Le estati NBA punteggiate di novità stilistiche non sono più una novità da diversi anni ormai, ma un’onda anomala come quella della collezione Primavera/Estate 2015 ha ben pochi precedenti. Ben cinque franchigie, infatti, hanno speso una buona fetta degli ultimi 12 mesi a ripensare interamente la propria brand identity. E non è un caso che tre di esse—Atlanta Hawks, Milwaukee Bucks e LA Clippers—abbiano visto le poltrone dei propri vertici societari cambiare proprietario nel medesimo lasso di tempo.
I Toronto Raptors poi, pur restando saldamente in mano alla Maple Leafs Sports and Entertainment, si sono comunque uniti alle sopracitate, rinnovando il proprio look anche con il contributo del loro tifoso più celebre e Global Ambassador, il rapper Drake. Discorso diverso va fatto per i Philadelphia 76ers, che pur avendo ripreso in mano ogni voce dell’identità della franchigia, di fatto ne hanno solo messo a punto un restyling.
Cinque franchigie dunque, una dozzina abbondante di loghi e quasi altrettante uniformi. Alcuni decisamente riusciti, altri meno.
Milwaukee Bucks
I primi a rendere ufficiali le generalità della loro rinnovata brand identity sono stati i Milwaukee Bucks, che lo scorso aprile hanno rotto gli indugi presentando un nuovo set di loghi al BMO Harris Bradley Center, nel corso di un evento per media e tifosi tenutosi in contemporanea con la trasferta di Antetokounmpo e soci a Philadelphia.
Nell’intervallo della partita, trasmessa per l’occasione sul jumbotron dell’arena, tre artisti locali si sono cimentati in una prova di speed painting, dando vita ai tre nuovi emblemi dei Bucks in meno di otto di minuti, di fronte a una platea visibilmente soddisfatta.
Archiviato il fin troppo natalizio schema verde/rosso/argento, si è optato per un più boschivo verde/crema/azzurro, combinazione ufficialmente ribattezzata good land green/cream city cream/great lakes blue. Il verde, in rappresentanza dei fitti boschi del Wisconsin, è il comune denominatore della storia dei Bucks, mentre l’azzurro è stato chiamato in causa per simboleggiare i grandi laghi e i fiumi che bagnano le terre del Badger State.
La scelta del crema, infine—novità assoluta per la NBA—deriva da un particolare tipo di argilla, caratteristico della valle del fiume Menomonee e di alcune zone del lago Michigan. Un’argilla che dà origine a un altrettanto caratteristico tipo di mattone, appunto color crema, con il quale sono stati costruiti alcuni dei più longevi e caratteristici edifici di Milwaukee. Non a caso soprannominata Cream City.
Il logo primario dei Milwaukee Bucks.
Rappresentato frontalmente, il cervo del primary logo ha un palco di corna più ampio del suo predecessore, e l’incremento da 8 a 12 punti ne simboleggia la crescita e la maturazione. Le linee dei palchi più interni, poi, richiamano quelle di un pallone da pallacanestro, mentre lo sguardo, più fiero e penetrante, è sostenuto da uno snello torace a forma di lettera M. Lo sfondo crema è chiuso da una doppia linea verde, sulla quale poggia il lettering Milwaukee Bucks in bianco su fondo verde, che va a utilizzare un font appositamente disegnato dall’agenzia Doubleday & Cartwright di Brooklyn, curatrice dell’intero rebranding della franchigia.
Il secondo logo presentato si va a inserire nel popolarissimo filone dei roundel logos, i loghi a medaglione che tanto successo hanno riscosso nei tempi più recenti dentro e fuori la NBA. Anche in questo caso i colori utilizzati restano il verde, il crema e il bianco, mentre due sono gli elementi che riconducono al logo principale: la palla a spicchi, cui si è velatamente alluso in precedenza, è questa volta l’elemento centrale del logo, al cui interno è poi riproposta la lettera M. Il tondo, infine, è chiuso da un’ampia banda verde, all’interno della quale sono riportati la dicitura “Bucks Basketball” e l’anno di fondazione della franchigia, il 1968, a ricordare con orgoglio che i Cervi sono una delle cinque sole squadre NBA a essere rimaste nella propria città d’origine.
Il terzo e ultimo logo presentato è l’unico del set a contemplare tutti e tre i colori ufficiali della nuova identità dei Bucks. All’interno di una grande e verde sagoma dello Stato del Wisconsin, sono posti una particolare scritta Bucks in diagonale e un pallone da basket, mentre a una regolare bordatura esterna color crema fa da contraltare una interna e azzurra. Irregolare, ma non casuale: le linee, infatti, coincidono con le coordinate dei grandi laghi e dei fiumi che bagnano i confini dello Stato, il Lago Superiore a nord, il Lago Michigan a est e i fiumi St. Croix e Mississippi a ovest.
