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Van Bronckhorst ha dato una dimensione europea ai Rangers
04 mag 2022
04 mag 2022
La squadra scozzese potrebbe raggiungere una finale di Europa League che sarebbe storica.
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Giovanni van Bronckhorst ha uno strano sogno: allenare tutte le squadre in cui ha giocato da calciatore, cioè Feyenoord, Rangers, Arsenal e Barcellona, oltre ovviamente alla Nazionale olandese. Lo ha rivelato nel maggio del 2020, in un momento di secca per la sua carriera e per il calcio intero. All’inizio di quell’anno aveva firmato un contratto con Guangzhou R&F, poco dopo il calcio si era fermato. Nel frattempo aveva continuato a collaborare con il City Football Group, in cui era entrato l’anno precedente senza chiarire cosa ci facesse lì dentro. Sarebbe diventato il secondo di Guardiola? Sarebbe andato ad allenare una delle squadre dell’enorme multinazionale emiratina? «L’anno scorso sono stato cinque mesi nel City Football Group e ho passato un sacco di tempo a Manchester con Pep», aveva dichiarato «È stato molto aperto. Mi ha parlato dei suoi metodi di allenamento e ho avuto la possibilità di guardare tutto e parlare con il suo staff». Era ormai quasi un anno che non allenava davvero, o che almeno non allenava in Europa, e ci si chiedeva se quella sua prima fulminante esperienza al Feyenoord non fosse stato nient’altro che un abbaglio. Pochi mesi dopo si dimetterà da allenatore della squadra cinese, ufficialmente per non rimanere lontano dalla propria famiglia in un Paese che per via delle sue politiche sulla repressione del Covid rendeva molto difficile spostarsi.


 

Van Bronckhorst aveva iniziato la sua carriera alla grande, lasciando il segno al Feyenoord da allenatore persino di più di quanto avesse fatto da calciatore. Il primo anno in carica, dopo aver perso sette partite di fila in campionato tra dicembre e febbraio, aveva vinto la Coppa d’Olanda. Poi, nella stagione 2016-17, il capolavoro: la vittoria dell’Eredivisie, la prima per il Feyenoord dal 1999, conclusa con appena un punto in più dell’Ajax, che era già l’embrione dell’Ajax di de Ligt, di Ziyech, di de Jong, di van de Beek e di tutti quegli altri giocatori che ricordiamo bene per il loro cammino trionfale in Champions League due anni dopo. «Ad essere onesti, lo sappiamo che un campionato così è irripetibile», ha dichiarato anni dopo, ancora incredulo di ciò che lui stesso aveva fatto. Quanti anni passeranno ancora prima che il Feyenoord riuscirà di nuovo a rompere il duopolio Ajax-PSV sul campionato olandese? Negli anni successivi, nonostante l’inevitabile anti-climax, altri risultati notevoli: due Supercoppe olandesi tra il 2017 e il 2018, soprattutto l’incredibile vittoria per 6-2 contro l’Ajax il 29 gennaio del 2019. Uno scarto così ampio tra le due squadre non si vedeva in campionato dal 1964, quando la squadra di Amsterdam perse addirittura 9-4.



Van Persie, che segna la doppietta decisiva (portando il risultato da 2-2 a 4-2), a fine partita restituisce bene la sensazione di liberazione dai limiti che si sentiva in quel Feyenoord, persino in una stagione deludente, conclusa al terzo posto, lontanissimo proprio da PSV e Ajax. Dopo aver acceso il pubblico alla fine del primo tempo, chiuso sul 3-2, ha ricordato di essere rientrato negli spogliatoi, di essersi guardato intorno e aver pensato: «Wow, questo è bellissimo. Sta succedendo qualcosa oggi». Cosa era rimasto di tutto questo un anno dopo? Van Bronckhorst aveva lasciato al termine di quella stagione annunciandolo ancora prima che finisse, sfibrato da alcune incomprensioni con il suo stesso spogliatoio, costretto a dichiarare di non volersene andare perché si sentiva cacciato.


