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Come Bielsa ha riportato il Leeds in Premier
24 lug 2020
Racconto di una stagione indimenticabile.
(articolo)
16 min
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Il Leeds United è riuscito finalmente a tornare in Premier League. Nel calcio di oggi, in cui le squadre che non chiamiamo “grandi” (quelle cioè che non fatturano centinaia di milioni di euro a stagione) salgono e scendono di categoria ciclicamente, potrebbe non sembrare una grande notizia. Ma il Leeds United non è una squadra come le altre in Inghilterra e, pur non potendo essere considerata “grande” in questo momento storico, se non dai suoi tifosi, la sua assenza in Premier League faceva rumore. Come un gigante dormiente che dopo tanti anni è tornato dove tutti pensavano dovesse essere.

Il Leeds non è solo l’unica squadra della terza città per numero di abitanti dell’Inghilterra (quasi 800mila, meno solo di Londra e Birmingham), ma è soprattutto un club con uno degli stadi più caldi d’Europa nell’Elland Road e con una storia leggendaria, a partire dallo storico decennio a cavallo tra gli anni ’60 e ’70 sotto Don Revie. In quell'epoca il Leeds rappresentava la massima espressione del calcio brutale inglese, capace tra le altre cose di vincere anche per due volte la Prima Divisione (e per cinque volte arrivare secondo) e arrivare in finale della Coppa dei Campioni nel 1975, perdendo contro il Bayern di Franz Beckenbauer e Gerd Müller.

Ma il Leeds ha una storia memorabile anche avvicinandoci a noi. Per il titolo di Prima Divisione nel 1992 con Eric Cantona a guidarne l’attacco, per esempio, o per quei campionati a cavallo tra la fine degli anni '90 e l'inizio degli anni 2000 in cui è stata più volte candidata al titolo con la coppia Kewell-Viduka, raggiungendo anche le semifinali di Champions League nel 2001. Il Leeds ancora oggi è dodicesima nella classifica perpetua della Premier League pur non giocandoci dal 2004. Per queste ragioni, il caso del Leeds è diventato talmente emblematico in Inghilterra che per le squadre cadute in disgrazia per via della propria incapacità gestionale si dice direttamente “doing a Leeds” - cioè, letteralmente, "fare un Leeds".

Il Leeds è sceso una prima volta in Championship alla fine della stagione 2003-04, ha sfiorato più volte la bancarotta, e alla fine è retrocesso ulteriormente, passando alla League One, dopo una penalizzazione di 10 punti imposta nel maggio del 2007. Un club che, per dire la verità, non è ancora finanziariamente perfetto se si pensa che lo stesso dispendio economico messo in campo in questo biennio (il Leeds ha chiuso la scorsa stagione in rosso per 24 milioni di sterline), poteva significare nuovi problemi economici in caso di mancata promozione.

In questi 16 anni di assenza dalla Premier League, il Leeds ha cambiato diverse dirigenze (tra cui anche quella italiana, e a dir poco tormentata, di Massimo Cellino) e ben 20 allenatori, fino a trovare nel 21esimo quello giusto. Un allenatore che accetta senza problemi il soprannome di Loco, cioè pazzo, forse perché in fondo ci si riconosce. «Un uomo che ha nuove idee è un pazzo fino a quando le sue idee non avranno successo», ha detto una volta il tecnico argentino, forse citando Mark Twain. Bielsa è un allenatore speciale, odiato da molti proprio perché i successi della sua carriera non giustificherebbero l'attenzione mediatica che si porta dietro - un tecnico maniacale, con un’attenzione ai dettagli che rasenta l’ossessione o forse la supera anche. Quello che va in giro in tuta della squadra anche a casa, che vive da solo in Inghilterra mentre la famiglia è in Argentina. Quel tipo di persona che una volta vinto il titolo ha ringraziato per prime le persone del club che si sono prese cura di lui in questi mesi di pandemia, con una menzione speciale alle cuoche che lasciavano da mangiare fuori la porta.