A un paio di mesi di distanza dall’introduzione dei tre nuovi emblemi del team, la seconda fetta più attesa del restyling dei Milwaukee Bucks è stata svelata: due uniformi, una casalinga bianca con bordi verdi, e una da trasferta, verde e bordata in crema. In entrambi i casi corredate di saporiti dettagli.
La M mutuata dai primi due loghi presentati è posta al vertice basso di un collo a V, il cui bordo interno azzurro mira a ricordare lo spirito operaio, da blue collar appunto, della squadra, dei suoi tifosi e della città. Il fianco di entrambe le uniformi è decorato da un motivo multicolore battezzato Cream City Rainbow, un omaggio e una rivisitazione di quell’Irish Rainbow presente sulle uniformi vestite dai Bucks tra il 1977 e il 1993, mentre il motto “Fear the deer” è cucito capovolto sul bordo inferiore delle canotte, a unica disposizione dei giocatori, per ricordare l’attitudine e lo spirito che ci si aspetta da loro a ogni allacciata di scarpe.
Sui pantaloncini, la figura del cervo è posta simmetricamente su entrambi i lati, chiusa in una forma irregolare color crema che contribuisce a creare uno spazio negativo a forma di M, rinforzando ulteriormente il simbolismo che lega franchigia e città.
Il lettering frontale delle due uniformi torna a seguire quella vecchia regola non scritta che vorrebbe l’esportazione del nome della città in occasione delle trasferte, posizionandolo sul petto delle divise away, a fronte di una divisa casalinga che riporti il classico nickname. Una regola che a Milwaukee rimaneva inascoltata dal lontano 1977.
Philadelphia 76ers
Se si eccettua la parentesi di dodici anni tra il 1997 e il 2009, la timeline del marchio Philadelphia 76ers è stato un susseguirsi di aggiornamenti, piccoli ritocchi e velati ammodernamenti. La sostanza, di fatto, non è mai cambiata. Ciononostante, le novità presentate dai Sixers tra maggio e giugno hanno comunque raccolto reazioni più che positive, sia per quanto riguarda il set di loghi, che per le nuove uniformi.
Il nuovo primary logo, innanzitutto, incorpora tutti gli iconici elementi dell’identità che fu di Wilt Chamberlain, Julius Erving e Moses Malone: l’inconfondibile script 76ers è posto all’interno di una palla a spicchi, vista questa volta in una prospettiva più dinamica rispetto alle occasioni precedenti, mentre l’immancabile circonferenza di 13 stelle trova posto al di sopra dell’inconfondibile 7 rosso. Il tutto è racchiuso da una spessa banda blu, all’interno della quale campeggia la scritta Philadelphia.
Un partial primary è inserito all’interno della galleria di loghi senza che questa ne tragga alcun giovamento, mentre è di ben altro tenore il discorso relativo alle 13 stelle che compongono l’altro partial logo. Dal lontano 1963, infatti, queste rappresentano le altrettante Colonie Americane che il 4 luglio del 1776, a Philadelphia, firmarono la Dichiarazione d’Indipendenza degli Stati Uniti d’America.
Poca roba fin qui, malgrado l’apprezzabile opera di ringiovanimento. Poca roba se non fosse per la ciliegina sulla torta. Una ciliegina che aveva fatto capolino con un anno di anticipo rispetto a tutto il resto, ma che solo quest’estate è entrata ufficialmente a far parte del logoset di Philadelphia, innalzandone il livello medio in qualità di elemento più pittoresco e caratteristico.
The dribbling Benjamin Franklin. Il ponte ideale tra le radici storiche della franchigia e la modernità della NBA odierna.
Questo Benjamin ha una storia personale molto particolare, diversa da quella narrata nei libri di storia. Nato nel 1999 come logo alternativo da utilizzare nel corso dell’All-Star Weekend di Philadelphia, è finito nel dimenticatoio a causa del lockout dei proprietari, salvo essere richiamato all’ordine quando, tre anni dopo, la Città dell’Amore Fraterno è stata risarcita con l’ASG 2002. Dodici anni dopo, il padre fondatore è tornato alla ribalta, salvo vedersi sbattere di nuovo la porta in faccia, questa volta da parte degli stessi Sixers.
