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Andrea Braschayko

Come il calcio racconta l’Ucraina in guerra

L'identità del Paese vista attraverso il rapporto con i giocatori ucraini all'estero.

Emozionato come chi non avrebbe mai immaginato di trovarsi lì fino a pochi minuti prima, ai microfoni di Sky il centrocampista dell’Empoli Viktor Kovalenko dedica il gol che ha sancito un’altra sconfitta casalinga del Napoli (e poi l’esonero di Rudi Garcia) alla sua città natale, Kherson. L’omaggio di Kovalenko è carico di simboli: è passato esattamente un anno dalla liberazione di Kherson dall’occupazione russa, come ricorda lo stesso calciatore durante l’intervista, in un italiano stentato ma efficace. Il ventisettenne ucraino non aveva ancora mai segnato con la maglia dell’Empoli (e con quella dello Spezia aveva segnato solo un gol) e persino i tifosi ucraini avevano iniziato a perderlo di vista.

 

A noi può sembrare non così strano che la notizia di un giocatore di secondo piano arrivi in ritardo nel suo Paese di origine. Ma in Ucraina non funziona così e gli sportivi connazionali, soprattutto quelli che militano nei principali campionati calcistici europei, sono seguiti dagli appassionati alla stregua di una religione. C’è da dire che Kovalenko non è stato nemmeno fortunato, perché nello stesso weekend hanno segnato altri tre giocatori ucraini in giro per l’Europa, cioè Dovbyk, al Girona (al suo settimo gol nella stagione d’esordio in Liga), Zinchenko e Mykolenko (rispettivamente con Arsenal ed Everton in Premier League). Una coincidenza più unica che rara, e per questo celebrata in Ucraina con vari approfondimenti nei magazine sportivi.

 

 

 

L’ossessione ucraina per i giocatori all’estero

Per gli standard ucraini, passa un’eternità da quando Kovalenko segna nella porta di Gollini, alle 14:22, al primo post del principale magazine sportivo ucraino Tribuna.ua, alle 14:42. Ne seguiranno altri otto, nelle tre ore successive, comunque meno dei tredici dedicati alla volée di Oleksandr Zinchenko in Arsenal-Burnley del giorno precedente, la cui notizia era apparsa sul sito di Tribuna pressoché in contemporanea con la notifica di LiveScore.

 

Il cosiddetto ciclo delle notizie, in Ucraina, funziona in maniera diversa rispetto all’Italia. L’attenzione sul campionato nazionale, per esempio, non è così alta come qui per la Serie A, e anzi è percepito – soprattutto negli ultimi anni di crisi – come una noiosa pratica da sbrigare persino dagli stessi club. Per dire, la Dinamo Kiev ha rinviato 4 gare di Prem’er Liha per affrontare due turni di qualificazione di Conference League, per poi fallire l’accesso ai gironi contro il Besiktas.

 

È un altra delle differenze tra la percezione del calcio in Ucraina e negli altri paesi. In Ucraina, per dire, le squadre del paese sono tifate da tutti nelle coppe europee, al di là della propria fede. È una delle differenze più significative tra i campionati post-sovietici e quelli dell’Europa occidentale. I tifosi dello Shakhtar Donetsk seguono con voracità e passione le partite europee della Dinamo Kiev, e così facevano generalmente quelli dello Spartak Mosca con quelle dello Zenit, prima dell’esclusione delle squadre russe dalla UEFA. In questo c’è un certo complesso di inferiorità nei confronti dei principali campionati europei – complesso che abbiamo iniziato a intravedere anche durante la banter era della Serie A, dove il campanilismo per qualche anno è stato in messo in crisi dalle logiche legate al ranking UEFA.

 

Allo stesso tempo il tifo per le squadre ucraine, così come l’ossessione per i propri connazionali all’estero, ha a che vedere con le dinamiche politiche e nazionali dei nuovi Stati sorti sulle ceneri dell’Unione Sovietica. In quello che lo storico americano di origini armene Ronald G. Suny ha definito il «moderno laboratorio di identità nazionali post-sovietico», lo sport, così come la cultura, è diventato funzionale a popolarizzare e riconoscere la legittimità internazionale di aree geografiche storicamente considerate sovrapponibili alla Russia. 

