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Dario Saltari
Come si utilizzano i cinque cambi?
22 set 2022
22 set 2022
A più di due anni dal loro ingresso non è ancora chiarissimo.
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Dario Saltari
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Jonathan Moscrop/Getty Images
(foto) Jonathan Moscrop/Getty Images
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Quando pochi giorni fa un mio amico della Juventus, in cerca di risposte sulla crisi di risultati della squadra di Allegri, mi ha detto che il calcio dopo l’introduzione delle cinque sostituzioni è completamente cambiato io mi sono affrettato a rispondergli che aveva ragione. Ma pensandoci più a fondo mi sono reso conto che in realtà non lo sapevo davvero e se mi avesse chiesto come è cambiato il calcio con le cinque sostituzioni non avrei saputo rispondere, se non in maniera vaga e imprecisa.

Nelle ultime settimane, in Italia, il tema dei cambi si è preso il centro della scena. Le motivazioni sono diverse ma tutte riconducibili a due allenatori che fino a poche partite fa pensavamo essere dei maestri nel leggere le partite e saperle cambiare attraverso le sostituzioni e i cambi tattici, e cioè Simone Inzaghi e Massimiliano Allegri. In un pezzo del dicembre del 2018, quando ancora il numero massimo di sostituzioni disponibile era fermo a tre, ad esempio qui sull’Ultimo Uomo lodavamo la capacità quasi alchemica di Allegri di plasmare una partita a proprio piacimento. “Allegri brilla nella cosiddetta lettura della partita", ha scritto Federico Aquè “una qualità che non si limita soltanto alla scelta delle sostituzioni ma riguarda la capacità di analizzare la gara e di prevederne lo sviluppo, intervenendo per indirizzarla nella direzione voluta, non per forza con una sostituzione”. Nel pezzo sono elencate le partite in cui l’intervento di Allegri a partita in corso è risultato più decisivo e in cima troviamo un Tottenham-Juventus 1-2, ottavi di ritorno della Champions League 2017/18, in cui l’allenatore bianconero, sotto di un gol alla fine del primo tempo, aveva ribaltato l’inerzia della sfida cambiando modulo, e sostituendo Matuidi e Benatia per Asamoah e Lichtsteiner.

È ironico e significativo che oggi, nel momento forse più cupo dell’esperienza juventina di Allegri, si sia tornato a parlare dei suoi cambi, ma sotto una luce completamente diversa. Nella cocente sconfitta di Champions League contro il Benfica, il tecnico livornese ha provato a intervenire solo tre minuti dopo aver subito l’1-2 per opera di David Neres passando dal 3-5-2 al 3-4-3 attraverso l’inserimento di Di Maria e De Sciglio per Cuadrado e Miretti. La mossa, però, ha sbilanciato ulteriormente la Juventus e dopo una decina di minuti Allegri ha deciso di cambiare di nuovo, ancora con un doppio cambio: dentro Fagioli e Kean per Kostic e Milik, e passaggio al 4-3-3. Come sappiamo, però, nemmeno questa mossa ha dato gli effetti sperati e alla fine della partita si è parlato molto del video in cui Di Maria sembra chiedere a Milik, forse il migliore dei suoi, perché fosse stato sostituito. Un’immagine che sembrava confermare una distanza di comprensione tra l’allenatore e la sua squadra.

Non stupisce, quindi, che dopo questa partita tra i tifosi juventini ci sia anche chi ipotizzi che Allegri, con cinque cambi a disposizione, stia facendo confusione. Tra le tante teorie sul recente declino della Juventus quella che vede il proprio allenatore incapace di capire un calcio completamente stravolto dalle cinque sostituzioni può essere molto seducente. D’altra parte l’esperienza di Allegri alla Juventus si è chiusa al suo apice quando erano permesse massimo tre sostituzioni e si è riaperta in maniera grigia quando le sostituzioni permesse erano diventate massimo cinque. Fare due più due è fin troppo semplice. Talmente semplice che delle cinque sostituzioni venne chiesto ad Allegri già durante la sua nuova conferenza stampa di presentazione alla Juventus, nel luglio del 2021. «Spero di non far casino, non ci sono abituato», aveva risposto l’allenatore livornese, con una risata che adesso starà risuonando negli incubi dei tifosi della Juventus. «È una buona possibilità, ma sta all'allenatore gestire le sostituzioni. Un bel vantaggio è che a fine primo tempo, se la gara è storta, puoi cambiarne quattro». Nemmeno due mesi dopo, alla luce dei primi insipidi risultati della Juventus (due pareggi e due sconfitte nelle prime quattro partite di campionato), Mario Sconcerti già lo accusava di non aver capito la nuova gestione dei cambi. Alla prima di campionato, in vantaggio per 1-2 sul campo dell’Udinese dopo un’ora di gioco, Allegri, sfruttando la nuova regola, aveva cambiato tre giocatori in un colpo solo (Ramsey, Bernardeschi e Morata per Chiellini, Kulusevski e Ronaldo) e si era visto rimontare nei minuti finali da Deulofeu. Secondo Sconcerti quel momento aveva spinto Allegri a fare meno sostituzioni di quanto permesso (solo tre nelle ultime due giornate disputate prima di quel pezzo) dimostrandosi non in linea con i tempi: “Nel suo inconscio è rimasta l’abitudine di quasi venti anni di calcio guidato dalla panchina con le tre sostituzioni ammesse”.