«È una possibilità che abbiamo esplorato, ma non diventerà un logo ufficiale. Finirà su alcune magliette» dissero a quel tempo, senza prevedere l’ondata di consensi che uno dei Padri fondatori degli Stati Uniti d’America avrebbe riscosso. Un anno dopo, infatti, gli stessi Sixers sono puntualmente tornati sui loro passi, accogliendo Benjamin Franklin come loro secondary logo ufficiale, e arricchendo la loro identità di un elemento unico.
Parallelamente al rinnovato set di loghi, i Philadelphia 76ers hanno presentato le loro tre nuove uniformi: una home bianca con bordi tricolore, una away blu con bordi bianchi e rossi, e una alternate rossa con bordi bianchi e blu. I primi dettagli a catturare l’attenzione sono senza dubbio gli script “PHILA” sul fronte delle due canotte da casa e da trasferta, omaggio a quegli stessi script che negli anni Sessanta decorarono le uniformi di Wilt Chamberlain e dei Sixers vincitori del titolo NBA nel 1967. I Philadelphia 76ers vincitori del terzo e ultimo titolo della loro storia nel 1983, invece, sono celebrati nel taglio a V del collo e nel lettering Sixers posto frontalmente sulla alternate jersey, che ricalca alla perfezione quello di Julius Erving e soci.
Così come per i Milwaukee Bucks, anche in questo caso sul bordo inferiore dei tre modelli è presente una cucitura capovolta a uso e consumo esclusivo dei giocatori su cui campeggia il motto motivazionale “Phila tough”. Il logo delle 13 stelle decora i pantaloncini al centro della cintura, mentre il partial primary è posto a ridosso di una colonna che attraversa lateralmente l’intera uniforme. Questa colonna, bianca su road e alternate, blu sulla home, fa da cornice a un motivo stellato asimmetrico, che ponendo 7 stelle sul fianco destro e 6 su quello sinistro ammicca neanche troppo velatamente al 76 del nickname.
Los Angeles Clippers
I rumors su una sorprendente e inattesa rivoluzione del brand Los Angeles Clippers hanno iniziato a circolare attorno a metà aprile, mentre la regular season NBA emetteva gli ultimi verdetti, e fin dal principio le sensazioni sono state tutt’altro che positive. I leak si sono presto rivelati attendibili, e quello che in principio era un cattivo presentimento si è presto trasformato in una triste realtà.
Sia chiaro, l’idea di mandare in soffitta il vecchio logo, quello che urlava: «Siamo i cugini perdenti dei Lakers!» ad ogni apparizione era sacrosanta. Il problema è che questo è semplicemente il modo peggiore in cui potevano metterla in pratica:
Di loghi effettivi, innanzitutto, ne è stato presentato uno solo. I due altri elementi, abbondantemente utilizzati in svariati articoli di merchandising e pertanto unanimemente riconosciuti come parti integranti della nuova identità, altro non sono che delle sue parziali estrapolazioni. Un lettering Clippers in nero, unica novità del color scheme che va ad aggiungersi ai già presenti bianco, rosso e blu; quattro linee arcuate; un monogramma LAC all’interno di una palla a spicchi minimalista. Fine. Velieri presenti o anche vagamente accennati: zero.
E hai voglia a dire che, citando dal comunicato ufficiale della franchigia, «l’aggiunta del colore nero dona un taglio moderno alla nuova era della franchigia»; o che il bordo argentato della scritta Clippers, giocando sul doppio significato di silver lining, rappresenta il rinnovato ottimismo della Clipper Nation; o ancora, che le due linee rossa e blu al di sotto del lettering onorano il passato nautico della franchigia e rappresentano la vista dell’orizzonte dal ponte di un imbarcazione. Qui di imbarcazioni non se ne vedono, il font utilizzato è piatto—forse il peggiore dell’intero parco loghi della NBA—e la combinazione degli elementi crea un layout sinistramente simile a quello di un noto videogioco.
Per non parlare della dicitura Los Angeles: completamente assente, rimpiazzata fin dalla campagna di promozione da un “L.A.” presumibilmente più moderno, ma non per forza migliore. Il monogramma, secondo il materiale rilasciato ufficialmente dai Clippers, vuole richiamare le linee di un campo da pallacanestro nella sua parte biancorossa, facendo poi in modo che la grande C blu lo avvolga in un abbraccio. Con molta fantasia.
Le prospettive non migliorano di certo prendendo in esame le due uniformi presentate. I colori di base restano il bianco per la home, con una porzione di primary logo a occuparne l’intera larghezza, e il rosso per la away, dove LAC e numero sono messi sullo stesso livello. La scelta di creare uno stacco tra il Clippers in nero e il lettering di nomi e numeri, in rosso, è senza dubbio uno dei pochi aspetti positivi dell’intero rebranding, mentre in entrambi i casi la penuria di dettagli è una pecca che fatica a passare inosservata.