 

Per l’Ucraina lo si può vedere anche su Instagram, dove va forte la pagina Legioners.ua (ha un seguito di oltre 27mila follower). La parola legioner indica letteralmente i legionari dell’antica Roma ma in Ucraina (e in Russia) viene usata per indicare sia i giocatori stranieri del proprio campionato che i propri connazionali all’estero. Legioners.ua parla proprio di questi ultimi: “tutto sugli ucraini legionari”, cioè i calciatori militanti all’estero, come si legge nella bio della pagina. Non parliamo solo dei giocatori ucraini in Premier League o in Serie A: scorrendo i post troverete interviste e approfondimenti interamente dedicati a Maksym Chlan, centrocampista del Lechia Gdansk, oppure Maksym Taloverov, centrale difensivo del LASK Linz. Dopo l’attesa notizia di un gol di Mudryk al Chelsea, segue quella della doppietta decisiva di Artem Favorov in Puskás Akadémia-Ujpest, scontro di metà classifica del campionato ungherese.

 

La pagina – così come altri siti e blog ucraini – non è nata per essere un meme, coma la semi-defunta Calciatori italiani all’estero, oggi sostituita da Calciatori/allenatori italiani all’estero. Le performance dei propri connazionali in Europa sono una cosa estremamente seria per gli appassionati ucraini. L’attenzione per la propria reputazione nazionale all’estero attraverso il calcio è viscerale, e nel caso ucraino “nasce” con un giocatore ben conosciuto in Italia. L’idea dell’Ucraina come Paese a sé stante – inizialmente legato al disastro di Chernobyl e alle donne ucraine impiegate nel lavoro di cura – si è definito notevolmente grazie alle imprese milaniste di Andriy Shevchenko, molto prima degli eventi politici del 2013-2014 e alle proteste di piazza Maidan. Nello spazio post-sovietico questo non riguarda unicamente l’Ucraina. Basti pensare all’importanza che ha avuto Aleksandr Hleb nella definizione dell’identità bielorussa, per un Paese che veniva confuso per una regione della Russia dopo il crollo del comunismo.

 

Il sogno dell’espatrio 

Nel seguire i calciatori ucraini in Europa c’è anche un riflesso del desiderio di espatriare – desiderio che vede l’Europa, e l’Occidente in generale, come quella terra promessa che da noi è diventata vuota retorica liberale, ma che in Ucraina continua ad affascinare ogni strato della popolazione.

 

Questo porta a un’altra differenza tra il tifo in Europa e il tifo in Ucraina. Quando un talento ucraino inizia a farsi notare all’estero, magari perché citato dalle più fantasiose fonti di mercato, sono gli stessi ucraini a “spingerlo” fuori dal proprio Paese. Quando siamo nella fase dei semplici rumor di mercato, per esempio, in Ucraina vengono pubblicati i primi articoli su quali campionati e quali squadre sarebbero più adatte (anche se non esplicitamente interessate) ad esaltare le caratteristiche del calciatore.

 

Quando inizia la trattativa vera e propria le cose si fanno ancora più interessanti. Questa fase può durare anche mesi per via dei capricci dei ricchi proprietari delle squadre ucraine (come successe per la trattativa tra Konoplyanka e il Liverpool bloccata alle 23 del 31 gennaio 2014 dall’oligarca Ihor Kolomojs’kyj) e a volte si conclude con le ingiurie dei tifosi verso le richieste monetarie fuori scala delle proprietà di Dinamo Kiev, Shakhtar Donetsk e Dnipro/Dnipro-1, colpevoli di trattenere i talenti ucraini nella loro gabbia d’oro (che in seguito all’invasione russa è sempre meno luccicante), pregiudicandone lo sviluppo. Perché risulti più chiaro: sono gli stessi tifosi della Dinamo Kiev a volere che il Viktor Tsyhankov di turno spicchi il volo in Europa, anche se ciò va a discapito della propria rosa.

