizzasse da regista, visto il positivo adattamento al ruolo di interni di De Bruyne e Silva. La rottura del legamento crociato subita a metà dicembre contro il Watford ha però prematuramente concluso la stagione dell’ex Dortmund, che così si concluderà con soli 1230 minuti giocati.

 

Silva e De Bruyne sono stati sicuramente tra i più positivi in questi primi mesi di regno di Guardiola, anche nelle loro nuove posizioni: lo spagnolo esercita la sua influenza creativa e controlla il ritmo in una posizione più centrale, mentre il belga, già autore di 4 gol e 9 assist in campionato, funge da guastatore tra le linee e con le sue grandi abilità in conduzione anche nella zona nevralgica del campo, diventa arma per scompigliare le difese avversarie. È da promuovere anche la stagione di

fin qui, un giocatore che non sembrava propriamente adatto all’idea “guardioliana”, ma che sta sicuramente migliorando e le cui abilità sono una sorta di unicum nella rosa del City.

 

In attacco Agüero sembrava inamovibile, eppure a Gabriel Jesus, acquistato in estate per circa 30 milioni ma arrivato solo a gennaio, sono bastati 7 minuti con il Tottenham per diventare titolare. Il numero 9 del Brasile ha ripagato la fiducia del suo tecnico segnando all’esordio dal primo minuto contro il West Ham e fornendo un assist, prima di ripetersi con la doppietta valsa la vittoria Swansea.



 

 

Il secondo gol allo Swansea di Gabriel Jesus è valso al City 3 preziosissimi punti.



 

Inoltre ha dimostrato grande applicazione in fase di pressing, tanto che sono già cominciate a circolare voci su un possibile addio del Kun, ormai panchinaro.

 

Guardiola ha definito Jesus “

” perché “devi aprirlo e vedere cosa c’è dentro”: il fatto di aver dato una mano fin da subito alla causa e portato l’entusiasmo dei suoi 19 anni non può che fare bene al clima attorno alla squadra.

 

 



 

Le problematiche emerse a livello individuale hanno costretto Guardiola a valutare volta per volta svantaggi e vantaggi di una determinata inclusione nell’undici titolate, valutando il trade-off di ogni mossa, ma come è normale che sia, dopo sei mesi e mezzo di lavoro, sono emerse anche alcune criticità a livello collettivo.

 

L’apprendimento di un modello di gioco così complesso e così strutturato in ogni fase richiede uno sforzo non indifferente e ha sicuramente tempi lunghi, specie se come in questo caso la squadra non era predisposta in partenza di alcuni elementi coerenti.

 

Non c’è da stupirsi allora se il City ha praticamente sofferto ogni volta che si è trovato ad affrontare squadre in grado di proporre un pressing di alto livello sia dal punto di vista dell’esecuzione che di quello dell’intensità (si pensi alle gare con

, Chelsea, Liverpool).



 

 

È innegabile che i “Citizens” le provino tutte per uscire palla al piede dalla difesa, ma alla fine Otamendi è costretto a calciare lungo a causa del pressing del Liverpool.



 

Come potenziale soluzione, la formazione di Guardiola non è nemmeno stata in grado di proporre una costruzione più diretta, dato che non ha i giocatori offensivi in grado di sostenere una strategia di questo tipo, nonostante sia stata tentata in entrambe le gare contro gli “Spurs”: Agüero (ma nemmeno Gabriel Jesus) non è sicuramente Lewandowski, giocatore fondamentale negli sviluppi più diretti dell’ultimo Bayern di Pep.

 

Anche sotto porta il City potrebbe essere stato più lucido, in alcune occasioni ha creato tanto e raccolto poco, anche se esaminando gli indici statistici non ha subito alcun influsso negativo della varianza. Semmai è preoccupante il dato dei gol subiti, già 29 in campionato: praticamente gli avversari convertono oltre il 15% dei loro tiri, un dato superiore del 50% rispetto alla media del campionato.

 

Questo è l’aspetto più preoccupante e che più ha influito sulla stagione del City, andato sotto alla prima occasione in moltissime situazioni. La difesa della trequarti è spesso troppo passiva e al portatore di palla viene lasciata troppa libertà, senza dimenticare le occasioni in cui i difensori si fanno attirare dal pallone lasciandosi infilare troppo facilmente, o commettono veri e propri errori individuali.



 

 

Prima Touré e Clichy si fanno dribblare troppo facilmente da Davies, poi praticamente tutta la difesa guarda il pallone tra i piedi di Barkley che serve nuovamente il 26 dei “Toffees”. Yaya Touré avrebbe potuto intervenire, ma è troppo lento nel reagire.



 

È probabile che sia un retaggio della precedente gestione, ma ciò che è certo è che si tratta di un problema da risolvere visto che è già costato tanti punti in campionato.

 

Tirando le somme sui primi mesi di questo nuovo capitolo della carriera di Guardiola, il Manchester City non vincerà probabilmente il titolo in questa stagione, ma considerando come è messo in campionato è stato probabilmente oggetto di critiche eccessivamente feroci.

 

La sensazione è che Guardiola fosse atteso al varco, come se un suo fallimento potesse ricollocarlo sullo stesso pianeta di tutti gli altri allenatori. È sempre bene mantenere un certo equilibrio nelle analisi e così come il suo periodo al Bayern, in cui in un certo senso partiva avvantaggiato vista la rosa vincente a disposizione, il suo incarico con il City andrà valutato in un’ottica triennale, considerando che stavolta ha dovuto fare i conti con criticità tecniche, tattiche e ambientali difficilmente superabili in così poco tempo.

 

 

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