In questi mesi a Leeds, Bielsa ha rinverdito il suo repertorio di aneddoti. In ogni conferenza parla ha parlato spesso di teoria calcistica e di etica, con il suo traduttore spesso spaesato mentre i giornalisti pendevano dalle sue labbra. E prima ancora, al colloquio con la dirigenza del Leeds, si è presentato con il piano catastale del centro dall’allenamento della squadra per spiegargli dove avrebbe voluto fare dei lavori. E prima della preparazione di ogni partita di campionato, a quanto pare, ha portato ai suoi analisti un’analisi di otto pagine anche per il terzo portiere degli avversari.

Bielsa è uno dei pochi allenatori che non suona ridicolo quando dice frasi come: «Non so parlare inglese, ma potrei parlare delle 24 squadre del Championship», proprio perché conosciamo perfettamente la sua ossessione verso il gioco. Quello che in partita è a bordo campo, seduto sempre in modo nervoso ai limiti della sua area tecnica sul suo ormai iconico secchio rovesciato. La posizione che permette la prospettiva migliore per osservare il campo, quella delle gambe dei giocatori.

C'è da dire che in realtà non tutto è filato liscio come sembra. La prima stagione di Bielsa al Leeds ha infatti avuto un copione da serie TV, con molti applausi per il gioco, ma anche con il famoso "Spygate", lo scandalo costato una multa di 200mila sterline per via di alcuni osservatori del club sorpresi a spiare gli allenamenti di un club rivale. Una stagione eccitante, insomma, ma chiusa con l’uscita ai playoff proprio contro la squadra con cui era partita la polemica (cioè il Derby County di Lampard) per averli spiati mesi prima. L’immagine di Bielsa in ginocchio nei corridoi dello stadio a fine partita sembrava l’ennesima immagine dell’ennesimo progetto fallito del Leeds, questa volta veramente ad un passo dal traguardo. Invece quella stagione è stata la base essenziale su cui costruire il Leeds di quest'anno, una versione ancora migliore del Leeds dell'anno precedente - una delle migliori squadre della storia recente del Championship.

Bisogna dire innanzitutto che, anche se è una seconda divisione, la Championship è famosa per essere uno dei campionati più duri al mondo. Cioè quello che, al contrario della Premier League, ancora si basa fortemente sull'atletismo e l'intensità fisica - sulla vera essenza del calcio inglese, insomma. Se ciò non bastasse, si sfidano 24 squadre in cui le differenze economiche non sono così marcate come ormai è prassi nelle prime divisioni e in cui quindi i valori tecnici non sono così diversi tra loro. Una maratona di 46 giornate in cui ad esempio in questa stagione il Leeds che ha vinto il campionato con 93 punti, ha perso comunque 9 partite e l’Hull fanalino di coda ne ha vinte comunque 12, chiudendo a 45 punti.

È stata una promozione non scontata. Il Leeds aveva iniziato il campionato con ancora addosso la delusione della mancata promozione, infatti, e soprattutto dopo una sessione di mercato che l'aveva visto vendere giocatori per 30 milioni e operare in entrata solo con i prestiti (e di questi solo il difensore Ben White ha funzionato davvero). Insomma, ha iniziato la stagione con una squadra non propriamente rinforzata. Quello che poteva essere un limite alla crescita della squadra, però, si è rivelato essere anche un suo punto di forza. Bielsa, infatti, ha potuto costruire emotivamente sulla delusione precedente e si è così potuto concentrare su dove migliorare tatticamente, in modo da evitare gli errori dell'anno precedente. Il risultato è stato un campionato in zona promozione fin dalla prime giornate, mai meno del quinto posto e in lotta per il titolo per tutta la seconda metà.

In una stagione con una promozione tranquilla data da una superiorità evidente, il Leeds si è preso anche la soddisfazione del confronto con l’Arsenal in FA Cup, dove ha mostrato al pubblico della Premier League un antipasto di cosa potrebbe essere la prossima stagione. In quella partita, infatti, il Leeds è stato padrone del campo per tutto il primo tempo prima di soccombere alla distanza venendo eliminato con l’1-0. Nella partita contro l'Arsenal si è vista quindi anche la principale insidia del salto di categoria, che per una squadra ancora fragile come il Leeds potrebbe essere fatale. In queste settimane di attesa Bielsa dovrà capire quanto può ancora puntare su questo gruppo e quanto invece andrà rimaneggiato, alla luce della nuova realtà in cui i giocatori dovranno affrontare praticamente ogni settimana squadre sulla carta più attrezzate.