 

Quando il giocatore passa effettivamente in Europa l’ossessione degli appassionati ucraini diventa concreta. Si comincia con la speranza che l’Ucraina diventi, nell’arco di pochi anni, “la nuova Croazia”. Viene poi aggiornata la conta dei calciatori ucraini nei cinque principali campionati europei (quasi sempre il totale è meno di dieci). Nelle prime partite vengono pubblicati longform su ogni prestazione, fosse solo uno spezzone di gara, incentrandosi su aspetti positivi e negativi, dichiarazioni di allenatore, dirigenti, compagni di squadra, stampa vicina alla squadra in cui il calciatore milita, e persino raccolte di tweet dei tifosi del club in questione che si esprimono con le loro valutazioni sull’ucraino.

 

 

Un esempio divertente. Dopo West Ham-Chelsea, una delle prime partite di Mykhailo Mudryk nei blues ad inizio 2023, Tribuna.ua ha pubblicato un meme per ironizzare sul fatto che il compagno di fascia dell’ala ucraina, Marc Cucurella, ignorasse Mudryk nel momento di scaricare palla (a cui lo stesso calciatore ha messo like). Qui un dettagliato resoconto dei sette passaggi complessivi di Cucurella a Mudryk, corredato di screenshot della gara in cui si indugia su una presunta antipatia sportiva del difensore spagnolo verso il talento ucraino. Qui Tribuna ha raccolto e tradotto dei tweet in cui alcuni tifosi del Chelsea danno ragione a Mudryk e denigrano Cucurella.

 

Generalmente seguono due scenari. In quello negativo, prevalente, il calciatore delude le aspettative, e viene invitato dalla fan base ucraina a rientrare nel Paese per evitare figuracce. L’esempio più fresco è Ruslan Malinovskyi, accusato in maniera sessista di farsi distrarre dalla moglie e invitato a rientrare nella città natale di Žytomyr, per chiudere la carriera nel Polissya, alla prima esperienza in prima divisione.

 

In caso di esplosione, invece, al calciatore vengono dedicati materiali di approfondimento dopo ogni buona prestazione. I giornalisti ucraini non hanno le stesse disponibilità di quelli giapponesi, che raggiungevano periodicamente la Sicilia per seguire da vicino Takayuki Morimoto, ma compensano con la quantità di articoli prodotti.

 

Non tutti i legionari sono eroi

La stagione 2023/24 ha segnato un record del numero di ucraini nei cinque principali campionati europei. Ben cinque in Premier League (Zinchenko all’Arsenal, Mudryk al Chelsea, Mykolenko all’Everton, Zabarnyi al Bornemouth e il giovane Yarmolyuk al Brentford). In Liga oltre al secondo portiere del Real Madrid, Lunin, e la poco prolifica punta del Valencia Yaremchuk, la capolista a sorpresa Girona poggia il proprio successo sui gol di Dovbyk e sugli assist di Tsyhankov (e sotto i post degli account social dei catalani i tifosi ucraini hanno raggiunto livelli turchi di spam, mentre uno degli articoli più letti negli scorsi giorni suggerisce al Girona di comprare altri cinque ucraini). In Italia ci sono i già citati Kovalenko e Malinovskyi, mentre in Francia il terzino Eduard Sobol appare saltuariamente sulla fascia sinistra dello Strasburgo. 

 

La maggior parte dei tifosi ucraini vi dirà, a denti stretti, che l’unico grande campionato senza ucraini, al momento, è la Bundesliga tedesca. Eppure, nella rosa del Bochum c’è Ivan Ordets, difensore centrale ucraino che nella scorsa stagione ha contribuito con 30 presenze e 1 assist alla miracolosa salvezza della squadra renana. 

 

Non è un caso che Transfermarkt, quindi, lo abbia messo in una formazione dei migliori undici ucraini militanti all’estero, affiancandolo al centro della difesa con il giovane Zabarnyi. Quando però questa Top XI è stata ricondivisa dai siti sportivi ucraini, la scelta che ha causato un’ondata di risentimento tra i tifosi ucraini. Nel periodico recap di giocatori militanti all’estero di Tribuna, il commento più popolare è: “Forse avete contato male? Secondo quali criteri Ordets è ucraino?”. Nella sezione notizie di Tribuna i richiami al difensore del Bochum (10 partite quest’anno) sono meno di quelli a Sobol, appena 15 minuti in Ligue 1 in questa stagione. L’unico accenno alle sue prestazioni sportive è la notizia del suo infortunio in Bochum-Mainz di fine ottobre. I primi tre commenti in ordine di like a questa notizia sono: 1. Peccato non abbiano infierito; 2. Non mi interessa proprio quel che succede al vatnik [peggiorativo per indicare i russi, ndr]; 3. Portatelo in un ospedale russo. 

