Questo articolo è stato realizzato in collaborazione con NOW TV.
Fa un certo effetto pensare che per l’Inter l’ultima striscia di vittorie consecutive di dimensioni simili a quella che sta vivendo in questo momento Pioli (siamo fermi a 6 vittorie, all’epoca erano 7) si fosse interrotta con il dito di Stramaccioni puntato verso la Curva Nord di San Siro, e che ormai da quella scena siano passati più di quattro anni.
D’altra parte, fa un certo effetto anche pensare che siano passati solo tre mesi dall’assegnazione dell’incarico a Stefano Pioli, e che abbia già ottenuto un risultato così distintivo.
Se chiedessimo al tecnico emiliano come è riuscito a invertire la tendenza, a far dimenticare i tempi in cui 3 vittorie consecutive sembravano un traguardo irraggiungibile (non era molto tempo fa), probabilmente risponderebbe che non c’è nulla che non si possa raggiungere con l’impegno.
Se gli chiedessimo del suo lavoro in campo e fuori, probabilmente risponderebbe (come ha già fatto) che passa tutto dalla testa, dalla concentrazione, dallo spirito di sacrificio: «Il duro lavoro batte sempre il talento che non lavora abbastanza. La nostra attenzione si riversa principalmente sull’aspetto mentale, perché da lì possiamo andare a lavorare sugli aspetti tattici e tecnici».
I numeri si sono gonfiati come un dolce in forno
È come se Pioli avesse rimosso il collo di bottiglia che limitava la produzione nerazzurra, e la catena di montaggio avesse ripreso a funzionare. Nelle ultime 5 partite di campionato – ovvero dalla vittoria in casa con il Sassuolo in poi – l’Inter viaggia alla media di 35.4 contrasti tentati a partita (erano 23.4 nelle ultime 5 di Frank de Boer), 22.8 dribbling tentati a partita (erano 17.2 con FdB), e soprattutto 40.4 cross tentati a partita, dato inflazionato dal clamoroso “70” registrato contro il Chievo (e con FdB erano 29.8, già tantini).
Fa male agli occhi.
Sono aumentati, sempre seguendo un incremento vertiginoso, anche i tiri in porta: 7 a partita nelle ultime 10 – 5.4 a partita nelle prime 10; e di conseguenza anche gli Expected Goals: 1.18 a partita durante la gestione de Boer, 1.48 xG durante la gestione Pioli. L’aumento dei contrasti vinti e dei dribbling riusciti è stato perfettamente proporzionale, così come l’aumento degli xG realizzati è stato perfettamente proporzionale all’aumento dei tiri tentati.
Quindi, per chiarezza, non possiamo dire che l’Inter sia diventata una squadra più efficiente, ma in compenso è riuscita a moltiplicare la propria presenza offensiva, riuscendo a restare “divertente” (con tutti i limiti di questo tipo di squadre) come nei migliori momenti della precedente gestione.
Stefano Pioli ha sbloccato le riserve di energia che questa squadra (che di corridori eccellenti era già dotata) teneva nascosta per qualche ragione.
Detto questo, posso passare a parlare di come, sul piano “tattico e tecnico”, come direbbe Pioli stesso, si è concretizzata la ritrovata fiducia del gruppo, il fattore chiave per la striscia di vittorie.
Occupare l’area avversaria
La grande novità dell’attacco interista è che Mauro Icardi sembra finalmente un uomo meno solo. Va detto che, almeno sulle mappe di passaggio, Icardi risulta ancora spesso un puntino separato dal resto della squadra, che riceve pochi palloni, provenienti pressoché tutti dalle fasce. Anche nelle partite migliori – come quella contro il Chievo – l’Inter non riesce a passare dalla trequarti avversaria, e la connessione trequartista-attaccante si presenta generalmente molto debole (certo, se sbocciasse l’intesa Joao Mario-to-Icardi ne guadagnerebbero tutti: Pioli, le campagne di marketing, i nostalgici del “10” e del “9”).
Figurarsi nelle partite peggiori, come i primi 55 minuti giocati contro l’Udinese. Trova Icardi.
Però, adesso, l’Inter somiglia molto alla squadra di cui parlava Pioli nella conferenza stampa di presentazione, quando diceva «che la squadra deve sostenere di più la fase offensiva e che più giocatori vadano ad occupare l’area avversaria è un nostro obiettivo».
La qualità dell’attacco dell’Inter non è migliorata sensibilmente, ma ha fatto il salto fondamentale dallo step “decine di cross e in area c’è solo Icardi” alla sua evoluzione naturale, “decine di cross e in area ci sono almeno tre persone, a volte anche quattro”. Brozovic e Kondogbia hanno affinato quel minimo di coordinazione per far viaggiare il pallone rapidamente sugli esterni. Non è la soluzione più efficiente, per il momento è molto efficace.
La sensazione che fosse condannato alla solitudine, destinato a rimanere un corpo estraneo in una squadra priva di un’identità offensiva, accompagnava Icardi più o meno da quando si è accasato all’Inter. Adesso che il baricentro della squadra si è spostato in avanti (contro il Chievo, addirittura a 60 metri dalla propria porta), quella sensazione sta gradualmente scomparendo. L’Inter non dialoga sulla trequarti, ma ci porta molti uomini, e questo è sufficiente a creare continui pericoli attraverso i cross.
Pioli aveva da subito marcato le aree in cui sviluppare il potenziale inespresso dell’attacco interista: «vogliamo essere imprevedibili e ricercare maggiormente la profondità. Ci sono i giocatori adatti per farlo». Così l’Inter ha scoperto il piacere di trovare la porta con due tocchi.
Contro l’Udinese, Ansaldi sembrava chiuso e il primo tempo finito, ma tutto cambia proprio per merito di un passaggio in profondità – che Icardi capisce in ritardo, ma sufficientemente in anticipo rispetto a Danilo. Il frutto del lavoro di Pioli sta nella sincronia con cui si muovono tutti gli altri giocatori offensivi nel momento in cui Icardi scatta a ricevere il pallone. A quel punto in area di rigore ci sono già tre uomini (più lo stesso Icardi), e Perisic ci si muove con grande naturalezza.