Se si eccettua la presenza di uno dei due loghi parziali sulla cintura, infatti, entrambe le divise mancano totalmente di quei particolari e di quei preziosismi che spesso, in questi casi, arricchiscono ben al di là del mero impatto visivo. E tutto questo tralasciando la pochezza del materiale presentato: un’immagine. Stop.
L’impressione comune è che si sia trattato di un lavoro sbrigativo, poco curato, e senza un filo logico comune. Indicativo più di ogni altra cosa, in questo senso, è il fatto che gli autori del restyling non vengano menzionati. Mai. A meno che non si prenda per attendibile la rappresentazione del workflow consegnata ai posteri da Steve Ballmer e Blake Griffin…
You did it again Blake.
Atlanta Hawks
Il rebranding senza dubbio più sconvolgente dell’intera estate, e probabilmente degli ultimi anni, è quello che poco meno di due mesi fa hanno presentato gli Atlanta Hawks. Un rebranding annunciato ufficiosamente con un anno di anticipo, quando nel corso dei playoff 2014 il CEO degli Hawks, Steve Koonin, ha ufficialmente presentato la versione 2.0 del Pac-Man logo.
Naturale evoluzione di uno dei loghi più amati nella storia della Lega, il nuovo simbolo ha riscosso da subito enormi successi, incoraggiando la franchigia a utilizzarlo con sempre maggiore frequenza, tanto che, a conti fatti, il platonicoprimary logo raffigurante il falco ad ali spiegate era stato quasi del tutto soppiantato. Di fronte a una mole così imponente di consensi, e complici delle vicissitudini societarie tutt’altro che di secondo piano, Koonin ha colto così l’occasione per rilanciare, pianificando un processo di rinnovamento totale e senza precedenti, che a un anno di distanza ha riscritto i confini estetici della NBA.
Il primo impatto è stato morbido: il nuovo primary logo ha visto la versione 2014 del Pac-Man inserita in un contesto più articolato, rotondo come Bucks, Sixers emoltialtri prima di loro, e che per la prima volta presenta la dicitura Basketball Club a completamento del nome della squadra. Un club inclusivo all’interno del quale, a detta della franchigia, ogni tifoso degli Atlanta Hawks deve sentirsi membro.
Con il vecchio Pac-Man 2.0 relegato al ruolo di partial logo, quindi, un secondo inedito è stato introdotto e—vuoi per le aspettative troppo alte, vuoi per la scarsa conoscenza della storia della città di Atlanta—l’accoglienza riservatagli è stata ben lontana dall’esser ritenuta trionfale.
Il logo, raffigurante un pallone alato in fiamme, prende ampia e dichiarata ispirazione dal sigillo ufficiale della città di Atlanta, che a sua volta racconta di come nel lontano 1864 la città venne data quasi interamente alle fiamme dal Generale dell’Esercito dell’Unione William Sherman. Pur nella non perfetta riuscita grafica del logo, pertanto, va dato atto agli Hawks di aver optato per un simbolo che affonda le sue radici in 150 anni di storia della città.
Pochi giorni dopo, i fuochi d’artificio. A ridosso della notte del Draft 2015, infatti, sono trapelate due versioni alternative del Pac-Man 2.0 e del secondary logo, le quali, oltre fungere da aperitivo all’introduzione ufficiale delle tre nuove sgargianti uniformi, aprivano definitivamente il sipario sul nuovo color scheme degli Atlanta Hawks.
Torch red, il comun denominatore delle ere passate e future degli Atlanta Hawks. Volt green, un omaggio all’era Maravich, con un tocco di luminosità in più. E Georgia granite grey, ennesimo segno della ferma volontà della franchigia di legarsi a lungo termine alla città e alla sua area urbana. Un abbinamento audace, eufemisticamente parlando. Senza dubbio unico, dato che sia la particolare tonalità di verde che il grigio sono colori che nessuna delle altre 29 squadre presenta all’interno della propria palette ufficiale. Due prime volte assolute per la NBA, e di certo non le ultime volte che gli Hawks avevano apparecchiato.
Al netto di un elaborato processo di comprensione e digestione, le tre nuove uniformi degli Hawks sono anni luce avanti rispetto alle precedenti, e le loro molteplici sfaccettature sono state presentate egregiamente dagli stessi Hawks. Il pattern di fondo delle tre canotte, il medesimo che si ripete sui fianchi destri dei pantaloncini, è un motivo a triangoli tono su tono, il cui intento è quello di stilizzare l’azione d’attacco in picchiata di un rapace.