 

Forse l’avrete già capito: il risentimento per Ordets è legato al conflitto russo-ucraino, e in particolare alla sua decisione di giocare in Russia, trasferendosi nel 2019 dallo Shakhtar alla Dinamo Mosca. Ordets non è di certo l’unico ucraino ad aver giocato in Russia dopo la prima guerra in Donbas del 2014 (pochi ricorderanno che lo stesso Zinchenko esplose all’Ufa prima di passare al Manchester City nel 2016), ma è stato uno dei pochi a rimanere in Russia anche dopo il 24 febbraio del 2022, giorno in cui è partita l’invasione dell’Ucraina. 

 

Nonostante non abbia più disputato un minuto con la Dinamo Mosca in seguito all’invasione, Ordets è stato accusato di non essersi mai espresso contro l’invasione russa, e di aver allegramente partecipato a una serata in discoteca con i propri compagni di squadra nelle stesse settimane in cui la sua città, Volnovacha, veniva bombardata e occupata dalle truppe del Cremlino. «Pur non avendo giocato in Russia dopo il 24 febbraio, celebrando una festa con il proprio club, Ordets ha fatto intendere in quale luogo si trova dal punto di vista mentale» ha scritto il giornalista ucraino Kostantyn Varvarik.  

 

In una società inevitabilmente radicalizzata nella percezione nazionalistica del noi contro loro Ordets è un traditore, un vile collaborazionista. La mancanza di dichiarazioni nette equivale a una ambiguità filorussa e le celebrità sono le prime ad avere il dito puntato contro. Su Ordets non si fanno raccolte di tweet di tifosi del Bochum che si esprimono sulle sue prestazioni, ma quelle dei commenti dei tifosi ucraini che lo insultano. Gli unici giornalisti che lo intervistano sono altrettanto sospettati di avere simpatie filorusse, e da alcuni anni non lavorano più per i media ucraini.

 

Il mondo sportivo ucraino da oltre un anno e mezzo fa pressioni diplomatiche per escludere gli atleti russi, ma secondo il giornalista Volodymyr Harets “il passaggio di Ordets in Europa è persino peggio di quello di un calciatore russo”. Lo stesso Harets ha pubblicato un articolo che elenca tutti i calciatori ucraini rimasti in Russia dopo il 24 febbraio 2022, tipo lista nera.

 

La posizione dell’ex allenatore dello Sheriff Tiraspol, Yury Vernydub (che vinse al Bernabeu contro il Real Madrid nel 2021), viene spesso messa a contrasto per evidenziare la depravazione di questi giocatori. Il 24 febbraio 2022 lo Sheriff Tiraspol e il suo allenatore sono in Portogallo, per difendere la vittoria casalinga nell’andata dei sedicesimi di Europa League contro il Braga. Alle notizie dell’invasione russa, Vernydub lascia il ritiro della propria squadra (che perderà il ritorno ai rigori) e rientra in Ucraina, dove si arruola nei battaglioni di difesa territoriale. L’estate successiva, con la divisa da militare addosso, verrà presentato come nuovo allenatore del neopromosso Kryvbas (fino a poche giornate fa, tra l’altro, in vetta alla classifica della Premier Liha). In questo momento storico, sono i Vernydub a rappresentare l’apice del buonsenso (e nessuno gli rinfaccia di aver allenato lo Sheriff, club dell’élite filorussa della Moldavia) nell’altalenante opinione pubblica ucraina, mentre figure come Ordets e Tymoshchuk sono considerate dei “non-cittadini”. «Ordets e Tymoshchuk sono persone malate. La società ucraina non li accetterà mai più», ha dichiarato Vernydub lo scorso settembre. 