 

La sua esperienza a quel punto deve essere sembrata nient’altro che un’illusione, per qualcuno era diventata addirittura il simbolo di un’intera generazione di ex-calciatori olandesi che non erano riusciti a emergere come allenatori. Non solo van Bronckhorst, anche van Bommel, Phillip Cocu, Jaap Stam, Edgar Davids, Clarence Seedorf e Patrick Kluivert: tutti giovani allenatori olandesi che dopo un primo periodo di successo in patria adesso sono disoccupati o in grossa difficoltà. Il novembre dello scorso anno NOS, uno dei media che fanno parte della televisione pubblica olandese, poco prima dell’ingaggio di van Bronckhorst da parte dei Rangers aveva titolato: “La bancarotta di una generazione di allenatori privilegiati”. Nel pezzo si ipotizza che una delle possibili cause possa essere l’accorciamento del percorso previsto in Olanda per diventare allenatori. Un’altra possibilità è il contesto unico creato in Eredivisie dalla grande scuola tattica olandese. Quello olandese è infatti il campionato in cui nel decennio 2010-19 hanno allenato meno allenatori stranieri, forse proprio per la cultura della formazione dei Paesi Bassi che rende più conveniente crescersi un allenatore in casa che prenderlo da fuori, o forse anche per le peculiarità del calcio olandese che lo rendono unico in Europa. Per la predisposizione necessaria per far crescere i giovani, certo, ma anche per un’abitudine a discutere le decisioni prese dall’allenatore che non esiste negli altri Paesi. Secondo Mario Captein, direttore di Coaches Betaald Voetbal, l’associazione professionale olandese per le posizioni tecniche nel calcio, «negli altri Paesi tutti seguono l’allenatore senza fare domande; in Olanda i giocatori vogliono sapere perché fanno ciò che gli viene chiesto: è la nostra cultura». E se questa impostazione dialogica fosse un ostacolo non solo per gli allenatori stranieri che lavorano in Olanda, ma anche per quelli olandesi all’estero? Forse è un salto logico eccessivo, ma rimane il fatto che negli ultimi anni gli unici allenatori olandesi ad essere riusciti a fare il salto nel grande calcio europeo sono Peter Bosz e Erik ten Hag, entrambi emersi nel contesto unico dell’Ajax, entrambi con risultati ancora tutti da vedere fuori dall’Olanda.


 

Mentre le ipotesi si affastellavano una sopra l’altra, sostenute alla base da un manco così velato risentimento verso una generazioni di ex calciatori che in Nazionale si era sempre fermata a un passo dalla storia nel modo più tragico possibile (la semifinale persa con l’Italia in casa agli Europei del 2000, quella contro il Portogallo persa quattro anni dopo, i quarti persi con la Russia ai supplementari in quelli del 2008, la finale mondiale persa nel 2010 ancora una volta ai supplementari), van Bronckhorst ha deciso a sorpresa di riavviare la sua carriera di allenatore mettendo quasi tutto in gioco pur di seguire il suo sogno di allenare tutte le squadre in cui aveva già giocato. Ai Rangers, da calciatore, ci era andato la prima volta nell’estate del 1998, anche in quel caso lasciandosi alle spalle il Feyenoord, seguendo in Scozia Dick Advocaat. Ennesimo ricorso della sua storia: Advocaat, che aveva allenato van Bronckhorst nelle giovanili del Feyenoord, era stato assunto dalla squadra di Rotterdam nel suo primo anno da allenatore come una specie di vecchio consigliere nel momento in cui le cose per lui sembravano in procinto di crollare. Van Bronckhorst ha detto che la sua sola presenza lo aveva aiutato. Allenato da Advocaat ai Rangers van Bronckhorst ha vinto due campionati, due coppe nazionali e una coppa di lega. Adesso che aveva deciso di tornarci da allenatore, però, la musica era completamente cambiata: in ogni caso questa volta non sarebbe stata una parentesi, nel bene o nel male.


 

Van Bronckhorst è arrivato in Scozia nel novembre dello scorso anno per sostituire Steven Gerrard, nel frattempo diretto all’Aston Villa, quasi esattamente 20 anni dopo essersene andato da calciatore. Pensate alla quantità di ostacoli: non solo van Bronckhorst è entrato in corsa prendendo in consegna una squadra costruita per un altro allenatore, non solo ha dovuto sostituire una leggenda del calcio mondiale, soprattutto si è seduto sulla panchina del club scozzese con la consapevolezza che avrebbe dovuto reggere il confronto con l’allenatore che aveva riportato il titolo nazionale nelle mani dei Rangers a dieci anni dall’ultima volta, il primo dopo il fallimento. Non vi basta? Il suo esordio in panchina è arrivato in una partita di Europa League che era di fatto uno spareggio per il secondo posto del girone con lo Sparta Praga. Se non avesse vinto quella prima partita (2-0: doppietta di Alfredo Morelos), probabilmente il miracolo dei Rangers in coppa non ci sarebbe stato e questo pezzo non sarebbe stato mai scritto.