Quel che certo è che l'allenatore argentino lavorerà sempre con il suo metodo, applicabile nonostante i pregiudizi su qualsiasi gruppo di giocatori a disposizione, se hanno la determinazione per migliorarsi lavorando in allenamento. Proprio il lavoro maniacale in allenamento è il cardine su cui si fonda questo metodo. Come ha detto uno dei protagonisti della promozione, il centrocampista offensivo Mateusz Klich, al Yorkshire EveningPost: «Qui è come fare il militare. Significa tattica, tattica, tattica e condizione fisica».

Al di là dei risultati raggiunti, Bielsa proprio per questa sua maniacalità è senza ombra di dubbio uno degli allenatori più influenti degli ultimi 30 anni, soprattutto per quanto riguarda la scuola argentina e spagnola. E in questo senso è significativo che allenatori da lui influenzati (come Guardiola) o direttamente suoi discepoli (come Pochettino) abbiano avuto successo in Premier League prima ancora che lui ci arrivasse. D'altra parte, i principi di Bielsa sembrano sposarsi perfettamente con lo Zeitgeist nella Premier League attuale, come lo descrive lui stesso: «Io dico sempre ai ragazzi che il calcio per noi è movimento, spostamento. Bisogna sempre correre. Ogni giocatore, in ogni circostanza, ha sempre una buona ragione per correre. Nel calcio non esiste una sola circostanza in cui un giocatore possa permettersi di stare fermo in campo». E nonostante questo, Bielsa può essere ancora considerato l'avanguardia.

Quello del Leeds è stato un calcio offensivo e diretto, che si basa sulla sincronia nei movimenti e sul dinamismo in ogni fase di gioco, dove parlare di modulo non rende giustizia agli scambi continui di posizioni e al peculiare utilizzo degli spazi in campo, che vengono creati per essere attaccati e non occupati in modo statico. Bielsa prepara le sue squadre per difendere sempre in avanti senza palla. Quando invece il Leeds è in possesso, l'obiettivo è risalire il campo palla a terra fin dalla propria area costruendo triangoli (possibilmente giocando ad un tocco) tra giocatori sempre in movimento, che si scambiano la posizione per avere allo stesso tempo ampiezza e superiorità in zona palla. Semplificando all'estremo: chi ha la palla avanza fin quando non è fronteggiato e a quel punto la passa in avanti al compagno che intanto si è smarcato. Chi passa la palla si muove a sua volta in avanti con l’obiettivo finale di arrivare con più giocatori possibili nei pressi dell’area rigore avversaria. I giocatori, che stiano attaccando o difendendo, si muovono sempre in avanti. Indietro può andare solo il pallone.

Le continue rotazioni tra i giocatori in campo (ad esempio con gli esterni che entrano in campo e i centrocampisti che invece ricevono sull’esterno durante la stessa azione) rendono il gioco di Bielsa un'esperienza ancora nuova da guardare oggi. Un calcio non soltanto entusiasmante da vedere nelle azioni ben riuscire, tra scambi di prima e giocatori che sembrano avanzare sul campo come una valanga fino alla porta avversaria, ma anche difficile da prevedere per le squadre avversarie, perché riesce a creare sempre spazio manipolando lo schieramento avversario con la palla mentre i giocatori puntano costantemente l’area avversaria. Grazie al lavoro in allenamento, i giocatori si abituano a pensare di dover passare e poi muoversi in avanti. Qualcosa che gradualmente diventa un automatismo. Uno degli esercizi più utilizzati per interiorizzarlo è quello di far circolare il pallone in una porzione di campo suddivisa in 8 zone: non ci possono essere più di due giocatori nella stessa zona e quando uno arriva un altro deve per forza lasciarla. Da qui esce l’abitudine al movimento continuo e alla capacità di poter eseguire più varianti della stessa tipologia di azione, sicuri che i compagni seguiranno il corso mentre il pallone scorre per il campo. Ovviamente stiamo parlando di un gioco dall'ambizione sconfinata, che cerca di eliminare alla base l'errore umano. E non è un caso in questo senso che Bielsa dica frasi come: «Se i giocatori non fossero umani non perderei mai».

