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Francesco Lisanti
Come Joao Mario migliora l'Inter
01 mar 2017
01 mar 2017
Senza mettersi sotto le luci dei riflettori, il portoghese sta migliorando tutta la squadra.
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Francesco Lisanti
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Il giorno in cui il ds Piero Ausilio presenta João Mário alla stampa, l’investimento più importante della prima tribolata estate sotto la gestione Suning, i giornali nelle edicole si chiedono se sia il caso di vergognarsi per una sconfitta in casa contro l’Hapoel Be’er Sheva.

 

«Siamo in ritardo, siamo indietro, ma perché è un allenatore che è arrivato da poco, non ha potuto fare né tante partite, né soprattutto tanti allenamenti con questi ragazzi», prova a giustificarsi Ausilio, mentre chiede ai presenti «pazienza».

 

In effetti, per due volte nel giro di un mese, l’ossatura titolare dell’Inter ha interrotto la preparazione per le convocazioni delle Nazionali, e Ausilio ci tiene a ricordarlo: «João è uno di questi, penso avrà fatto due allenamenti con la squadra».

 

È il 16 settembre, Mancini ha già contrattato una buonuscita e ha salutato, de Boer ha già incrinato il rapporto di fiducia con la squadra e l’ambiente, e João Mário è praticamente appena arrivato, il tempo di esordire in campionato a Pescara.

 

 





Il primo argomento a sostegno della tesi che João Mário sia un giocatore speciale è la facilità con cui si è inserito in un contesto (tattico e ambientale) così confuso.

 

A Pescara gioca davanti alla difesa, in linea con Medel, e raggiunge subito quota 94 tocchi, secondo in campo soltanto ad un irreale 107 di Banega.

 

Si fa notare per la precisione nel gioco lungo e la sensibilità nel gioco corto. Dopo quattro minuti si infila tra Memushaj e Brugman e serve Icardi a centro area, una combinazione di controllo del corpo, pulizia tecnica, uso coordinato di entrambi i piedi.



 

 

L’azione termina perché Icardi e Banega non si intendono. Sulla ripartenza del Pescara, Joao Mario insegue Verre fino a sfilargli il pallone alle spalle.





Non perde l’abitudine di inseguire gli avversari alle spalle e qualche settimana dopo gioca a fare l’illusionista tra le maglie del centrocampo dell’Empoli: Buchel se lo aspetta a sinistra, lui gli appare a destra, palla recuperata e assist sul velluto per Icardi, primo vero

della sua stagione.

 

Dopo Empoli, è costretto a fermarsi per un risentimento al polpaccio, salta il Bologna e recupera in extremis per la trasferta contro la Roma. Poi parte ancora con la Nazionale. È abbastanza indicativo che le tre partite che Frank de Boer ha vinto nei mesi di agosto e settembre siano anche le uniche tre in cui ha potuto schierare João Mário: Pescara, Juventus, Empoli. Senza il portoghese, - per quel che valgono questo tipo di osservazioni - due pareggi e tre sconfitte.



 

 

Dei quindici gol di Icardi, questo è l’unico assistito da Joao Mario.



 

João Mário si è presentato a Milano definendosi «medioala» nella sua prima conferenza stampa, in virtù del ruolo ibrido di trequartista esterno che occupava nella nazionale portoghese e nel 4-2-2-2 di Jorge Jesus. Spesso sulla destra, a volte anche a sinistra, come nella finale degli Europei. De Boer, invece, lo posiziona al centro del campo ed è subito chiaro che debba giocare sempre lì.

 

La sua presenza migliora sensibilmente la circolazione senza compromettere gli equilibri. È intelligente, rapido nella

e può orientarsi in tutte le direzioni. La partita contro il Cagliari, al di là della sconfitta, è un ottimo esempio della sua capacità di legare i reparti, di interagire con i terzini e con le ali, sia sulla destra che sulla sinistra.

 



 

Data la predisposizione

il campo in cerca di collegamenti, un cultore delle catene laterali come Stefano Pioli non poteva che farne il cardine avanzato della manovra.

 

 



 

All’improvvisa crescita dell’Inter hanno contribuito tanti fattori, ma è un dato di fatto che quando Pioli, per comprensibili ragioni di equilibrio tattico, ha scelto di avanzare João Mário sulla trequarti per serrare la mediana con la fisicità di Kondogbia e Brozovic (e poi di Gagliardini), l’Inter ha iniziato a vincere sempre.

 

Il 4-2-3-1 con Candreva, João Mário e Perisic in campo insieme si vede per la prima volta a Reggio Emilia, nella seconda delle sette vittorie consecutive che hanno riportato l’Inter a competere per l’Europa.