La scorsa stagione di Serie A sembrava aver confermato che nel nuovo calcio era necessario fare tutte e cinque le sostituzioni. Il Milan, che ha vinto lo Scudetto, ne ha fatte 4.6 a partita, mentre la squadra che ne aveva effettuate di più di tutte, l’Inter (4.9 a partita), era anche quella che ha proposto il calcio più moderno e piacevole. Già alla Lazio Simone Inzaghi si era affermato come uno stregone dei cambi vincendo diverse partite oltre il 90esimo, per esempio mettendo in campo il deus ex machina Felipe Caicedo, e la scorsa stagione all’Inter sembrava aver cementato questo suo status soprattutto dopo la vittoria della Supercoppa Italiana proprio contro la Juventus di Allegri, con un gol di un subentrato al 75esimo (Alexis Sanchez) su assist di un subentrato all’89esimo (Matteo Darmian). Pochi giorni prima di quella partita Simone Inzaghi era andato nella redazione della Gazzetta dello Sport per rispondere ad alcune domande e aveva spiegato la sua ossessione per le sostituzioni dei giocatori ammoniti proprio con la nuova regola dei cinque cambi. «Da quando sono state introdotte le cinque modifiche ho sempre prestato attenzione a questo. Hai questa fortuna e devi cercare di fare le cose giuste. A Bologna con la Lazio ho chiamato Leiva, quando ho chiamato il cambio ho preso il secondo giallo e in dieci non siamo riusciti a vincere».

Anche queste parole lette oggi fanno tutto un altro effetto. L’Inter viene da una sconfitta molto dura contro l’Udinese dopo la quale si è discusso del peso dei cambi di Inzaghi, ancora una volta molto preoccupato di poter rimanere in dieci contro undici. Già al 31esimo del primo tempo, con la partita sull’1-1, l’allenatore piacentino ha sostituito due giocatori ammoniti (Mkhitaryan e Bastoni), senza però riuscire ad arginare il gioco di transizioni della squadra di Sottil, per poi vedere la situazione precipitare al 67esimo dopo il terzo cambio di un giocatore ammonito (Darmian, sostituito con D’Ambrosio). Forse l’introduzione dei cinque cambi ha amplificato il desiderio di controllo totale delle variabili di una partita da parte degli allenatori più apprensivi come Inzaghi, che adesso hanno un potere maggiore nel deviare il corso della partita da una parte o dall’altra, fino al punto di farsi del male da soli.

A partire da questa estate il nostro campionato, insieme agli altri principali campionati europei, sono stati presi come cavie dalla Premier League, fino alla scorsa stagione l’ultimo tra questi a mantenere i tre cambi a partita. Il campionato inglese ha cercato di ritardare il più possibile l’adozione della nuova regola, principalmente per il timore che potesse allargare ulteriormente la distanza tra le piccole e medie squadre e le big six, che possono permettersi rose più profonde e di qualità migliore. Se ricordate era questa la paura anche nel resto d’Europa, quando la regola è stata adottata a partire dalla ripresa dei campionati dopo il primo lockdown per la pandemia di Covid-19. In un pezzo pubblicato su The Ringer nel luglio del 2020, ad esempio, Musa Okwonga scriveva che “c’è la paura che aumentare le sostituzioni finirebbe per avvantaggiare maggiormente le squadre più ricche”. Il titolo del pezzo diceva che “le sostituzioni extra suggeriscono un’evoluzione del calcio più grande” ma oggi, a più di due anni da quel momento, è difficile dire quale direzione abbia preso, quell’evoluzione.

