Il momento della firma con il Manchester City era considerato da molti come il passaggio fondamentale nella carriera da allenatore di Pep Guardiola: i suoi (pochi ma irriducibili) detrattori gli rimproveravano di aver guidato Barcellona e Bayern Monaco, due tra le squadre più forti del mondo, già di per sé destinate a vincere nel periodo del suo ingaggio. La solita storia delle squadre che potrebbero essere allenate da chiunque.
E invece, con i Citizens le premesse erano diverse: Guardiola ha preso una squadra reduce da un quarto posto in Premier League (il peggior piazzamento delle ultime 6 stagioni), mai realmente in lotta per il titolo, che di fatto aveva puntato tutte le sue fiches sulle coppe, conquistando la prima semifinale di Champions della sua storia e la Coppa di Lega, una specie di canto del cigno della gestione Pellegrini il cui esonero era già ufficiale a metà stagione.
Tra l’altro, l’allenatore cileno non era il solo alla fine di un ciclo, considerato che la rosa del City, con un’età media di 28,4 era una delle più anziane del campionato.
Ma non erano solo i risultati poco soddisfacenti degli ultimi anni ad innalzare il livello di difficoltà della sfida raccolta da Guardiola: il Manchester City aveva dimostrato di avere una serie di problematiche tattiche quasi ataviche, alle quali in tre anni un allenatore esperto e stimato come Pellegrini non era riuscito a porre rimedio. Quando Pep aveva preso in mano il Barcellona, aveva trovato giocatori cresciuti secondo la sua stessa filosofia e per larga parte “figli” della Masia proprio come lui. In Baviera le cose erano state diverse, ma l’elevata intelligenza calcistica media dei giocatori del Bayern Monaco, già ingranaggi di una macchina sapientemente oliata da Heynckes e allenati da uno dei campionati più interessanti dal punto di vista tattico del panorama europeo, si erano messi a disposizione del tecnico catalano, dimostrando una volontà di apprendimento tutt’altro che scontata.
Analfabetismo funzionale calcistico
Non solo gli “Sky Blues” erano analfabeti del linguaggio del juego de posición, ma con Pellegrini non si erano nemmeno dimostrati capaci di agire con continuità in una formazione efficiente che permettesse una circolazione di palla fluida e offrisse più opzioni di passaggio al portatore. Il risultato era una manovra spesso lenta, con giocatori statici, se non letargici, nel supportare il portatore di palla.
Una delle strutture sconnesse che proponeva fino allo scorso anno la squadra di Pellegrini, in questo caso tratta dall’analisi di Manchester City 1-0 PSG.
Un’altra nota dolente erano le transizioni, uno dei più grandi problemi del triennio Pellegrini, con il City che spesso veniva infilato dai contropiedi avversari, con i centrocampisti troppo passivi nel coprire nei ripiegamenti e colpevoli di lasciare i difensori in balia degli attaccanti avversari. Senza una struttura consolidata in possesso, per il City era praticamente impossibile attuare il gegenpressing, cercando di recuperare il possesso appena perduto: le ampie distanze tra un giocatore e l’altro e soprattutto il centro lasciato scoperto con troppa ingenuità erano le cause scatenanti delle difficoltà dei mancuniani in transizione.
Non si salvava nemmeno il pressing dei Citizens, che in maniera molto simile a quello tipico del calcio inglese, era spesso troppo scoordinato, con un riferimento sull’uomo troppo rigido, attuato mantenendo una compattezza praticamente nulla, con la difesa troppo distante dal resto della squadra e un centrocampo troppo poco dinamico per supportare gli attaccanti in pressione. Il pressing del City aveva il prevedibile esito di lasciare sistematicamente scoperte le zone chiave e la sua riuscita si basava praticamente solo sull’iniziativa e l’intensità individuale.
Dopo poco più di metà stagione, il City è terzo in Premier League, a un solo punto dal Tottenham secondo, ma a -10 dal Chelsea di Conte (a cui Guardiola ha di fatto già concesso il titolo) e agli ottavi di Champions League dove affronterà il Monaco. Nelle coppe nazionali è stato eliminato dal Manchester United in Coppa di Lega, mentre è ancora in corsa in FA Cup (5°turno).
Insomma non un ruolino fallimentare, ma stampa e opinionisti non possono che chiedere sempre il massimo ad un allenatore da 21 titoli in 7 stagioni e difatti il catalano è stato di frequente bersaglio della critica.
Fin qui la stagione del Manchester City ha seguito un percorso decisamente contorto: ha vinto le prime 10 partite con Guardiola in carica – segnando 30 reti – prima di entrare in una crisi in cui ha perso 3 partite e ne ha pareggiate altrettante. Dopodiché si è inaspettatamente ripreso, schiantando persino per 3-1 il Barcellona all’Ethiad – anche se secondo Guardiola il City aveva giocato meglio all’andata, persa 4-0 – prima di un altro brutto momento in cui ha perso con Chelsea e Leicester, concedendo 6 punti di margine ai “Blues”, e pareggiato con il Celtic, risultato che ha costretto Guardiola ad accontentarsi del secondo posto nel girone di Champions.
Infine un’altra striscia da 8 vittorie in 11 partite, ma con 2 pesanti sconfitte contro le due squadre di Liverpool: 1-0 contro i “Reds” rivali per l’Europa e un disastroso 4-0 contro l’Everton all’Ethiad.
Se almeno i risultati ultimamente sono tornati ad essere positivi, sono le dichiarazioni di Guardiola (e il suo linguaggio del corpo) ad aver disorientato la stampa, che è tornata a metterlo in discussione. Prima della vittoria con il Bournehmouth ha ammesso di sentirsi al tramonto della sua carriera da allenatore (dichiarazione poi rettificata), mentre nel post-partita ha concesso una stralunata intervista che ha stupito molti. Stupore tramutatosi in sconcerto quando, dopo la peggior sconfitta della sua carriera (il 4-0 con l’Everton), si è congratulato con i suoi giocatori.