 

La surreale presentazione di Yury Vernydub al Kryvbas Kriviy Rih, squadra nota per essere la preferita (insieme alla Dinamo) del presidente ucraino Volodymyr Zelensky, originario proprio di Kryviy Rih.

 

Se il difensore del Bochum se la “cava” venendo ignorato e al più insultato quelle poche volte in cui il suo nome riappare, l’ex centrocampista di Shakhtar, Zenit e Bayern Monaco è invece una ferita molto più profonda nel movimento calcistico ucraino.

 

Anatoliy Tymoshchuk rimane ancora oggi il giocatore con più presenze nella storia della Nazionale ucraina (144), l’unico ad aver vinto Champions League, Coppa UEFA e Supercoppa europea. Tymoshchuk, però, di fatto non è più ucraino, al di là delle voci su una fittizia cittadinanza romena che avrebbe acquisito quest’anno e delle sanzioni ad personam incluse in un decreto firmato da Zelensky. Tymoshchuk è infatti uno dei tre ucraini inclusi nella lista delle 119 persone fisiche (principalmente politici e propagandisti russi) punite dal decreto – che prevede confisca dei beni e altre limitazioni all’ingresso nel Paese per i dieci anni successivi. La cittadinanza non è formalmente revocabile secondo la Costituzione ucraina e probabilmente solo questo ha fermato questo ultimo, definitivo passo nei confronti di Tymoshchuk.

 

L’altro aspetto interessante è che, rispetto ad Ordets e altri calciatori di fama minore originari del Donbas oppure della Crimea, Tymoshchuk è originario della Volinia, una delle aree più nazionaliste in Ucraina occidentale. Nonostante questo, dopo il febbraio 2022 è rimasto nel ruolo di viceallenatore dello Zenit San Pietroburgo, e non si è mai espresso sull’invasione russa. Per di più, Tymoshchuk ha partecipato anche a una partita commemorativa a Mosca dedicata Il’ja Cymbalar’, ex calciatore ed allenatore la cui storia mette in crisi la delicata costruzione della nuova identità ucraina. Cymbalar’ è infatti nato ad Odessa, città nell’estremo sud dell’Ucraina al centro degli obiettivi strategici dei due eserciti in guerra, e ha giocato sia per la Nazionale ucraina che per quella russa. Questa partita commemorativa, comunque, è stata denunciata con una diffida dalla famiglia di quest’ultimo, ancora residente a Odessa, ed è stata disertata da diversi giocatori stranieri (tra cui Maicon, Adebayor, Abidal, Quaresma e lo stesso Hleb; ha invece allenato una delle squadre l’ex collaboratore di Conte, Massimo Carrera).

 

Il suo caso è quello che ha fatto più scalpore in Ucraina. L’allenatore della nazionale, Serhiy Rebrov, ha recentemente dichiarato che «in passato il nome di Tymoshchuk era incluso fra i grandi del calcio ucraino, ma oggi questo nome non esiste più». Il capitano Andriy Yarmolenko, dopo aver raccontato di averci litigato al telefono, ha detto che Tymoshchuk «non è una persona, per me è morto». Secondo Malinovskyi l’ex calciatore del Bayern «non sarà mai più una leggenda del calcio ucraino». In un recente articolo di Tribuna sugli attuali calciatori della Nazionale ucraina che possono raggiungere le 100 presenze, il nome di Tymoshchuk non viene nemmeno menzionato fra i pochi giocatori che le hanno raggiunte in passato (Yarmolenko, Shevchenko, Pyatov e Rotan). Ignorare la sua esistenza è ormai cosa normale in Ucraina.