 

Da quel momento in poi, ha giocato 7 partite sulla trequarti, togliendo di fatto il posto da titolare a Banega. Altrettante ne aveva giocate davanti alla difesa con de Boer, il che ci permette di effettuare un primo confronto statistico su questi due campioni di partite.

 


Da trequartista, con un dribbling secco su Antei, ha propiziato il gol della vittoria a Reggio Emilia



 

È evidente come sia parzialmente calata la centralità di João Mário nella distribuzione del possesso dell’Inter. Giocando sulla trequarti, ha ridotto del 20% i passaggi tentati a partita, calati da 60.75 a 48.76, ma ha conservato una precisione molto alta, dall’87% all’84.6%. Ha ridotto anche i contrasti (da 1.65 a 0.96), gli intercetti (da 1.65 a 0.58) e i falli commessi (da 2.25 a 0.77).

 

La produzione offensiva, in compenso, è schizzata, assieme a quella

. Il portoghese ha aumentato i dribbling tentati (da 1.80 a 2.31), raddoppiato i tiri tentati (prima 1.05, ora 2.12), ha quasi triplicato i tiri in porta (prima 0.30, ora 1.16), ed è diventato una macchina di passaggi-chiave: davanti alla difesa registrava un dignitoso 1.65, sulla trequarti ne fa segnare 4.05. I falli subiti, di conseguenza, sono aumentati da 1.65 a 2.70 (tutti i dati sono da intendersi calibrati sui 90 minuti).



 

 

Un passaggio-chiave di João Mário, che sarebbe diventato un’occasione migliore se Icardi avesse premiato quel movimento.



 

Probabilmente, Pioli immaginava per lui uno sviluppo simile, e già a dicembre aveva provato a spronarlo in questa direzione: «È un centrocampista di qualità nella fase offensiva, perché sa strappare il momento giusto, sa servire anche i compagni, sa inserirsi dentro l’area, anche se credo che debba diventare un giocatore che può realizzare qualche gol, debba realizzare qualche gol».

 

Sullo scarso impatto realizzativo di João Mário (3 gol segnati a fronte di 4,46 xG) pesano anche alcuni errori gravi,

francamente inspiegabile contro la Fiorentina. In assoluto tira poco, 1.5 volte ogni 90 minuti, ben lontano dalle 3.5 di Candreva, Perisic e Icardi, e in più pecca di una generale timidezza al momento di finalizzare, che è in parte figlia dell’interpretazione del ruolo.

 



Anche questo non è bellissimo, a porta vuota contro l’Udinese.



 

Il primo istinto di João Mário è quello di monitorare il campo e cercare compagni da servire.

 

Occupa la trequarti come un playmaker, non come un incursore. Gli manca, forse, la necessaria carica agonistica – ci sono i giocatori in grado di accendersi e bruciare come

, e poi quelli come lui, che si muovono con passo imperturbabile, come se fossero cosparsi di materiale isolante.

 

In effetti, ha iniziato a giocare da difensore centrale, ben più lontano dalla porta avversaria. «

, però ero bambino, era meglio che altri...», racconta, e poi si interrompe per la battuta del giornalista di Inter Channel che lo intervista. Magari Joao Mario stava per aggiungere che crescendo non si è sviluppato abbastanza per fare il difensore centrale professionista (raggiunge comunque un dignitoso 1,79 di altezza).

 

In ogni caso, oggi, è chiaro che quell’insieme di tecnica, visione e esplosività fosse destinato al centrocampo.

 

 





João Mário commette puntualmente un paio di errori a partita che potrebbe risparmiarsi. Questo vale soprattutto in fase difensiva, perché nella marcatura individuale pecca di concentrazione e di “mestiere” (nell’azione del

, Di Gennaro sfila agilmente alle sue spalle e poi gli gira intorno), ed è un altro motivo per cui rende meglio sulla trequarti.

 

In fase offensiva, invece, deve sicuramente preoccuparsi di ridurre le palle perse, che sono 4.1 p90, il terzo peggior dato nella rosa dell’Inter dopo Gabriel Barbosa e Gnoukouri, che hanno giocato poche manciate di minuti ciascuno. Quando gioca da trequartista, le palle perse salgono a 5.5 p90 – per provare a quantificare, soltanto 6 giocatori con almeno 1000 minuti giocati ne collezionano mediamente di più, e si tratta principalmente di prime punte con poca tecnica (Niang, Petagna, Borriello, Falcinelli, Zapata, Inglese).



 

 

Le palle perse andrebbero contestualizzate per il messaggio che comunicano: il tentativo di palleggiare intorno a Khedira per far salire la squadra è ammirevole, Candreva che crossa sulla schiena dei terzini è frustrante



 

Le palle perse si spiegano in parte con il gioco spalle alla porta a cui è costretto quando occupa la zona centrale del campo, che lo porta a subire la fisicità dei marcatori, e alla lunga, a perdere lucidità e precisione, nonostante l’eccezionale repertorio di protezione del pallone

che ricorda da lontano Xavi (

).

