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Clint Capela, "The Decoy"
19 gen 2018
19 gen 2018
Quanto (non è) successo l’altra notte allo Staples Center merita un soprannome da tramandare ai posteri.
(articolo)
9 min
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Partiamo da un presupposto: il soprannome in NBA, o nello sport in generale, è la cosa più seria tra le cose meno serie. Un nickname straordinario può rendere memorabile anche la più insignificante delle carriere, o al contrario uno insignificante può togliere qualche nota di merito anche al più straordinario dei giocatori. In un’epoca in cui si fatica a trovare la fantasia necessaria o il guizzo giusto per dare il soprannome a un giocatore — anche per motivi di branding e di marketing che li banalizzano in odiose abbreviazioni o storpiature delle iniziali dei nomi — bisogna approfittare di ogni occasione che la grande narrazione della NBA propone per inventarne di nuovi. È il mondo che ce lo chiede: dobbiamo tramandare ai posteri qualcosa di meglio dei soliti “KD”, “D-Wade”, “D-Rose” e compagnia cantante, non fosse altro per non dare ragione ai passatisti-ad-ogni-costo che ogni volta snocciolano soprannomi bellissimi dei giocatori del passato.

Per questo lancio un appello: il mondo non deve farsi sfuggire l'occasione di dare un soprannome a Clint Capela dopo quanto successo l’altra notte allo Staples Center. Anche se in realtà non è successo niente di quanto inizialmente raccontato.

L'irruzione

Per i due o tre che si fossero persi quanto successo, faccio un riassunto: Houston Rockets e L.A. Clippers si sono affrontate in una partita tesissima, particolarmente sentita per via del primo ritorno di Chris Paul come avversario a L.A. dopo mesi in cui la scatola nera del suo rapporto con Doc Rivers, Blake Griffin e tutto il resto della franchigia è stata analizzata ad nauseam. La seconda sorprendente vittoria stagionale dei losangeleni in altrettante partite ha portato diversi membri dei Clippers a comportamenti sopra le righe: tra questi si è segnalato in particolare Blake Griffin (che oltre a essersi mandato più volte a quel paese con CP3 se l’è presa anche con Mike D’Antoni in un inusuale faccia-a-faccia tra un giocatore e l’allenatore avversario, culminato in una mezza-gomitata-mezza-spintina mentre correva per andare in contropiede che ha fatto infuriare il fu Baffo) e Austin Rivers (che, pur essendo in borghese e con un walking boot al piede per via dell’infortunio alla caviglia che lo sta tenendo fuori causa, era in formissima per quanto riguarda il trash talking nei confronti degli avversari contro cui poco prima di Natale aveva realizzato il suo career-high con 36 punti, poi superato una sera dopo a Memphis con 38).

Le parole dei due — e, immaginiamo, anche del resto della panchina capitanato da Patrick Beverley — hanno fatto saltare i nervi ai Rockets e in particolare a Trevor Ariza, che si è preso sotto sia con Rivers che con Griffin, venendo espulso insieme a quest’ultimo quando la partita era ormai compromessa, scatenando un mezzo parapiglia in cui alcuni membri di Houston (in particolare Gerald Green) sono stati portati via a forza per evitare guai peggiori. Se tutto si fosse fermato lì ci sarebbero già dei bei precedenti per montare su una rivalità interessante, considerando anche la storia pregressa delle due franchigie — incrociatesi in una serie di secondo turno del 2015 che ha cambiato le traiettorie di entrambe — e dei personaggi in gioco. Ma, come sapete, le cose non si sono fermate lì, altrimenti non saremmo qui a scriverne ora.