 

Inevitabilmente il percorso che ha portato van Bronckhorst a prendere possesso della squadra e a convincere i tifosi è stato tortuoso e interrotto da momenti di difficoltà che potevano decretarne la fine. Il punto di svolta, in questo senso, è stata la netta sconfitta subita dal Celtic all’inizio di febbraio, una partita che ha segnato il sorpasso in vetta alla classifica del campionato scozzese e che ha dimostrato una remissività tale da parte dei Rangers da spingere l’allenatore olandese a dichiarare che «sembrava il primo Old Firm che avessimo mai giocato».



Anche se non possiamo avere la controprova, non è così peregrino pensare che sia stata proprio quella partita a spingere van Bronckhorst a puntare strategicamente sull’Europa League, iniziando a lavorare su un’identità più aggressiva e spregiudicata che potesse pagare di più nel doppio scontro a eliminazione diretta. D’altra parte, quali altre possibilità aveva per prendere il posto di Gerrard nel cuore dei tifosi dei Rangers? Un secondo campionato vinto non avrebbe mai avuto il peso di quello storico della scorsa stagione, van Bronckhorst poteva rilanciare sull’entusiasmo solo con una grande corsa in Europa - qualcosa che sembra fuori dalla portata delle squadre scozzesi da ormai troppo tempo. Da qui la decisione di abbandonare la pretesa di dominare la partita controllando lo spazio con un blocco medio-basso che aveva caratterizzato l’era Gerrard e l’adozione di una linea di difesa molto più alta e un pressing molto più aggressivo, spesso con marcature a uomo a tutto campo, anche contro avversari di livello superiore. Una decisione, insomma, che cercava di calcolare il rischio, o forse sarebbe meglio dire che accettava serenamente i rischi, consapevole del fatto che, soprattutto dopo la riforma della regola dei gol in trasferta, in coppa aveva più senso provare a segnare un gol in più dell’avversario che provarne a prenderne uno in meno. E questo soprattutto per una squadra come i Rangers, che contro squadre di un certo livello non ha difensori in grado di difendere in area e reggere la pressione per troppo tempo.


 

L’evoluzione dell’identità dei Rangers ha coinciso con l’inclusione di giocatori fino a quel momento non erano proprio centrali all’interno della rosa, ma che adesso sono funzionali a un gioco che porta la squadra scozzese ad allungarsi sul campo e ad essere molto più proattiva nel cercare di recuperare la palla in alto sul campo. In difesa questo ha significato l’inserimento in pianta stabile di Calvin Bassey, giovane centrale inglese di origini nigeriane per qualche strana ragione nato ad Aosta. Un difensore che sembra avere il NOS quando accelera sui primi passi. Grande rivelazione di questa stagione del campionato scozzese, Bassey è fondamentale non solo in progressione per l’uscita del pallone dal basso ma soprattutto nel recupero degli avversari in profondità, quando spesso e volentieri le marcature in pressing saltano e i Rangers devono velocemente ripiegare in inferiorità sotto la linea del pallone. Un’altra novità importante è stata la nuova centralità data in mezzo al campo a John Lundstram, pentatleta reso centrocampista dal fango del calcio inglese che sembra nato per correre senza palla. Con il torace che potrebbe contenere un’altra persona rannicchiata, Lundstram ha il compito di coprire più campo possibile e ha un’importanza non indifferente anche con il pallone - tanto che nell’ultima partita europea contro il Red Bull Lipsia ha addirittura ricoperto il ruolo di libero di una difesa a tre, in un sorprendente approdo al 3-5-2. Di sicuro è uno di quei giocatori di cui van Bronckhorst non si priverebbe mai, l’Atlante scouse (è nato e cresciuto a Liverpool, anche se su sponda Everton) sulle cui spalle si regge tutta la fatica di questa nuova spregiudicata identità dei Rangers.