 

Le partite in cui è stato maggiormente in difficoltà, considerando il quadro tattico e non gli errori singoli a cui si accennava sopra, sono state quelle in cui la marcatura individuale assegnata è stata in grado di escluderlo fisicamente dalla gara, come quella di Strootman contro la Roma, o quella di Freuler contro l’Atalanta.



 

 

Le distanze improvvisate dell’Inter sul campo permettono a Kessié di raddoppiare agilmente.



 

L’avanzamento sulla trequarti lo ha reso sicuramente più libero di muoversi orizzontalmente e quindi più immune al rischio di soffrire l’avversario. La libertà concessagli, unita alla sensibilità verso la giocata di prima, lo ha reso il meccanismo ideale per “attivare” le catene laterali della squadra di Pioli. Quando la palla passa ai mediani, João Mário cerca di proporsi in verticale verso l’esterno più vicino, per creare la superiorità numerica sulla fascia, e se poi l’azione dovesse svilupparsi sull’altro lato del campo, si posiziona a ridosso dell’area.

 

Ancora una volta, è emersa la capacità di João Mário di reagire rapidamente ai cambiamenti. Se da una parte sta diminuendo il volume di gioco che passa dai suoi piedi, dall’altra stanno crescendo l’efficacia e la consapevolezza dei movimenti senza palla.

 

Contro la Juventus, nella partita di ritorno, ha registrato il dato più basso di passaggi tentati p90 (28.5), perché la compattezza del modulo juventino rendeva difficile passare dal centro. Pur entrando più raramente nel vivo del gioco, è ugualmente riuscito a influenzare positivamente ogni azione pericolosa dell’Inter, con la verticalizzazione in transizione per Icardi e con i calci piazzati indirizzati verso Gagliardini.



 

 

Inizialmente perde un corpo a corpo con Khedira, ma continua a seguire l’azione, attira Bonucci fuori posizione, e con un tocco libera il campo a Éder.



 

 



 

João Mário è a tutti gli effetti un leader del centrocampo, l’esempio da seguire, il faro che ha mostrato la strada nella tempesta Brozovic-Kondogbia. Batte i calci piazzati, tranne le punizioni ravvicinate, mette in mostra le qualità tecniche (tenta 2,61 dribbling p90, con il 78% di precisione), ma è soprattutto generoso, come dimostrano i passaggi-chiave.

 

E poi c’è quello che fa senza palla: corregge le spaziature, sporca le linee di passaggio (realizza 1,52 intercetti p90), trascina fuori posizione i marcatori, e tutto il reparto ne trae vantaggio. In questo senso la sua presenza in campo si misura nelle soluzioni che crea per i compagni, anche indirettamente, anche senza toccare palla.

 

Un esempio su tutti: persino Banega - che attualmente è visto come un’alternativa al portoghese per non dover rinunciare al doppio mediano davanti alla difesa, anche se magari l’impatto dell’argentino nella partita di Bologna porterà Pioli a disegnare qualche soluzione alternativa - ha mostrato di esprimersi meglio se può giocare a fianco a un giocatore come João Mário (sto parlando di alcuni momenti avuti durante la gestione de Boer). Con il portoghese a fianco può far correre la palla, e questo gli evita di sfiancarsi da solo nel mantenimento del possesso e poi sparire dalla partita.

 


Sicuramente, questa è una versione meno solida dell’Inter, ma sarebbe molto divertente.





A pochi mesi dal suo arrivo nel campionato italiano, João Mário ha colpito soprattutto per la capacità di assorbire i cambiamenti e per la naturalezza con cui riesce a rivelarsi un elemento chiave in ogni sistema di gioco, a qualunque altezza del campo. Come insegna il disastroso girone di Europa League, e come ricorda anche la recente eliminazione dalla Coppa Italia, è veramente difficile fare a meno di un giocatore in grado, se non altro, di facilitare sempre la manovra.

 

Certo, il suo impatto non è stato sensazionale, probabilmente ci si aspettava qualcosa di più in termini di “scoring contribution", qualcosa che risaltasse maggiormente all’occhio dei replay (segna 0.4 gol + assist ogni 90 minuti, Icardi 1 p90), ma sarebbe un equivoco sbilanciare l’orizzonte delle aspettative sulla base dell’investimento effettuato: l’Inter aveva bisogno esattamente di un giocatore del genere.

 

Se le premesse sono queste, è difficile scommettere contro l’ulteriore crescita di João Mário. Fa impressione pensare che, quella in corso, è soltanto la quarta stagione del portoghese tra i professionisti, mentre i coetanei Kondogbia e Brozovic sono già alla settima. Assorbendo, e adeguandosi, ha recuperato in fretta.

 

 

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