Ora proviamo a ricostruire realmente ciò che è successo e poi passiamo al vero motivo di questo pezzo. Una volta rientrati negli spogliatoi, Trevor Ariza — secondo le recenti ricostruzioni di ESPN e di altri media — ha fatto irruzione nello spogliatoio dei Clippers per andare a “confrontarsi” con Griffin e con Austin Rivers (il quale, vedendolo, pare abbia detto “Fate entrare quella fighetta”: la fonte di questa frase è al 100% Austin Rivers, perché solo Austin Rivers potrebbe avere l’ego di riferire una cosa del genere ai giornalisti per fare il grosso). Per arrivare allo spogliatoio Ariza non ha utilizzato il passaggio “normale” tra un corridoio e l’altro — quello aperto anche ai media, per intenderci — ma un corridoio laterale in cui abitualmente i giocatori delle due squadre si incontrano per salutarsi e fare quattro chiacchiere. Altri tre membri dei Rockets — Paul, James Harden e Gerald Green — hanno seguito Ariza nello spogliatoio dei Clippers ma, in particolare i primi due, hanno fatto da “pacieri” e hanno cercato di evitare guai peggiori al loro compagno, e che con qualche difficoltà, l’intermediazione di DeAndre Jordan (che si è fisicamente frapposto tra i Rockets e i suoi compagni) e l’intervento della security tutto è stato riportato alla normalità.

La realtà alternativa di Twitter

Ora: questa è la probabile realtà dei fatti, almeno per come è stata raccontata e spiegata dalla NBA la quale, anche se non è di fatto volato neanche pugno, ha sospeso per due partite sia Ariza che Green, salvando invece i due mostri dei Rockets. Poi però c’è la realtà per come è stata raccontata su Internet, che come sempre è di gran lunga più affascinante e divertente di quanto è realmente successo. Se vi è capitato di essere su Twitter martedì mattina, difficilmente vi scorderete quanto si è scatenato sui social in fatto di battute, meme e reazioni istantanee. Perché il delirio sui social è cominciato quando una reporter della ABC ha twittato sulla presenza della polizia di Los Angeles (?!) nello spogliatoio dei Rockets perché c’era in corso un alterco tra Chris Paul e James Harden (!!!), falsità definita dallo stesso CP3 come “Fake News da Donald Trump”. Poi è arrivata la #WOJBOMB del tentativo di irruzione utilizzando quello che era stata definita come una “porta laterale”, ma da lì a dare vita al mito che esista un tunnel segreto stile Hogwarts conosciuto solo da quelli in possesso della Mappa del Malandrino è stato un attimo. SB Nation ha raccolto i migliori 33 tweet su quanto successo, tra cui anche quelli dei protagonisti. Noi ve ne lasciamo solamente cinque perché altrimenti non finiamo più.

Vedere Shaquille O’Neal avere una crisi di riso come Anacleto ne La Spada Nella Roccia ha già reso il 2018 un grande anno.

L’idea che tutto sia stato orchestrato rende tutta la vicenda più bella almeno del 70%.

In un'epoca in cui tutto viene registrato, quanto paghereste per vedere le immagini e le facce dei Rockets che provano a fare irruzione?

È il 2018 e c’entra L.A.: non può non esserci di mezzo LaVar Ball.

Infine, la faccia di tutti quelli che non erano online a godersi lo spettacolo.

La straordinario viaggio di Clint Capela

Ora, però dobbiamo parlare seriamente di quanto successo a Clint Capela. Perché l’aneddoto più bello dell’intera vicenda, raccontato da uno solitamente informatissimo come Adrian Wojnarowski, riguarda lui e ha dell’incredibile: per almeno 24 ore è stato riportato da Woj che nel corridoio principale — non era chiaro se nel frattempo o poco prima, ma comunque appena dopo la fine della gara — il nostro eroe per qualche oscura ragione era andato a bussare alla porta dello spogliatoio dei Clippers e un membro dello staff — vedendoselo davanti in tutti i suoi 208 centimetri di altezza — aveva aperto e richiuso immediatamente la porta sbattendogliela in faccia. Capela allora sarebbe rimasto lì per qualche momento senza sapere cosa fare e poi sarebbe tornato nello spogliatoio dei Rockets, si è fatto la doccia ed è andato sul bus con il resto dei compagni.