 

Giocatori come Bassey e Lundstram sono puntelli necessari per una squadra che, al di là della nuova impostazione tattica, ha anche un’anima prettamente offensiva. In attacco spiccano le capacità di finalizzazione quasi magiche di Alfredo Morelos, uno di quei giocatori che non sembrano avere nessuna qualità apparente a parte quella intangibile di trovarsi sempre al posto giusto al momento giusto per spingere il pallone in porta, e l’arte del dribbling di Ryan Kent, un uomo che sembra sceso dalle gradinate di Ibrox per giocare con i Rangers ma che sa correre con la palla attaccata al piede con una qualità che non ha quasi nessuno nel campionato scozzese. Persino in difesa la squadra di van Bronckhorst è proiettata in avanti, con i due terzini-crossatori Borna Barisic e James Tavernier - quest’ultimo con uno dei migliori piedi d’Europa quando c’è da mettere la palla in area. Tavernier è forse il più freak tra i tanti freak di questa squadra: fisico e viso da fauno, Tavernier ha ogni anno numeri da seconda punta di una squadra di alta classifica nonostante sia formalmente un terzino destro di una difesa a quattro. Attualmente è a quota 15 gol e 15 assist in tutte le competizioni, è anche capocannoniere dell’Europa League a pari merito con Galeno e Toko-Ekambi (certo, è rigorista).


 

Le scelte di van Bronckhorst hanno reagito in maniera esplosiva con l’identità della rosa dei Rangers, dando vita ad alcune delle partite più spettacolari di questa stagione di calcio europeo. Persino quelle che guardando solo il risultato finale potrebbero sembrare più tranquille, come il 3-0 rifilato allo Stella Rossa ad Ibrox, sono in realtà frutto di 90 minuti di follia, in cui la squadra di Stankovic ha sbagliato un rigore, ha preso una traversa e si è vista annullare ben tre gol a favore. Forse, però, il capolavoro di van Bronckhorst in questa stagione di Europa League è arrivata nel doppio confronto contro il Borussia Dortmund, finito in aggregato 6-4. 180 minuti in cui non è retorica dire che sia successo di tutto, tra legni, occasioni mancate e gol incredibili. Tra questi anche un gran tiro a giro da fuori area del soldato semplice John Lundstram, che ha concluso nel migliore dei modi una progressione in dribbling di Ryan Jack a sinistra da cui sembravano schizzare fuori i fuochi d’artificio.



Van Bronckhorst sembra aver capito l’evoluzione del calcio europeo negli ultimi anni, che sembra premiare chi è più in grado di portare dalla propria parte l’entropia di ogni singola partita invece di provare a fermare il mare con le mani. Oltre alle intuizioni tattiche, lui ci ha messo il coraggio di puntare alla roulette nonostante il livello degli avversari continuasse ad alzarsi. Come hanno scritto Jordan Campbell e Mark Carey su The Athletic: “Questa squadra non resiste ma surfa onda su onda, e senza essere a disagio nonostante le onde diventino sempre più grandi”. Solo nell’andata della semifinale contro il Red Bull Lipsia alla fine van Bronckhorst ha tremato, forse consapevole che avrebbe potuto giocarsi tutto in quegli ultimi 90 minuti che lo dividono da una finale europea che sarebbe miracolosa e storica a Ibrox (i Rangers non si giocavano una semifinale di Europa League da 14 anni, quando vinsero ai rigori contro la Fiorentina). La squadra scozzese, come detto, sono infatti passati al 3-5-2 difendendosi molto più bassi rispetto a quanto sono abituati a fare. La mossa non ha pagato, ma dove non è arrivato il calcio è arrivata la fortuna: la squadra scozzese ha concesso diverse ricezioni tra le linee pericolose, ma il risultato sarebbe potuto essere molto più largo di quanto effettivamente è stato (1-0).


 

Nel frattempo i Rangers sono anche tornati a battere il Celtic nella coppa scozzese, al termine di un’altra partita pazza vinta solo ai supplementari. Nonostante in campionato sia a sei punti di distanza dai loro eterni rivali, la squadra di van Bronckhorst è a tre partite di distanza da due trofei che consegnerebbero alla storia una stagione incredibile.


 

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