Tra le persone che non sono d’accordo con la teoria secondo cui le cinque sostituzioni aiuterebbero i club più grandi e ricchi c’è Pep Guardiola, che verso la fine della scorsa stagione ha dichiarato che la regola «è uguale per tutti»: «Non giochiamo in 12 contro 11». Ovviamente Guardiola è l’allenatore di uno dei due club più ricchi al mondo e quindi sarebbe strano (o troppo onesto) se dicesse il contrario, ma la sua posizione è comunque interessante alla luce dell’uso molto peculiare che fa dei cambi. La scorsa stagione, infatti, il Manchester City è stata la squadra in Premier League che ha fatto meno cambi in assoluto, di media 2.1 a partita, lontana dalle squadre che hanno fatto tre cambi in ogni singola partita di campionato, come il Manchester United, un’altra squadra estremamente ricca autrice di una stagione molto deludente. Il dato è interessante anche perché l’altra squadra più ricca del mondo, il PSG, che gioca in un campionato che invece aveva già introdotto le cinque sostituzioni, è a sua volta in fondo alla classifica della Ligue 1 per il numero medio di cambi a partita: 3.7, all’ultimo posto a pari merito con il Lione.

Questo vuol dire quindi che le squadre più vincenti sono quelle che cambiano di meno? In realtà, secondo due studi, uno pubblicato da ESPN e uno da The Athletic, non esiste nessuna correlazione tra il numero di cambi e i punti fatti nella scorsa stagione nei quattro principali campionati europei che avevano già adottato le cinque sostituzioni. Allo stesso modo non sembra esistere correlazione tra la semplice grandezza della rosa e i punti ottenuti (sia Guardiola che Simeone, che come vedremo hanno un approccio opposto ai cambi, preferiscono ad esempio rose ristrette). Rimanendo in Serie A, ci sono squadre di grandezza simili che hanno fatto lo stesso numero di cambi ma che hanno avuto stagioni molto diverse, come l’Empoli e il Genoa (entrambe 4.7 cambi a partita).

Più interessante è il dato che mostra una correlazione tra il minuto medio in cui vengono effettuate le sostituzioni e i punti ottenuti, che mostra come le squadre più grandi e dominanti effettuino i cambi più tardi durante la partita. La spiegazione sembra essere più semplice di quanto non sembri, e cioè che le squadre occupano i primi posti della classifica tendano a indirizzare prima la partita dalla propria parte, utilizzando i cambi nei minuti finali per far rifiatare alcuni giocatori. Fare i cambi presto può invece avere senso se si è indietro nel punteggio o in difficoltà nel gioco, una ricerca citata da The Athletic identifica anche il minuto ottimale in cui fare le sostituzione (al 58esimo la prima, con tre cambi a disposizione).

Per vedere delle grandi squadre che effettuano delle sostituzioni per cambiare il corso della partita bisogna andare in Champions League, dove il livello tecnico più alto rende le partite più aperte. Nell’ultima giornata, ad esempio, il Bayern Monaco (che in campionato l’anno scorso effettuava le proprie sostituzioni di media intorno al 70esimo) è riuscito a riportare sui propri binari una partita difficile contro il Barcellona con un cambio tattico effettuato alla fine del primo tempo che ha visto uscire Sabitzer per Goretzka, come notato da Daniele Morrone. Allo stesso modo, il Manchester City, molto in difficoltà per oltre un tempo contro il Borussia Dortmund, per ammissione del suo stesso allenatore è riuscito a cambiare passo grazie al triplo cambio effettuato al 58esimo (Alvarez, Silva e Foden per Mahrez, Gundogan e Graelish). «Con questo calendario pazzo abbiamo bisogno di tutti. E adesso con le cinque sostituzioni l’impatto dei ragazzi dalla panchina è ancora più importante», ha dichiarato Guardiola, come se avesse appena scoperto il potere di un nuovo strumento magico.

Anche all’interno dei campionati nazionali, però, esistono grandi squadre che per problemi contingenti o stile di gioco, utilizzano i cambi anche come arma tattica e non solo come strumento per far riposare i giocatori. Un esempio particolarmente rilevante è l’Atletico Madrid, tra i top club europei di gran lunga quello che ha anticipato di più i propri cambi nelle partite di campionato nella scorsa stagione (la media li piazza intorno al 64esimo minuto). Simeone è stato fin da subito uno degli allenatori più entusiasti dell’innovazione dei cinque cambi, confermando la sua appartenenza alla scuola tattica italiana per cui la lettura della partita è fondamentale (non è un caso che altre due importanti eccezioni sono il Milan e la Juventus, di cui parleremo più avanti). Già nel giugno del 2020 Simeone si diceva entusiasta della nuova regola dichiarando che «è chiaro che chi entra fresco nel secondo tempo finisce per essere decisivo» e che «ogni minuto ha un valore enorme». Secondo ESPN, la scorsa stagione l’Atletico Madrid ha effettuato tutti e cinque i cambi 24 volte, con la quinta sostituzione arrivata relativamente molto presto (di media al minuto 79.58, prima di tutti e nove gli altri top club europei presi in considerazione), e nelle partite in cui l’ha fatto è riuscito a guadagnare 11 punti da risultati parziali di pareggio o sconfitta (perdendone invece solo 3 da risultati parziali di vittoria). Anche quest’anno il trend sembra confermato, con l’Atletico che per esempio ha vinto al Mestalla contro il Valencia con un gol di Griezmann entrato a metà del secondo tempo (anche se non proprio per scelta tecnica, ma questa è un’altra storia), o in casa in Champions League contro il Porto con un altro gol di Griezmann e un altro di Hermoso (entrambi entrati nel secondo tempo).