Solo che non era vero niente. Come riportato ieri da Jonathan Feigan dello Houston Chronicle e soprattutto Marc Stein del New York Times — che, ironicamente, è stato lasciato a spasso da ESPN proprio per lasciare spazio al suo news-breaker concorrente Wojnarowski… —, le telecamere dello Staples Center dimostrano che non è stato Capela ad andare a bussare, ma bensì l’altro lungo dei Rockets Tarik Black, che stava andando in sala pesi per allenarsi e, sentendo il casino, ha provato a bussare per capire cosa stesse succedendo, ricevendo la porta in faccia.

Quindi non era vera la teoria circolata su Internet — e data quasi per scontata da tutti — che Chris Paul avesse escogitato un piano articolatissimo in cui Capela fungeva da diversivo nei panni di quello “grande, grosso e ciula”, sviando l’attenzione dei Clippers per poterli sorprendere dalla porta sul retro e strappare l’anima stessa dal corpo di Austin Rivers e Blake Griffin a suon di ceffoni. Purtroppo, ancora una volta, la verità ha rovinato una bellissima storia.

Oppure, ancora meglio: per almeno 24 ore ci è piaciuto pensare che Capela avesse sentito i compagni dire “Andiamo a picchiare i Clippers” ma, non vedendoli più, fosse andato a bussare all’altro spogliatoio per chiedere “È qui la rissa?”.

Ora, però, dobbiamo farci tutti un esame di coscienza, perché tutto questo ben di Dio non può andare perso. Non possiamo permettere che questa serata straordinaria su Internet vada perduta davanti alla banale caducità del nostro tempo. E solo una persona può accollarsi l’onere di portare avanti tutto questo, e quel qualcuno sei tu, Clint Capela. Non puoi che essere tu.

Un po’ sulla falsariga di quanto successo con Nik Stauskas, soprannominato “Sauce Castillo” per un malfunzionamento di un servizio di sottotitoli in un bar, questo episodio deve portare Capela a essere soprannominato “The Decoy”, “The Diversion” o “The Trojan Horse”. Possiamo anche dargli il beneficio di scegliere quello che più gli aggrada, giusto per essere magnanimi. Ma non possiamo sprecare una palla-gol del genere.

Perché se ci pensate, il gioco stesso di uno come Clint Capela non è nient’altro che un diversivo: esattamente come i compagni — nell’universo alternativo di Internet — avrebbero voluto utilizzarlo per distogliere le attenzioni degli avversari dal vero piano di irruzione, Mike D’Antoni in campo effettivamente utilizza i suoi tagli a centro area e i suoi voli sopra il ferro per risucchiare le difese e lasciare spazio sul perimetro per le amatissime triple dei tantissimi tiratori di Houston.

I tagli sul pick and roll rappresentano oltre un terzo dell’attacco del centro svizzero, una situazione di gioco in cui ha un’efficienza stratosferica: 1.31 punti per possesso, il dato più alto tra quelli che ne giocano almeno 2.5 a partita, buono per finire nell’87° percentile della lega. Sì, avere Chris Paul e James Harden + tiratori aiuta, certo. Ma quanto è di aiuto lui agli altri?

Anche quando non riceve, le difese sono costrette a mandare un uomo in aiuto per negare il tiro a più alta percentuale possibile: la sua minaccia va sempre onorata, e questo lo rende il diversivo perfetto.

Per questo, noi tutti ora ci troviamo davanti a una scelta: accettare la pillola azzurra che la triste realtà che tutto questo non è mai successo, oppure prendere la pillola rossa ignorando il mondo reale e portando avanti la verità di Twitter.

Tutto alla fine è una questione di scelte. Clint, fai quella giusta e abbraccia il tuo destino.

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