Il lettering frontale—Atlanta sulla divisa home bianca e sulla alternate nera, ATL sulla road rossa—fa sempre riferimento alla città, mentre una scritta Hawks è posta verticalmente sui lati sinistri di tutti e tre i pantaloncini, dando loro una conformazione asimmetrica.
Le due uniformi da trasferta, poi, oltre che nelle classiche combinazioni a tinta unita potranno essere indossate anche nelle due mixate, con shorts neri e canotta rossa o viceversa. Un look unico nella NBA, che per la prima volta includerà tutti gli elementi indossati dal giocatore, dalla testa ai piedi, calze e scarpe incluse. Gli Atlanta Hawks, infatti, sono da tempo al lavoro con Stance, il nuovo fornitore unico di calze della Lega, e con i diversi produttori di scarpe da gioco per mettere a disposizione dei giocatori un guardaroba interamente votato alla nuova brand identity degli Atlanta Hawks. Un’identità che farà una fatica tremenda a passare inosservata.
Toronto Raptors
A chiudere il giro di presentazioni, ad agosto ormai inoltrato, sono stati quegli stessi Toronto Raptors che per primi, addirittura nel dicembre 2014, avevano svelato due nuovi loghi e un nuovo color scheme.
Il dinosauro che, salvo un lieve restyling, rappresentava la franchigia canadese dal lontano 1995 è stato mandato in soffitta. Estinto. Sostituito da quello che, con il senno di poi, è solo l’ennesimo logo rotondo. Al centro del nuovo emblema, una grande palla a spicchi argentata porta i segni di tre artigli all’altezza delle giunture, mentre il lettering Toronto Raptors la circonda, chiuso da una sottile linea rossa.
Rosso che diventa argento nella seconda versione del primary logo, dove il pallone color oro mette in risalto l’enorme influenza che il signor Aubrey Graham, in arte Drake, ha avuto sulla stesura della nuova identità. L’oro infatti, oltre a essere la novità nello schema cromatico dei Raptors, è stato a lungo il colore principale della sua etichetta discografica: la October’s Very Own, o OVO.
Il secondo e ultimo simbolo presentato è la cosiddetta basketclaw, estrapolata dal logo principale senza la profusione di grossi sforzi creativi e sviluppata poi in nelle quattro diverse cromie della franchigia: nero, rosso, argento e oro.
Un parco loghi scarno, quasi povero, parzialmente bilanciato da un parco uniformi che, perlomeno numericamente, non ha avuto eguali in questa off season. Sono state ben quattro, infatti le divise presentate dalla franchigia da north of the border: una home bianca con bordature rosse e lettering nero; una away rossa con bordature nere e lettering bianco; e due alternate, entrambe nere con numeri e Raptors in bianco, che differiscono l’una dall’altra per il tono delle finiture, rosse in un caso, dorate nell’altro.
Il design delle uniformi è il medesimo in ciascuna delle quattro versioni. Il fronte delle canotte si distingue per una scritta Raptors con un arco molto accentuato e per l’utilizzo di due font appositamente disegnati dall’agenzia Sid Lee di Montreal, e battezzati “We the Letters” per quel che riguarda il lettering e “We the Numbers” per la numerazione. Sui fianchi, i due galloni che decorano le uniformi dei Raptors dal lontano 1999 sono conservati e rivolti verso l’alto, o verso nord, mentre sul bordo inferiore delle canotte il motto, l’urlo di battaglia della franchigia è ribadito per l’ennesima volta: “We the north”.
Al centro della cintura dei pantaloncini si trova una foglia d’acero che, pur non facendo parte del set ufficiale di loghi, resta un emblema caratteristico dell’unica franchigia NBA battente bandiera canadese. Sul fianco una grande T, generata da una semplice banda verticale e da parte del bordo superiore, è affiancata al partial logo, così da dare vita ad un TO che rende omaggio alla città di Toronto, mai menzionata negli script frontali.
Per fare un riassunto con un giudizio: molto bene Bucks e Sixers, rivoluzionari gli Hawks, senza infamia né lode i Raptors, malissimo i Clippers. Tanto altro verrà alla luce nel corso della stagione, e tante indiscrezioni sono già trapelate: le Notti Latine, le Christmas Jerseys, le Hardwood Classics e le Pride Uniforms. Persino gli ufficiali di gara, a quanto pare, rinnoveranno il guardaroba. Per i cosiddetti uni nerds la carne al fuoco è ancora tanta.