La Serie A, come abbiamo detto, è a sua volta un’eccezione all’interno dei principali campionati europei. L’Inter, per via dell’ansia di Simone Inzaghi, è la squadra che la scorsa stagione per più volte ha effettuato tutti e cinque i cambi (35, ed è strano per le squadre che hanno un gioco moderno e dominante come il suo: per paragone il PSG lo ha fatto solo 8 volte, il Real Madrid 17), e allo stesso modo il Milan, forse per il campionato più complicato di quanto lo scudetto non dica, ha fatto affidamento spesso ai cinque cambi e cercando di anticiparli per amplificarne l’effetto. Se le squadre milanesi hanno però effettuato il quinto cambio soprattutto in vantaggio nel risultato, come fanno quasi tutte le grandi squadre prese in esame da ESPN, la Juventus è il club in Italia che più si avvicina alla filosofia dell’Atletico Madrid, avendo realizzato tutte e cinque le sostituzioni spesso anche in situazione di svantaggio (circa il 53% delle volte per la precisione).

Al contrario della squadra di Simeone, però, quella di Allegri non è quasi mai riuscita a utilizzare i cinque cambi a proprio favore, e anzi spesso ha peggiorato la situazione. Da situazioni di pareggio o svantaggio, infatti, la Juventus la scorsa stagione ha realizzato solo un punto dopo aver fatto tutti i cambi, mentre ne ha persi addirittura cinque in quelle partite in cui li ha fatti da posizione di vantaggio nel punteggio parziale. Quest’anno il campione di partite è ancora molto piccolo ma per adesso la situazione non pare migliorata. Secondo Sky Sport, che però prende in esame solo i punti guadagnati per via dei gol segnati da giocatori entrati dalla panchina, la Juventus deve ancora fare un punto in Serie A “grazie” ai cambi. Sembrano lontani, insomma, i tempi dei gol all’ultimo secondo di Cuadrado.

Ovviamente il calcio è complesso e i dati vanno sempre contestualizzati. Non sempre i cambi sono azzeccati solo perché una squadra riesce a ribaltare il risultato e allo stesso modo non è detto che le sostituzioni siano sbagliate solo perché si subisce un gol al novantesimo. Da questi due studi, però, possiamo comunque ricavare alcune informazioni interessanti. La più importante è che il calcio europeo d’élite, nella sua corsa all’eliminazione dell’imprevedibilità, cerca di dominare l’avversario già dal piano gara e utilizza i cambi quasi esclusivamente per mantenere alta l’intensità fisica e per prevenire gli infortuni. All’interno di questo scenario le uniche eccezioni derivano quasi tutte da allenatori italiani o cresciuti nella scuola tattica italiana, che predilige un gioco reattivo e cerca di utilizzare i cambi per indirizzare il caos del calcio dalla propria parte.

Da questo punto di vista, Inzaghi e Allegri hanno di certo adottato un approccio creativo ai cinque cambi, anche se solo il primo li utilizza tutti quasi sempre. La notizia è che i cambi, se fatti con il giusto tempismo, hanno sì un effetto sulla partita, anche se non sempre è quello che si desidera. Su questo però incide anche la costruzione della rosa e il numero degli infortuni, e nel quadro andrebbero quindi messe anche le abilità dei dirigenti e il ruolo della fortuna. Il calcio rimane materia instabile che va maneggiata con delicatezza, e il ruolo dell’allenatore all’interno della partita simile a quello dell’alchimista. I cambi come ogni altra arma tattica, vanno usati nelle giuste dosi e nei giusti momenti, e su questo ognuno ha le proprie idee a riguardo. Purtroppo però nulla impedisce che nel cercare di trasformare il piombo in oro si possa rimanere avvelenati.

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