 

Lo status di Tymoshchuk si è talmente deteriorato da poter essere messo in discussione persino da giocatori di origine russa. Oleksandr Aliev, ex centrocampista di Dinamo Kiev e Lokomotiv Mosca, braccio destro di Artem Milevskyi (che oggi affronta tragici problemi legati all’abuso di alcol), per esempio è nato in Siberia da genitori russi, ma ha scelto di diventare ucraino (così come lo stesso Milevskyi, bielorusso di nascita e ucraino di adozione), e, intervistato dal più famoso giornalista russofono d’Ucraina, Dmitry Gordon, si è scagliato contro di lui. «Per anni ha dipinto sul suo viso bandierine giallo-blu, scegliendo persino quei colori per la fascetta con cui raccoglieva i capelli. Si fingeva il più grande patriota del paese, accusando noi di non esserlo», racconta Aliev «Oggi che suo padre è arruolato nell’esercito, non risponde alle sue chiamate». L’unico filo che lega Tymoshchuk al suo Paese ormai è la sua causa intentata contro la Federcalcio ucraina al CAS di Losanna, per avergli cancellato onorificenze e titoli in Ucraina, e proibito di svolgere attività sportiva in futuro sul proprio territorio.

 

Non tutte le storie finiscono come quelle di Tymoshchuk, in questo racconto di tradimenti, nazionalismo sportivo e guerre d’invasione. Jaroslav Rakitskyi ha lasciato lo Shakhtar per lo Zenit nel 2019, lo stesso anno in cui Ordets si accasava alla Dinamo Mosca. In Ucraina, le sue opinioni politiche, poche ma controcorrente, gli erano già in precedenza valse l’appellativo di separatista. Originario del Donbas e cresciuto nel settore giovanile dello Shakhtar, Rakitskyi era l’unico titolare della Nazionale a non cantare l’inno, in un Paese in cui anche prima della guerra il rispetto della simbologia nazionale era una grave discriminante nella reputazione pubblica di atleti e celebrità.

 

Dopo il trasferimento in Russia, Rakitskyi non ha più ricevuto convocazioni nella nazionale guidata allora da Shevchenko, che ufficialmente motivava la decisione con ragioni di natura tecnica (lo stesso Sheva d’altra parte è stato a lungo accusato dai media locali di non essere abbastanza ucraino). La percezione, fra il 2019 e il 2022, di Rakitskyi fra tifosi e giornalisti ucraini era la stessa di Ordets e Tymoshchuk oggi.

 

Tutto è cambiato il 24 febbraio 2022. Come l’allenatore Vernydub, Rakitskyi è in trasferta di Europa League con lo Zenit, a Siviglia per affrontare il Betis. Saputo dell’invasione russa, però, abbandona il ritiro e fa una sola dichiarazione. «Non abbiamo bisogno di essere liberati. Lasciate l’Ucraina», rivolgendosi ai russi. Rakitskyi rescinde poi il contratto con lo Zenit, per alcuni mesi si allena con lo Shakhtar (e questa volta canta l’inno, durante la prima amichevole dello Shakhtar post-invasione), e per alcuni mesi gioca in Turchia con l’Adana Demirspor. 

 

Nell’inverno del 2022 torna da figliol prodigo in uno Shakhtar abbandonato dai brasiliani, e in cerca di esperienza da affiancare ai giovani Mudryk, Sudakov e Trubin. Il suo arrivo inizialmente divide la tifoseria neutrale e quella dello Shakhtar (che, allo stesso tempo, molti filorussi del Donbas hanno smesso di sostenere): secondo alcuni, anche la presa di posizione netta post-invasione non giustifica l’ambiguità precedente.

 

Tutto viene cancellato dalle prestazioni del difensore. Il gol al volo di fondoschiena contro il Feyenoord diventa un meme. Dopo la recente prestazione in Champions League contro il Barcellona, in cui non ha quasi mai fatto girare Robert Lewandowski verso la porta dello Shakhtar, Tribuna ha pubblicato un articolo di advocacy per un suo ritorno in Nazionale in vista dello spareggio decisivo contro l’Italia. 

 

Anche nei commenti dei tifosi sembra ci sia voglia di guardare al futuro. “Da soldato arruolato nei primi giorni (oggi sono un civile), ritengo che Rakitskyi meriti un ritorno in Nazionale” è posizionato in cima fra i commenti più popolari di questa community, dove dire che lo sport e la politica non dovrebbero mischiarsi potrebbe valere un linciaggio.

 

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Nato in Transcarpazia nel 1997, laureato in Economia. Trattiene le lacrime per le sconfitte del Napoli, meno per quelle dello Shakhtar e della nazionale ucraina.