Quando l'applicazione dei principi di Bielsa non ha sbavature ci si ritrova davanti a uno spettacolo vero e proprio. È il caso, ad esempio, di questo gol di Tyler Roberts contro l’Hull. Per segnare il Leeds ha sfruttato tutto il campo in ampiezza e profondità. L’azione parte da una palla recuperata nei pressi della sua area: tre giocatori circondano l’avversario in possesso e, una volta rubato il pallone, la transizione viene avviata da Harrison, che esce dal timido tentativo di riaggressione degli avversari con un triangolo di prima e poi appoggia per il compagno Taylor Roberts, libero dietro la linea di pressione, che può girarsi e avanzare tagliando il campo in diagonale. Roberts serve la salita dell’esterno destro Helder Costa, che può guardare in area e servire dalla parte opposta Klich. Il centrocampista polacco viene servito e di prima rimette il pallone all’altezza del dischetto, cogliendo in controtempo gli avversari ma non i compagni.

Un altro esempio è il gol di Stuart Dallas contro il Luton. In questo caso, il Leeds riesce a manipolare palla a terra una squadra che non pressa, facendola rinculare fino alla propria area. Se ci fate caso, dall’uscita del pallone fino al tiro in porta ci sono solo 5 passaggi in diagonale. Gol che sembrano rendere l’idea della pressione a cui le difese della Championship sono state sottoposte, con tagli da assorbire da praticamente ogni direzione e la consapevolezza che basta lasciarne uno libero per poter subire gol dal Leeds. Dallas, per dire, è il terzino sinistro e va a segnare arrivando a tagliare nella parte destra dell’area per ricevere.

L’azione simbolo della stagione è però quella che ha portato al gol di Luke Ayling contro l’Huddersfield, non a caso votato dai tifosi come il più bello della stagione. Parliamo di una palla recuperata nella propria metà campo che sfocia in un’immediata verticalizzazione verso Klich, che si era mosso dietro la linea di pressione. A quel punto il colpo di tacco del polacco e il tocco di prima del compagno liberano il centrocampista esterno Jack Harrison, che riceve sulla fascia e può così avanzare fino al cross lungo per il terzino destro Ayling sul secondo palo. Tecnica e dinamismo condensati in un’azione in cui l’unico giocatore a fare più di due tocchi è Harrison, il giocatore che avanza sulla fascia per crossare.

Al termine di quella partita, l’allenatore dell’Huddersfield, Danny Cowley, ha dichiarato: «Se devi perdere la battaglia tattica, meglio che sia contro un genio. Sarò davvero interessato, quando salirà il Leeds, di vedere come la Premier League lo affronterà». Ma chiaramente la domanda è più interessante se viene rigirata: Bielsa riuscirà a mantenere questo livello in Premier League? Come affronterà avversari tecnicamente superiori?

Il problema principale del Leeds, infatti, è che per quanto Bielsa abbia fatto fiorire alcuni talenti la rosa rimane “di categoria”, composta cioè da giocatori esperti e già formati, come i due terzini titolari Stuart Dallas e Luke Ayling, o il centrocampista Mateusz Klich, la punta Patrick Bamford e l’esterno Ezgjan Alioski. Per capirci: la stessa stella della squadra è Pablo Hernández, un giocatore il cui massimo in carriera è stata un'esperienza di buon livello al Valencia, con cui ha raggiunto anche la Nazionale spagnola. Hernández ha trovato un seconda giovinezza nel Leeds di Bielsa, incarnando il ruolo del rifinitore che sulla trequarti ripulisce la manovra e in caso è in grado di finalizzarla, grazie a una tecnica superiore per la categoria (infatti ha chiuso la stagione con 9 gol e 9 assist). Ma parliamo pur sempre di un giocatore di 35 anni che in Premier League al massimo ha giocato allo Swansea.

Se il mercato non aiuterà la squadra, allora Bielsa dovrà affidarsi principalmente ai giovani che è riuscito a far crescere nella sua esperienza al Leeds. Per esempio il centrale di 22 anni Ben White, arrivato in prestito dal Brighton e su cui Bielsa ha trovato subito quello che cercava in termini di abilità con i piedi e capacità di difendere in avanti. O l’esterno Jack Harrison, di proprietà del Manchester City e che era finito addirittura nella MLS per provare a dare slancio alla propria carriera. A 23 anni l’incontro con Bielsa l’ha fatto diventare un giocatore versatile e capace di sfruttare al meglio la sua tecnica anche nello stretto, in grado di giocare veramente in ogni zona esterna del campo. Il tipo di giocatore che potrebbe avere una carriera in Premier League.

Soprattutto, però, Bielsa ha esaltato il talento di Kalvin Phillips, forse il giocatore più importante di questo Leeds, la chiave di volta del sistema dell'allenatore argentino attraverso il suo lavoro in uscita del pallone. Il Leeds, infatti, quando prova a risalire il campo dalla difesa sa essere tanto paziente quanto poi improvvisamente verticale e Phillips è solitamente il giocatore che rischia il passaggio in avanti per far scattare i meccanismi offensivi. Con lui Bielsa ha fatto un lavoro simile a quello che ai tempi di Bilbao faceva Javi Martínez, diventato poi una colonna portante del Bayern Monaco, e in questo senso non è un caso che anche Phillips è stato utilizzato in alcune partite come difensore centrale (proprio come il giocatore spagnolo in Bundesliga).

Bielsa parla di Phillips in questi termini: «È un giocatore pratico che gioca in modo semplice. (…) È molto bravo a prendere la palla e a metterla in un altro spazio, uno spazio migliore. È molto bravo ad aiutare la squadra quando i nostri terzini vanno in attacco. E quando siamo in inferiorità numerica, è molto bravo a difendere». Al di là della sua dimensione tecnica, Phillips è importante anche per ciò che rappresenta. Nato a Leeds, è cresciuto e tifa per la squadra con cui a 24 anni già sta assumendo i contorni della bandiera. I tifosi, infatti, lo coccolano con quel pizzico di ironia che ci si concede con le persone con cui sentiamo di condividere un senso di familiarità, chiamandolo "il Pirlo dello Yorkshire".

Il cocco del mister.

In ogni caso, per sopravvivere in Premier League al Leeds servirà soprattutto una punta. L'attuale titolare, Patrick Bamford, ha offerto garanzie in termini di appoggio alla manovra, ma non in termini di finalizzazione delle azioni, dove ha mostrato limiti che in Premier League possono fare la differenza. Nelle 44 partite giocate in stagione Bamford ha segnato comunque 16 gol con 2,8 tiri a partita, ma ha fallito troppe occasioni davanti alla porta (secondo Sofascore addirittura 33) che in Premier League possono rivelarsi fatali. Da capire anche il ruolo che potrà avere Jean-Kevin Augustin, arrivato nella sessione invernale dal RB Lipsia. Nonostante le grandi aspettative, infatti, Augustin ha giocato appena 48 minuti in totale su 3 partite, ed è sparito già a prima della pausa forzata per la pandemia. Oltre alla punta, comunque, al Leeds servirà anche un centrale di livello e un portiere, visto il prestito non rinnovato di Ben White e di Kiko Casilla.

Quel che è certo è che adesso arriva il difficile per il Leeds. Ma con Bielsa dalla propria parte questo pensiero sembra qualcosa che si aspetta con trepidazione, più che con paura. Come disse una volta l'allenatore argentino ai suoi giocatori quando allenava il Cile: «Nei combattimenti di strada ci sono due tipi di persone: quello che colpisce, vede sangue, si spaventa e indietreggia. E c'è chi colpisce, vede il sangue e va per uccidere. Molto bene, ragazzi: vengo da fuori e giuro che qui c'è un odore di sangue». Lo stesso che evidentemente adesso tutti sentono anche a Leeds.

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